Cosa mi resta da fare?
Negli ultimi anni mi è capitato più di una volta di scrivere elenchi di ciò che mi restava da fare, di opere in fieri che affioravano senza soluzione di continuità nella mia mente, per questo tormento che ancora continua ad assalirmi e ad agirmi, mentre vorrei accedere a quella condizione di inaccessibile lontananza dalla mia precedente vita di scrittore di cui parlo nelle ultime righe di Lettere a nessuno e che è e resta l’estremo sogno della mia vita.
Alcuni di questi abbozzi hanno poi preso forma e sono diventati opere che ho avuto il tempo e la forza di scrivere e che ho via via pubblicato. Molti altri no e non so e non credo che lo diventeranno, tanto più adesso che sono alle soglie dei 70 anni e che mi sembra di conquistare ogni parola e ogni opera attraverso un combattimento mortale. Scrivo ormai velocemente, per periodi brevi strappati ad altre passioni e oltranze, ma con una presa di parola, di visione, di pensiero e di frase che mi pare di non avere mai posseduto prima. Però in seguito a lunghe sedimentazioni che assumono come sempre la forma di un gran numero di fogli e foglietti scarabocchiati e strappati, di idee e immagini annotate per anni prima della loro concentrazione in un unico punto esplosivo.
Ormai da molto tempo – e forse da sempre – scrivo come se per me ogni giorno fosse l’ultimo giorno. Ogni opera, ogni riga, ogni parola io l’ho scritta così. Per questo cerco di fermare sulla carta idee e spunti che affiorano continuamente dentro di me, perché penso che non riuscirò a trasformarli in opere dispiegate, che non avrò il tempo, la forza, le condizioni fisiche e mentali e il raccoglimento di cui avrebbero bisogno per poter nascere e configurarsi.
Non è solo per una condizione mentale, di solitudine, disperazione e angoscia provocate da ciò che mi ritorna indietro dalla vita e da questo fronteggiamento, è anche frutto di vicende terribilmente concrete di cui sto facendo esperienza ravvicinata. Quando scrivevo i miei primi libri (Clandestinità, La cipolla e ancora di più Gli esordi e poi Canti del caos) mi sembrava ogni volta che non sarei riuscito a portarli a termine, che mi sarei schiantato, e mi ingannavo da solo rassicurandomi che quello sarebbe stato l’ultimo, poi basta, poi basta, perché non ero in grado di sostenere un istante di più un simile urto, per tentare almeno di gettare un osso al mio inseguitore e rallentare per un po’ la furia del suo inseguimento. Ma anche adesso, e tanto più adesso, mi capita di sperimentare continuamente gli effetti di questa concentrazione, di questa combustione e di questo combattimento che coinvolge non solo la mia mente ma anche tutta la mia unità psicofisica. Cefalee oftalmiche, ischemie, dolori e fitte che sembrano ogni volta preludere a infarti contrassegnano la scrittura di tutte le mie ultime opere. Mentre scrivevo L’addio, nelle settimane di ferragosto, da solo, nella città spopolata, ho lavorato per giorni e giorni con forti dolori al braccio e al torace e con la mano inerte e formicolante. A un certo punto ho avuto un’ischemia, con perdita di coscienza. Mi sono buttato in stato confusionale sul letto. Subito dopo, per una folle reazione di contrasto e per non darmi per vinto, mi sono alzato, così com’ero, sono uscito di casa sbattendo incontrollabilmente contro i muri e gli stipiti delle porte perché non avevo più l’equilibrio e non riuscivo a controllare i movimenti del corpo e degli arti. Sono andato persino al supermercato per comperare qualcosa da mangiare e quando sono arrivato sbandando alla cassa, al momento di pagare, non mi ricordavo più il valore delle monete, così ho dovuto mettere tutte quelle che avevo dentro il portafoglio nelle due mani a coppa e allungarle verso la cassiera, che mi stava guardando sgomenta. Però non ho chiesto aiuto, non sono andato al pronto soccorso e non ho voluto fermarmi, perché stavo attraversando con la scrittura una zona di confine tra la vita e la morte e non avrebbe avuto coerenza, proporzionalità e nobiltà che, proprio in quello stesso momento, io mi sottraessi a quella prova e scappassi. Ma poi... non rischiano la morte anche i corridori automobilistici, i motociclisti, i pugili... E allora perché non dovrebbe rischiarla anche uno scrittore? Forse che quello che cerca di far passare attraverso la cruna della letteratura è per lui meno importante di ciò che spinge le persone che ho citato prima a rischiare la vita? Ma anche i muratori che salgono sulle impalcature, i miserabili che attraversano il mare sui barconi, quelli che combattono nelle guerre o che scalano le montagne...
E poi ancora, poco più di un mese fa, durante un cammino da Parigi a Berlino, mentre attraversavo una foresta bagnata e fredda della ex Germania dell’Est, ho avuto una perdita di memoria durata sei, sette ore durante la quale non mi ricordavo neppure i titoli dei miei libri, quelli passati e quelli dei quali avevo appena corretto le bozze prima della partenza, e neppure i nomi di chi stava camminando vicino a me e che conoscevo da anni.
Così ho pensato che era venuto il momento di andare a vedere a che punto sono con il mio lavoro di scrittore e cosa mi resta da fare. E allora, in questi giorni (anch’essi di ferragosto) ho decifrato quanto avevo scarabocchiato su un gran numero di altri e nuovi fogli e foglietti buttati qua e là, ho battuto separatamente ciò che avevo annotato per singole opere che si trovavano a un grado più avanzato di elaborazione. Ne sono venuti fuori quattro file di note per opere che non so se riuscirò a mettere al mondo, ma che mi piacerebbe poterlo fare. Che sono:
Le città di confine, terza parte del libro iniziato con L’addio e proseguito con L’amore (già scritto) e che vorrei alla fine pubblicare in un unico volume intitolato Canto di D’Arco.
Fiaba Bianca, un piccolo romanzo che vorrei scrivere per la mia nipotina Bianca, come ne avevo scritto uno per mia figlia Maria.
Il grido, un libro che prende di petto la terribile e occultata emergenza di specie che stiamo vivendo.
Lo scrittore e il traduttore, un piccolo e scatenato scherzo che mi è venuto in mente mentre giravo attraverso la Francia con l’amico traduttore.
E poi un romanzo estremo, più dilagante e senza fondo, che ho in mente da tempo e che dentro di me ha assunto via via molte forme, che vorrei con tutte le mie forze e con tutta la mia anima fosse davvero l’opera con cui concluderò la mia vita di scrittore, il mio grido o il mio acuto finale.
Ma in questi giorni, durante uno dei miei disperati tentativi di mettere ordine nelle cataste di cartelle, di buste gonfie di foglietti, di fogli sparsi ammucchiati sul mio tavolo di lavoro, per cercare di rendermi almeno conto di che cosa contengano, rimestando in quelle masse in infusione che chiedevano vita e chiedevano morte mi sono venuti in mano altri foglietti ancora, in qualche caso semplici striscioline lacerate da giornali su cui avevo annotato fulmineamente piccole e quasi incomprensibili frasi, riflessioni e immagini che in qualche caso non so neanche bene a cosa si riferiscano e cosa le abbiano suscitate. E siccome proprio in questi stessi giorni ho rimesso gli occhi su Stelle in gola, che prendo in mano ogni tanto e subito dopo accantono, ho pensato di trascrivere almeno qui, così come sono, con le loro parole indecifrate e la loro assenza di punteggiatura, al termine di questo libro segreto, alcune di queste frasi erratiche trovate su lacerti di fogli e per le quali non riesco a immaginare il tempo per uno sviluppo futuro, per cui sono anche queste stelle in gola:
C’era una volta un raggio che non sapeva di essere un raggio, non sapeva se c’era da qualche parte una luce di cui era il raggio. E non sapeva neanche che cosa illuminava, perché la luce non vede niente
Un atteggiamento di [...] e poetico che potrebbe apparire (venire giudicato) disperatamente [...] ma che invece è radicato in un’altra realtà più decisiva e più grande
Avrei molte altre cose da dire su questo argomento, ma preferisco il silenzio. Non voglio stare dentro questo prevedibile gioco mediatico e questo déjà-vu. Siamo di fronte all’orrore. Io sto dalla parte di Hänsel e Gretel, sto dalla parte dai bambini spinti nelle fornaci e nelle camere a gas
Diapason
Diversi quadri (3, 5...)
Crocefissione di:
un uomo
un bambino
un animale
la sola croce
Crocefissione dell’ombra
della luce
Una scena: solo la voce e la croce
Lettere di sconvolgente sincerità di capi politici e di stato, da far crollare l’impalcatura fradicia su cui si regge il mondo
Discorsi (idem)
Interviste (idem)
Interpellanze parlamentari (ad esempio: sulla mostruosa pratica di cancellare il volto dei bambini nelle fotografie che appaiono sui giornali. Uno scandalo accettato e che trova addirittura le sue motivazioni “morali”).
Siamo noi [...] quei volti cancellati siamo noi.
Intercettazioni (farne un “genere letterario”).
E allora ho immaginato, ho fantasticato, ho inventato questo Suo discorso alla Camera dei deputati...
Discorsi dalla fine del mondo
La dimensione mediatica della satira, l’intoccabilità, l’incriticabilità della satira. Si può criticare tutto, demolire tutto, satirizzare tutto, ma non la satira, guai a toccare la satira, il nuovo idolo del mondo satirizzato e abbassato
Mi capita di leggere su giornali e riviste, nella posta del cosiddetto cuore, dove si definiscono i miseri parametri amorosi di questa epoca, disquisizioni sui bonobo e i gibboni, oppure sul numero mensile di orgasmi (perfettamente calcolato, o almeno così pretendono questi compilatori) delle femmine umane della ex Germania dell’Ovest e di quelle dell’Est (DDR)...
I bonobo e i gibboni
L’amore ai tempi dei bonobo
La natura deificata. Ma allora anche le zecche sono natura, anche i tumori
Seduta parlamentare sui bonobo e i gibboni. Battibecchi tra maggioranza e opposizione. Il (la) presidente che invita alla calma e suona il campanellino. (interruzioni, grida) «Voi state buttando via il bambino con l’acqua sporca!»
Dante, Shakespeare... tutte le opere grandi che trovano nell’invenzione dell’amore il loro centro e il loro grido [...](urla esagitate) [...] «Fuori! Fuori!» [...] I commessi che afferrano l’inattuale disturbatore e lo buttano fuori dall’aula
«Oh, sì, sì [...] e allora finalmente, il giorno di San Valentino, poter regalare alle bonobo femmine dei graziosi anellini di diamante che le bonobo femmine si infileranno nelle loro dita pelose!»
Piccola fiaba dell’Italia e del suo poeta
C’era una volta un paese dove le persone, invece che con le parole, parlavano con i prut.
Gli uomini politici, i religiosi, nelle scuole, nelle università. In televisione, al telefono, nelle intercettazioni. Il presidente della Repubblica. Il capo del Governo. Nelle dichiarazioni d’amore. Negli interrogatori. I cronisti delle partite di calcio. L’inno nazionale in prut. Le sedute del parlamento in prut. I giornali. Gli elettori che andavano a esprimere il loro prut. Nei matrimoni. Il prut al momento di scambiarsi l’anello. I film parlati e doppiati in prut. Il Festival di Sanremo (esempio di canzoni in prut). Traduzioni in prut...
(lunghi excursus linguistici, storici, politici, letterari, filosofici)
I politici. A volte dicevano cose orribili tipo: (dichiarazioni letterali di politici italiani). Esagero, naturalmente, perché non si è mai sentito in nessun paese del mondo un ministro (con gli occhialetti dalla montatura colorata e il pizzetto) dire una cosa simile, tipo che non eravamo abbastanza cattivi e che bisognava essere ancora più cattivi. Che detto in prut fa ancora più impressione...
Unico cruccio: la loro lingua, il prut, non aveva ancora un grande poeta (poema) che la eternasse
Finalmente arriva anche il poeta. All’inizio incompreso per la sua arditezza nell’uso del prut, ma poi... L’invidia degli altri poeti, perché ognuno di loro avrebbe voluto essere il più grande poeta in prut... Invece, si sa, ce n’è uno solo...
Esempi della prima o dell’ultima strofa del suo poema (leggere declamando): «Prut prut prut pruprut».
Quando muore, il poeta arriva al cospetto di Dio. La sua emozione. Dio gli si avvicina e gli parla in prut.
Noi non eravamo presenti, dobbiamo perciò fidarci di ciò che hanno raccontato un paio di angeli chiacchieroni, ma pare che l’incontro sia andato così.
Dio: «Prut prut prut pruprut prupruprut».
Al che il poeta ha risposto: «Prut prut pruprut prupruprut pruprupruprut».
All’ultima domanda di Dio, il poeta poté appena sentire la propria voce emozionata che, in un soffio, non era riuscita a rispondere altro che con un elementare e semantico: «Prut!».
L’urlo della mosca
Potrebbe cominciare così:
Le mosche non urlano. Perciò potete immaginare il mio sbalordimento quando, osservando una mosca che camminava sulla mia mano, improvvisamente l’ho sentita urlare
Lui
Lei
Il condottiero (che porta il popolo del buio dentro la luce, o quello della luce nel buio)
I popoli che verranno
E noi che popoli siamo? Quelli che verranno o quelli che ci sono già stati? O quelli che non sono ancora venuti e che non verranno?
Il buio, le ombre
Prima metà tutto buio, poi figure sempre più illuminate, poi cancellate dalla luce ma che proiettano ombre
1° ombra
2° ombra
[...]
Come gli antichi sacerdoti filosofici del pensiero separato si sono arrogati il diritto di stabilire ciò che era verità e cosa no (combattendosi per di più l’un l’altro attraverso i secoli perché ciascuno di loro pretendeva di essere quello che più era riuscito ad acciuffare questa impalpabile verità...) così i moderni capocomici del teatro “di regia” si sono arrogati il diritto di stabilire ciò che è teatro e ciò che non lo è.
Le note sceniche sul duello di Amleto non sono una prevaricante “didascalia” dell’autore, ma fanno un tutt’uno con l’azione drammaturgica e sono inseparabili da essa.
Un lungo dialogo filosofico estremo e, in sottofondo, il film di due genitali che copulano senza mai fermarsi
Dide:
adesso lei...
adesso lui...
adesso lei...
adesso lui le eiacula in faccia...
Sipario
Diapason
Un monologo di Gesù in croce.
Mi avevano detto che c’era una morte e che c’era [...] ma non c’è la morte e non c’è nessuno
Gesù sanguinante, ricoperto di croste e di fango
Ogni tanto lo frugano, lo sbudellano
Non ci sono neanche i due ladroni
Poi muore. Racconta il suo viaggio nel regno dei morti
Anche là non c’è nessuno
Parla col Padre che l’ha mandato? È così o non c’è neanche quello?
...del fatto che, a un certo punto, si è fatto Dio, ha cominciato a dire che era il figlio di Dio perché era tutto senza speranza
Alla fine scende dalla croce? Dopo il diapason. Tutto buio.
Si inchina al pubblico e se ne va
Gli sciami
Insetti (tutti in volo verso chissà dove) – ogni singola vita che brucia in volo
Uccelli (che incontrano le nuvole degli insetti e le divorano)
Uomini (migrazioni, ecc... poi agli uomini spuntano le ali e divorano in volo gli uccelli... poi gli uomini volanti, robotici che divorano i precedenti uomini in volo...)
(anche sciami sismici, stellari)
Tutto in tensione e in volo (scienza e narrazione estrema)
A voce nuda
Lettera di commiato
Provo troppo dolore e pena.
È troppo orribile vivere in un mondo simile.
Ho aspettato ancora, ho accompagnato ancora per un po’ l’uscita dei miei ultimi libri. Adesso basta. Non ce la faccio più a vivere in un modo simile. Ho bisogno di tornare sotto terra, ho bisogno di tornare là, di ricongiungermi a quella solitudine, a quella terribile libertà e a quel profondo buio da dove sono venuto e che sono sempre stati là ad aspettarmi.
Se qualcuno vorrà incontrarmi, ci saranno i miei libri. Io sarò da un’altra parte.
Ringrazio tutti quelli che...
Ringrazio... ringrazio...
Film
Gli argini non hanno più tenuto
Un musical porno (con enormi falli che cantano, ecc...)
Una messa (da requiem), figurata, con il morto e quelli che l’hanno conosciuto in vita, il celebrante, il chierichetto (che è poi il morto da piccolo). E poi c’è Dio, il Diavolo, ecc
Una messa vera? In una chiesa? Dove, chi lo voglia, può anche ricevere i sacramenti?
Finisce che il morto (Gesù?) uccide il celebrante?
Due possibilità: in chiesa, in teatro
La messa è la recita che, nell’arco di duemila anni, ha avuto il maggior numero di repliche
Non tiro i remi in barca, continuo a remare, ma da un’altra parte, fuori vista
Il cozzo è ormai troppo forte
L’unica medicina che conosco per questo male è la solitudine e l’isolamento
Non c’è nient’altro
Ho sempre più l’impressione di vivere in mezzo a dei morti
Funziona tutto così
La... l’elezione...
Non c’è più elezione
Le macchine che passano nella notte, i fari nel buio...
E allora perché provo una simile sofferenza, un dolore così insopportabile? Tanto che mi sembra persino di non esserci, di essere increato? Forse perché non soffro solo per quanto è successo e che mi ha attraversato e che mi attraversa, soffro anche per ciò che non è ancora successo, che non è ancora successo solo perché non succederà, perché si trova [...] ma non perché... [...] ma solo perché è increato e perché io stesso sono increato
Ho trovato poco fa, sul foglietto di un’agendina strappato a metà, dei vecchi versi scritti quando ero poco più che un bambino (credo che si riferiscano a un antico scultore di bassorilievi e alle sue figure):
Su immobili spazi uguali
le ha proiettate nel tempo
a un microbo di marmo aggrappata
la gioia come un arcobaleno
ha attraversato la notte che vive.
Gli sciami
di insetti, di uccelli, sismici, di particelle, di stelle, di nebulose e galassie, che poi cominciano a muoversi e a trasmigrare come gli insetti, le particelle
Comincia con frasi sugli sciami
Poi, a poco a poco, si racconta, ma dall’interno
Ancora Gli sciami
Preghiere, pensieri, orazioni, canzoni, lettere, narrazioni, passaggi, irruzioni sceniche, dialoghi...
Al critico modernista
Un bel guaio avere tre nasi quando non se ne ha neanche uno!
Il tarlo
nella gamba della sedia (come è più felice il tarlo, che continua a lavorare alacremente dentro la gamba di una sedia, in cima a una catasta di mobili che sta per essere incendiata – avevo scritto pressappoco in Lettere a nessuno)
il tarlo fantastica di essere tutt’altra cosa, perché è così completamente solo che non sa chi è [...] la sua infanzia, la sua... Sente degli urli, da molto lontano, da fuori [...] “Finalmente!” pensa, mentre sta bruciando
Le ombre (da una parte scopano, dall’altra [...])
Le ombre che scopano. Le ombre e la luce che le cancella...
Una messa. Il celebrante – messa in latino. Poi Gesù, il Diavolo, la Madonna
L’adolescente che assiste inginocchiato al banco, di schiena. La sua testa a pera, le sue grandi orecchie. Si porta le mani alla testa
Alla fine si alza dal banco, irrompe sull’altare, interagisce con il celebrante e con gli altri
Gesù. Il mutante. Era già Dio quando aveva tre mesi (la cacca, ecc...), tre anni... o lo è diventato solo in croce? Gesù è diventato Dio solo in croce? Ed era Dio solo di questo pianeta o anche dell’universo? (Andromeda, la Grande Nube di Magellano...)
Il Dio della specie o...? Che morirà crocefisso insieme alla propria specie?
Se è vero che [...] allora è anche il Dio della materia e dell’energia oscura? O solo di quella visibile, che è appena il 3, 4 per cento della materia di cui è composto l’universo?
Materialismo del 4 per cento, ma allora anche teismo del 4 per cento
Chi è allora il Dio del 96 per cento? Cosa succede se e quando queste due materie e questi due dii si conosceranno?
Dio anche del [...] Ci sono anche loro nell’aldilà o [...] solo un passaggio per [...] E perché questa catena spaventosa di ferocia, dolore, cannibalismo... solo per [...] a questa specie folle e genocida che sta portando alla rovina se stessa su questo piccolo e sperduto pianeta?
Il mio amore per il meraviglioso folle Gesù, prima e più ancora che per Don Chisciotte
Provo sgomento e orrore per la mostruosa costruzione religiosa secolare che è sorta sulle sue spalle, e per questo meccanismo che si ripete sempre identico attraverso il tempo umano e la sua misera storia, però la sconcertante figura di Gesù è quella da me più amata
Lazzaro? Ma è una cosa troppo lunga... C’entra con il libro che vorrei riuscire a scrivere?
L’abortito
Teatro? Un racconto lungo? Una favola? Un romanzo breve?
A poco a poco capisce di essere un abortito, che vive in un mondo di persone abortite e che per questo si straziano così tra di loro, mentre forse c’è un altro mondo, da qualche altra parte, popolato da persone non abortite
Gli abortiti che hanno dovuto organizzare le loro vite in modo che [...] e che se la sono immaginata e raffigurata così
C’è un palloncino abortito anche nella Piccola tragedia pornografica per palloncini?
Viene fatto scoppiare subito, all’inizio, o prima ancora che cominci la recita?
“Bum!” si sente venire da dietro il sipario chiuso
C’è una donna che cammina sulle sue gambe slanciate, col suo lungo vestito blu con lo strascico, e vicino a lei cammina anche una cagna nera e feroce, con la placenta fuori
Preambolo a Merda e luce, che vorrei registrare con la mia stessa voce:
Vorrei dirvi solo un paio di piccole cose prima che inizi la recita, mentre ancora vi state sistemando nei vostri posti e bisbigliate nel buio con il vostro vicino prima di decidervi a spegnere i cellulari.
È stato il regista che per primo ha messo in scena questa indefinibile cosa a chiedermi di aggiungerci due parole come preambolo. Così ho pensato di non scriverle soltanto ma anche di pronunciarle direttamente, con la mia povera voce.
Io sono quello che ha scritto il dramma che fra un po’ ascolterete e vedrete. “Che roba sarà?” molti di voi si staranno chiedendo. “Ci hanno detto che quello lì è uno scrittore molto cattivo e che questa è una cosa piena di rabbia, di disperazione e di orrore. Ce la faremo a reggerla? La capiremo? Non ci stuferemo?” Cosa posso dirvi? Se siete buoni, non vi stuferete e la capirete.
Ma poi... non è vero che questa recita è quella cosa che avete paura che sia. Vi hanno male informati. C’è dentro anche la solitudine della vita e del mondo, la desolazione, l’amore. E c’è anche da ridere, ve lo assicuro, a meno che il regista non abbia eliminato quell’enorme cazzo gonfiabile che fa da spalla comica al siparista. Da ridere e anche da piangere. E c’è anche un tipo che ogni tanto corre in motocicletta attraverso il palco. E c’è anche un’altra cosa, la più importante, ma che mi guardo bene dal dirvi perché dovrete scoprirla da soli.
Ho scritto questo dramma subito dopo la morte di mia madre e ci sono dentro anche i nostri ultimi incontri. In questo momento sono solo nella mia casa, sto registrando queste stesse parole lontano da dove voi vi trovate adesso e le state ascoltando, eppure la mia voce si sentirà a ogni replica, in punti sempre diversi dello spazio e del tempo. Si sentirà anche dopo che sarò morto, se qualcuno continuerà a mettere in scena questo dramma. Fino a quando, non so. Fino a quando il siparista non chiuderà il sipario una volta per tutte.
Ecco, volevo dirvi solo questo.
Ho finito.