BRIANNA
Castello di Fionn, territorio di lord MacQuinn
La visita di una tessitrice era l’ultima cosa che mi sarei aspettata, quella sera. Durante il giorno ero riuscita a raccogliere qualche accusa fra le soldatesse che avevano combattuto al mio fianco durante l’assalto al castello, ma dopo aver sentito le chiacchiere su di me alla manifattura, avevo deciso di non avvicinare nessun’altra donna. Avevo quindi trascorso il pomeriggio cercando di rendermi utile ed evitando di fare il confronto fra la mia scarna lista di accuse e il ben più corposo elenco raccolto da Luc.
Dopo cena fui quindi lieta di potermi ritirare nella tranquillità della mia stanza. Sedetti accanto al camino con un caldo paio di calze di lana lungo fino alle ginocchia e due lettere fra le mani. Una era di Merei, l’altra era del mio fratellastro Sean, che avrei dovuto convincere ad allearsi con Isolde Kavanagh. Erano arrivate entrambe nel pomeriggio, cogliendomi di sorpresa: quella di Merei perché doveva averla scritta il giorno dopo aver lasciato la Maevania, e quella di Sean perché era del tutto inaspettata. La questione della fedeltà degli Allenach era ormai un pensiero fisso per me, e non avevo ancora trovato il modo di affrontarla. Perciò, come mai Sean aveva deciso di scrivermi di sua iniziativa?
9 ottobre 1566
Brianna,
desidero innanzitutto scusarmi per questa lettera che vi giunge a così breve distanza dalla battaglia, poiché so che in questo momento tutte le vostre energie sono impegnate nel prendere confidenza con la nuova casa e con la nuova famiglia. Tuttavia, non potevo aspettare oltre per ringraziarvi di essermi stata vicina quando ero ferito, per avermi confortato senza curarvi di ciò che gli altri avrebbero pensato di voi. Il vostro coraggio nell’affrontare nostro padre è stato per me un luminoso esempio, che mi ha ispirato l’urgenza di impegnarmi per riscattare il casato degli Allenach. Sono convinto che tra noi ci siano tante brave persone, ma mi sento perduto quando penso a come poter sradicare il male e la corruzione che il nostro casato ha coperto e fomentato per decenni. Non credo di poter fare tutto questo da solo, e vorrei chiedervi se sareste disponibile ad aiutarmi, per il momento anche solo per iscritto, suggerendomi qualche idea su come dovrei comportarmi per porre rimedio ai danni fatti da questo casato…
D’un tratto qualcuno bussò con tocco leggero alla mia porta. Sorpresa, ripiegai velocemente la lettera di Sean e la nascosi tra le pagine di un libro.
Gli Allenach, nella persona del mio fratellastro, non sarebbero dunque stati difficili da convincere. Misi da parte il momentaneo sollievo e andai ad aprire.
«Maestra Brianna?» sussurrò la ragazza davanti a me, di cui riconobbi subito la voce dolce e melodiosa. Era stata lei a dire che ero carina mentre origliavo le tessitrici alla manifattura.
«Sì?»
«Posso entrare?» chiese, guardando furtivamente in corridoio, come se temesse di essere scoperta.
Feci un passo indietro e la lasciai passare, poi le richiusi la porta alle spalle. Dopodiché la invitai a sedersi con me vicino al caminetto, e ci ritrovammo un po’ imbarazzate l’una accanto all’altra.
La ragazza prese a stropicciarsi nervosamente le mani, la bocca contratta in una smorfia mentre fissava il bagliore delle fiamme. Cercai di non fissarla a mia volta, ma notai che aveva una figura sottile e spigolosa, i capelli biondi e sottili, il viso punteggiato dalle cicatrici bianche del vaiolo.
Un attimo prima che io prendessi la parola, la ragazza alzò lo sguardo verso di me e disse: «Devo assolutamente farvi le mie scuse per ciò che avete sentito oggi alla manifattura. Vi ho vista dalla finestra mentre uscivate di corsa. E mi sono sentita morire all’idea che eravate venuta da noi e ci avete sentite parlare in quel modo».
«Veramente, forse dovrei essere io a scusarmi» replicai. «Avrei dovuto annunciarmi, e invece sono rimasta sulla porta senza farmi sentire.»
La ragazza scosse la testa. «No, mia signora. Le nostre parole sono state imperdonabili.»
È stata l’unica a parlare bene di me, eppure proprio lei si è presentata qui a scusarsi, riflettei.
«Posso chiedervi come mai oggi siete venuta da noi?» domandò la giovane.
Dopo un attimo di esitazione, risposi: «Sì, certo. Lord MacQuinn mi ha chiesto di aiutarlo a raccogliere le accuse della sua gente contro i Lannon per portarle al processo, la prossima settimana».
«Ah.» Sembrò sorpresa, e prese a giocherellare con una ciocca di capelli, immersa per qualche secondo nei pensieri. «Io ho sedici anni, perciò Allenach è il solo lord che io abbia mai conosciuto. Ma le altre donne… loro ricordano bene come si stava prima che lord MacQuinn fuggisse. E gran parte delle accuse sarebbero contro lord Allenach, e non contro i Lannon.»
Guardai il fuoco, nel misero tentativo di nascondere quanto la conversazione mi risultasse penosa.
«Però voi non siete la figlia di Allenach» proseguì la giovane, inducendomi a guardarla negli occhi. «Voi siete la figlia di Davin MacQuinn. Io penso a voi soltanto in questo modo.»
«Sono felice di sentirvelo dire» replicai, la voce stretta in gola, «anche se so che per le altre persone è difficile vedermi così.»
Di nuovo, mi sentii assalire dal vile desiderio di fuggire, di lasciare quel posto, attraversare il canale e rifugiarmi in Valenia, dove nessuno sapeva chi fosse mio padre. Avrei anche rinunciato al mio proposito di aprire una Casa di Sapienza lì in Maevania: un altro posto sarebbe andato ugualmente bene.
«Mi chiamo Neeve» disse la ragazza dopo qualche secondo, con un sorriso luminoso e amichevole.
Sentii gli occhi inumidirsi di lacrime. «Sono molto felice di conoscervi, Neeve.»
«Non ho nessuna accusa da muovere contro i Lannon» precisò subito, «ma vorrei chiedervi se per caso potreste aiutarmi a scrivere i miei ricordi degli anni bui, in modo che un giorno mia figlia possa leggerli. Voglio che conosca la storia di questo paese, e come si viveva prima che la regina tornasse sul trono.»
Sorrisi. «Mi farebbe molto piacere aiutarvi, Neeve.» Subito mi alzai per andare a prendere l’occorrente per scrivere. E dopo aver avvicinato lo scrittoio al fuoco, le domandai: «Da che cosa volete cominciare?».
«Credo sia meglio iniziare dal principio. Mi chiamo Neeve MacQuinn. Sono nata da Lara, tessitrice, e Ian, mastro bottaio, nella primavera del 1550, un anno di violenze e patimenti…»
Iniziai a trascrivere le sue parole, una dopo l’altra, fermando i ricordi sulla carta con inchiostro e pennino. Mi lasciai trasportare dai suoi racconti, curiosa di conoscere come fosse realmente la vita durante “gli anni bui”, come la gente del luogo usava definire il periodo in cui Jourdain era mancato. Al dolore che provavo nell’udire il racconto di quelle tristi vicende ben presto si unì anche il sollievo di sapere che Neeve non aveva subìto nessuna angheria, né da parte di Allenach né dai suoi sgherri. Al contrario, il lord non aveva mai alzato lo sguardo su di lei e neppure le aveva mai rivolto la parola, mentre si era accanito con le donne e gli uomini adulti, piegati e sottomessi con le peggiori punizioni finché non dimostravano di aver dimenticato Davin MacQuinn.
«Credo che per il momento sia sufficiente» disse Neeve, concludendo il suo racconto. «Avete scritto molto e non vorrei stancarvi.»
In effetti, avevo i crampi alla mano e mi doleva il collo per essere stata curva sul tavolino così a lungo: Neeve aveva parlato ininterrottamente per più di un’ora, e io avevo scritto almeno una ventina di pagine. Posai la penna e mi sgranchii le dita. Dopodiché, senza pensare, domandai: «Neeve, vi piacerebbe imparare a leggere e scrivere?».
Lei sbatté le palpebre, stupita dalla mia proposta. «Ma… non credo riuscirei mai a trovare il tempo per farlo, mia signora.»
«Potremmo organizzarci per trovarlo.»
La ragazza sorrise, e sembrò che dentro di lei si fosse accesa una fiamma. «Allora sì, certo. Lo vorrei tanto. Solo che…» Di colpo cambiò espressione. «Potremmo tenere la cosa segreta? Almeno per il momento?»
Non posso negare che la sua richiesta mi intristì perché capii che Neeve non voleva far sapere alle altre del nostro tempo insieme. Ma subito ricordai a me stessa che se volevo conquistare i MacQuinn, dovevo avere pazienza e dar loro il tempo di imparare a fidarsi di me. Perciò sorrisi, riordinai i fogli e li consegnai alla ragazza. «Perché non iniziamo domani sera, dopo cena? E comunque, sì: possiamo mantenere il segreto.»
Neeve annuì. E, avute le pagine, abbassò lo sguardo sulle parole che avevo tracciato e sgranò gli occhi per l’ammirazione mentre seguiva i tratti di penna con la punta delle dita.
Io la osservai, e intanto ripensai a quanto avevo udito di nascosto quella mattina. “Dev’essere mezza valeniana” aveva detto una delle tessitrici. Per loro ero una forestiera oppure una Allenach, e temevo che per quanto potessi sforzarmi di dimostrare la mia lealtà al nuovo casato, i MacQuinn non mi avrebbero mai accettata.
E poi mi venne un’idea. «Neeve, forse anche tu puoi insegnarmi qualcosa.»
Lei mi guardò sbalordita. «Eh?»
«Ma sì. Vorrei conoscere tutto ciò che sai sui MacQuinn. La storia, le persone, le tradizioni.»
Voglio diventare una di voi, mi sembrava di supplicare. Insegnami come devo fare.
In realtà, avevo già studiato la storia ufficiale del mio nuovo clan, grazie agli insegnamenti di Cartier a Magnalia. Sapevo tutto ciò che si poteva trovare nei libri vecchi e polverosi delle biblioteche. I MacQuinn avevano ricevuto la nomina di Tenaci e lo stemma con il falcone, i loro colori erano il viola e l’oro, la loro gente era conosciuta in tutto il dominio per l’eccellente qualità dei tessuti. Ciò che invece non conoscevo era la storia delle persone, le loro abitudini, i loro usi e costumi. Come corteggiavano i MacQuinn? Com’erano i loro matrimoni? E i loro funerali? Che genere di cibo si metteva in tavola per festeggiare i compleanni? Erano superstiziosi? Quali erano le regole di comportamento del casato?
«Non sono sicura di essere la persona giusta per insegnarvi queste cose» rispose Neeve, anche se era evidente che la mia domanda l’aveva molto lusingata.
«Perché non inizi a parlarmi dell’usanza dei MacQuinn che preferisci?» suggerii.
Neeve si fece silenziosa, ma dopo qualche istante mi guardò con un ampio sorriso.
«Sapevate che se decidiamo di sposare qualcuno che non appartiene al nostro clan, dobbiamo sceglierlo con un filo?»
Bastò questo a incuriosirmi. «Un filo?»
«O forse sarebbe meglio dire che il filo sceglie per noi» precisò Neeve. «È una specie di prova, per capire se una persona di un casato diverso è alla nostra altezza.»
Mi accomodai meglio sulla sedia, in attesa di altre informazioni.
«È un’usanza nata molto tempo fa» iniziò a spiegare la giovane. «Non so se conoscete i nostri arazzi…»
«Ho sentito dire che i MacQuinn sono famosi per essere i migliori tessitori di Maevania.»
«Giusto. E così un bel giorno iniziammo a nascondere un filo d’oro nella trama dei nostri arazzi. Un bravo artigiano è in grado di confondere perfettamente il filo all’interno del disegno in modo che sia quasi impossibile distinguerlo dal resto.»
«Quindi tutti gli arazzi dei MacQuinn contengono un filo d’oro?» domandai, ancora piuttosto confusa riguardo il nesso fra quel filo e la scelta del futuro sposo.
Di nuovo, Neeve sorrise. «Sì. Ed è proprio così che la tradizione ha avuto inizio. Il primo lord MacQuinn aveva una sola figlia femmina, e l’amava a tal punto da essere convinto che nessun pretendente, dei MacQuinn o di un altro casato, sarebbe mai stato degno di lei. Così chiese ai suoi tessitori di nascondere un filo d’oro nella trama di un arazzo a cui stavano lavorando, sapendo che solo l’uomo più determinato e paziente sarebbe stato in grado di trovarlo. Quando la figlia del lord raggiunse l’età da marito, diversi candidati iniziarono a presentarsi per chiedere la sua mano. E ogni volta il lord faceva portare l’arazzo nel salone e la figlia sfidava l’uomo a trovare il filo d’oro nascosto nella trama. Ma nessuno riusciva mai nell’impresa. Finché non arrivò il ventesimo pretendente. Appena il lord lo vide, pensò che non sarebbe durato neanche un’ora, invece lui iniziò a studiare l’arazzo, e dopo un’ora ne passò un’altra, e poi un’altra ancora, finché la sera si fece alba. E quando le prime luci del mattino illuminarono il salone, il giovane finalmente estrasse il filo dalla trama. E anche se apparteneva al casato dei Burke, il lord sentenziò che si trattava di un uomo più che degno, e se la figlia lo avesse accettato come sposo, lui avrebbe dato il suo consenso.»
«E la figlia lo accettò?»
«Certamente. Ed ecco perché a partire da quel momento i MacQuinn sono molto cauti quando devono sfidare i Burke in una competizione, sapendo quanto sono ostinati.»
Scoppiai a ridere e Neeve fece altrettanto, finché non ci ritrovammo entrambe chine davanti al fuoco con le lacrime agli occhi. Non riuscivo a ricordare l’ultima volta in cui mi ero sentita così leggera, così libera, e per un attimo ebbi la sensazione che il mio spirito si librasse nell’aria.
«Mi piace molto questa usanza» dissi infine.
«Anche a me. E poi potrebbe tornare utile anche a voi, se mai doveste decidere di scegliere un compagno di un altro casato» suggerì Neeve. «A meno che… il bellissimo lord Morgane non sia già il vostro promesso.»
Non riuscii a trattenere un sorriso, e sentii le guance avvampare. Neeve doveva aver notato qualcosa durante la cena, quando Cartier era venuto a sedersi accanto a me. E con un’occhiata eloquente mi sollecitò a rispondere.
«Lord Morgane è un caro amico» mi trovai a dire. «In Valenia era il mio maestro.»
«Quando studiavate le passioni?» domandò Neeve. «Ma che cosa sono, esattamente, queste passioni?»
Iniziai a spiegarglielo, temendo che lei trovasse lo studio un’attività frivola. Neeve però sembrava molto interessata, almeno quanto io lo ero stata delle usanze che lei mi aveva descritto. E avrei potuto continuare a chiacchierare con lei tutta la notte, se solo non avessimo sentito alcune voci provenire dal salone. Quel suono sembrò metterla a disagio, forse perché le aveva ricordato che era entrata in camera mia di nascosto e che eravamo insieme ormai da più di due ore.
«Adesso è meglio che vada» disse Neeve, alzandosi e stringendo i fogli contro il petto, «prima che qualcuno noti la mia assenza.»
Mi alzai anch’io, e mi accorsi che eravamo più o meno alte uguali.
«Grazie, mia signora, per aver scritto tutto questo per me» mi sussurrò con gratitudine.
«È stato un piacere, Neeve. Ci rivediamo domani sera, d’accordo?»
Lei annuì e uscì silenziosamente in corridoio, dove si confuse con le ombre della sera.
Ero sfinita, eppure la mia mente era vigile più che mai, stimolata da tutto ciò che era successo quel giorno, e dai racconti di Neeve. Sapevo che se anche fossi andata a dormire non sarei riuscita a chiudere occhio, perciò gettai nel fuoco un altro ciocco e mi sedetti di nuovo allo scrittoio, dove mi aspettavano carta, penna e calamaio. Ripresi la lettera di Merei e la aprii con delicatezza, rompendo il sigillo di ceralacca su cui era impressa la sagoma di una nota.
Carissima Bri,
sì, lo so che sarai sorpresa di ricevere mie notizie tanto presto. Ma… forse qualcuno non aveva detto che mi avrebbe scritto “ogni ora di ogni giorno”? (Sappi che sto ancora aspettando la montagna di lettere che mi avevi promesso!)
In questo momento sono seduta al tavolo di una vecchia e umida taverna nella città di Isotta, appena fuori dal porto, immersa in un terribile tanfo di pesce misto a dozzinale colonia maschile. Se avvicini il naso al foglio è possibile che tu riesca a sentirne l’odoraccio, tanto è forte. C’è anche un gatto senza un occhio che continua a fissarmi, sperando di poter leccare dal piatto i resti della mia cena. Nonostante il caos che mi circonda, però, ho un po’ di tempo libero prima di unirmi al mio ensemble musicale, e così ho deciso di scriverti.
Sono appena sbarcata dalla nave, ed è ancora difficile credere di averti lasciata in Maevania come figlia di un lord solo un giorno fa, e che la rivoluzione in cui mi avete coinvolto tu e Cartier sia riuscita a darti tutto ciò che speravi. Ah, Bri, se solo avessimo potuto immaginare che cosa ci avrebbe riservato il futuro, quella sera di giugno, durante il solstizio, quando tutt’e due avevamo come unica preoccupazione quella di non appassionarci! E come sembra lontano, adesso, quel momento. Confesso che mi piacerebbe tanto poter tornare a Magnalia insieme a te, anche solo per un giorno.
Tralasciando i ricordi, anch’io ho qualche piccola notizia che forse troverai interessante. Tu sai, vero, che le taverne attirano ogni genere di persona? Ebbene, ho appena sentito un paio di avventori parlare della rivoluzione in Maevania, della regina Isolde e dei Lannon, imprigionati in attesa del processo. (Inutile dire che ho dovuto fare appello a tutto il mio autocontrollo per non intervenire e continuare a sorseggiare il mio calice di vino.) In molti qui pensano che sia un’ottima cosa che una regina si sia ripresa il trono del Nord, ma ci sono anche persone che la pensano diversamente. Temo che il loro malcontento potrebbe diffondersi in tutta la Valenia, e magari qualcuno potrebbe addirittura spingersi a fomentare una rivolta contro re Philippe. I valeniani, in ogni caso, sono persone molto curiose e credo che nelle prossime settimane cercheranno di tenersi informati su come evolve la situazione in Maevania e su come si metteranno le cose per i Lannon. Ne ho sentite di tutti i colori: c’è chi auspica la decapitazione, chi la tortura, altri perfino di farli camminare sul fuoco in modo che brucino lentamente. Immagino che sarai tu a raccontarmi cosa accadrà davvero, e io ti terrò informata su tutti i pettegolezzi e le chiacchiere che si faranno qui nel regno del Sud, anche se tutto questo mi farà sentire ancora di più la tua mancanza. Bene. È arrivato il momento di concludere. Non prima però di averti fatto tre domande fondamentali (e ti consiglio vivamente di rispondere a tutte e tre!).
Primo, com’è il tuo mantello?
Secondo, come bacia Cartier?
Terzo, quando verrai a trovarmi in Valenia?
Scrivimi presto!
Ti stringo forte,
Merei
P.S.: Quasi dimenticavo. La musica che trovi allegata a questa lettera è per tuo fratello. Mi aveva chiesto di mandargliela. Puoi darla a Luc da parte mia, per favore, insieme ai miei saluti?
M.
Lo scritto di Merei mi aveva messo di ottimo umore, e lo rilessi una seconda volta. Poi ripresi la lettera per la mia amica che avevo iniziato quella mattina e la riscrissi daccapo. Domandai a Merei del suo gruppo musicale, della loro prossima destinazione, e a quali feste e per quali persone avrebbero suonato. Risposi alle sue tre domande “fondamentali” con tutta la grazia di cui ero capace – Il mio mantello è meraviglioso, Cartier ci ha fatto ricamare la costellazione di Aviana; spero con tutta me stessa di poter tornare in Valenia nei prossimi mesi, quando qui le cose si saranno finalmente sistemate (e fai in modo che si possa dormire insieme, ovunque sarai); Cartier bacia fantasticamente bene – dopodiché le raccontai delle chiacchiere su di me, di come trovassi ancora difficile adattarmi al nuovo paese, di come lei e la Valenia mi mancassero più di quanto potessi sopportare. Scrissi di getto tutto ciò che mi preoccupava, senza avere il tempo di moderarmi, proprio come se la mia amica fosse lì, seduta insieme a me accanto al fuoco.
In fondo, sapevo già che cosa mi avrebbe detto: “Tu sei una figlia di Maevania, Brianna. Sei fatta di stelle, di acciaio e di antiche canzoni”.
Smisi di scrivere e fissai le mie parole finché non si confusero sotto i miei occhi stanchi. In quel momento mi sembrò di sentire la musica di Merei, come se lei stesse suonando nel salone, o come se fossimo ancora a Magnalia. Socchiusi gli occhi, ancora una volta consumata dalla nostalgia di casa, finché non udii il crepitio del fuoco, il fischio del vento fuori dalle finestre, il suono delle risate che arrivava dal corridoio, e pensai: La mia casa è qui. Qui c’è la mia famiglia. E, un giorno, questo sarà il mio posto. Un giorno mi sentirò una figlia dei MacQuinn.