29.

– La foto è stata scattata verso la metà degli anni settanta, impossibile essere più precisi con quello che abbiamo in mano. I due ragazzi accucciati sono Clara Pontremoli e il fratello Gregorio, tre anni più grande di lei. Il terzo ragazzino, quello più piccolo, non lo so. Potrebbe essere il figlio della terza coppia, che non sono riuscita a individuare. Le altre due coppie sono Luda e la moglie, quelli al centro, e i genitori di Gregorio e Clara Pontremoli, a sinistra. Per i Luda è stato più difficile, ma alla fine sono saltate fuori alcune vecchie foto sulla stampa locale: inaugurazioni, raduni di associazioni, una cena di beneficenza. Per i Pontremoli le foto non mancavano: i giornali hanno pubblicato la notizia del suicidio della madre, dell’incidente in Grecia del figlio e dell’infarto del padre.

Silenzio, ticchettio sulla tastiera, musica di sottofondo. Non propriamente musica, pensò Corso.

– Il padre, Bartolomeo Pontremoli, è sempre stato nel campo immobiliare: una società a suo nome prima e consulenze poi. Grossi investimenti, ha fatto i soldi nell’ampliamento di Torino tra i sessanta e i settanta, ma era già ricco di famiglia. Amico di tutti: preti, democristiani, comunisti, ma senza tessere. Niente di sporco nel suo curriculum professionale e personale. È stato socio e finanziatore di due librerie, una antiquaria, in centro, l’altra scientifica. Un po’ di beneficenza. Nel comitato di alcuni circoli culturali. Nel suo coccodrillo lo citano come “uno dei primi a introdurre a Torino negli anni sessanta l’arte moderna e contemporanea giapponese in seguito ai numerosi viaggi in Oriente”. Probabile che con Luda si siano conosciuti così, perché gli studi erano diversi: Luda ha fatto Legge, mentre Pontremoli si è laureato in Economia nel... subito dopo la guerra. La moglie invece... – ticchettio sulla tastiera – si chiamava Gallizio Beatrice. Si sono sposati nel ’52, lei aveva una decina d’anni meno, di buona famiglia, diploma magistrale, iscritta all’università che poi non ha terminato. Nel ’54 hanno avuto il figlio Gregorio e nel ’57 Clara. Non ha mai lavorato. Dopo il rapimento della figlia non si è più ripresa: depressione, psicofarmaci, un ricovero, qualche settimana al repartino, poi il tuffo dal balcone. Secondo piano, ma è bastato. Pare esista un rapporto cartaceo di chiamata e sopralluogo dei carabinieri, finita lì, non è mai stato informatizzato. Tu eri sul caso allora, no? Non l’hai saputo?

– L’ho saputo.

– Due anni più tardi ci ha lasciato le penne il figlio Gregorio. Incidente d’auto in Grecia dove era in viaggio di studio, carriera accademica, ellenista. Un camion ha allargato la curva e lui è volato giù dalla strada senza parapetto. Auto che si schianta sugli scogli, fine della storia. C’è la notizia sui giornali. Qualche foto. Una faccia da cazzo. Pare che il padre l’abbia sepolto nel cimitero di una piccola isola greca perché potesse avere “il mare di fronte e le sue amate vestigia archeo­logiche alle spalle”.

Silenzio, qualcosa versato nel bicchiere, effervescenza, deglutizione, ancora musica non musica.

– Sui Luda, invece, a parte quello che ti ho detto l’altro giorno e la notizia della morte della moglie nell’87 “dopo lunga malattia, accudita amorevolmente dal marito”, non c’è un cazzo. I due non hanno figli. Per l’altra coppia, senza un nome, non posso fare niente. E nemmeno per il terzo ragazzino. Quindi direi che siamo al punto di partenza, cioè nella merda.

Corso staccò la schiena dal muro contro cui aveva ascoltato l’intera telefonata e si appoggiò al davanzale. Dalla finestra entrava l’aria mobile e fresca della notte. In lontananza i bagliori di un temporale. La musica che veniva dalla cornetta erano canti gregoriani.

– Hai fatto un buon lavoro – disse. – Adesso almeno siamo certi che i Potremoli e i Luda si conoscevano.

– Non significa niente, no, hai detto? E poi di questa storia non me ne frega un cazzo, quindi evita di leccarmi il culo. Faccio quello che dici solo perché il capo è amico tuo.

Corso mosse la testa a destra, a sinistra, all’indietro, per sciogliere il collo, poi guardò il tavolo ancora apparecchiato su cui giaceva il fascicolo di Autunnale. Prima che il telefono squillasse aveva riesaminato tutte le deposizioni, i rapporti della Scientifica e le foto del capanno in cui era stata ritrovata la Pontremoli. Era lei la chiave: la donna con cui tutto aveva avuto inizio, la sola che Autunnale aveva lasciato in vita, quella a cui il capello nella busta gli stava dicendo di tornare.

Ma che relazione c’era stata tra loro? Amanti?

Nessuna delle persone vicine a Clara Pontremoli aveva parlato di un flirt o anche solo di una possibile simpatia della ragazza per qualcuno. Niente nuove conoscenze, niente lettere, telefonate, ore vuote, bugie: dall’inchiesta risultava che la vita sentimentale di Clara si limitava al fidanzato, che durante i giorni del rapimento era stato tenuto sotto stretta sorveglianza e non avrebbe mai potuto raggiungere il capanno senza essere scoperto.

E Luda? Che parcheggia davanti al Cottolengo negli stessi giorni in cui Autunnale va a far visita alla Pontremoli. Che conosce Clara da quando è ragazzina perché è un caro amico del padre e come lui appassionato di arte orientale. Luda che però è troppo vecchio per essere Autunnale.

Corso si avvicinò al tavolo, guardò la foto dell’interno del capanno, il pavimento coperto di foglie.

– Sei morto? – uscì dalla cornetta. – Allora, che cazzo facciamo?

Corso prese un pezzo di formaggio dal piatto, lo mise in bocca e masticò molto lentamente.

– Facciamo alla vecchia maniera – disse.

– Cioè?

– Andiamo da una puttana.