Due ore dopo ordinava carne cruda e mezzo litro di vino nel ristorante sulla strada di casa. A piatto vuoto, si scoprì un appetito che non pensava, e chiese del riso con i funghi.
Mentre lui, due operai, una coppia e un camionista mangiavano, la proprietaria metteva in ordine le bolle dei fornitori. Corso studiò le braccia della donna, un po’ stanche. Il grembiule. I capelli raccolti. I seni ancora tesi, anche se bassi, e altri segni che il tempo aveva depositato su di lei.
Era stata la prima donna con cui aveva fatto l’amore, trentacinque anni prima.
Di quella sera ricordava il fruscio dei pantaloni nell’erba e la musica lontana della festa del paese. Lei aveva una camicetta quasi londinese e lavorava in una ditta di pasta e scatolame. Lui era al secondo anno di università e non aveva detto a nessuno di aver preso i moduli per la polizia. A lei non piacevano le divise, dunque andava bene.
Si studiavano da qualche settimana: curiosità di sapere com’erano sotto i vestiti. Era durata l’estate. Quando si erano rivisti in autunno davanti a un cinema, lui in divisa e lei con l’uomo che adesso era nella cucina del ristorante, si erano dati del lei.
Corso andò al banco, pagò e salutò con un ciao che col tempo avevano riconquistato.
Il cielo fuori era grigio e pieno di insenature. Sarebbe piovuto. Nell’angolo della piazza c’era un telefono.
Corso lo raggiunse, mise due monete e fece il numero.
Aspettò.
– Elena?