Lei

Lei apparve.

Camminava piano, sul bordo del marciapiede. All’interno di una tasca l’unghia del suo dito indice graffiava leggermente una nocca del pollice, per un’antica abitudine.

Si fermò poco dopo, per bere a una fontana, e mentre l’acqua le scendeva lungo l’esofago capì di non essere ancora sveglia del tutto. “Quanta ne va sprecata...” pensò, perché il rubinetto della fontana non chiudeva. Si chinò a bere di nuovo, cercando di non toccare con le labbra il pezzo di camera d’aria che qualcuno ci aveva legato attorno con uno spago, come un mozzicone di canna. “Forse è sempre la stessa che continua a salire...” pensò “finché qualcuno la beve.”

Cercandosi un varco nel traffico silenzioso delle prime ore del mattino, oltrepassò una piazza. Seguì per un po’ una piccola strada. Si fermò di fronte a una porticina. Frugò nella borsetta in cerca della chiave. Aprì. Fece un passo all’interno. C’era molto buio, doveva avanzare a braccia tese, tastando le pareti con le mani. Svoltò a un angolo. Si fermò di fronte a un contatore, fece scattare un tasto.

Chiuse gli occhi per la luce improvvisa e solo allora si svegliò del tutto.

Oltrepassò una guardiola vuota, entrò in uno sgabuzzino. In bilico su una gamba sola, si sfilò una scarpa con un rapido gesto della mano, staccò l’altra con le dita del piede. Si infilò un secondo paio di calze, perché quelle che portava sotto non venissero smagliate dai bordi degli stivaloni di gomma. Indossò un grembiule sul vestito, sopra ancora una pesante cerata, che annodò attorno ai fianchi. Scivolò negli stivaloni, li calzò bene con piccoli movimenti interni del collo del piede, delle caviglie e delle dita.

Poi uscì.

C’erano numerosi attrezzi lasciati dai muratori, sparsi ovunque, e un leggero profumo di calce fresca copriva gli altri odori del gabinetto pubblico in cui si trovava.

Cominciò a spalancare le porte degli stanzini per una rapida ispezione. Negli angoli, sotto i lavandini, appesi ai ganci degli attaccapanni e incastrati fin sopra le vaschette degli scarichi, trovò come sempre numerosi oggetti. Quel giorno: riviste pornografiche, un orologio fermo, un fazzoletto appallottolato, una biro scarica, un paio di occhiali dalle lenti fracassate, un mozzicone di candela, un torsolo di mela e una moneta, che mise in tasca. Nel reparto femminile trovò un tacchetto spezzato, una calza di nylon sporca di sangue, un brandello di cravatta e altri oggetti maschili – segno che forse, nella confusione creata dal lavoro di ristrutturazione dei muratori, alcuni clienti sbagliavano stanzino –, qualche grano di collana e una lunghissima ciocca di capelli tagliata di netto. Si chinò a guardarla e vide che era sporca di escrementi.

Si avvicinò alla canna dell’acqua, la srotolò dal chiodo. Adesso camminava lungo il corridoio e la canna la seguiva contorcendosi dietro di lei come un serpente. Premendo le dita contro i suoi bordi per aumentare la forza del getto, cominciò a lavare i buchi degli scarichi, tolse alcuni ingorghi, cancellò con uno straccio bagnato certi segni freschi tracciati contro le pareti. C’era un pezzo di carta che non si voleva staccare, in uno degli scarichi. Lo colpì di nuovo col getto dell’acqua, ma sembrava incollato. Provò a tirarlo su con il bordo dello stivale, senza riuscirci. Alzò le spalle ed entrò nello stanzino successivo. Qui, sotto lo specchio del lavabo, qualcosa attirò la sua attenzione. Abbassò gli occhi. Fece scattare il rubinetto, mise la mano sotto il getto dell’acqua, per dirottarlo contro ogni punto del lavabo e staccare dallo smalto le gocce di sperma rimaste appiccicate.

Dal corridoio stava arrivando un improvviso rumore di passi.

«Sei tu?» chiese, senza avere risposta.

Aveva già cominciato a lavare il pavimento dello stanzino successivo, quando l’acqua cessò improvvisamente di sgorgare dalla canna: suo padre doveva avere chiuso il rubinetto per avvisarla che era orario di apertura.

Arrotolò di nuovo la canna attorno al chiodo. Diede un’occhiata all’orologio. Controllò in fretta il vaporizzatore del profumo, liberò la fessura della gettoniera da un chewing gum schiacciato. Intanto pensava: “Dovrei poterlo vedere, il Duemila, non dovrei essere troppo vecchia, chissà...”.

Corse ad aprire. Quando entrò il primo cliente stava facendo un ultimo tentativo di spingere giù con la punta dello stivale il pezzo di carta incollato al solito scarico. Sentì i suoi passi nel corridoio e si arrestò. Fece scorrere un’ultima volta l’acqua, senza poter controllare il risultato, e uscì nel corridoio.

Era un giovane uomo, ma il suo atteggiamento era così strano che lei si girò a guardarlo con stupore. Camminava tutto piegato in avanti, a testa bassa, guardando uno dopo l’altro gli stanzini, per dirigersi infine proprio verso quello da cui lei era appena uscita.

«Si paga in anticipo!» lo avvisò, ferma di fronte alla porta, consegnandogli un segmento di carta igienica che aveva preso dalla tasca della cerata.

L’uomo cercò frettolosamente alcune monete nella tasca e, mentre faceva il suo ingresso nello stanzino richiudendosi la porta alle spalle, in un lampo di speranza si sorprese a pensare: “Mi è parso che quella ragazza non volesse farmi entrare in questo stanzino... Allora forse non sono arrivato troppo tardi!”.