Cosa fai qui dentro?

Quanto tempo era passato? Pensò che doveva uscire. Eppure indugiava. Sentiva che stava per ricevere una visita. Chiuse gli occhi e, quando ormai non ci sperava più, sentì bussare alla porta.

«Avanti!» bisbigliò, per non essere sentito da qualcuno negli altri stanzini o lungo il corridoio.

La porta si aprì ed entrò Goethe.

Faceva fatica a infilarsi di sbieco nello stanzino, inoltre il suo corpo era irrigidito da un busto e appariva immobile e tronfio.

Quando si girò del tutto e il suo volto impassibile fu completamente in luce, lui abbassò la testa per la vergogna.

«Cosa fai qui dentro? Come ci sei finito?» chiese severamente Goethe.

Lui si alzò in piedi in segno di rispetto, senza ricordarsi che aveva i calzoni abbassati alle caviglie.

«Comodo! Comodo!» lo tranquillizzò Goethe con aria magnanima, accompagnando queste parole con un piccolo e solenne gesto della mano.

Lui alzò gli occhi e gli guardò per un attimo la testa.

«Non hai quel cappello a larghe falde...» disse piano, deluso.

«Non sarebbe neppure passato attraverso questa porticina...» si schermì Goethe. «E poi non lo porto più da molto tempo! Sì, lo so, c’è quel ritratto...»

Rimasero per un po’ senza parlare. Nessuno dei due guardava più l’altro. D’un tratto, senza dire niente, Goethe si girò, fece il gesto di aprire la porta per uscire.

«E Ottilia, allora?» riuscì a gridare lui verso la grande schiena che si allontanava.

Goethe girò la testa di scatto e per un attimo parve sul punto di parlare.

Invece si girò un’altra volta. Oltrepassò la porta

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