Capitolo sei

 

La zia mi aveva a lungo messa in guardia dai pericoli che correvano coloro che seguivano la via del peccato. Per la maggior parte i suoi avvertimenti erano inerenti alla vita dopo la morte. Se io fossi stata destinata ad essere dannata, mi disse, e non fossi appartenuta al numero degli Eletti, mi sarei ritrovata all’Inferno. Una volta dannata, nessuna delle mie azioni sarebbe mai servita a salvarmi. Sarei andata incontro a sofferenze senza fine.

‘In tal caso, non c’è alcun vantaggio neanche nel cercare di essere buoni,’ avevo risposto.

La sua mano colpì le mie dita. ‘Esiste un inferno in vita per coloro che peccano, un luogo di sporcizia e degrado. Molte donne vi cadono a causa della loro ostinazione.’

Non avevo capito cosa volesse dire. Ora lo capivo.

Se la zia avesse visto il vicolo in cui mi trovavo avrebbe contratto le sue labbra sottili, piegato le braccia e mormorato un “Senza dubbio”. Perchè questo era l’inferno sulla terra. Alcune figure emersero dalle porte e avanzarono verso di me. 

‘Qualche spicciolo per un po’ di cibo, signorina?’

‘Hai un bacio per un poveretto, vero?’

Due uomini, procedendo con andatura strascicata, si misero davanti a me.

‘Oh, questo sì che è bello, è bello davvero.’ Uno di loro mise una mano sul mio scialle.

‘Sta’ lontano da me.’ Il suo alito puzzava di alcol e si avvertiva il cattivo odore che emanavano i suoi denti anneriti.

Scoppiò in una fragorosa risata. ‘Sto cercando qualcosa di simile per la mia fidanzata.’ Urlò: ‘Hey, Betty, vieni a dare un’occhiata qui.’

Betty, una donna vestita con pochi indumenti, tutti laceri e sporchi, venne, barcollando, verso di noi. Riuscivo chiaramente a distinguere i seni sotto il corpetto del suo vestito. Stringeva a sè una bottiglia come se fosse un neonato. Quando mi vide scoppiò a ridere. ‘Quando mai questo Rookery ha visto cose simili a questa piccola signora?’

Avanzò e accarezzò il mio scialle, lo stesso scialle di cashmere che avevo indossato dagli Osborne’. ‘Bello.’

‘Prendilo,’ disse uno degli uomini.

Strinsi più che potevo le dita intorno al mio scialle. La donna tirò. Io liberai un piede e le sferrai un calcio negli stinchi. Dio sa come mi balenò quest’idea in testa. ‘Toglimi le mani di dosso, strega.’ Fu un errore opporre resistenza, me ne resi conto mentre gli uomini avanzavano, gli sguardi lascivi sui loro volti sostituiti da occhiate torve. Le loro braccia maleodoranti mi tennero ferma mentre la donna mi strappava lo scialle, avvolgendoselo intorno alle spalle e intonando canzoncine come se si stesse rivolgendo ad un cagnolino.

‘Cos’altro ha?’ 

‘Questo.’ Il secondo uomo staccò la catena d’argento con la croce dal mio collo. Me l’aveva regalata Martin il giorno del nostro matrimonio. Non la amavo in modo particolare ma Martin avrebbe notato che non l’avevo più e ne sarebbe seguita una punizione. Pregai che risparmiassero i miei anelli e invece sollevarono la mia mano e cominciarono a strapparmeli fino a farmi urlare dal dolore.

‘Me li tolgo io per darveli.’ La fede nuziale, da quando Martin me l’aveva infilata, non aveva mai lasciato il mio dito; ci vollero pochi secondi per sfilarla, durante i quali mi lanciarono imprecazioni e la donna sferrò calci alle mie gambe. 

‘Adesso lasciatemi andare.’ Sollevai le gonne e cercai di dirigermi verso la strada, ma non fui abbastanza rapida.

‘Non così in fretta, tesoro.’ Gli uomini si precipitarono dietro di me e afferrarono le mie braccia. ‘Puoi stare un po’ con noi.’

‘Quando mio marito saprà come mi avete maltrattato vi condurrà davanti al giudice e avrete la punizione che meritate.’

Risero. ‘Tuo marito non sa dove sei, vero, signora?’

E naturalmente non lo sapeva. L’ultima volta che mi aveva vista era stato quando aveva urlato agli operai a Ludlow Street di tornare al lavoro. Ora era sicuramente tornato a casa, guardava l’orologio e inveiva contro Emily, dicendole che avrebbe dovuto sapere dov’era la sua padrona e chiedendole perchè facesse la finta tonta con lui. Emily aveva sicuramente inventato ogni possibile scusa per me ed era corsa verso la porta d’ingresso per sbirciare fuori in strada nell’attesa che io arrivassi.

Martin nutriva molti dubbi su di me, e alcuni erano ben fondati, ma mai e poi mai avrebbe potuto immaginare che io mi fossi incamminata in un posto come questo. Il pensiero della faccia che avrebbe fatto quando avrebbe scoperto dove ero andata quasi mi faceva ridere, nonostante le mie mani fossero appiccicose per il sudore.

I miei compagni dovevano aver notato il sorriso che sfiorava le mie labbra. ‘Divertente, vero?’ La megera mi diede una spinta che mi fece quasi volare contro il muro.

‘Sta’ ferma ora.’ Il primo uomo le disse, richiamandola in tono arrabbiato. ‘Non vogliamo mica che il nostro tesoro venga danneggiato, no?’

‘Stai pensando quello che penso io?’ Il secondo uomo gli fece un cenno d’intesa. 

‘Portiamola dentro.’

Mi spinsero nell’ombra. L’odore diventò così forte che il mio stomaco iniziò a protestare. Speravo di non perdere ulteriore dignità vomitando. Il crepuscolo stava ormai lasciando il posto alla notte. Ci fermammo fuori ad un tugurio su cui vi era un cartello che esaltava le virtù di un particolare tipo di sapone – l’ironia non mi sfuggì – e i miei rapitori indicarono la porta d’ingresso, buia e stretta. ‘Suo marito dovrà pagare un bel po’ di ghinee per riaverla.’ Il primo mi spinse verso la porta.

Sapevo che le mie possibilità di fuga sarebbero ulteriormente diminuite una volta entrata nel tugurio. Lottai, ma le loro mani erano strette intorno alle mie braccia. Sembrava esserci una sola possibilità. Chinai la testa e detti un morso alla camicia unta di uno dei miei rapitori, ringraziando Dio per il fatto che non indossava la giacca. Lui aveva il sapore del sudore stantio e di grasso animale, ma cercai di non pensarci. Urlò dal dolore e mi lasciò andare. A questo punto mi voltai bruscamente per sottoporre il suo amico allo stesso trattamento. Questi aveva però previsto il morso e sferrò un pugno in alto verso la mia bocca. Mi chinai, sollevando il ginocchio destro, riuscendo miracolosamente a non cadere ma strappandomi l’abito, e lo colpii in una zona del corpo che gli avrebbe sicuramente causato dolore. La zia si era sempre lamentata del mio temperamento; questa sera si era rivelato il mio miglior amico. Come posseduta da un derviscio, mi voltai di scatto su Betty e la spinsi verso la porta. Ormai la prima delle mie vittime si stava riprendendo dalla sorpresa e cercava di afferrarmi. Io schivai la sua presa.

I miei nemici erano tra me e la strada principale, quindi non avevo altra scelta che addentrarmi nell’inferno, mantenendo le gonne strappate sopra la caviglia. Almeno, però, la massa di persone che affollava ogni centimetro di quel viale mi nascondeva alla vista di coloro che volevano seguirmi. Svoltai oltre un angolo e poi oltre un altro, sperando di raggiungere la strada principale, che doveva trovarsi in quella direzione, prima che il gruppo dei ladri potesse intuire dove fossi andata. 

Mi imbattei in un muro di mattoni. Le donne uscivano dalle porte, tenendo i bambini avvolti in scialli stracciati. Una bimbetta sgambettò verso di me nell’oscurità, le mani tese in quello che sembrava un moto di meraviglia alla vista del mio vestito color lavanda, stracciato e macchiato dagli eventi degli ultimi dieci minuti ma ancora più fresco e più luminoso di qualsiasi altro indumento che si potesse scorgere in quel posto. La scansai e tornai di corsa nella strada da cui ero venuta, arrivando all’incrocio proprio mentre Betty e i due uomini si stavano avvicinando.