Si viaggia meglio, di notte

Il camionista intanto stava fissando la strada illuminata dai fari, mentre si spostava silenziosamente nella notte. Aveva dormito alcune ore, aveva mangiato qualcosa prima di partire, aprendo piano il frigorifero perché tutti nella casa dormivano. “Si viaggia meglio, di notte...” stava pensando tra sé. E adesso anche il vento era caduto, da una decina di chilometri, era cessato all’improvviso e il muso del camion era silenzioso e sereno, come uscito da una barriera.

Ai lati della strada apparivano di tanto in tanto grandi fuochi. Crepitavano immobili ora che il vento era caduto, non si piegavano più di lato, non si contorcevano schizzando tutt’intorno scintille e gocce di fuoco. Nel buio della notte i fari illuminavano a tratti la sagoma di qualche bestia stritolata. Le grandi ruote del camion ne avvertivano ancora la presenza passandoci sopra, come un leggero gonfiore dell’asfalto. Ma com’era difficile, nel torpore della digestione, tenere gli occhi aperti su quella strada...

Il camionista accese la radio, rallentando in vista di un passaggio a livello chiuso. Pochi minuti dopo un treno interminabile sbucò da chissà dove, fuggendo con le sue luci. “Beati i treni...” pensò il camionista tra sé.

Poi le sbarre del passaggio a livello cominciarono a sollevarsi. Mentre le grandi ruote oltrepassavano il dislivello delle rotaie il carico rumoreggiò per un istante in qualche punto dietro la cabina, sobbalzando.

Il camion aveva ripreso velocità, i tronchi degli alberi si immobilizzavano per un istante di fronte al fascio di luce dei suoi fari. Il camionista non pensava più a nulla. Senza accorgersene doveva aver investito una bestia notturna perché contro il vetro del parabrezza erano apparse delle goccioline sudicie, come schizzate fuori da una siringa.

Apparvero ancora dei fuochi, uno di seguito all’altro. Il camionista alzò il volume della radio, per non addormentarsi. “Forse dovrei fermarmi a riposare ancora un po’” si disse. “Potrei parcheggiare vicino a uno di quei fuochi...” Azionò il tergicristallo e poco alla volta le goccioline scomparvero. “Dovrei scendere a controllare il cofano” si disse ancora. Invece rimase al posto di guida.

Poco dopo sentì un enorme fragore dietro di sé, come se alle sue spalle fosse franato improvvisamente il ponte che aveva appena oltrepassato.

Continuò a viaggiare ancora a lungo, abbracciando il grande volante, e a volte gli sembrava di addormentarsi e di dormire profondamente per lunghi tratti di strada e di sognare persino, mentre la radio continuava a suonare e il camion a spostarsi disegnando le curve col suo grande muso sereno.

D’un tratto qualcosa attirò la sua attenzione. Doveva essersi assopito di nuovo perché gli era parso di arrivare improvvisamente da molto lontano. C’era un grande animale schiacciato proprio al centro della strada, la parte posteriore del suo corpo era ormai appiattita sull’asfalto. Il camionista girò la testa da quella parte mentre l’oltrepassava e quando si girò di nuovo verso la strada i suoi occhi erano spalancati dietro il parabrezza.

“Sarà stato un effetto ottico!” si disse. “Sarà perché ho caricato quel pannello dipinto d’oro, stamattina...”

Gli era parso, passando vicino alla bestia e guardandola dall’alto della cabina, che nella sua bocca ancora girata verso l’alto e spalancata da un urlo, brillasse qualcosa di lucente sul fondo, come se ci avessero scagliato dentro con forza il contenuto di un barattolo di vernice color oro o addirittura di un intero secchio riempito fino all’orlo.

“Dovrei salire in cuccetta a riposare!” pensò ancora il camionista.

Invece rimase al posto di guida.