Capitolo sette
Ero in trappola. I miei occhi cercarono una via di fuga ma non la trovarono. Vidi un bastone nella grondaia e lo afferrai, benchè non si trattasse di una vera e propria arma.
‘Qui dentro.’ La voce imperiosa dietro di me era quella di una donna. Non esitai un secondo ma lasciai cadere l’inutile bastone e mi lanciai dentro quella porta tenuta aperta per me. La donna chiuse il chiavistello e portò un dito alle labbra. ‘Venga da questa parte.’ Prese una candela da un tavolo accanto alla porta e mi condusse dentro. La luce tremolante mi consentì di scorgere pareti umide e mobili vecchi. Avevamo percorso solo pochi metri quando si fermò e mi porse la candela prima di chinarsi a tirare un anello sul pavimento di pietra. Non ebbi il tempo di osservare bene la mia salvatrice - mi rendevo solo conto che sembrava molto più pulita di tutto ciò che la circondava - prima che riafferrasse la candela e mi invitasse a scendere i gradini che mi aveva mostrato. ‘Io la seguirò, ma si affretti, il chiavistello sulla porta non è sicuro.’
I gradini erano unti e ripidi e non c’era nessun corrimano. Scesi appoggiandomi con una mano al muro di mattoni per non perdere l’equilibrio. La candela gettava ombre davanti a noi. Immaginai di vedere forme che scomparivano in basso e rabbrividii. In ogni caso dovunque stessimo andando era meglio che cadere nelle mani di coloro che avevo fatto infuriare e che ancora mi inseguivano.
‘Riprenda la candela e non la faccia spegnere,’ ammonì la donna. ‘Sto per abbassare il portello.’
Misi la mano intorno alla fiamma per proteggerla dalla corrente d’aria generata da quest’apertura. Dio mio fa’ in modo che non debba rimanere quaggiù a lungo. Sentivo intorno ai miei piedi creature che si muovevano freneticamente. Avevo sempre avuto paura dei topi. La donna chiuse con forza il portello della botola. La candela a malapena sembrava sfiorare l’oscurità. ‘E se ci stanno seguendo?’ Mi guardai intorno con circospezione, agitata.
‘Non hanno luce.’ La donna sembrava impaziente. ‘A meno che non trovino una candela in casa e ci vengano dietro.’ Da sopra giungeva il rumore del legno che si spezzava. ‘Sono dentro,’ mormorò. ‘Devono aver rotto il chiavistello. Faccia presto.’
I miei piedi scivolarono sulle scale di pietra unte. Alzai in aria la mia mano libera e trovai il muro umido che mi sostenne finchè non raggiunsi l’ultimo gradino. ‘Da che parte?’
‘A destra, finchè non vedrà un barile alla sua sinistra. C’è una porta proprio lì dietro.’ L’umidità colava dalle mura e qualcosa scappò precipitosamente lungo il sottopassaggio lontano da noi. Sotto di noi il fragore lontano di quello che sembrava un fiume.
‘Dove siamo?’
‘Sotto la strada.’ Non sembrava aver voglia di parlare e quindi continuai a camminare, cercando di fare in fretta, preoccupata, però, di non inciampare sulle pietre irregolari. Vedevo code scomparire nelle fessure tra i mattoni. L’acqua che fluiva sotto di noi risuonava più forte e l’aria era impregnata del cattivo odore di muffa e di sporcizia. Raggiungemmo il barile. La luce della candela rivelò una porta immediatamente al di là di esso. La mia compagna appoggiò il portacandela a terra e tirò una chiave fuori dalla tasca. ‘Dritto finchè non scorgerà il leone.’
‘Il leone?’
‘Vedrà.’ Accennò un sorriso, e apparve più giovane nel chiarore della candela. Vidi che era ancora una ragazzina, aveva forse diciassette o diciotto anni, era più giovane di me, e aveva occhi verdi e capelli color rame.
Quando i miei occhi si furono abituati al buio riuscii a distinguere i contorni degli oggetti che giacevano nell’ombra ai nostri lati. La candela illuminò delle inferriate su cui erano appesi abiti, pantaloncini, scatole di cappelli, scarpe. Di fronte a noi un leone aprì le sue fauci per ruggire. Il mio cuore battè forte. Mi fermai, dicendo a me stessa che i miei occhi mi stavano ingannando.
‘Un buon costume, no?’ La donna sembrò divertita alla mia reazione.
‘Abbastanza buono in questo buio.’ Speravo di apparire calma nel rispondere. E ora riuscivo a vedere come il costume di pelliccia era accasciato in avanti su una sedia, dando l’impressione di una bestia accovacciata, seppur malconcia.
‘Nella sua bocca c’è un’altra chiave.’ Inserì una mano grande ma ben proporzionata tra i suoi denti scoperti. ‘Eccola. Apra il guardaroba.’ Sollevò la candela per indicarmi a cosa si riferiva.
Si trattava di un gioco? Stava per rinchiudermi nell’armadio? La mia incertezza doveva trasparire sul mio volto perchè si mise a ridere. ‘Non sia così paurosa, dia un’occhiata all’interno.’ Per la prima volta feci caso al suo accento. Scozzese? Non ne ero sicura.
La porta si aprì e mi mostrò un grigio nulla. La donna si avvicinò un po’ di più con la candela. ‘Vede il gancio sul muro posteriore? Lo alzi e spinga contro il pannello.’
Feci ciò che diceva e scoprii che la parte posteriore dell’armadio era in realtà una seconda porta. Non appena si aprì vidi dietro di essa una strana stanzetta contenente un tavolino da toilette, una sedia e uno stand di abiti.
‘Entri.’
Salii nell’armadio e attraversai la sua seconda porta, saltando giù nella stanzetta. La donna chiuse la porta dietro di noi. ‘Geniale.’
‘Ha la sua utilità.’ Si concesse un sorriso più ampio. ‘A proposito, mi chiamo Molly Gough.’ Era alta, aveva spalle larghe e una carnagione chiara e delicata.
‘Alice Clarke.’
‘Fa le sue passeggiate serali in zone piuttosto strane della città, Alice Clarke.’
Rabbrividii. ‘Come posso ringraziarla per avermi aiutata ad uscire da quel posto?’
‘Non c’è tempo per i ringraziamenti.’ Si diresse verso la porta. ‘La nostra prossima sfida è uscire dal teatro senza essere notate.’
‘Teatro?’
‘Il Diplomats Theatre.’
Tutto acquistava senso, ora, il camerino, lo specchio, i costumi. Non ero mai stata in un teatro. La zia li considerava luoghi più maledetti del male stesso, adatti solo per i dannati. Molly rimase ad ascoltare per qualche secondo, poi mi fece cenno di seguirla attraverso la porta che conduceva ad un corridoio con altre due o tre porte che conducevano fuori e una scala alla fine. La prima porta era chiusa, la seconda porta era aperta di una decina di centimetri. Nel passarvi rapidamente davanti, il mio sguardo cadde su due donne: la prima era nuda, a parte il corsetto e le calze, ed era in piedi su una sedia, la seconda era in ginocchio davanti a lei. Rallentai, non credendo a quello che vedevo: la seconda donna era intenta ad accorciare i peli intorno al pube dell’altra. Mi fermai e mi misi a guardare. La mia compagna mi afferrò per il braccio e mi trascinò avanti.
‘In questo modo mi ecciti, Kate,’ sentii che diceva la ragazza in piedi.
‘Sta’ ferma, allora.’
‘Solo quando metti il dito qui.’ Ed entrambe ridacchiarono.
Superammo la terza e ultima porta. Un gentiluomo sedeva di fronte ad uno specchio impomatandosi i baffi. ‘Bellissimi,’ esclamò riflettendo a voce alta. ‘Davvero magnifici.’ Molly non mi lasciò alcuna possibilità di indugiare e mi condusse al piano di sopra. Venimmo fuori su quello che doveva essere un passaggio al piano terra. Mettendo un dito sulle labbra mi condusse a destra. Da una porta di fronte a noi si udiva il rumore di persone che parlavano e, più lontana, una risata da sopra di noi. Molly svoltò in ancora un altro corridoio ed infine verso ancora un’altra porta. ‘Questa è la strada,’ mi disse. ‘Riconoscerà il posto in cui si trova.’
Devo esserle sembrata dubbiosa.
‘Venga, le faccio vedere dove si può prendere una carrozza.’
Portai una mano alla tasca e mi ricordai della mia borsetta perduta. Pensai alle strade buie tra il teatro e Ludlow Street e sapevo che non potevo affrontare il percorso verso casa.
‘Ah.’ Lei mi fissò mostrando di capire. Sembrò avere un’idea improvvisa. ‘Resti ferma qui. Sarò di ritorno tra pochissimi istanti.’ Mi mise bruscamente la candela in mano e sparì fuori dalla porta. Dalla strada giungevano suoni di carrozze e risate.
Temevo ancora che i miei inseguitori potessero essere saliti al livello della strada e l’avessero attraversata per scovarci, così rimasi nel corridoio, pronta a correre di nuovo nelle cantine se fosse stato necessario. Una debole musica raggiungeva le mie orecchie, accompagnata da violini, trombe e clarinetti. Mi sforzai di ascoltare le note.
Molly irruppe all’improvviso dalla porta, facendomi spaventare. ‘Ecco.’ Mi porse una piccola borsa di pelle nera. ‘Non è molto, ma le consentirà di ritornare dovunque lei risieda.’
La presi. ‘Non so cosa dire –’
‘Non dica nulla, Alice Clarke.’ La sua voce era diventata di nuovo brusca.
‘Ha carta e penna?’
‘Cosa ha intenzione di fare, comporre un’ode di ringraziamento?’ Frugò nella tasca della sua giacca e ne tirò fuori un moncone di matita e un vecchio biglietto.
Mi sarei divertita a comporre una poesia per Molly per esprimerle la mia gratitudine per avermi salvata. ‘No, voglio scrivere il suo nome e il suo indirizzo in modo da poterle restituire il denaro.’
‘Non ce n’è bisogno.’
La guardai più da vicino. Il suo vestito era pulito ma non era più di moda da alcuni anni, se pure lo era mai stato. Si trattava di una persona che non poteva permettersi di sprecare soldi dandoli a sconosciuti.
‘Devo.’
‘Daniel mi ha dato il denaro.’
‘Allora devo pagare questo Daniel.’
Scosse la testa.
‘Posso avere il suo indirizzo, Molly?’
‘Lo mandi a me, all’attenzione della signora Hubbins, costumista, Shaftesbury Avenue. Ora dobbiamo trovare un vetturino per lei.’
Un boato di applausi penetrò attraverso il muro. ‘Cosa stanno rappresentando?’
‘The Absent Duke, è un’operetta, un pezzo leggero ma popolare.’ Si fermò. ‘Quello che ha visto al piano di sotto, quelle ragazze …’ Un rossore si diffuse sulle sue guance.
Non sapevo cosa dire. Vederle mi aveva sconvolta, ma meno di quanto mi sarei aspettata. Mi sentivo già di mille anni più vecchia della Alice Clarke di pochi giorni prima.
‘Alcuni degli artisti sono un po’ selvaggi, anche se sono brave persone.’ C’era una sfida negli occhi di Molly?
Annuii. Aprì la porta.
Ci fermammo all’angolo di due strade trafficate che riconobbi ma di cui non potevo dire il nome. Molly allungò una mano per chiamare un vetturino. Mandò via il primo che si fermò, dicendo che conosceva quel tipo e non gli piaceva. Il secondo incontrò la sua approvazione.
‘Grazie,’ le dissi di nuovo salendo all’interno.
‘Niente di cui ringraziarmi.’
‘Mi dispiace per i danni al chiavistello sulla porta.’
Scrollò le spalle. ‘Non importa. Non è casa mia.’
Mentre la vettura partiva mi sedetti diritta, preparandomi all’accoglienza che avrei ricevuto a casa.