Capitolo tre

 

Abbandonai i miei pensieri riguardo a ciò che il contenuto del pacchetto poteva significare per la necessità di assumere un aspetto che rivelasse la mia serenità coniugale. Nonostante la mia rapidità nel ritornare a casa Douglas aveva chiaramente già avuto il tempo di comunicare a Martin i dettagli della mia passeggiata al parco. Per quindici minuti, mentre lo aiutavo ad allacciare i bottoni della sua camicia e a trovare uno dei fazzoletti che lui giurava che Emily aveva smarrito, dovetti subirmi la sua ramanzina sul fatto che mi ostinavo a non osservare le regole di un comportamento decoroso. Fui contenta quando arrivò la carrozza per portarci a cena.

Cenammo a Dorset Square dagli Osborne. Non ci conoscevamo che da sei mesi, ma erano amici dei signori Willis, vecchie conoscenze di mio marito. Martin aveva conosciuto Christopher Willis da ragazzo e cercava di far risorgere l’amicizia nella speranza di convincere Christopher ad investire nella sua impresa edilizia. Tutto ciò per l’innocente godimento dell’amicizia: ogni relazione doveva prendere l’avvio dai suoi vantaggi commerciali.

Caroline Osborne era una donna snella, con occhi caldi e un sorriso quasi fisso sul volto. Avevo imparato ad apprezzarla molto. Suo marito Joseph aveva occhi che sprizzavano intelligenza ed era divertente nel parlare. Era un uomo di legge, ma il suo cuore non sembrava giacere tra vecchi e polverosi atti e mandati. Ritenevo che avrebbe fatto una figura più brillante se avesse seguito le sue inclinazioni e si fosse guadagnato da vivere con la penna, scrivendo opuscoli e poesie. In ogni caso il maggiore degli Osborne aveva ereditato la casa di famiglia, il secondo fratello era entrato in chiesa, ereditando i mezzi finanziari della famiglia, e Joseph e il fratello più giovane, che non avevo ancora incontrato, dovevano cavarsela da soli economicamente. Ecco perchè erano a Londra, una città in espansione come un gigantesco tumore, che prometteva grandi ricchezze con le sue nuove fabbriche e la disponibilità di capitale.

Joseph mi prestava dei periodici. Ogni volta che lo incontravo ci divertivamo un mondo con gli Sketches by Boz. O meglio lo facevamo, finchè Martin decise che il signor Dickens era volgare. Non avrei potuto più leggerlo. Joseph poteva ancora prestarmi Ivanhoe di Sir Walter Scott perchè Sir Walter era un rispettabile scozzese, anche se la sua tolleranza di altre sette religiose era da biasimare. Martin non mi permetteva di acquistare libri in quanto sosteneva che spendere una sterlina per tre volumi era una follia. Forse Joseph mi avrebbe dato un altro romanzo da portare a casa questa sera. Sperai che lo facesse.

Eravamo seduti con i nostri bicchieri di Madeira e ammiravamo le nuove opere artistiche di Caroline. I suoi acquerelli sbalordivano un po’ se non si era esperti di forma e colore. Mio marito era seduto, con la bocca aperta nella sua posizione abituale. Riuscivo a sentire il suo respiro ansimante dal mio posto. Martin aveva sofferto a lungo con i polmoni.

Marion Willis stava parlando dell’incoronazione della nuova regina che avrebbe avuto luogo il mese successivo. Annuii quando lei fece delle ipotesi sul colore delle rose che la giovane sovrana avrebbe scelto per l’Abbazia. Passai al dipinto successivo nella cartella di Caroline.

 

‘Mi piacciono le rose gialle,’ disse Caroline a Marion con un sorriso indulgente che avrebbe potuto rivolgere a uno dei suoi figli piccoli.

Qualcuno bussò alla porta principale e sentimmo il domestico degli Osborne che andava ad aprire. Avevo ancora la testa abbassata su Kew Gardens, e mi chiedevo se la forma grigia sulla sinistra fosse un albero o un’ombra. O forse dal pennello di Caroline era gocciolata della pittura dove non avrebbe dovuto. Sentii risuonare la voce forte di un uomo.

Caroline si alzò, porgendomi l’album. ‘John, che piacere!’ Il suo volto con le fossette risplendeva mentre veniva fuori, affaccendata, dal salotto.

‘John?’ A Martin piaceva informarsi su ogni ospite, conoscere la loro professione e la loro condizione sociale, prima di presenziare a qualsiasi occasione sociale. Riuscivo a percepire il suo cervello mentre valutava se ricordava questo John, se poteva essere di un qualche interesse commerciale, se questo non poteva essere un incontro fortuito che avrebbe portato a nuove occasioni di lavoro, e quanta attenzione questo nuovo arrivato poteva meritare.

‘Il mio fratello più giovane. Non viene spesso in città.’ Il volto di Joseph era raggiante per l’arrivo del fratello. ‘Vi prego di scusare Caroline per non averlo menzionato quando ha fatto gli inviti. Non sappiamo mai esattamente quando la sua nave attracca.’

‘E' un marinaio?’ Stavo ancora ammirando Kew Gardens, chiedendomi se i puntini gialli nel verde fossero narcisi o tulipani, facendo semplice conversazione, non concentrandomi veramente su ciò che Joseph stava dicendo.

‘Un capitano. Della East India Company.’ Joseph emise un sospiro. ‘Non vi emozionate al pensiero del suo lavoro? Tra noi due è lui che ha fatto la carriera più stimolante.’

‘Spezie,’ dissi. ‘Brezze calde, lingue strane e meravigliose, templi, elefanti.’ Oh quanto vorrei essere un uomo e veleggiare attraverso gli oceani, lasciandomi alle spalle salotti cortesi e conversazioni insulse. Mi ero lasciata andare. Mio marito strinse gli occhi. Mi sarei dovuta sorbire un sermone al nostro ritorno a casa la sera. Passai al dipinto successivo: Syon House. O si trattava di York House? La rappresentazione di Caroline avrebbe potuto essere quella di una serie di residenze lungo il Tamigi. Lo sguardo di Martin era ancora su di me, freddo come la fredda nebbia di Edinburgo che la gente del luogo chiama haar. La mia esasperazione aumentò. Non potevo mai godermi una sola conversazione senza essere controllata da lui?

‘Vi prego di scusarmi.’ Mi alzai. ‘Ho lasciato la borsa nell’ingresso.’

‘Tilly te la porterà.’ Joseph si diresse verso la campanella del camino.

‘Nient’affatto.’ Sorrisi a Joseph. Non volevo la mia borsetta di perline. Volevo … cosa? Stendere le gambe, ammirare le pitture ad olio nell’ingresso degli Osborne, vedere se qualche piccolo Osborne gattonava sul pavimento della stanza accanto sotto gli occhi della bambinaia in servizio prima di andare a letto. Restare in quella stanza con mio marito per un minuto di più sarebbe stato soffocante.

La casa degli Osborne era uno dei nuovi edifici che sorgevano a Londra dall’inizio del secolo, simile nello stile alle nostre, ma più ampia e costruita meglio, con mura meno fragili. I costruttori avevano prestato più cura ed attenzione di quanta ne avessero prestata gli operai di Martin nel costruire la nostra casa e quelle della nostra strada. Tuttavia, nonostante la solida costruzione di mattoni e intonaco, riuscivo a sentire la voce del nuovo arrivato risuonare forte da una stanza sul retro. Trovai la mia borsa e ne tirai fuori un fazzoletto, qualcosa da mostrare a Martin se mi avesse chiesto che bisogno avevo di lasciare il salotto. Una porta si aprì sul retro della casa. Una cameriera uscì portando una ciotola d’acqua ed un asciugamano. Guardai attentamente le pitture ad olio sulla parete, dandole la schiena, fingendomi concentrata sullo zio di Joseph Osborne, il giudice. Quando udii i suoi passi sui gradini che portavano al seminterrato attraversai l’ingresso e mi diressi verso la stanza che lei aveva appena lasciato. Non dico che mi misi a camminare in punta di piedi, ma è vero che i miei passi non erano pesanti sui tappeti in seta decorati, ognuno dei quali si dice fosse costato a Joseph una piccola fortuna.

La porta non era del tutto chiusa. Sbirciai all’interno. Davanti a me c’era la schiena di un uomo, lunga, forte, del colore di una giovane quercia. E liscia. I suoi capelli castani erano tagliati corti sulla nuca; doveva essere passato dal barbiere prima di venire a casa. I suoi riccioli erano lucenti. Le mie dita desideravano accarezzarli, e desideravano accarezzare anche il suo collo e la sua spina dorsale che appariva come una catena lungo la schiena. Credo che lo fissai per almeno venti secondi. Quest’uomo era un bell’animale, non un damerino da salotto. Era un uomo come non ne avevo mai visti prima. Il mio cuore ebbe un rapido sussulto. Allo stesso tempo mi sentii rassicurata; era come se qualcosa che aspettavo da tempo era finalmente davanti a me.

Non avevo notato che lui era davanti ad uno specchio sul camino finchè non si girò verso di me con un sorriso sul volto. Era rimasto a guardarmi mentre lo osservavo. Le statue nel parco avrebbero potuto muoversi e parlare più di quanto potessi fare io in quel momento.

‘Mi scusi.’ Afferrò una camicia dalla sedia e se la portò al petto. Prima non avevo notato il suo busto sottile e muscoloso. Quest’ uomo non aveva evitato la fatica fisica. Immaginai che la sua carriera di marinaio dovesse comportare degli sforzi.

Annuii. ‘Mi scusi anche lei, signore.’ Non mostrò alcun segno di imbarazzo; notai in lui solo divertimento. A quel punto avrei dovuto allontanarmi, ma non lo feci. Il mio sguardo risalì dal torace al collo e al volto. La barba aveva iniziato a riguadagnare favore in alcune zone, e lui era un marinaio, ma il barbiere gli aveva rasato il mento. Fortunatamente mi fu possibile ammirare la linea della mascella, ampia e forte, ma non abbastanza rigida da conferire severità al suo proprietario. Le labbra ben formate, nè troppo spesse, nè troppo sottili, si disponevano, immaginavo, in una naturale espressione di allegria. I suoi occhi erano di color nocciola o verdi, non potevo esserne sicura, la parte bianca era molto chiara. Rughe appena accennate rivelavano l’abitudine tipica dei marinai di serrare gli occhi contro il sole. Mentre restavamo in silenzio le sue palpebre si abbassavano sugli occhi molto lentamente, come se stesse pensando qualcosa che non voleva rendere noto. Sapevo che non avrei dovuto continuare a guardarlo; era un atteggiamento spudorato e scortese il mio. E infatti, il sorriso rimase sul suo viso, ora un po’ beffardo. Sembrava che tutta l’aria nella stanza fosse stata risucchiata, non riuscivo a prendere fiato e strinsi il fazzoletto che avevo in mano. Pensai che stesse per farmi una domanda, ma quando aprì le labbra udii la voce di Caroline che scendeva le scale, probabilmente portando abiti puliti per rendere John Osborne presentabile in società.

Mi voltai, ripercorrendo l’ingresso e il salotto prima che potesse vedermi mentre osservavo il cognato come Miranda guardava Ferdinando nell’opera La Tempesta.

‘Hai le guance arrossate, amore mio.’ Gli occhi di Martin si spostarono dal mio viso al fazzoletto che tenevo ancora stretto.

‘Il Madeira.’ Storsi le labbra a formare un sorriso. ‘Mi scalda.’

Martin si rivolse a Joseph. ‘Pensi che la tua cameriera potrebbe portare della limonata a mia moglie?’

‘Grazie per le tue premure, ma non è necessario,’ dissi.

‘Io la penso diversamente.’ E fece cenno a Joseph di suonare il campanello. Lasciai che Tilly mi versasse un bicchiere di limonata ma continuai a sorseggiare il mio Madeira quando Martin non guardava.

‘Dov’è la tua borsa?’ chiese Martin.

‘Oh.’ Sollevai il fazzoletto. ‘Dovevo solo prendere questo.’

Caroline entrò. ‘Tuo fratello è tornato ad essere un gentiluomo, Joseph. Gli abbiamo tolto i suoi abiti da furfante e gliene abbiamo dati alcuni dei tuoi. Ora può unirsi a noi a tavola.’

Suo marito si mise a ridere. ‘Dubito che sia possibile rendere mio fratello meno canaglia di quello che è. Posso condurre dentro i nostri invitati?’

Prese il braccio di Marion, lasciando che suo marito mi conducesse in sala da pranzo. Martin era il compagno silenzioso di Caroline. Non gli piaceva essere separato da me; come poteva essere sicuro, se non accanto a me, che i miei vicini non mi riempissero la testa di argomenti a me non adatti? Gli Osborne avevano l’abitudine di alternare donne e uomini intorno alla tavola, ma l’arrivo di un ospite maschile inatteso fece sì che Joseph e Christopher sedessero vicini, non essendoci una quarta donna a separarli.

‘Non sei una bella compagnia, mio caro amico, quindi mi aspetto almeno che tu mi intrattenga con una conversazione interessante,’ disse Joseph a Christopher, che sembrava alquanto allarmato. Martin era certamente più sollevato per il fatto che anche Christopher sedeva accanto a me. Lui avrebbe parlato con me di cose idonee. Mi sentii a disagio quando scoprii che John Osborne prendeva posto accanto a me dall’altra parte, scusandosi per il suo ritardo con un semplice sorriso e brevi argomentazioni. Gli Osborne non avevano abbandonato la vecchia abitudine di lasciare che gli ospiti si servissero tra di loro invece di utilizzare domestici per distribuire i piatti. Pertanto, dopo che ebbe servito prima di ogni altro Marion, la signora più anziana della tavola, John Osborne mi porse un piatto da portata.

‘Le consiglio il cappone, mia cognata si ritiene la migliore esperta di pollame a Londra.’

‘Vergognati, non è assolutamente vero quello che dici.’ Caroline diede un leggero colpetto al suo braccio e lui fece finta di ritrarsi.

Riempì il mio piatto finchè non recuperai la calma e lo ringraziai. Mentre portava la forchetta con il cappone alla bocca i suoi occhi erano fissi su di me.

‘Capitano.’ Caroline gli riempì nuovamente il bicchiere. ‘Come ci si sente a sedere tra buoni cristiani e a mangiare come un gentiluomo?’

Lui le sorrise. ‘Non sono certo abituato a queste raffinatezze.’ I suoi occhi si posarono sulle brocche di cristallo per il chiaretto di Bordeaux, i piatti in ceramica di Meissen, la biancheria, i vassoi d’argento.

‘Abituato a mangiare con i selvaggi, penso. Immagino che mangino con le dita, a gambe incrociate sul pavimento, vero?’

‘Alcuni di loro. Ma non è un fatto negativo come lei sembra implicare.’ Mitigò il dolce rimprovero con un sorriso. ‘Ho gustato molti buoni pasti stando seduto sul pavimento, mangiando con le dita.’ Bevve un sorso di vino.

‘Cosa mangiano?’ dissi infine, quasi squittendo, con un tono di voce molto diverso da quello tono abituale.

‘Pesce speziato e pollo in molte zone. Non è facile generalizzare: quelle che noi chiamiamo le Indie Orientali costituiscono un’ampia parte del globo terrestre. Il riso è però comune in molti luoghi. E c’è una quasi indescrivibile abbondanza di frutta, e l’ananas, la limetta e il melograno ne fanno parte.’

‘Immagino che questi alimenti siano del tutto inadatti alla costituzione europea. Portate del cibo più idoneo con voi da casa?’ chiese Martin. Per idoneo sapevo che intendeva cibo inglese: manzo, pudding, torte. Che sciocco! Immaginava che il pudding a base di grasso di rognone durasse a lungo su una nave senza marcire?

‘Alcune provviste, sì. Ma siamo costretti a fare rifornimenti dovunque attracchiamo. E naturalmente portiamo polli e mucche con noi a bordo per le uova e il latte.’

Tilly stava sostituendo i piatti usati per i petti di piccione con quelli per le prelibatezze da forno. Gli occhi di mio marito indugiavano sui dolci; li aveva sempre graditi. John mi tagliò una fetta di torta ricoperta di pezzi di arancia tagliati finemente.

‘Me ne sta offrendo una fetta molto generosa, capitano Osborne,’ soggiunsi. Mi piacque pronunciare il suo nome. Quanto di più mi sarebbe piaciuto chiamarlo con il nome di battesimo, dissi a me stessa in silenzio.

‘Immagino vi piaccia il gusto dell’arancia.’ Mise la fetta sul mio piatto.

‘Mi dica come fa a saperlo.’ Le mie guance diventarono rosse per l’irritazione. Pensava di conoscere così bene i miei gusti perchè mi aveva scoperta mentre lo fissavo?

‘Mia moglie ama vari tipi di frutta,’ intervenne mio marito. ‘Non direi che preferisce le arance.’

Trovai quest’affermazione più fastidiosa della presunzione di John Osborne.

‘Invece adoro il sapore degli agrumi.’ Affondai la forchetta nella torta. ‘Mi capita spesso di inviare la nostra cameriera dal venditore ambulante di arance. E una volta l’ho mandata fino a Covent Garden perchè desideravo la frutta ardentemente.’

Marion scoppiò a ridere. ‘Giustissimo anche questo, mia cara. A cosa servono i domestici, se non a soddisfare i nostri capricci?’

Martin mi lanciò uno sguardo velenoso; avevo parlato troppo. Avevo avuto questo desiderio di arance durante la mia seconda gravidanza, che si era interrotta dopo tre mesi e che era seguita ad un simile evento infelice dell’anno precedente. A volte immaginavo che lui pensasse che avevo perso questi bambini per fargli dispetto. Quanto a me, temevo che i bambini mai nati percepissero che io non nutrivo amore per il loro padre e li eliminavo perché non li accettavo. Avrei voluto avere figli: una ragazza a cui insegnare il pianoforte e il canto, un ragazzo a cui piacesse andare in barca a vela a Regent’s Park. Il dolce sembrava aver perso il suo sapore. Misi giù la forchetta.

John Osborne mi stava osservando. ‘Un po’ di questo Stilton, magari? O di Charlotte di mele?’

‘No, grazie.’ Sorseggiai il chiaretto di Bordeaux.

‘Non ti senti bene, mia cara?’ Martin si allungò sulla tavola per tastare il mio polso, mandando per aria una brocca di panna.

‘Sto bene, grazie.’ Tilly si precipitò con un panno per rimuovere la panna rovesciata.

‘Hai ancora le guance molto rosse.’ Martin si alzò. ‘Perdonateci,’ disse a Caroline. ‘Temo che Alice sia raffreddata.’

‘Sto bene, davvero.’ Cercai di infondere nelle parole tutta la forza che potevo. ‘Per favore siediti di nuovo, Martin.’

Ma lui stava già marciando intorno alla tavola, respirando affannosamente. ‘So che odi sottrarti a un impegno sociale, ma sei sciocca a correre rischi per la tua salute. Signori, vi prego di scusarci.’

E mandò Tilly a prendere il mio scialle di cashmere ed insistette nel volermelo avvolgere attorno, nonostante fosse una mite serata di primavera ed io temessi di soffocare. Non fui così ingenua da protestare mentre venivo spinta fuori dalla casa. Joseph Osborne insistette per farci prendere la sua carrozza ed in pochi minuti i suoi cavalli di colore grigio chiaro ci portarono a casa attraverso il crepuscolo, mentre Martin mi rimproverava perchè non avevo ascoltato i suoi consigli su cosa dovevo mangiare e bere. Io ascoltavo e annuivo, ma i miei pensieri erano altrove. Avrei incontrato John Osborne qualche altra volta? Il solo fatto di immaginare il nostro prossimo incontro fece sì che le mie labbra si sentissero scoppiare dal desiderio di strofinarsi contro le sue.

Le mie fantasie quella sera tendevano già verso il peccaminoso. E la mia caduta verso il basso non poteva essere attribuita alla mancanza di una rigorosa educazione protestante. Mia zia aveva badato a me attentamente dopo avermi presa dal convento. Dopo il nostro matrimonio, Martin, un parente della zia, aveva assunto il ruolo di tutore morale. Come era possibile allora che tali fantasie si impossessassero di me? Forse il mio lassismo era scritto nei miei geni? La zia aveva accennato alla presenza di una certa immoralità nella mia famiglia, ma si era rifiutata di fornirmi ulteriori dettagli. E tuttavia quel desiderio di John Osborne era così dolce che non potevo credere fosse opera del diavolo.

Martin smise di lamentarsi dei mendicanti che incontravamo per le strade ed eruttò. ‘Quello Stilton deve essere costato alla moglie di Osborne un bel po’ di quattrini.’

‘Sembra proprio che ti sia piaciuto.’

Fu solo più tardi quella notte, quando Martin era sdraiato sopra di me ed emetteva grugniti muovendosi a scatti senza alcun riguardo – preoccupandosi davvero molto per la mia salute! – che ricordai di non aver preso la mia borsetta di perline dall’ingresso degli Osborne nell’andarcene via in tutta fretta.