Il cavallo era nervoso, forse non aveva nessuna voglia di rientrare, ma l’uomo lo conduceva verso i box senza badare agli strattoni che l’animale dava alla cavezza, come se ne conoscesse a fondo la natura capricciosa e avesse imparato che trascurarla era la maniera migliore per averci a che fare. Tuttavia, quando vide Jean-Claude Monticelli, si fermò per dargli il tempo di scostarsi dall’ingresso del capanno.
– Buongiorno, Etienne – disse Jean-Claude, cedendogli il passo.
– Buongiorno, Jean-Claude.
Quando il cavallo fu sistemato e i due uomini si trovarono uno di fronte all’altro davanti all’apertura da cui l’animale sporgeva la testa, Monticelli contò le coccarde affisse al cancello del box.
– Altre due?
– Sì, un primo a Basilea e un secondo a Strasburgo. Ma sono gli ultimi, comincia a essere vecchietto per saltare. Quello che lo salva è il pessimo carattere, come salva noi, del resto.
Risero.
– Sbrighiamo la faccenda? – disse Etienne.
– Sbrighiamola.
Gli spogliatoi erano eleganti, niente a che fare con l’aspetto rustico che un maneggio deve mantenere all’esterno: pavimento in pietra italiana, armadietti a combinazione elettronica, docce, bagno turco, sauna di fieno, ampi specchi, creme per il corpo, lozioni per i capelli, kit per le unghie.
Jean-Claude aspettò che Etienne terminasse la doccia, seduto su una delle panche. Lesse un paio di messaggi sul cellulare. Uno era di lavoro, l’altro di Clémentine e terminava con una di quelle faccine che lei sapeva lo infastidivano. Una faccina con la lingua di fuori, infatti. Trascurò quello di lavoro e rispose a Clémentine. Un messaggio che diceva mancanza, bene e anche qualcosa che poteva farla ridere.
Poco dopo Etienne entrò nella stanza sfregandosi i capelli con un asciugamano, un secondo asciugamano legato in vita. Aveva un corpo atletico ma non costruito, spalle tornite ma senza sproporzioni. Scostò gli stivali che aveva abbandonato davanti all’armadietto, insieme ai pantaloni da equitazione, e aprì l’anta. Sedette a cavalcioni della panca e porse a Jean-Claude i documenti.
– Me lo chiedi subito?
– Ok – disse Etienne, pettinandosi i capelli indietro con le dita. – Sei sicuro di quello che fai?
– Molto.
– Sei in possesso di tutte le tue facoltà?
– Perfettamente.
– Qualcuno ti costringe a fare quello che stai per fare?
– Questa è una domanda professionale?
– No, e ne ho anche un’altra. Chi diavolo è questa donna? Clémentine sa che esiste?
Monticelli sorrise.
– Va tutto bene, Etienne. Siamo tutti d’accordo.
L’uomo, che faceva il notaio da diciotto anni ma che da ragazzo avrebbe voluto specializzarsi in veterinaria per grossi animali, guardò i documenti.
– In questo caso – disse indicando a Jean-Claude il primo posto dove firmare.
Non durò molto, forse cinque minuti. Tra una firma e l’altra, mentre Etienne gli illustrava ciò che stava siglando, Jean-Claude guardò fuori dalla finestra, dov’erano i paddock dei cavalli da corsa. Non aveva mai amato i cavalli. Non gli piacevano i loro occhi pieni di paura, né la natura di predati che li faceva fremere a ogni sussurro. Aveva sempre pensato che l’uomo dovesse aver avuto ben poche alternative per sceglierli come mezzo da guerra e da trasporto.
– Ecco fatto! – disse Etienne, quando anche l’ultima firma fu apposta. Poi, mentre Jean-Claude cancellava qualcosa sull’agenda, riordinò il plico dei documenti.
– Complimenti, – gli tese quindi la mano – da oggi non sei più padrone.