CARTIER
Tre giorni al processo
Castello reale di Lyonesse, territorio di lord Burke
Tomas era il figlio di Declan. Avevo tenuto il figlio di Declan sotto il mio tetto. Avevo ospitato un Lannon a casa mia, sia pure senza saperlo.
Quando Grainne mi aveva rivelato chi fosse realmente il ragazzino, mi ero alzato di scatto dal tavolo per richiamarlo indietro, anche se ancora non avevo le idee chiare sul da farsi. Ma Tomas, che il realtà si chiamava Ewan, era schizzato via come una saetta, scomparendo nei meandri del castello. Avevo avuto la tentazione di mettere a soqquadro ogni stanza, ogni recesso, pur di scovarlo, pur di potergli parlare, finché non avevo capito che stavo replicando ciò che io stesso avevo subìto, come se la mia dimora fosse sotto un incantesimo e anch’io ne fossi rimasto intrappolato.
“Dove sei, Ewan?”
Così lo avevo lasciato ai suoi nascondigli, ed ero andato da Aileen. Chissà se lei lo aveva riconosciuto. Se sapeva che il mio messaggero era il figlio di Declan. E che il figlio di Declan si era affezionato a me.
“Aileen, per favore, potete occuparvi di Tomas mentre io sono via?” le avevo chiesto, fingendomi tranquillo.
“Ma certo, lord Aodhan. Farò in modo che stia bene. Non preoccupatevi per lui.”
Difficile non preoccuparsi in quella situazione. Stavo proteggendo il figlio del mio nemico. Mi stavo affezionando a lui, convinto che fosse uno dei miei, un piccolo orfano Morgane che aveva bisogno di me. Lo avevo lasciato dormire nella mia stanza, mangiare alla mia tavola, gli avevo permesso di seguirmi ovunque come un’ombra. Iniziavo perfino a volergli bene, quando avrebbe dovuto essere in catene con il resto della sua famiglia, rinchiuso nelle segrete del castello reale.
Che situazione.
No, Aileen non poteva sapere chi fosse Ewan. Ne ero certo. E credo che nessuno della mia gente lo avesse riconosciuto, più che altro perché i Morgane erano rimasti sotto il controllo di lord Burke e non frequentavano il castello reale, dove sicuramente avrebbero quanto meno intravisto il nipote del re.
Grainne Dermott invece lo aveva riconosciuto subito, e adesso aveva una terribile arma di ricatto nei miei confronti, che avrebbe potuto usare per schiacciarmi al momento opportuno.
Dopo la sconvolgente rivelazione mi ero ritirato nel mio studio per ritrovare la calma. Nel tetto c’era ancora un grande buco. Mi ero sdraiato sul pavimento e vi ero restato il più a lungo possibile, a riordinare le idee. L’onore mi obbligava a proteggere un bambino che si era rivolto a me in cerca di aiuto, e al quale avevo promesso la mia protezione, ma al tempo stesso sentivo il dovere di consegnare Ewan, di portarlo nelle segrete con il resto dei suoi parenti in modo che potesse essere processato insieme a loro.
Che cosa avrei dovuto fare?
Soppesai le diverse alternative, considerando se fosse effettivamente il caso di portarlo a Lyonesse, come lui chiedeva con tanta insistenza, per poi metterlo nelle mani di Isolde dicendo: Eccolo, il principe dei Lannon che mancava all’appello e di cui nessuno parla. Mettilo in catene insieme a suo padre.
Questo era ciò che avrei dovuto fare. Ciò che un lord dei Morgane avrebbe dovuto fare.
Io però non ci riuscivo.
Se non lo trovi, non puoi portarlo da nessuna parte.
Avevo convocato i Dermott nel mio studio. E pazienza se non c’erano ancora sedie su cui sedersi, se non c’era un fuoco scoppiettante nel camino e se alzando gli occhi si poteva vedere il cielo.
Grainne aveva notato subito lo stato di abbandono della stanza, ma si era astenuta dal commentare, e non aveva neppure accennato a Ewan. Era rimasta accanto al marito e si era limitata a fissarmi, in attesa delle mie parole.
«Non sapevo che fosse lui» mi ero affrettato a dire, la voce sofferente.
«L’ho capito, lord Aodhan.» Sulle prime avevo pensato che volesse deridermi, ma poi l’avevo guardata meglio e nei suoi occhi avevo visto una luce di sincera compassione. «Rowan e io non parleremo di lui. Faremo finta di non averlo mai visto, se credete che questa sia la cosa migliore per il vostro casato.»
Desideravo crederle con tutto me stesso, però sapevo bene che avrebbe potuto rivelare il mio terribile segreto in un secondo momento, quando le sarebbe stato più conveniente.
«Come posso fidarmi di voi?» avevo domandato a fatica, consapevole che il tempo stava passando e che avremmo già dovuto essere partiti da un pezzo per incontrare i MacQuinn.
«Di questi tempi è difficile fidarsi gli uni degli altri» aveva ribattuto. «Dovrete accontentarvi della mia parola.»
Non era la risposta che avrei desiderato sentire. Tuttavia avevo ripensato alla nostra conversazione della sera prima, a come lady Grainne avesse lasciato cadere le mie supposizioni riguardo al fatto che i Dermott avessero qualche traccia di magia. Era solo una sensazione, però era tutto ciò che avevo per bilanciare ciò che loro avevano scoperto di me.
Anche Grainne lo sapeva. E avevo capito dall’insolita rigidità della sua postura che sembrava sfidarmi a non riparlare della questione.
Era stata una lunga giornata di viaggio.
Nel tardo pomeriggio il tempo si era messo al brutto e prima di arrivare a Lyonesse fummo sorpresi da un terribile temporale sopraggiunto da ovest, che ci costrinse a cavalcare verso il castello reale completamente zuppi, percorrendo la strada principale trasformata in una sorta di acquitrino dalla pioggia e dal fango.
Mentre superavamo la cancellata del castello, e andavamo a fermarci nel cortile reale, posai lo sguardo su Brianna. Il suo mantello di passione era macchiato di fango, le lunghe trecce castane gocciolavano per la pioggia, eppure lei sorrideva, e rideva, insieme a Grainne.
Isolde ci aspettava sotto l’arcata del cortile, incurante del brutto tempo. Indossava un semplice abito verde, chiuso in vita da un’alta cintura argentata. Al collo portava la Pietra di Eventide, luminosa nonostante il cielo cupo di tempesta, e i capelli fulvi erano acconciati all’indietro, in tante piccole treccine. La osservai sorridere, mentre stringeva la mano a Grainne e a Rowan come una persona qualsiasi, e non come una regina prossima a salire sul trono. C’erano in lei una modestia e un mistero che mi fecero ripensare a com’era da bambina, quando tutti e due avevamo scoperto la nostra vera identità: io l’erede del casato Morgane e lei la donna destinata a diventare la regina del Nord.
Era una bambina silenziosa e delicata, abituata a osservare più che a parlare. Una bambina che nessuno avrebbe mai sospettato in grado di sfoderare una spada. Era questo soprattutto che ci aveva uniti, oltre alla nostra abitudine di origliare i discorsi dei grandi quando, una volta l’anno, si riunivano in segreto per discutere piani e strategie per riuscire un giorno a tornare in Maevania.
«Vogliono farmi diventare una regina, Théo» mi aveva detto un pomeriggio, terrorizzata.
Eravamo chiusi in un armadio, io avevo undici anni e lei tredici, e ascoltavamo i progetti dei nostri padri, e i loro tormenti per la madrepatria perduta. Con noi c’era anche Luc, ovviamente, annoiato a morte e infastidito dall’odore intenso delle erbe antitarme. Proprio quel giorno, in quell’armadio, avevamo capito che se i piani dei nostri padri avessero avuto successo, Isolde sarebbe salita sul trono.
«Avrebbe dovuto essere il destino di mia sorella» aveva aggiunto. «Non il mio. La regina doveva essere Shea.»
La sorella maggiore di Isolde era morta insieme alla madre durante la ribellione fallita.
«Sarai la più grande regina che il Nord abbia mai avuto» avevo cercato di rassicurarla.
Ed eccoci, quindici anni dopo, al centro del cortile reale, ormai vicini alla sua incoronazione. Sembrava che Isolde mi avesse letto nella mente, perché incrociò il mio sguardo sotto la pioggia e mi sorrise.
«Isolde, non sarà un bene per nessuno se ti prendi un malanno» le dissi, scendendo da cavallo.
Lei rise, e in quell’istante la Pietra di Eventide fu attraversata da onde d’oro e di celeste, come se l’amuleto sentisse le vibrazioni del suo divertimento. «Aodhan, forse dimentichi che la mia magia favorisce la guarigione.»
«Non dimentico nulla» replicai con un sorriso, e iniziammo a camminare una accanto all’altro, seguendo la fila delle altre persone che entravamo nel castello, accompagnati dal rumore degli stivali sulle pietre bagnate. «Come vanno le cose qui?» le domandai sottovoce mentre ci dirigevamo verso l’ala riservata agli ospiti.
«Tutto tranquillo, anche se il tempo per riposare è davvero poco» rispose la futura regina in un sussurro. «Ho delle novità da condividere con tutti voi. Ho già detto ai MacQuinn che faremo una riunione dopo che vi sarete sistemati.»
Arrivati in fondo a un corridoio centrale che si biforcava in altre direzioni, ci fermammo sotto la luce delle lanterne appese ai ganci di ferro conficcati nel muro. I MacQuinn e i Dermott avevano proseguito verso le loro stanze e sentivo le loro voci farsi sempre più lontane.
«Lady Dermott ha richiesto un incontro privato con te» mormorai, ascoltando il rumore della pioggia sgocciolare dai miei abiti.
«Lo so» replicò Isolde. «L’ho letto nei suoi occhi. Farò in modo di vederla domani.»
Avrei voluto aggiungere altro, ma mi trattenni perché sapevo che quel castello aveva molte orecchie e i miei pensieri non dovevano essere divulgati in un corridoio.
«Vai a toglierti questa roba di dosso, lord Morgane» mi incoraggiò la futura regina, che aggiunse: «Altrimenti ti buscherai un raffreddore e dovrò venire a curarti».
Finsi di sbuffare, ma poi le rivolsi un giocoso inchino e imboccai il corridoio che conduceva alle mie stanze.
Isolde era stata molto premurosa: aveva fatto preparare un bagno caldo, e un piatto colmo di cibo mi aspettava sul tavolo. Mi spogliai velocemente e mi immersi nell’acqua tiepida, cercando di fare ordine nel groviglio dei miei pensieri. In cima alla lista c’era Ewan. Non avevo ancora deciso cosa fare di lui, se dire o non dire a Isolde che lo stavo ospitando.
Durante il viaggio avevo trovato una possibile spiegazione. Chiaramente, il ragazzino era scappato il giorno della rivolta, forse quando era iniziata la battaglia, dopodiché si era messo in cammino verso nord alla ricerca di un rifugio sicuro. Era arrivato fino a Brígh e lì si era nascosto per un paio di giorni, finché non ero arrivato io e l’avevo trovato.
Ewan non era colpevole di nulla, se non di voler sopravvivere.
Cercai di immaginare cosa potesse significare essere il figlio di Declan, e crescere in una famiglia così terribile. Quel ragazzino era tutto pelle e ossa, come se non mangiasse regolarmente. E quando lo avevo trovato, mi era sembrato terrorizzato all’idea della mia punizione.
Sì, lo avevo protetto. Avevo forse sfidato il padre, occupandomi di lui come fosse mio figlio? Era possibile amare il figlio del proprio nemico?
«Deciderò dopo la riunione» dissi a voce alta, quasi fossi diviso fra due diverse persone e una dovesse convincere l’altra.
Mi lavai e uscii dalla vasca, per niente rasserenato dalle mie elucubrazioni. Indossai gli abiti blu e argento dei Morgane e mi avvicinai al tavolo per mangiare qualche boccone di pane e di frutta. Fu solo in quel momento che mi resi conto di qualcosa. E cioè che da qualche parte sotto i miei piedi, nelle viscere di quel castello di pietre antiche, i Lannon erano rinchiusi nel buio delle loro celle, in attesa del loro destino. Da qualche parte sotto i miei piedi Declan respirava, e aspettava.
Non riuscii più a mangiare.
Mi spostai davanti al fuoco che ardeva nel camino e attesi finché Brianna non bussò alla mia porta.
Con lei c’erano anche Luc e Jourdain, e se così non fosse stato l’avrei fatta entrare nella mia camera, le avrei accarezzato i capelli e le avrei raccontato i miei dilemmi. Tutti quanti. E poi l’avrei implorata di dirmi cosa fare, piegandomi davanti a lei come se fosse il fuoco e io il metallo da forgiare.
Invece ci avviammo insieme lungo il corridoio, e Brianna mi guardò con una strana luce negli occhi; sapevo che aveva delle domande per me. Ma non ebbi neppure il tempo di sussurrarle all’orecchio di raggiungermi nella mia camera, quella notte, perché Isolde e suo padre ci aspettavano nella sala del consiglio.
Non ero mai stato lì prima. Era una stanza ottagonale senza finestre, immersa nella penombra, e le pareti erano interamente rivestite di mosaici. Le piccole tessere riflettevano la luce del fuoco come scaglie iridescenti di drago, dando la sensazione che i muri stessero respirando. Non riuscivo a distinguere il soffitto e quindi la stanza mi sembrò salire fino al cielo e oltre le stelle.
Gli unici mobili erano un tavolo rotondo e un anello di sedie. Al centro bruciava un cerchio di fuoco che illuminava il viso delle persone lì riunite.
Sedetti fra Brianna e Jourdain. Luc prese posto di fronte a noi, seguito da Isolde e dal padre, Braden Kavanagh. Eravamo il cerchio magico della regina, i suoi consiglieri e sostenitori più fidati.
«Lasciatemi dire prima di tutto quanto sia felice di essermi riunita a voi, miei carissimi amici» esordì Isolde. «Spero che queste due settimane siano state un momento di gioia e di riconciliazione, e che tornare alle vostre case e rivedere la vostra gente sia stato l’inizio di una nuova vita. Vorrei anche esprimere a ciascuno di voi la mia gratitudine per essere i miei occhi e il mio sostegno, e per essere tornati a Lyonesse e avermi aiutato a preparare questo processo.
«Prima che vi racconti le novità, vorrei darvi la possibilità di condividere le vostre preoccupazioni o i vostri pensieri.»
Jourdain fu il primo a parlare, e riassunse i nostri piani per rafforzare il consenso e la lealtà verso Isolde, tracciando il quadro delle alleanze e delle rivalità. Il che mi fornì l’aggancio perfetto per parlare dei Dermott.
«Sono convinto che lady Dermott ti sosterrà» dichiarai, incrociando lo sguardo di Isolde al di sopra delle fiamme. «Tuttavia, per prepararti all’incontro di domani, sappi che i Dermott hanno subìto terribili persecuzioni da parte degli Halloran.»
«Proprio come temevo» commentò Isolde con un sospiro. «Confesso che ho molti dubbi su come punire adeguatamente i seguaci di re Lannon.»
«A proposito» intervenne Brianna. «Durante il viaggio ho fatto un’interessante scoperta, grazie a lady Grainne.»
Le sue parole attirarono la mia attenzione, anche perché lungo la strada per Lyonesse mi ero domandato quale fosse l’argomento della fitta conversazione tra le due donne.
«Sarebbe possibile far portare qui gli stemmi dei Lannon, dei Carran, degli Halloran e degli Allenach?»
Isolde sollevò un sopracciglio, sorpresa. «Sì, certo. Sono appesi nella sala del trono.»
Aspettammo che un domestico ci consegnasse i blasoni richiesti, e quando furono stesi sopra il tavolo Brianna si alzò per esaminarli. Il sigillo del casato era ricamato al centro – una lince per i Lannon, un cervo rampante per gli Allenach, uno stambecco per gli Halloran e uno storione per i Carran – affiancato da due scudi e circondato da una ghirlanda di fronde e di piccoli animali.
«Eccolo» sussurrò Brianna, indicando un punto preciso. Anche noi allora ci alzammo e ci piegammo sul tavolo per osservare ciò che lei stava guardando. «Tutti e quattro gli stemmi contengono lo stesso simbolo, proprio come aveva detto lady Grainne. Una falce di luna.»
La vidi anch’io, nascosta tra i fiori che decoravano lo stemma degli Halloran.
Brianna a quel punto ci riferì la conversazione avuta con lady Grainne, e io la guardai con ammirazione, sorpreso che fosse venuta a conoscenza con tanta facilità di un particolare così prezioso.
«È incredibile» mormorò Isolde, studiando il blasone dei Carran e scovando a sua volta la falce di luna. «Non riesco neppure a pensare quanto sarà vitale questa informazione nei prossimi giorni.»
«Hai già dovuto affrontare qualche oppositore?» le chiesi. Era la domanda che tutti noi temevamo di fare.
Brianna ripiegò i blasoni in tessuto e li gettò per terra senza troppi complimenti, dopodiché ognuno riprese il suo posto in attesa della risposta della regina.
«Non apertamente» chiarì Isolde, e subito il padre le prese la mano. I due si guardarono e io notai la profonda tristezza che velava i loro sguardi. «Ho scoperto che il casato dei Kavanagh è stato letteralmente spazzato via da Gilroy Lannon. Credo che nessuno dei nostri sia sopravvissuto.»
Di colpo una grande pena ci avvolse tutti e colsi con la coda dell’occhio che Brianna da sotto il tavolo stringeva i pugni con una tale rabbia da sbiancare le nocche.
«Isolde…» mormorò Jourdain con un tremito nella voce.
«È stata una verità molto difficile da accettare» proseguì la regina, socchiudendo gli occhi. «Gilroy teneva un diario di tutte le vite che si prendeva. È un elenco infinito. Poco dopo il fallimento della prima ribellione, inviò i suoi soldati nel territorio dei Kavanagh con l’ordine di bruciare e radere al suolo gran parte dei villaggi e delle città. Mi hanno riferito che quanto ne rimane sono soltanto cenere e macerie. Non abbiamo più niente per cui tornare, ma mi resta la speranza che ci sia ancora qualche Kavanagh nascosto da qualche parte e che forse, una volta eliminati i Lannon, queste persone avranno il coraggio di uscire allo scoperto e riunirsi a me e a mio padre.»
Ripensai ai Dermott, al mio sospetto che in loro ci fosse una scintilla dei Kavanagh, ma decisi di non dire nulla. Spettava a Grainne parlarne con la regina, non a me. Però questa sensazione mi lasciava la speranza che per Isolde, suo padre e la loro gente potesse ancora esserci un futuro.
«È tempo di passare alla prossima questione» ci sollecitò la regina. «Abbiamo scoperto che uno dei Lannon manca all’appello.»
Jourdain ebbe un sussulto. «Quale?»
«Il figlio di Declan, Ewan» rispose la regina. «Dopo la vittoria, non siamo riusciti a trovarlo.»
«È solo un ragazzino» precisò Braden Kavanagh. «Crediamo che si sia nascosto qui a Lyonesse.»
No. Niente affatto, pensai, il cuore stretto. La mia mente iniziò a girare a vuoto ed ebbi la sensazione di perdere lucidità. Parla! suggeriva una parte di me, subito zittita da una voce che ordinava: Stai zitto! E rimasi seduto lì, immobile e indeciso.
«Lo avete cercato?» domandò Luc, ancora incredulo.
«Abbiamo setacciato tutta la città, anche se con grande discrezione» spiegò Isolde. «Quando ho capito che un Lannon ci era sfuggito, ho deciso che fosse meglio non divulgare la notizia. Ecco perché ve ne sto informando soltanto ora: non mi fidavo neppure a inviare un messaggero con una lettera. Nessuno a parte noi deve sapere che questo ragazzo è scomparso, perché la notizia potrebbe innescare la ribellione dei sostenitori di Gilroy.»
«La servitù è fidata, qui a palazzo?» domandò Jourdain, cambiando argomento. «Hai avuto motivo di dubitare di qualcuno? O di temere qualcuno?»
«Ho trovato un corpo di guardia molto fedele fra gli uomini e le donne di lord Burke» rispose Isolde. «In più, gran parte dei domestici qui al castello si è fatta avanti e ha giurato di essermi leale. Molti di loro hanno anche depositato le loro accuse; forse non tutte saranno attendibili, ma la mia sensazione è che le storie che stanno emergendo vadano nella stessa direzione. Tutti riferiscono episodi che dimostrano la brutalità con cui Gilroy Lannon opprimeva questa gente.»
Nessuno replicò e di colpo su di noi calò una sensazione di tenebra.
«Oltre a questo» riprese Isolde, guardando Brianna come se volesse attingere alla sua forza e al suo coraggio, «esiste un lungo elenco di accuse contro l’intera famiglia dei Lannon, non soltanto contro l’ex sovrano. La moglie Oona è responsabile di torture e di brutali percosse, così come il figlio, il principe Declan. Lo abbiamo compilato io e mio padre, proprio come avete fatto voi nei vostri territori, e sono sicura che continuerà ad allungarsi via via che le persone troveranno il coraggio di parlare. Non ci sono speranze di assoluzione per questa famiglia.»
«Mia regina, state forse dicendo» intervenne con cautela Jourdain, «che non è necessario sottoporre i Lannon a processo?»
«No, mio signore» replicò Isolde, «dovranno sicuramente affrontare l’umiliazione del processo perché giustizia deve essere fatta e per chiudere definitivamente l’epoca del terrore. Vogliamo distinguerci dai Lannon inaugurando un periodo di luce e di trasparenza.»
Nella sala scese il silenzio. Dopo un po’, Luc prese la parola. «In che senso “l’umiliazione del processo”?»
«Sarà il popolo a far sentire la propria voce durante il giudizio» spiegò la regina, pallida in viso. «E il popolo ha già deciso quale sarà il destino dei Lannon.»
Sapevo quello che stava per dire. Sapevo che cosa sarebbe successo, perché faceva parte della storia di Maevania: era il “lato oscuro della giustizia”, come recitava la tradizione popolare. Ne avevamo già parlato molti giorni prima, quando insieme a Jourdain, Luc e Brianna avevamo iniziato a pianificare la seconda parte della rivoluzione.
Ciò nonostante, fui scosso al pensiero di ciò che sarebbe successo.
Lo sguardo di Isolde si illuminò di una fiamma oscura: era la pietà che incontrava la giustizia, venticinque anni di esilio, di terrore, di madri e di sorelle assassinate, di casati distrutti, di gente oppressa, di vite stroncate che non sarebbero più tornate.
Eppure anche le certezze più salde possono incrinarsi, quando il nemico non è più soltanto un nome, ma diventa una faccia, una voce, un ragazzino con i capelli rossi.
Isolde mi guardò negli occhi come se riuscisse a percepire il mio conflitto interiore, come se sapesse che mi sentivo lacerato fra il desiderio di raccontare la verità e quello di proteggere il ragazzino…
«L’intera famiglia dei Lannon dovrà essere giustiziata.»