Capitolo due

maggio 1838

 

Stavo facendo la mia solita illecita passeggiata a Regent’s Park, dal momento che era uno dei due giorni alla settimana in cui i cittadini potevano godere dei tulipani e dei lillà e concedersi una tregua dal frastuono del traffico urbano. Le commesse, pallide e magre, venivano a sentire il profumo dei fiori. Gli impiegati portavano le loro fidanzate ad ammirare gli anatroccoli. I ragazzini spingevano cerchi e lanciavano palle. I cani andavano in giro ad annusare e a cacciare piccioni.

L’uomo era ancora lì, col suo solito cappello scuro e un cappotto lungo. All’inizio cercai di girargli intorno, fingendo di voler osservare da vicino un particolare albero di ciliegio in fiore e girando bruscamente alla mia sinistra lungo un viale che si incrociava con il mio percorso. Ma non riuscii a sfuggirgli; mi seguì e mi raggiunse, alzando il cappello mentre mi rivolgeva la parola: ‘Signora? Posso rubarle cinque minuti del suo tempo?’

Lo guardai con circospezione, nervosa per due ragioni in qualche modo contraddittorie: la prima era che potevamo essere visti insieme; e la seconda era che il colloquio si sarebbe svolto senza che io avessi nessun supporto, se caso mai ce ne fosse stato bisogno. Avrei dovuto portare Emily con me, ma a volte desideravo stare da sola con me stessa.

‘Prego.’ Sentii il mio labbro accartocciarsi. Quanto avevo lottato perchè mia zia mi lasciasse leggere i giornali. Ogni volta che le chiedevo come potevamo essere sicuri che Napoleone fosse morto a Sant’Elena mi diceva che avrei dovuto impegnare i miei pensieri in considerazioni più pratiche, come si conveniva a una donna. E quando mi ero sposata, mio marito aveva preso il suo posto, impedendomi di discutere della Legge di Riforma, delle Corn Laws o dell’Emancipazione cattolica, e sicuramente di qualsiasi altro evento di qualche interesse che si fosse verificato negli ultimi cinquant’anni.

Eravamo arrivati davanti ad una statua: un dio che emergeva dalla fontana, circondato da quelle che sembravano ninfe. ‘Il nome Messolonghi le dice qualcosa, signora?’

‘È stata una roccaforte per i Greci nella battaglia contro i Turchi.’ Scavai nella mia memoria. ‘I Turchi non assediarono la città almeno una volta?’

Annuì. Le nuvole che avevo notato poco prima su di noi erano ora scomparse. Questa conversazione era davvero strana: perchè un estraneo veniva a parlarmi dei Greci? Dovevo cercare di allontanarmi dal mio accompagnatore? Guardai nell’acqua e vidi un riflesso. Una donna dietro di me. Mi voltai di scatto. Era vestita di nero, il volto coperto da un velo, ma ormai mi dava già solo le spalle e andava via a passo così svelto da sembrare quasi che corresse. Il mio cuore sussultò. ‘Mi scusi,’ dissi al mio interlocutore. ‘Devo seguirla.’

Lui replicò qualcosa, ma io ero già troppo lontana dalla fontana per poter udire. Riuscii comunque a raggiungere la figura scura; anzi, avevo quasi guadagnato terreno su di lei perchè ero più alta e veloce come una gazzella, o almeno lo sarei stata se non avessi avuto tutte quelle sottogonne imposte dalla moda. Strappai la fastidiosa cuffietta con le piume dalla mia testa in modo da poter vedere chiaramente la mia preda. Questa volta non mi sarebbe sfuggita. Credeva di potermi spiare, di seguirmi impunemente attraverso la città di Londra. Non avrei sopportato quest’umiliazione un minuto di più. 

Se si trattava di una spia ingaggiata da mio marito avrei discusso la faccenda con lui la sera stessa a costo di una bella litigata, anche se eravamo stati invitati a cena da amici: un’uscita rara, che aspettavo con ansia.

La mia preda ed io avevamo raggiunto Jenkins’s Nursery, una cerchia di aiuole ed alberi intersecati da sentieri.  Da che parte avrebbe svoltato la donna durante la sua corsa? Ero ormai così vicina a lei che era ormai solo questione di secondi e la mia mano avrebbe afferrato il suo braccio e l’avrei costretta a fermarsi. Riuscii a mantenere un passo che poteva essere considerato quello di una passeggiata. Anche così, quelli che superavo si giravano mostrando volti perplessi alla vista di una persona ben vestita, una signora, che si muoveva con tanta determinazione. La donna girò bruscamente a destra, dirigendosi verso il bordo del lago. Avevo intuito quali fossero le sue intenzioni: sarebbe passata intorno alla darsena per le barche e sarebbe scappata via dal parco attraverso l’Hanover Gate. Lì non avrebbe avuto alcuna possibilità di fuga: conoscevo le strade ad ovest del parco bene quanto il confine orientale. 

‘Signora Clarke.’ Un uomo allampanato sbucò all’improvviso. ‘Un momento …’

Senza guardarlo sollevai un braccio per sbarazzarmi dell’intruso. ‘Non ora, vi prego.’  

‘Sono costretto ad insistere.’ Si fermò davanti a me.

Douglas, il tuttofare di mia zia; un’altra esportazione calvinista da Edinburgo. La donna scura stava già scomparendo dietro il bordo del lago. Mi fermai, inspirai, cercando di nascondere la mia irritazione. ‘Bene Douglas. Cosa vuoi da me?’

Alzò la mano e vidi che portava un ombrello. Mi risollevai. Mi chiedevo che fine avesse fatto il mio gentiluomo straniero, ma non c’era più traccia di lui. 

‘Il signor Clarke mi ha mandato a cercarla. Ha sentito che si prevede pioggia e voleva che le consegnassi questo.’ Mi porse l’ombrello.  

‘Mia zia ha fatto visita al signor Clarke?’ Le piaceva visitare i cantieri di costruzioni.

‘Sì, signora.’

Era più probabile che mia zia, invece che mio marito, avesse mandato Douglas con l’ombrello. La donna vestita di nero era ormai scomparsa. Mi sembrava improbabile che la zia e Martin si fossero serviti di lei e di Douglas per spiarmi.

Mi chiedevo se questo ritardo mi avesse fatto perdere anche il greco. Prima Douglas andava via, prima sarei riuscita a ritrovarlo. Avrei rimandato la mia caccia alla donna in nero ad un altro giorno. Ci sarebbe stato un altro giorno, non dubitavo; l’avevo già vista mentre mi osservava in due occasioni il mese scorso.

‘Le dispiace se la riaccompagno a Ludlow Street, signora?’

Questo era senza dubbio il vero motivo che lo aveva portato lì. Non sopportavano che io camminassi da sola.  

‘Non sono ancora pronta a tornare. Resterò seduta qui per un po’, dissi, e indicai una panchina lì vicino.’

‘Ma signora, il signor Clarke è molto preoccupato del fatto che minaccia di piovere.’

Feci allora caso alle nuvole nere e all’aria gelida, avvertendo per la prima volta il vento pungente sulle mie guance. Ma era maggio, era primavera, ed io avevo rifiutato di prendere in seria considerazione questi segnali quando ero uscita di casa. ‘Ringrazio il signor Clarke per le sue premure e prometto di tornare se quella nuvola nera si avvicina.’

Douglas insisteva; ogni centimetro del suo volto severo lasciava intendere quanto desiderasse riportarmi a casa dal suo padrone come se io fossi stata un guanto perduto e recuperato con successo. Contrassi le labbra e sollevai il mento, sperando di fargli comprendere che ero decisa a rimanere. 

‘Molto bene, signora Clarke.’ Si allontanò attraverso i tulipani, a capo chino, sicuramente infelice perchè non era riuscito a portare a termine il suo compito. Le gambe slanciate gli avrebbero consentito di arrivare a casa in 25 minuti. Se fossi stata veloce, avrei potuto ritrovare il mio gentiluomo straniero, concludere la nostra conversazione e prendere una carrozza da Hanover Terrace prima che Douglas raggiungesse mio marito e gli raccontasse della mia ostinazione. Meglio ancora se la carrozza avesse superato la nostra schiera di villette e mi avesse depositata un isolato più avanti. In tal modo non avrei rischiato che mio marito mi avesse vista uscirne. Martin considerava le carrozze veloci e disdicevoli al tempo stesso perchè all’interno c’era solo spazio per due persone che sedessero molto vicine. Un viaggio da sola accanto ad un uomo poteva indurre una donna a pensieri che sarebbe stato meglio che restassero a lei ignoti. 

A proposito di uomini, dove era finito il mio gentiluomo straniero? Mi guardai intorno inutilmente. Non potevo aspettare lì ancora a lungo. Mi incamminai verso il lago, sempre scrutando intorno per cercarlo. Avevo quasi raggiunto l’uscita del parco quando lo individuai mentre stava guardando con ammirazione i giaggioli sul bordo dell’acqua. ‘Signora.’ Sorrise. ‘Mi perdoni, non sapevo se le avrebbe fatto piacere che restassi nei paraggi.’

‘Lei è molto discreto, signore.’

‘Temo che la mia discrezione, come lei tanto gentilmente la chiama, possa non essere saggia.’ Il suo volto divenne serio. ‘Mi perdoni per il fatto che sto a spiarla, ma mi auguro che lei non sia nei guai… Se c’è qualcosa che io posso fare, è per me solo un onore mettermi al suo servizio.’

Dette da un qualsiasi altro straniero, queste parole sarebbero sembrate senza dubbio insolenti, ma c’era una tale espressione di sincerità nei suoi occhi castani che non potevo fare a meno di esserne colpita. Come ero tentata di dirgli ciò che avevo in mente! ‘Non ho alcun problema, grazie, signore. Desidero semplicemente parlare con quella donna. Sicuramente si presenterà un’altra occasione.’ Lui non aveva fatto parola del domestico e io non volevo parlarne con lui. ‘Per favore, mi dica cosa desiderava rivelarmi prima che me ne andassi.’

Una goccia di pioggia cadde sulla mia mano. Intorno a me le persone che erano nel parco si tiravano i mantelli sulla testa, invitando i bambini ad affrettarsi verso la zona riparata della darsena. Sul lago i navigatori urlavano e remavano verso il molo. 

‘Sarebbe da incivili trattenerla qui un minuto di più.’ Infilò una mano nella tasca della sua cappa e ne tirò fuori un pacchetto incartato ed avvolto con un nastro. ‘Posso chiederle di prendere questo, signora? La aspetterò vicino ai tulipani alla Jenkins’s Nursery alla stessa ora la settimana prossima, nella speranza di poterci incontrare lì di nuovo per poter continuare questa conversazione.’ Aggrottò la fronte. ‘Mi consente di chiamare una carrozza per lei? Temo che questa pioggia le creerà dei problemi.’

‘Grazie, ma ne troverò una facilmente.’ Se Douglas si fosse appostato all’uscita del parco e avesse visto uno straniero fermare una carrozza per me, con quali maldicenze avrebbe istigato mio marito?

‘Molto bene.’ Mi porse una mano. ‘Grazie per avermi consentito di parlare con lei.’ Gli strinsi la mano. Andò via.

Trovai una carrozza quasi subito e per una volta il conducente non si lamentò quando sentì dove ero diretta. Quando udii lo schiocco della frusta sui cavalli sciolsi il nastro della confezione e ne rovesciai il contenuto nel mio grembo.

Vi trovai una poesia, scritta in modo ordinato ma da uno straniero, pochi versi che sembravano essere stati presi da una lettera, ed una ciocca di capelli.

 

‘… con la sua bambina giocavo.

Più bel giocattolo dolce natura non ha mai fatto;

Creatura seria, sottile, selvaggia, e tuttavia gentile,

Graziosa senza disegno, eppur imprevedibile,

Con occhi– oh, non parliamo dei suoi occhi! – che sembravano

Specchi gemelli del cielo italiano …

Quando la sua prima timidezza fu consumata,

Sedevamo lì, rotolando palle da biliardo sulla spianata …’

 

Passai al frammento di lettera, che sembrava la metà superiore strappata di un foglio di carta:

Non smetterò mai di dolermi della fine che ha fatto, nè di non averla portata via dal convento. Fu solo la sua felicità con le suore che mi impedì di farlo …’

Esaminai attentamente la scrittura ingiallita, ma mi era ignota. Non c’era nessuna data nè sulla lettera nè sulla poesia. La ciocca di capelli poggiava sul mio grembo, una tonalità, o forse due, più chiara della mia. Chi era colui che scriveva e che voleva che qualcuno fosse portato via dalle suore? Anch’io avevo trascorso i miei primi anni in un convento. Diversamente dalla bambina  (se di una bambina si trattava) a cui si faceva riferimento nella lettera, io ero stata portata via dalla zia. Lei mi aveva detto che mia madre era morta all’estero e mi aveva lasciato intendere che non avevo parenti viventi dal momento che anche mio padre era morto prima della mia nascita in Italia. 

Non riuscivo a vedere nulla nel pacchetto che sembrava potermi riguardare, a parte i riferimenti all’Italia e al convento. Amavo la poesia, ma la zia mi aveva sempre tenuta lontana da queste letture, dal momento che preferiva che io leggessi i salmi.

Chi potevano mai essere questi amici e la bambina nella poesia? Si trattava solo di personaggi fittizi, o erano realmente esistiti? Le domande ribollivano nella mia mente. Il conducente stava rallentando. Guardai fuori dalla finestra per assicurarmi che avevamo tranquillamente superato la nostra fila di villette, fuori dalla vista di Martin.