Capitolo cinque

 

Indossava un mantello blu questa volta, solo così si spiegava come fosse riuscita a passare attraverso il gruppo di operai senza provocare una nuova rivolta. Chiusi la porta, anche se le mie mani tremavano così tanto che a malapena riuscivo a farle funzionare. Il mio cappello e lo scialle erano su una sedia nell’ingresso. Li afferrai e spinsi il borsellino nella tasca. Dovevo dire ad Emily che stavo uscendo? Non riuscivo a pensare ad una scusa, non a quell’ora del giorno, quando il parco stava per chiudere e la cena sarebbe stata pronta tra meno di un’ora. John Osborne stava ancora parlando con mio marito fuori. Desideravo ardentemente restare con lui, ma non potevo perdere l’occasione di inseguire la mia inseguitrice.

Guardai attraverso uno spiraglio della porta. Nessun segno della donna. A poco a poco la aprii lentamente fin quando non ebbi una piena visione della strada. Vidi la sua schiena muoversi velocemente verso sud in direzione di City Road. 

La seguii.

Camminava, il canale alla sua destra, a testa in giù, come se avesse una meta, attraversando le strade con coraggio, senza dare che il minimo sguardo alle carrozze in arrivo. Io ero la più alta tra noi due, ed il mio passo era più lungo del suo, ma dovevo mettercela tutta per non perderla di vista mentre procedeva con andatura decisa verso la città. Superò lo stadio e il Diorama e poi la statua del Duca di Kent, dirigendosi verso la distesa bianca di Portland Place. Avevamo percorso almeno un chilometro e mezzo ed un sospetto cominciò ad opprimere la mia mente. Conoscevo questo percorso. Come avevo previsto la donna girò a destra in New Cavendish Street, camminando a grandi passi finchè non raggiunse Wimpole Street e la casa di mia zia.

Senza dubbio queste case alte e dignitose del secolo scorso costituivano una zona residenziale più bella di qualunque cosa mio marito potesse costruire nei campi e nei lotti di terreno al nord. Nessun fosso pieno di pezzi di ferro vecchio, mattoni rotti e vecchi stracci rovinava l’aspetto di Wimpole Street. Nessun cadavere gonfio di cani e ratti attirava mosche che ronzavano sulla spazzatura. Forse la donna era affascinata dal contrasto in quanto fissava la facciata ricoperta di stucco bianco come se stesse calcolando la ricchezza dei suoi abitanti. Mia zia era stata senza dubbio fortunata nel fare amicizia con il proprietario di questa casa grazie alla chiesa presbiteriana che frequentava. Le camere in affitto di mia zia erano splendide grazie ai loro stucchi ed al fatto che erano esposte su due lati. Anche lei apprezzava il suo bellissimo alloggio, considerando tutto quello che mi aveva insegnato sulle vanità del mondo e sul male causato dalle ricchezze. 

Mi fermai alla fine di New Cavendish Street e guardai la donna camminare fino alla porta d’ingresso. Avrebbe suonato il campanello? Nutrivo qualche dubbio. Qualcosa nel suo atteggiamento mi faceva pensare che questa visita era quasi una ricognizione.

Si girò, come se sospettasse che qualcuno la stava osservando. Mi accucciai vicino alle ringhiere della casa che erano accanto a me, cercando di ignorare la compressione esercitata sul mio petto dal corsetto che indossavo. Il mio nascondiglio era del tutto insoddisfacente; mi avrebbe vista di sicuro se una carrozza non si fosse fermata sull’altro lato della strada per far scendere i passeggeri, coprendo la sua visuale. Colsi l’occasione per tornare indietro lungo New Cavendish Street, trovai una casa con i gradini al piano seminterrato e scesi giù.

Giusto in tempo. Vidi l’orlo delle sue gonne fruscianti sul marciapiede sopra di me. Contai fino a venti. Non appena arrivai a diciannove, un rumore alle mie spalle mi fece sussultare il cuore in petto. La cuoca agitava un coltello da cucina verso di me, senza dubbio credendo che io fossi una vagabonda. O qualcosa di peggio. 

Cercai di fissarla con uno sguardo sfrontato e rispettabile al tempo stesso: un compito non facile. Quando però sentii le imprecazioni che mi lanciò, pensai che fosse più saggio da parte mia ritornare in strada, pregando che la donna vestita di scuro fosse abbastanza lontana da non sentirmi venir fuori. Stava appena svoltando di nuovo in Portland Place, andando a destra, verso sud, correndo come se fosse in ritardo ad un appuntamento. Tutto quello che potevo fare prima che lei svanisse di nuovo era raggiungere l’incrocio, entrando in una strada che non conoscevo. 

Ormai ero esausta. Se solo avessi avuto addosso qualcosa di meno stretto dell’abito di una rispettabile moglie londinese. Non potevo stendere le gambe per fare delle lunghe falcate. Solo la determinazione mi spingeva ad andare avanti. 

Persi le sue tracce in un labirinto di strade intorno al Middlesex Hospital dove una donna ubriaca bloccò il mio percorso, facendomi perdere alcuni secondi preziosi per prendere monete dalla borsa e convincerla ad andar via. Pensavo che la mia preda fosse smarrita, ma la scorsi da lontano e aumentai di nuovo il passo.

Il crepuscolo era ormai quasi un ricordo. Mi resi conto dell’enorme follia che stavo compiendo. Camminavo da sola lungo strade che non conoscevo? Mi ero allontanata sempre più da casa per seguire una donna che, nel migliore dei casi, non poteva portarmi niente di buono, e nel peggiore poteva aver intenzione di farmi seriamente del male. Eppure continuavo a seguirla, attraversando incroci e dirigendomi, pensavo, verso sud-est. 

Un uomo uscì da un pub e sollevò il cappello nel vedermi. ‘Tempo per un brandy, bellezza mia?’ 

Mormorai qualcosa di indistinto, deviando verso i bassifondi per evitarlo. Agli angoli donne ridevano e fischiavano, coperte a stento da stracci sgargianti che fungevano da abiti. Gli uomini avanzavano fieri e lanciavano sguardi lascivi alle femmine, la maggior parte delle quali non sembrava avere più di tredici o quattordici anni, nonostante le labbra e le guance dipinte. Rabbrividii, immaginando ciò che il lavoro doveva richiedere a queste ragazze ogni sera.

Uscimmo su una strada più ampia, che pensavo dovesse essere l’estremità meridionale della Tottenham Court Road. Martin mi aveva una volta portata a cena a Bedford Square, che si trovava appunto ad est. La donna ovviamente non aveva alcuna intenzione di dirigersi verso questa zona rispettabile; attraversò e scomparve in un vicolo, il cui nome resterà sempre a me ignoto. Vidi la guglia di una chiesa sopra di noi e cercai di imprimerla nella mia mente come possibile punto di riferimento. Era davvero ora di voltarmi e tornare sui miei passi come meglio potevo. E invece continuavo a camminare, ancora sperando di recuperare l’orientamento, perchè ormai mi ero persa.

Tutti i miei sensi, soprattutto l’olfatto, sembravano urlarmi che ero pazza. Mi sentivo sopraffatta da odori provenienti sia da esseri umani che da animali. Nessuna lampada a gas riusciva qui a penetrare attraverso il buio. I miei occhi si sforzavano di vedere dove mi trovavo. Tirai fuori il fazzoletto dalla tasca per metterlo sul naso e sulla bocca. Fu un errore. Questo movimento fece cadere la mia borsetta a terra. Una mano piccola, sporca, e con piaghe infette, vi piombò sopra prima che io avessi il tempo di reagire. Urlai verso lo scugnizzo, minacciandolo di chiamare la polizia, ma fu tutto inutile. Scomparve nel buio.