Il bacio

Lei intanto stava dormendo profondamente nella guardiola del gabinetto pubblico. Aveva appoggiato una guancia sul braccio per non sentire la dura superficie del tavolo. Una stufetta elettrica le rischiarava appena i contorni del volto e la linea del collo. Nel vasto edificio un intenso odore di calce fresca indicava che il grosso del lavoro dei muratori era ormai finito, anche se in uno degli angoli erano ancora ammassati numerosi attrezzi. Dai nuovi stanzini in muratura non veniva il minimo rumore, né un soffio né uno sgocciolio, e la patina d’acqua che vibrava sulle pareti smaltate delle nuove conchiglie degli orinatoi era più silenziosa ancora del leggero respiro di lei.

Passò così molto tempo, difficile dire quanto perché anche l’orologio a muro era immobile da un pezzo e sembrava a sua volta sprofondato nel sonno.

D’un tratto un fragore improvviso la svegliò. Aprì gli occhi, sollevò il volto dal braccio ripiegato. Per un istante non riuscì a capire chi era né dove si trovava. Nel buio della guardiola distingueva solo un bagliore incandescente, che sembrava la stesse fissando. Una delle sue gambe scottava: era la stufetta elettrica. Si toccò istintivamente la calza, per paura che stesse prendendo fuoco. Infilando una mano sotto la biancheria, si controllò rapidamente anche i peli pubici, per accertarsi che non avessero preso fuoco. “Ho capito...” si disse “sono venuta a dormire qui perché a casa non era possibile.” Tirò con due dita la calza di nylon, per essere certa che si staccasse dalla pelle della gamba. “Qualcosa deve avermi svegliato” pensò.

Accese una sola luce, imboccò il corridoio e, passando vicino agli attrezzi dei muratori, vide che un badile era caduto a terra. “È stato questo...” concluse. Si voltò per tornare nella guardiola, ma subito si girò di nuovo e, a denti stretti, sfondò uno dei grandi sacchi di carta con un calcio improvviso.

Un istante dopo si lanciò verso uno degli stanzini, tossendo per la nuvola di calce viva che si era levata. Le bruciavano gli occhi, le sembrava di soffocare. Quando fu di fronte a un lavandino spalancò il rubinetto. Senza aprire gli occhi, cominciò a buttarsi acqua sul volto, sugli occhi e dentro la bocca spalancata, toccandosi piano con le dita per paura che le palpebre rimanessero attaccate ai polpastrelli.

Finalmente decise di aprire gli occhi ma, prima ancora di vedere il proprio volto di fronte a sé, notò una lineetta che attraversava in verticale lo specchio, formata da piccole gocce di sperma disposte con precisione assoluta una di seguito all’altra. Istintivamente guardò giù, nel lavabo, ma non c’era niente di grosso. “Avrà fatto scorrere l’acqua...” pensò. Riprese a guardare con attenzione le goccioline e si accorse che non erano tutte uguali, la loro grandezza decresceva e quelle che si trovavano in basso erano più grandi, quasi rallentate dal loro stesso peso, mentre quelle più in alto erano infinitamente più piccole e quasi impercettibili, tanto che lei cominciò a pensare che forse non erano neppure le ultime e che al di là di queste ce ne potevano essere ancora chissà quante, frammenti organici così minuscoli da sfuggire a ogni sguardo.

“Bisogna pulire!” si disse. Si voltò per strappare un pezzo di carta igienica ma, quando fu di nuovo di fronte allo specchio, abbassandosi un po’ e facendo ruotare nello stesso tempo la testa per cambiare l’angolo visuale, ci vide riflessa dentro una leggera ombreggiatura rossa.

Si girò verso la parete che c’era di fronte allo specchio, ancora nuova ma già imbrattata di numerose tracce sudicie, scritte e disegni osceni, e vide di nuovo, molto in alto, la lieve ombreggiatura rossa.

Uscì, tornò vicino agli attrezzi, sollevò una pesante scala di legno e, inclinandola in avanti, la fece entrare nello stanzino. L’accostò alla parete, cominciò a salire piano e quando fu in cima, con gli occhi a pochissima distanza dall’ombreggiatura, capì che si trattava di un bacio impresso sulla parete fresca da una bocca con il rossetto.

Rimase immobile per un po’, aggrappata alla scala, accostando ancora di più il volto a quel segno inconfondibile di labbra dipinte che qualcuno aveva impresso in un punto tanto irraggiungibile dello stanzino. Avvicinandosi ancora di più con gli occhi poteva distinguere i minuscoli tratti verticali che segmentavano la forma della bocca e, dalla sottile linea vuota che c’era al centro, poteva supporre che le labbra fossero rimaste leggermente socchiuse durante il bacio. “Come avrà fatto?” pensava lei. “In un punto così alto, irraggiungibile quasi, senza appigli per arrivarci. E com’è stato possibile che una donna – così almeno lascerebbe intendere quel rossetto – sia riuscita a entrare in questo stanzino che si trova nel settore maschile? Forse è entrata quando era già buio, per sbaglio o intenzionalmente, chi può dire, e dalla guardiola non ce ne siamo accorti, o forse sotto la nuova luce artificiale non è stato possibile capire se era un uomo o una donna, forse le labbra dipinte ci sono apparse nere per via della forte luce e allora abbiamo pensato che era una persona molto vecchia e magari malata. Oppure se le è dipinte mentre si trovava già all’interno dello stanzino... Ma come ha fatto ad arrivare così in alto? Forse la sua statura era superiore di molto al normale. Ma, in questo caso, com’è stato possibile che non ce ne siamo accorti quando ha oltrepassato piegata in due la porta dello stanzino, o addirittura camminando a quattro zampe sul pavimento? Forse ha appoggiato le labbra in modo fulmineo contro la parete, premendole forte perché rimanesse il segno sulla calce non ancora imbiancata, dopo avere spiccato un grande balzo. O forse si è fermata per qualche istante qui in alto, premendo le labbra contro la parete mentre sbatteva le braccia o le ali per restare sollevata e sospesa nell’aria...”

Prima di scendere, lei guardò per un’ultima volta l’ombreggiatura, la sfiorò con le dita, molto piano, per non cancellarla. E quando fu ai piedi della scala e, voltandosi, vide di nuovo la fila perfetta delle goccioline di sperma contro lo specchio, pensò che forse tra le due cose c’era un rapporto stretto. “Ma quale?” si chiese. “E quale delle due sarà venuta prima? Ed è possibile che una sia stata causa dell’altra? Ecco, per esempio, la presenza delle goccioline potrebbe essere stata determinata da quel bacio impresso sopra la parete, che un uomo stava forse osservando da un po’ nello specchio, abbassandosi e inclinando la testa come ho fatto anch’io poco fa, mentre si dava da fare con la mano... Ma può anche essere successo che l’uomo le abbia viste dopo, quando già le goccioline erano schizzate contro lo specchio, persino dopo avere fatto scorrere l’acqua per far sparire alcuni frammenti più densi colati dentro il lavabo. Forse si sarà girato e, proprio mentre si riabbottonava i calzoni, avrà visto all’improvviso quel bacio affrescato e allora avrà pensato con disappunto: ‘Accidenti... un bacio! Peccato non averlo visto prima! Sarebbe stata tutta un’altra storia...’.”

Reggendo la scala con tutte e due le braccia, lei stava adesso percorrendo il corridoio. Si guardava la punta di una scarpa, quella che aveva colpito il sacco di carta, che era tutta bianca di calce. “Quando si decideranno a finire e a portare via quegli attrezzi?” si disse. Posò la scala nell’angolo e batté il piede per terra più volte, per staccare la polvere di calce. “E se invece fosse stato uno dei muratori?” si chiese. “Ma a fare che cosa? A far schizzare le gocce contro lo specchio oppure a imprimere quel bacio contro la parete?” Scosse la testa, strinse gli occhi. “No, no... Bisogna piuttosto considerare che le vecchie pareti prefabbricate erano leggermente spostate rispetto a queste nuove in muratura. Ecco, allora forse il segno di quelle labbra c’era anche prima, anche se non lo si poteva vedere era già stato deposto in quel punto esatto dello spazio, forse quando non esisteva neppure questo gabinetto pubblico, forse in tempi infinitamente lontani. E forse il nuovo muro, innalzato per caso a filo con questo bacio impresso chissà quando e chissà dove nel corso del tempo, ha catturato la sua presenza come una lontana ombra fossile...”

Tornata nella guardiola, lei si sedette di nuovo dietro al tavolo, appoggiando la guancia su un braccio ripiegato. “In questo caso non ci sarebbe nessun rapporto tra questo bacio e le goccioline schizzate contro lo specchio, forse i due eventi si sono verificati in tempi molto lontani tra di loro. Oppure è possibile che il bacio, apparendo nello specchio da un tempo infinitamente lontano a causa della costruzione della nuova parete in muratura che lo ha intercettato e per la rotazione continua della Terra nello spazio, abbia provocato quella linea perfetta di goccioline decrescenti. E può darsi persino che le due cose siano avvenute nello stesso tempo remoto e che, per esempio, un uomo di nome Thomas, fuggendo a cavallo da una città del Belgio con una fanciulla di nome Astrid, mentre erano strettamente abbracciati su un’unica sella sulla groppa dell’animale, abbia avvolto nel suo mantello il corpo dell’innamorata mentre la penetrava da dietro e veniva dentro di lei, senza rallentare neppure per un istante la sua corsa per non farsi raggiungere dagli inseguitori, nel punto esatto in cui adesso i muratori hanno alzato il muro dove c’è lo specchio, e che alcuni istanti dopo Astrid abbia irresistibilmente baciato la testa del cavallo di colpo impennato – per questo il segno di quel bacio si trova più in alto rispetto alla linea delle goccioline decrescenti – riprendendo a fuggire insieme a Thomas, che continuava ad abbracciarla forte da dietro...”

Lei allontanò ancora di più la stufetta, spingendola con un piede, sprofondò il volto nell’incavo del gomito e chiuse gli occhi. Intanto continuava a pensare: “Ma è anche possibile che Astrid, ospite da pochi giorni di una lontana cugina, abbia prima baciato la testa di un cavallo, oppure le labbra nere del suo cane prediletto in un giardino, o anche un oggetto qualsiasi, una tabacchiera, un ritratto, per una furtiva abitudine, e che Thomas, giovane soldato da poco tempo al seguito di un diplomatico del suo paese, e a lei del tutto estraneo e sconosciuto, svegliandosi due secoli dopo nel cuore della notte, si sia accorto di avere il ventre tutto inzuppato di seme e allora abbia cominciato a pensare: ‘Stavo facendo un sogno, ma non ricordo quale. Forse sognavo di essere ancora a teatro e che stavo guardando quella cantante da uno dei palchi centrali, come mi è successo poche ore fa... Come si chiamava quella cantante? Accidenti, non mi ricordo più il suo nome! Era ungherese, mi pare... E che d’un tratto tutte le luci si sono abbassate, la scena è diventata sempre più nera, eppure mi sembrava di continuare a vedere ancora nel buio le sue labbra che cantavano, come se fossero state dipinte con una vernice che si può distinguere anche al buio, e allora chissà perché mi sono messo a correre per l’esaltazione lungo i corridoi che ci sono dietro le file sovrapposte dei palchi, tutto inclinato perché hanno la forma di uno stretto semicerchio, e intanto sentivo che la sciabola mi stava battendo forte contro l’uniforme di gala, qui sulla coscia, mentre mi lanciavo persino dentro alcuni palchi, scusandomi mentre travolgevo le signore sedute su grandi cuscini d’aria, attraversando speroni e décolleté per poter spingere anche per un solo istante la testa oltre i margini del palco, scusandomi ancora e dicendo ‘Sono nuovo di qui, io conosco soltanto segnali di fuoco e campi di battaglia!’. E lanciandomi ancora e ancora in sempre nuovi palchi e piani del teatro, sporgendo la testa persino dal loggione e poi dai palchi di proscenio per intercettare da ogni angolo visivo la forma di quelle labbra intensamente illuminate nel buio...’. Così forse pensava Thomas, senza sapere che, se solo si fosse spostato di un millimetro durante il sonno, quella cosa, schizzando in una linea perfetta nonostante il buio, a memoria, sarebbe andata a sbattere contro la testa di un cane morto che stava per essere sepolto nell’aiuola di un giardino, o contro la scintilla levatasi improvvisamente alcuni secoli prima al semplice passaggio di un pettine in una capigliatura elettrizzata, per la rotazione continua della Terra nello spazio. O sarebbe scomparsa per migliaia di anni per riapparire poi per un solo istante sul rostro sguainato di un’astronave nello spazio, per il continuo morire e nascere di nuove stelle e di nuove orbite e di nuovi mondi...”

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