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Dilemmi notturni

BRIANNA
Tre giorni al processo
Castello reale di Lyonesse, territorio di lord Burke

Dopo la riunione, Isolde mi accompagnò nelle mie stanze e insieme ci sedemmo davanti al fuoco, accompagnati dal rumore della pioggia che tamburellava contro le finestre.

«Immagino che sarai sfinita per il viaggio, quindi cercherò di essere breve» esordì la futura regina. «Devo assolutamente parlarti di alcune cose. In particolare dell’incoronazione. Ora siamo concentrati sul processo, ma alla cerimonia mancano poche settimane e mi serve il tuo aiuto per organizzarla al meglio.»

«Ma certo» replicai, e mi alzai a prendere la cartella con l’occorrente per scrivere. Mentre la regina spiegava le sue idee, io le annotavo su un foglio cercando di metterle in ordine. Cartier una volta mi aveva detto che le regine maevaniane venivano sempre incoronate nella foresta, ma un attimo prima che potessi parlarne con Isolde udimmo un rumore provenire dall’esterno. Lei si irrigidì di colpo. Il mio alloggio comprendeva due stanze: una per ricevere i visitatori – quella in cui eravamo in quel momento – e la camera da letto. Proprio da lì provenivano i rumori.

«Cos’è stato?» Misi da parte carta e penna e mi alzai. Il rumore si era fatto più forte, sembrava addirittura che qualcuno stesse cercando di forzare la finestra…

D’istinto andai a prendere la spada, che giaceva sul divano, protetta dal fodero. Isolde sfilò un dirk dallo stivale. «Resta dietro di me» le sussurrai quando la vidi in piedi.

La futura regina mi seguì nel buio dell’altra stanza, rischiarato a tratti dalla luce intermittente dei lampi.

D’un tratto mi accorsi che la finestra era aperta e i vetri sbattevano sferzati dal vento mentre il davanzale e il pavimento erano bagnati di pioggia. Qualcuno era entrato nella mia camera, lo sentivo ansimare mentre mi avvicinavo al centro della stanza. Quando un altro fulmine squarciò per un istante l’oscurità, vidi la sagoma di una figurina accucciata accanto al letto, proprio davanti ai miei piedi. Un ragazzino con una zazzera di capelli fulvi.

«Tomas?» esclamai, incredula.

«Signorina Brianna! Vi prego… vi prego, non uccidetemi.»

Inguainai la spada e lo feci alzare. «Isolde? Ti dispiacerebbe, per cortesia, portare un po’ di luce?»

Lei uscì e tornò con un candelabro, che avvicinò subito al ragazzino. Io intanto andai a occuparmi della finestra, rischiando di scivolare sul pavimento bagnato. Prima di chiudere i battenti della grande finestra ad archi gettai un’occhiata giù, alla base delle mura. Dopodiché tornai da Tomas.

«Per tutti i numi del cielo! Come sei riuscito ad arrampicarti fin quassù?» domandai guardandolo negli occhi.

Vederlo ipnotizzato da Isolde e dalla Pietra di Eventide che scintillava sul suo petto non mi sorprese.

«Tomas?» lo sollecitai, e lui finalmente udì le mie parole e mi fissò a occhi sgranati. «Lord Aodhan sa che sei qui?»

Il ragazzino si congelò all’istante, e pensai che si stesse preparando a schizzare fuori dalla stanza.

Mi avvicinai e gli presi la mano. Era così magro, così gracile per la sua età. Sentii un nodo stringermi la gola, ma sorrisi per tranquillizzarlo.

«Che ne dici se ti do qualcosa di asciutto da mettere addosso? Purtroppo, per il momento dovrai accontentarti di una delle mie camicie. Ti starà come una tunica. Va bene?»

Lui studiò i suoi abiti zuppi e sporchi di fango – gli abiti blu che aveva avuto da Cartier, con il blu dei Morgane. Sui vestiti e tra i capelli aveva spighe e fili d’erba, come se si fosse nascosto tra il fieno di un carro. «Sì, signorina Brianna.»

«Molto bene.» E andai al mio guardaroba. Avevo portato alcuni vestiti, pantaloni alla cavallerizza di seta, un paio di camicie di lino, il mantello di passione, e un farsetto in pelle foderato di lana. Scelsi una camicia e la posai sul letto. «Mettiti questa. Lady Isolde e io ti aspettiamo nell’altra stanza.»

Tomas avrebbe di certo preferito ammalarsi piuttosto che indossare i miei abiti. Per fortuna, però, non fece capricci e annuì, sia pur controvoglia.

«Immagino che sarai affamato, vero?» domandai. «Ti va una scodella di minestra? Magari con una coppa di sidro?»

«Sì, signorina Brianna. Vi ringrazio» rispose.

«Bene. Quando sei pronto, raggiungici di là.»

Isolde e io lo lasciammo solo e ci richiudemmo la porta alle spalle. Stavo per chiamare un domestico per ordinare un vassoio, quando Isolde mi strinse forte il braccio.

«Brianna, ma chi è questo ragazzino?» mi sussurrò.

Io la fissai. Il suo viso era quasi incollato al mio e in quel momento vidi nei suoi occhi la luce del sospetto. Isolde mi guardò a sua volta, incredula e severa.

«No» mormorai. «No. Non può essere…»

Le tessere del mosaico iniziarono ad andare a posto. Un orfano nascosto nel castello di Brígh. Cartier che non aveva idea di chi fosse il ragazzino, né da dove venisse.

Ma Cartier non avrebbe mai dato riparo a un Lannon volontariamente. Non poteva sapere che Tomas era in realtà Ewan, il figlio di Declan.

Ripresi fiato e feci per parlare, ma in quel momento udimmo Tomas girare il pomello della porta. Di colpo ci allontanammo l’una dall’altra e cercammo di sembrare tranquille, anche se dentro di noi si agitava una tempesta di emozioni.

Suonai il campanello per chiamare un domestico e quando mi voltai vidi Tomas entrare nella stanza cercando di non zoppicare.

«Ti sei fatto male?» domandò la futura regina.

Tomas sedette sul bordo del divano in silenzio.

Chissà se Isolde avrebbe usato la magia per guarirlo. Sarebbe stata disposta a curare il figlio del suo nemico? Il bambino che era riuscito a sfuggirle, causandole parecchie notti insonni?

«Posso dare un’occhiata a quel piede, Tomas?» gli domandò accovacciandosi davanti a lui.

Lui esitò. Sapeva esattamente chi era la donna di fronte a lui. Come avrebbe potuto non riconoscerla? La regina che aveva spodestato la sua famiglia era lì, in ginocchio. Io trattenni il fiato e rimasi in silenzio, senza pronunciare le parole rassicuranti con cui avrei potuto convincerlo a fidarsi di lei. Sapevo che in quel momento doveva prendere da solo la sua decisione.

Tomas infine si convinse, e accettò di essere curato.

Rimasi accanto al fuoco, e osservai Isolde sfilargli uno stivale e sfiorare delicatamente con le dita il taglio sul piede. «Vedo che hai strappato i punti» disse. «E stai perdendo molto sangue. Se vuoi posso farti guarire, Tomas.»

«Voi… ma come?» domandò il ragazzino, tirando su col naso. «Volete mettermi altri punti?»

«No. Senza i punti. Con la magia.»

«No!» Tomas cercò di allontanarsi. «No. No. Mio pa… mio padre dice che la magia è cattiva.»

Isolde era ancora in ginocchio davanti a lui, e notai che quelle parole l’avevano colpita come se qualcuno le avesse gettato in faccia una manciata di fango.

«Tuo padre se ne intende di magia?» domandò con una certa cautela.

Tomas incrociò le braccia al petto e guardò verso di me, quasi potessi aiutarlo a togliersi da quell’impiccio. Allora andai a sedermi sul divano vicino a lui, e gli presi le mani fra le mie. Mi accorsi che il suo piede sanguinava vistosamente, e che il vestito di Isolde era macchiato di rosso.

«Qualche tempo fa anch’io ero ferita. Proprio, qui, sul braccio» iniziai a raccontare. Ovviamente non gli dissi che la ferita era stata provocata da una freccia scagliata per ordine di suo nonno, Gilroy Lannon, all’inizio della battaglia che aveva dato il via all’insurrezione. «Isolde ha usato la magia su di me. E se lo vuoi proprio sapere, non ho sentito neanche un pizzico di male. Anzi, sembrava che il sole mi accarezzasse la pelle. Adesso sono molto contenta che lei mi abbia curata, altrimenti non potrei ancora usare il braccio, e sentirei molto dolore.»

Tomas abbassò lo sguardo sulla mia camicia, che gli arrivava oltre le ginocchia. Sulle gambe aveva qualche brutto livido, e la pelle segnata da un reticolo di cicatrici. Le notò anche Isolde, e il risentimento che avevo visto nei suoi occhi qualche attimo prima si trasformò in compassione.

«Se la signora mi guarisce» riprese Tomas, riportando lo sguardo su di me, «io poi sarò contaminato?»

«Niente affatto» risposi, incerta su che cosa intendesse per “contaminato”. «Ma se è questo che ti preoccupa, guarda me. Ti sembro contaminata, io?»

Tomas fece segno di no con la testa. «No, signorina Brianna. Per niente. Infatti mi piacete.»

Sorrisi. «Anche tu mi piaci, Tomas.»

Lui si morse le labbra e si rivolse a Isolde. «Signora, allora vorrei… mi piacerebbe essere guarito da voi.»

Isolde tese le mani e il ragazzino appoggiò il tallone fra le sue dita e contemporaneamente mi strinse forte la mano. Osservò la futura regina accostare il palmo alla pianta del piede e io lo sentii irrigidirsi per la tensione, mentre il suo respiro si faceva sempre più affannato. Probabilmente si aspettava di sentire dolore, perché quando Isolde ritirò le mani lui sbatté le palpebre per la sorpresa.

«Già fatto?» domandò.

Isolde gli sorrise. «Certo. Adesso il tuo piede è guarito.»

Tomas mi lasciò la mano e si afferrò il piede per esaminarlo. Non c’era più traccia di sangue e nemmeno dei punti. Al posto del profondo taglio era rimasta solo una cicatrice rosata.

«Ma non ho sentito niente!» esclamò.

«Te l’avevo detto che non ti avrebbe fatto male» dissi, spingendogli dietro l’orecchio una ciocca ribelle.

Ci fu un attimo di silenzio. Tomas e io eravamo ancora seduti sul divano, Isolde era inginocchiata di fronte a noi, il temporale infuriava fuori dalla finestra. Tomas continuò a toccarsi il piede, sbalordito, e io incrociai lo guardo di Isolde.

Avrei voluto sapere a che cosa stava pensando, e che cosa aveva intenzione di fare.

Lei fissò le macchie di sangue sul proprio vestito, tradendo un attimo di incertezza.

Non eravamo del tutto certe che quel ragazzino fosse il figlio di Declan, anche se una voce dentro di me diceva che purtroppo era così.

Fu Tomas a rompere il silenzio. «Signorina Brianna, è quella la pietra di cui mi avete parlato? Quella che avete trovato sepolta sotto un albero?» Indicò timidamente la Pietra di Eventide, e io fui un po’ sollevata per quella distrazione.

«Sì, è proprio quella» confermai. E in quel momento qualcuno bussò alla porta.

Isolde scattò in piedi prima ancora che io riuscissi a muovere un dito. «Scommetto che è la tua cena, Tomas» disse cercando di sembrare tranquilla, ma io riuscii a leggerle negli occhi tutta la sua apprensione.

Non deve vederlo nessuno, mi disse con uno sguardo mentre andava ad aprire.

«Su, forza, seguimi in camera» gli suggerii in un sussurro. «Ti permetto di mangiare a letto.» E con disinvoltura lo condussi nella stanza accanto, lontano da possibili sguardi indiscreti, e lo invitai a infilarsi sotto una montagna di coperte.

«Ma questo è il vostro letto» obiettò il ragazzino.

«Sì, io dormirò nell’altra stanza. Dai, Tomas, e nanna.» E lo sollevai di peso, lasciandolo poi ricadere sul materasso.

«Non ho mai dormito in un letto così grande» disse, rotolandosi sotto le coperte. «Ed è così morbido!»

La sua innocenza mi commosse. Avrei desiderato domandargli in che genere di letti avesse dormito fino a quel momento. Era o no un principino? Non avrebbe dovuto avere il meglio?

Forse ci stavamo sbagliando. Forse era davvero un orfano, e nelle sue vene non c’era una sola goccia del sangue dei Lannon.

Sperai con tutta me stessa che fosse così.

Isolde entrò nella camera reggendo un vassoio con sopra una scodella di minestra, pane imburrato e una coppa di sidro e lo posò delicatamente sul letto. Appena lo vide Tomas sgranò gli occhi, sorpreso dall’abbondanza delle porzioni, e iniziò a rimpinzarsi senza più badare a noi due.

Poi io seguii la regina nell’altra stanza, e restammo una di fronte all’altra: Isolde ricordava una fiamma, con i suoi capelli rossi e la pietra scintillante che portava al collo, mentre io ero come un’ombra, con le mie trecce castane e il terrore che mi incupiva il viso.

«Devo sapere perché è qui, ammesso che sia chi pensiamo» sussurrò la regina. «Potresti chiacchierare un po’ con lui per avere conferma delle sua identità?»

«Ma certo» risposi prontamente.

«Devi tenerlo nascosto, Brianna. Se qualcuno lo scopre… non avrò scelta, lo dovrò mettere in catene nelle segrete.»

Annuii. Però mi restava un dubbio. «E Cartier?»

Isolde sospirò, e si sfregò la fronte. «Già. E Aodhan?»

Non sapeva che fare, era evidente. «Cartier ha ospitato il ragazzino al castello di Brígh, pensando che fosse un orfano dei Morgane.»

La regina rifletté per qualche istante, le mani sui fianchi. Sembrava reggere sulle spalle il peso del mondo. «Si è affezionato al bambino, vero?»

«Sì.»

«Se credi che Aodhan si opporrà alla mia decisione finale, allora non dirgli nulla.»

Cercai di immaginare come sarebbe andato il processo, cercai di immaginare che cosa avrebbe fatto Cartier se di colpo avesse visto Tomas salire sul patibolo, convinto com’era di averlo lasciato al sicuro al castello di Brígh. Se avesse dovuto decidere se quel bambino meritasse o no di vivere. Ma quand’anche lui lo avesse voluto salvare, il popolo di Maevania avrebbe comunque potuto condannarlo a morte.

«Ti sto chiedendo troppo, Brianna?» sussurrò la regina.

La guardai. «No, mia signora.»

Lei veniva prima di tutto. Ed era mio dovere sostenerla, qualunque fosse la sua decisione.

«Devi scoprire la vera identità del bambino» disse infine. «Possibilmente stasera stessa. E domani mattina vieni a riferirmene.»

Annuii. E mi inchinai con la mano sul cuore per mostrarle la mia assoluta devozione.

Isolde però mi sollevò subito il mento e mi guardò negli occhi. Per un istante mi chiesi se la Pietra di Eventide stesse riflettendo la mia espressione. «Mi fido di te, Brianna, più di chiunque altro.»

Quella dichiarazione mi commosse, nondimeno cercai di nascondere quella sensazione in fondo al cuore, in un posto dove non potesse diventare orgoglio.

In quel momento però compresi che ruolo mi stesse affidando la regina: voleva che diventassi il suo braccio destro, la sua consigliera: proprio lo stesso ruolo che Gilroy Lannon aveva affidato a Brendan Allenach.

Una coincidenza che mi tolse il respiro.

Isolde mi salutò e uscì dalla stanza, silenziosa e rapida come l’ultimo raggio di sole all’imbrunire.

Io e Tomas restammo soli nel mio alloggio, con un mare di domande in sospeso.

Tornata nella camera da letto, vidi che la scodella era stata ripulita fino all’ultima goccia di minestra, e mentre andavo a prendere un secondo candelabro, con la coda dell’occhio sorpresi il ragazzino a leccarsi il burro dalle dita. Poi tornai a sedermi accanto a lui sul bordo del letto, rimuginando sulle domande che avrei dovuto fargli.

«Signorina Brianna, avete intenzione di dire a lord Aodhan che sono qui?» mi chiese lui, con aria preoccupata.

Spianai le pieghe della trapunta, sfiorando le cuciture con le dita. «Credo che la cosa più importante ora sia capire perché sei qui, Tomas.» Quindi lo fissai, aspettando che anche lui mi guardasse. «Sono certa che lord Aodhan ti aveva detto di restare a Brígh. Perciò in questo momento sto cercando di spiegarmi il motivo per cui sei venuto a Lyonesse, disubbidendo al tuo lord. E anche perché ti sei arrampicato sulle mura di un castello e ti sei intrufolato in una stanza forzando una finestra.»

Tomas non rispose, gli occhi bassi.

Sentii un brivido di freddo corrermi lungo la schiena ma continuai a fissarlo, e studiando il suo viso, poco alla volta la somiglianza con i Lannon mi risultò evidente: non tanto per i capelli rossi, insoliti per quel casato, ma per il colore degli occhi, di un azzurro intenso e luminoso come il cielo d’estate – un colore che avevo notato in tutti i Lannon che avevo conosciuto – e poi anche per la finezza del volto, dai lineamenti eleganti e aristocratici.

Tomas era sul punto di parlare, quando qualcuno bussò alla porta. Sapevo già chi era, e quel suono mi provocò sofferenza e desiderio al tempo stesso, come se dentro il mio cuore stesse infuriando una battaglia.

«Tomas» sussurrai, «devi stare qui. Non muoverti. Non fare rumore. Capito?»

Lui annuì, bianco in viso per la paura.

Mi alzai, uscii dalla camera e mi richiusi la porta alle spalle. Mentre camminavo, tremavo al punto che l’orlo del vestito oscillava sul pavimento.

Abbassai la maniglia, dischiusi appena il battente e mi sentii lambire dall’aria fredda del corridoio.

Appoggiato allo stipite, Cartier mi fissava. Il suo viso era nascosto dall’oscurità che lo circondava, eppure gli occhi erano ardenti come braci.

«Posso entrare?» domandò.

Avrei dovuto dirgli di tornare più tardi. Avrei dovuto dirgli che ero esausta. Avrei dovuto dirgli qualsiasi cosa pur di tenerlo lontano dalle mie stanze.

Forse era il modo in cui stava in piedi, forse era il modo in cui respirava, ma sembrava che sotto i vestiti nascondesse una ferita.

E così spalancai la porta e lo lasciai entrare.

Lui si avvicinò al fuoco e attese che richiudessi a chiave la porta e che lo raggiungessi.

«Va tutto bene con la regina?» mi domandò, scrutandomi in viso.

«Sì.»

Mi osservò per qualche istante, come se potesse leggermi la verità sul viso.

Lentamente, gli sfiorai la barba bionda con il dorso della mano, sorpresa da quanto fosse ispida. «Sei arrabbiato con me?» mormorai.

Lui chiuse gli occhi, quasi il mio tocco gli facesse male. «Come puoi pensare una cosa simile?»

«Non mi hai guardata per quasi tutto il viaggio.»

Cartier riaprì gli occhi. Io feci per abbassare la mano, ma lui la strinse nella sua, trattenendosela sul volto. «Brianna, durante il viaggio non riuscivo a staccarti gli occhi di dosso. Perché, altrimenti, avrei cercato di cavalcare sempre davanti a te?»

Mi lasciò la mano e iniziò a sfiorarmi il braccio, lentamente, risalendo verso la spalla e poi giù, dietro la schiena, fino alla vita. La seta del mio abito sussurrava sotto il suo tocco delicato, e a quel punto fui io ad abbassare le palpebre.

«Sembra che adesso sia tu a non volermi guardare» commentò.

«Non è così» replicai con un filo di voce. Ma continuai a tenere gli occhi chiusi, e a tremare per tutto quello che era successo. Cartier se ne accorse, perché mi cinse la vita e mi attirò a sé.

«Brianna, dimmi, qualcosa ti turba?»

«Perché eri in ritardo questa mattina?» La domanda scoccò dalle mie labbra come una freccia, e fu molto più diretta di quanto avrei voluto.

Non sentendo la sua risposta, riaprii gli occhi.

«Ero in ritardo» disse Cartier, allontanandosi un po’, «perché ho finalmente scoperto da dove viene Tomas. Ed è lo stesso motivo per cui sono qui da te adesso. Non potevo reggere questo peso da solo.»

Per un attimo sembrò che il cuore mi saltasse fuori dal petto, e lo guardai sbalordita. Era l’ultima cosa che mi sarei aspettata di sentire.

Finalmente adesso capivo la sua freddezza, e quel suo sguardo assente. Lui sapeva che Tomas era un Lannon, e l’aveva ospitato sotto il suo tetto senza conoscerne la vera identità. L’idea che avesse già subìto l’impatto di una simile rivelazione mi sollevò, almeno in parte.

«Da dove viene?» mi sforzai di domandare, massaggiandomi il collo sotto il vestito come se potessi calmare il ritmo impazzito delle mie pulsazioni.

D’un tratto, dalla mia camera da letto arrivò un rumore, il suono di una ciotola che rotolava per terra. Tomas. Sicuramente stava origliando. Faticai a trattenere un’imprecazione contro le difficoltà di quella serata.

Cartier si irrigidì e si voltò di scatto verso la porta dell’altra stanza.

Io rimasi immobile, con la sensazione di essere finita dentro una ragnatela.

«La regina è qui?» mi chiese, riportando lo sguardo su di me. Ma sapeva già che non era Isolde. E io non potevo mentire.

«No.»

«Chi c’è nella tua camera?» sussurrò.

Sembrava che il destino avesse deciso che piega dare a quell’incontro. Presi un lungo respiro e gli appoggiai una mano sul petto. Il suo cuore batteva forte quanto il mio. Compresi in quel momento il dolore che aveva dentro, un dolore che per causa mia stava per farsi ancora più acuto.

«Quello che sto per dirti ti farà arrabbiare, Cartier» gli anticipai. «Mi devi giurare che cercherai di trattenerti, che manterrai la calma.»

Le sua mano era di ghiaccio quando si chiuse sulla mia e se la tolse dal cuore.

«Brianna, dimmi chi c’è nella tua stanza.»

Non trovavo le parole per rispondere, così lo presi per mano e lo condussi nella camera.

Trovammo il ragazzino accucciato sul pavimento. Aveva tentato di uscire dalla finestra, ma aveva urtato il vassoio della cena e l’aveva rovesciato.

«Tomas?» mormorò Cartier, sbalordito.

«Mio signore, vi prego, non arrabbiatevi!» piagnucolò lui. «Dovevo venire. Ho cercato di dirvelo, ma voi non mi avete ascoltato.»

Sgranai gli occhi, cercando di avvisarlo che non era quello il modo di intenerire il cuore di lord Morgane. Tomas guardò me, poi ancora Cartier, come se non sapesse a chi dei due affidarsi.

Ancora diviso fra la rabbia e la sorpresa, Cartier sospirò e andò a sedersi sul bordo del letto.

«Vieni qui» gli intimò.

Tomas obbedì e si sedette accanto a lui, mentre io non mi ero ancora mossa dalla soglia della camera, quasi mi sentissi in bilico fra due mondi che stavano per scontrarsi.

«Perché dovevi venire con me?»

Tomas esitò. Poi disse: «Perché sono il vostro messaggero».

«Per caso c’è un’altra ragione? Qualcosa che hai paura di dirmi?»

«Nooo.»

Cartier ebbe un moto di nervosismo, la sua pena era evidente. «Tomas, devi fidarti di me. Per favore, dimmi la verità. Altrimenti non posso aiutarti.»

Il ragazzino non rispose. Giocherellò con la trapunta. Poi borbottò: «Se ve la dico, poi voi non mi vorrete più bene».

«Tomas, ascolta» Cartier disse dolcemente, «non potrai mai fare niente che mi faccia smettere di volerti bene.»

«Allora, se vi dico la verità, potrò ancora essere il vostro messaggero?»

Cartier mi guardò. Non sapeva che Isolde conosceva l’identità di Tomas, ma se avesse risposto di sì a quella domanda, avrebbe mentito. Non poteva decidere della vita di quel ragazzino, il che era esattamente ciò che lui, nel suo modo contorto, gli stava chiedendo. Se però gli avesse risposto di no, il bambino molto probabilmente non si sarebbe confidato.

«Tomas, te lo prometto» disse il lord dei Morgane guardandolo negli occhi. «Sarai sempre il mio messaggero, finché lo vorrai.» Quell’impegno mi lasciò senza fiato.

Cartier voleva che Tomas superasse il processo, voleva che continuasse a vivere.

Ma se mi avesse chiesto di nascondere il ragazzino alla regina… non avrei potuto aiutarlo. Mi sentivo lacerata fra due scelte possibili, e dovetti andare a sedermi.

«Dovevo venire qui perché c’è mia sorella» confessò Tomas in un sussurro.

«Tua sorella?»

«Sì, mio signore. Quando è iniziata la battaglia, lui… Cioè, io le ho detto di venire via con me. Sapevo che eravamo nei guai. Per via di mio padre. E di mio nonno.»

«Chi sono tuo padre e tuo nonno, Tomas?»

Io non osavo quasi respirare, e strinsi le mani sui braccioli della poltrona.

«Mio nonno è… cioè, era il re» confessò il ragazzino in tono mesto. «Mio padre è il principe Declan. E io mi chiamo Ewan, non Tomas.»

Avevo i brividi. Ewan mi guardò addolorato. «Adesso mi odiate, vero, signorina Brianna?»

Non riuscii più a trattenermi. Mi alzai e andai a sedermi accanto a lui. «No, non ti odio affatto, Ewan» gli dissi, prendendogli la mano. «Tu sei mio amico, e penso che tu sia un ragazzino molto coraggioso.»

Le mie parole sembrarono rassicurarlo. «Mia sorella è nelle segrete» disse, rivolto a Cartier. «E devo assolutamente tirarla fuori da lì.»

Cartier si passò una mano fra i capelli. Stava lottando contro se stesso per mantenersi distaccato, per restare calmo. Dall’espressione grave del suo viso capii che stava soppesando le varie possibilità.

«Come si chiama tua sorella?» domandai per dargli un po’ di tempo in più.

«Keela. Ha due anni più di me. E scommetto che Tomas può aiutarvi, mio signore.»

«E chi è questo Tomas, Ewan?» gli domandò Cartier.

«È un vassallo di mio nonno, ma è sempre stato buono con me» spiegò il ragazzino. «È stato lui a farmi scappare durante la battaglia. Mi ha dato qualche soldo di rame e mi ha spiegato cosa fare. Ha detto di andare a nord, fino al castello di Brígh, e di dire che mi chiamavo come lui, così nessuno poteva capire chi ero veramente.»

«Dove posso trovare questo Tomas?»

Ewan scrollò le spalle. «Non lo so, mio signore. Ma secondo me è morto. Lo avranno ucciso durante la battaglia.»

Guardai Cartier. Se il vassallo Tomas aveva combattuto contro di noi, o era morto o era rinchiuso nelle segrete.

«Non posso prometterti nulla, Ewan.» La voce di Cartier era tesa. «Tua sorella è detenuta insieme alla tua famiglia. Non so se potrò…»

«Vi prego! Signore, vi prego…» lo interruppe Ewan. «Vi prego di aiutarla! Non voglio che la uccidano!»

«Sssh.» Cercai di abbracciarlo per calmarlo, ma Ewan si sottrasse e si buttò in ginocchio davanti a Cartier.

«Vi prego, lord Aodhan» lo implorò. «Per favore. Non vi disubbidirò mai più se la salverete.»

Cartier lo fece alzare in piedi. In quel momento sembrò accorgersi che il ragazzino non zoppicava più perché prima fissò il suo piede nudo e poi lo guardò negli occhi. «Non si devono mai fare promesse che non si possono mantenere. Ma anche se non posso prometterti niente, ti do la mia parola che farò tutto quanto in mio potere per salvare tua sorella. A patto che anche tu mi dia la tua parola che resterai nella mia camera, tranquillo e nascosto. Nessuno deve sapere che sei qui, Ewan. Capito?»

Il ragazzino annuì convinto. «Vi do la mia parola, mio signore. Nessuno lo saprà. Sono bravo a nascondermi.»

«Sì. Questo lo so.» Cartier sospirò. «Adesso però devi andare a letto. È già molto tardi. Dobbiamo spostarci nelle mie stanze.»

Ci alzammo in piedi tutti e tre, e i miei dubbi dovevano essere evidenti, perché Cartier chiese a Ewan di lasciarci soli un momento.

«Credi che sia la decisione migliore tenerlo in camera con te?» domandai sottovoce, cercando di celare le mie paure. Volevo fidarmi di Cartier, ma che cosa avrei fatto se avesse deciso di tenere Ewan con sé? Che cosa avrei detto a Isolde?

«Tu cosa pensi, Brianna?» mi domandò, avvicinandosi a me per bisbigliarmi all’orecchio. «La regina sa che lui è qui, vero?»

«Vuole parlarmi di lui domattina» sussurrai a mia volta. «Vuole sapere da me chi sia veramente.»

«Allora lascialo dire a me.»

Lo guardai negli occhi.

«Immagino che nemmeno Isolde sappia cosa decidere» proseguì Cartier, la voce sempre più bassa. «Che non sappia cosa fare con il figlio del suo nemico.»

«E tu, invece, che cosa faresti?»

Lui mi fissò, e poi disse: «Farei ciò che lei mi direbbe di fare. È la mia regina. Ma vorrei avere la possibilità di discuterne con lei, di consigliarla per il meglio».

Non potevo biasimarlo se desiderava un colloquio privato con Isolde per cercare di risparmiare la vita a Ewan.

D’un tratto mi accorsi che non potevo più trattenere le lacrime. Non capivo da dove venissero, ma forse la difficile situazione di quel ragazzino aveva toccato le corde più segrete del mio cuore.

Cercai di nascondermi prima che Cartier se ne accorgesse, invece lui mi prese il viso fra le mani.

Una lacrima mi rigò la guancia. Cartier la baciò, poi mi accarezzò i capelli, e d’un tratto il mio cuore sembrò scoccare scintille… Se non fosse stato per Ewan, che ci aspettava nella stanza accanto, non so che cosa sarebbe successo fra noi, anche se potevo immaginarlo. Anzi, l’avevo già immaginato.

Quando Cartier mi guardò, vidi nei suoi occhi il mio stesso insaziabile desiderio di restare soli in compagnia della notte, con le stelle a illuminare i nostri segreti fino all’alba.

La realtà fu come una secchiata d’acqua gelida. Eravamo nel castello reale, con l’erede dei Lannon e un processo che incombeva su di noi con tutte le sue incertezze.

Chissà se avremmo mai trovato tempo per noi due.

«Buona notte, Cartier» sussurrai.

Lui uscì senza aggiungere altro, seguito da Ewan, dopo aver controllato che il corridoio fosse vuoto.

E di colpo mi ritrovai sola.