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Fratelli e sorelle

BRIANNA
Due giorni al processo
Castello reale di Lyonesse, territorio di lord Burke

«So che non subirò il processo, come invece toccherà ai Lannon» mi disse Sean Allenach mentre passeggiavamo nei giardini del castello. «Questo non deve significare che il mio casato eviterà di pagare per gli errori commessi.»

«Sono d’accordo» replicai, crogiolandomi nella luce calda del mattino, «ma vi posso già anticipare che una volta che il popolo avrà giudicato i Lannon, la regina ha intenzione di convocarvi per imporvi delle riparazioni. Credo che intenda farvi risarcire i MacQuinn per i prossimi venticinque anni.»

Sean assentì. «Farò ciò che la sovrana riterrà giusto ordinare.»

Proseguimmo in silenzio per un po’, ognuno immerso nei propri pensieri.

Sean aveva tre anni più di me. Avevamo lo stesso padre ma, oltre al nome e al sangue in comune, iniziavo a capire che condividevamo la stessa speranza di risollevare le sorti del nostro corrotto casato, e di poterlo in qualche modo redimere.

«Chissà se la regina sta pensando di organizzare un processo anche per gli Allenach» si chiese Sean a voce alta, strappandomi ai miei pensieri.

Se Brendan Allenach non fosse stato ucciso da Jourdain sul campo di battaglia, il casato avrebbe di certo dovuto subire un processo simile a quello dei Lannon, e di sicuro Brendan Allenach sarebbe stato condannato a posare la testa sul ceppo del boia. E anche se Sean aveva messo la sua spada a disposizione della regina, e aveva apertamente ordinato al padre di arrendersi, ero certa che Isolde, dopo la sua incoronazione, avrebbe avviato un procedimento a carico degli Allenach, dei Carran e degli Halloran.

Ma non era ancora il momento di parlarne. Mi fermai, e per qualche istante osservai il giardino intorno a noi, inselvatichito dopo anni di abbandono.

«A voi e alla vostra gente non verrà richiesto solo del denaro, o delle buone intenzioni, Sean. Avevate ragione, la settimana scorsa, quando mi avete scritto: sarà necessario sradicare la malapianta della paura e della violenza, e al suo posto seminare nel casato nuovi pensieri e nuovi princìpi da cui un giorno sbocceranno i fiori della virtù e dell’altruismo.»

Il mio fratellastro mi guardò: non ci assomigliavamo granché, a parte la figura alta e snella, eppure sentivo che fra noi c’era qualcosa, quella sorta di tacita intesa che unisce fratelli e sorelle. E in quel momento il mio pensiero andò a Neeve, che era mia sorella tanto quanto Sean. Lui sapeva della sua esistenza? Una parte di me era convinta che lui non ne avesse idea perché le tessitrici di Jourdain avevano protetto la ragazza con molto zelo nel corso degli anni; un’altra parte, tuttavia, avrebbe voluto parlare, raccontare anche a lui che non eravamo in due, ma in tre.

«Sì. Concordo assolutamente» replicò Sean. «Un compito parecchio impegnativo, dopo i misfatti commessi da nostro padre in questi anni.»

Sean sembrò sopraffatto dalla pesante eredità che la sua famiglia gli aveva lasciato, e io istintivamente gli presi la mano.

«Affronteremo tutto questo insieme, un passo alla volta. Credo che potrebbe esservi d’aiuto trovare nel casato degli Allenach persone per bene e degne di fiducia che possano essere un buon esempio per tutti gli altri» suggerii.

Sean mi sorrise. «Immagino di non potervi chiedere di tornare da noi per aiutarmi, vero?»

«Sono davvero dispiaciuta, Sean, ma per il momento è meglio che io rimanga con la mia gente.»

Evitai di raccontargli che dovevo mettere la maggiore distanza possibile fra me e gli Allenach, e che il mio primo interesse in quel momento, a parte proteggere e sostenere la regina, era di restare accanto a Jourdain e ai MacQuinn.

«Capisco» mormorò lui, e annuì.

Abbassai lo sguardo sulle nostre mani unite. Osservai i suoi abiti. Indossava l’amaranto e il bianco degli Allenach, con un cervo rampante ricamato sul petto. I polsi, però, non riuscii a vederli. Detestai anche solo pensarlo, ma… e se mio fratello avesse avuto il marchio dei Lannon, la falce di luna tatuata sul polso, sotto la manica? Non ero sicura di avere il diritto di chiederglielo.

«Qual è il vostro pensiero in merito alle alleanze?» domandai, cambiando argomento.

Sean mi guardò. «Ho deciso di giurare fedeltà alla regina Isolde prima della sua incoronazione.»

«E che cosa mi dite dei vostri vassalli? Credete che vi seguiranno?»

«Quattro di loro lo faranno. Degli altri tre, invece, non sono sicuro» replicò. «Non posso fingere di ignorare che appena volto loro le spalle, sparlano di me. E sicuramente pensano che io sia un debole, una persona facile da rovesciare e sostituire.»

«Sean, credete che potrebbero complottare contro di voi?» domandai, con una punta di rabbia nella voce.

«Non lo so, Brianna. Comunque sia, il nocciolo è che voi possiate tornare dagli Allenach.»

Ero senza parole.

Sean mi sorrise, e mi strinse forte la mano. «Credo che abbiano una considerazione maggiore di voi perché siete l’unica figlia femmina di Brendan. E una figlia vale dieci figli maschi. Ma, soprattutto, mentre voi ordivate trame per rovesciare un tiranno, io me ne stavo al castello di Damhan a non fare nulla, lasciando che mio padre portasse la sua gente alla rovina.»

«Se le cose stanno così, Sean, dovete assolutamente iniziare a darvi da fare» affermai. «E come prima cosa vi chiederò di aiutarmi a rimuovere il simbolo della falce di luna dallo stemma degli Allenach.»

«Quale falce di luna?» Sean era perplesso, e capii in quel momento che era all’oscuro del coinvolgimento di nostro padre in quel complotto.

Respirai a fondo. «Dopo il processo, tornerete al castello di Damhan» spiegai, e gli lasciai la mano per riprendere a camminare. «Dovrete riunire i vostri sette vassalli nel salone, davanti a tutta la vostra gente. Quindi chiederete loro di sollevare le maniche e di posare le mani sul tavolo, con i palmi rivolti verso l’alto. Se vedrete una falce di luna sul polso dei vassalli, li dovrete cacciare. E se tutti i vassalli dovessero avere quel marchio, dovrete sostituirli tutti e sette con donne e uomini degni della vostra fiducia e del vostro rispetto.»

«Non credo di capire» obiettò il mio fratellastro. «Che cos’è questo marchio, questa falce di luna?»

«Indica fedeltà assoluta ai Lannon.»

Sean si fece silenzioso, mentre rifletteva sulle istruzioni che aveva ricevuto.

«Quando avrete rimpiazzato i vassalli» proseguii, «dovrete riconvocare tutti gli Allenach e insieme a loro staccare la falce di luna da tutti gli stemmi del castello, e distruggerla. Dopodiché ordinerete nuovi blasoni senza quel simbolo. Dovrete comunicare alla vostra gente che giurerete fedeltà alla regina Isolde prima della sua incoronazione e che vi aspettate che tutti seguano il vostro esempio. Se avranno dei dubbi, potranno venire da voi e parlarne. Voi li ascolterete, ovviamente, ma al tempo stesso dovrete essere inflessibile se vorranno opporsi alla regina.»

Sean reagì con un ghigno, e sulle prime pensai che volesse prendersi gioco di me. In realtà, sorrideva scuotendo la testa.

«Credo che i miei vassalli abbiano ragione, sorella mia. Voi sareste ben più abile di me come guida del nostro casato.»

«Questo genere di pensieri non vi porterà lontano, caro fratello» ribattei. E poi, con dolcezza, aggiunsi: «Sarete un lord di gran lunga migliore di Brendan Allenach».

Stavo per chiedere a Sean di parlarmi dei suoi vassalli, quando fummo raggiunti da Cartier. Aveva i capelli arruffati, e la camicia sporca come se si fosse appoggiato contro un muro sudicio. La sua espressione d’un tratto mi impensierì: probabilmente aveva parlato di Ewan con Isolde, e qualcosa forse era andato storto.

«Sean, vi dispiace se vi rubo Brianna per un po’?» domandò Cartier.

«Niente affatto. Anche perché adesso ho un’udienza con la regina» rispose mio fratello, e si congedò con un cenno del capo, lasciandomi sola con Cartier, il vento e le nuvole.

«Qualcosa non va?» mi affrettai a domandare. «Che cosa ti ha detto Isolde?»

Cartier mi prese la mano e mi condusse in un punto più appartato del giardino. «Isolde mi ha concesso di tenere Ewan al sicuro con me. Dovrà restare nascosto fino alla fine del processo.» Quindi si frugò in tasca e ne estrasse un foglio ripiegato. Quando lo aprì, vidi una splendida illustrazione che raffigurava una principessa. «C’è una cosa che devo chiederti, Brianna.»

«Dimmi. Che cosa posso fare?»

Cartier osservò per qualche secondo la figura e poi mi consegnò il foglio. «Devi scendere nelle segrete e parlare con Keela Lannon. Ewan ha strappato questa pagina da un libro, dicendomi che gli ricordava il tempo in cui sua sorella voleva diventare “principessa delle montagne”. Secondo lui, se sarai tu a portarle questo messaggio, lei si fiderà di te e accetterà di parlare.»

Studiai l’illustrazione. Era bellissima. Vi si vedeva una principessa in sella a un cavallo con un falcone posato sulla spalla.

«Vuoi che ci vada subito?» domandai, guardandolo negli occhi.

«No. Devo prima mostrarti qualcosa.» Di nuovo, mi prese per mano e mi accompagnò al castello. Entrammo nell’ala riservata agli ospiti e raggiungemmo i suoi appartamenti, e qui vidi per la prima volta l’elenco delle accuse contro Keela.

Ci sedemmo al tavolo, dove il tè era già stato servito. «Ho avuto questa lista dalla regina» mi spiegò, e iniziammo a leggere le accuse a una a una, studiando se fosse possibile smontarle.

Erano denunce gravi, e molto circostanziate, con date e nomi delle parti lese. In gran parte si riferivano alle punizioni ordinate da Keela nei confronti delle cameriere: rasatura dei capelli per alcune, frustate per altre; e poi ancora negazione dei pasti, oppure attività umilianti come leccare del latte dal pavimento o camminare intorno al castello a quattro zampe.

«Credi che Keela possa davvero aver ordinato queste cose?» domandai a Cartier, intristita da ciò che avevo letto.

Lui fissò l’elenco per qualche secondo. «No. Credo sia stata costretta da Declan Lannon. Probabilmente all’inizio si sarà rifiutata, e immagino che sarà stata punita. Così, piano piano si è piegata alla volontà del padre per sopravvivere.»

«Cartier, noi cosa possiamo fare?»

«Brianna… le segrete sono il posto peggiore che io abbia mai visto. Keela era troppo terrorizzata e arrabbiata per parlare con me.» Spostò da parte i fogli con le accuse e mi guardò negli occhi. «Se tu potessi trovare il modo di calmarla, di rassicurarla, forse potresti anche conquistare la sua fiducia, e dirle che per lei esiste la possibilità di un riscatto. Forse riuscirebbe a trovare la forza di raccontare la sua storia al processo, e il popolo potrebbe poi decidere di risparmiarle la vita. La gente deve sapere che anche lei ha sofferto profondamente e per tutta la sua vita a causa del padre e del nonno.»

«Ci andrò nel pomeriggio» dichiarai risoluta, anche se stavo ancora elaborando ciò che Cartier mi aveva detto; e non ero affatto certa che Keela mi avrebbe accolta bene.

Qualche ora dopo mi presentai davanti a Fechin, il capo delle guardie, e mi lasciai condurre nell’oscuro mondo delle segrete finché non mi ritrovai nella penombra della cella di Keela, e con quella massa di pietra sopra la testa ebbi la sensazione di non avere più aria nei polmoni, né speranza dentro il cuore. Solo in quel momento compresi fino in fondo le parole di Cartier. E rabbrividii.

Non appena mi vide, Keela prese una candela dal piccolo scrittoio e la brandì come una spada con cui difendersi.

«Ti dispiace se mi siedo?» domandai, e senza aspettare risposta mi accomodai sul pavimento a gambe incrociate. In tasca avevo l’illustrazione della principessa, e impresse nella memoria le parole suggerite da Ewan.

«Uscite!» piagnucolò Keela.

«Mi chiamo Brianna MacQuinn» le dissi con molta tranquillità, come se lei e io non fossimo in una cella buia ma in un prato, all’aria aperta. «Però non sono sempre stata una MacQuinn. In passato appartenevo a un altro casato. Ero la figlia di Brendan Allenach.»

Keela mi fissò. «Lord Allenach non aveva figlie.»

«Sì. Questo è ciò che si è sempre creduto, perché ero una figlia illegittima, nata da una donna valeniana.» Cercai di assumere un’aria rassicurante e le chiesi: «Vorresti ascoltare la mia storia?».

Keela sembrò riflettere sulla mia proposta, e intanto fece rimbalzare lo sguardo da me alla porta sprangata e poi da me alla sua branda. Volevo farle capire che io ero esattamente come lei, nata in un casato oppressivo e crudele, e che il nostro nome e il nostro sangue non avrebbero determinato per sempre la nostra identità. Le persone sono definite anche dalle loro convinzioni, dalle loro scelte, e queste sono più importanti della famiglia di origine.

E se Keela un tempo aveva desiderato diventare la principessa delle montagne, ero certa che fosse una sognatrice e un’appassionata di storie. Esattamente come me.

«Va bene.» La ragazzina sembrò calmarsi e andò a sedersi sulla branda.

Iniziai così a raccontarle la mia vita: che avevo perso mia madre a tre anni, che mio nonno mi aveva messa in un orfanotrofio, cambiandomi il cognome per paura che lord Allenach potesse trovarmi. E che poi a dieci anni ero stata ammessa alla Gran Casa di Magnalia, e di come desiderassi diventare un’appassionata più di qualsiasi cosa al mondo.

«Quante sono le passioni?» domandò Keela, mentre posava la candela sul tavolo.

«Sono cinque» risposi con un sorriso. «Arte. Teatro. Musica. Eloquenza. Sapienza.»

«E voi che cosa siete?»

«Sono una maestra di Sapienza.»

«E chi vi ha insegnato la Sapienza?» Keela portò le ginocchia al petto e vi appoggiò il mento.

«Il mastro Cartier, meglio conosciuto come Aodhan Morgane.»

Per un po’ Keela studiò il pavimento davanti a sé, in silenzio. Poi: «Credo che oggi sia venuto qui da me».

«Sì. Era lui. Come me, anche lui vuole aiutarti, Keela.»

«E come pensate di potermi aiutare?» ribatté la ragazzina, di nuovo arrabbiata. «Mio nonno è un uomo orribile. Dicono che abbiamo lo stesso viso, perciò, se mai dovessi sopravvivere a questo processo, credo che nessuno potrebbe sopportare l’idea di guardarmi in faccia.»

Il mio cuore iniziò a battere forte. Keela aveva pensato all’eventualità di superare il processo, alla probabilità di essere insultata e oltraggiata. Io non potevo mentirle: ci sarebbe voluto molto tempo prima che i maevaniani la accettassero e si fidassero di lei, proprio come stava capitando a me con i MacQuinn.

«Lascia che ti racconti il resto della storia, Keela, e dopo cercheremo di trovare una risposta alle tue preoccupazioni.»

Ripresi quindi il mio racconto, parlando dei ricordi che avevo ereditato dal mio antenato, Tristan Allenach, del suo inganno, del fatto che era stato lui a nascondere la Pietra di Eventide neutralizzando la magia, e di come avesse assassinato l’ultima regina di Maevania. Le spiegai come si era svolta la rivoluzione, che avevo attraversato il canale di Berach per recuperare la pietra, e che Brendan Allenach aveva scoperto che ero sua figlia e aveva cercato di indurmi a rinnegare i miei amici per riunirmi a lui, e farmi incoronare regina con lui al mio fianco.

Questa parte attirò la sua attenzione più delle passioni, perché le permetteva di fare un confronto fra me e lei, due figlie che cercavano di spezzare il vincolo che le univa al casato di origine.

«Ma io sarò sempre una Lannon» osservò con amarezza. «I maevaniani mi odieranno per sempre, che io viva o muoia.»

«Keela» replicai con dolcezza, «è solo il sangue a fare una persona? Non sono forse le convinzioni ciò che ci unisce agli altri? Conta di più il rosso che ci scorre nelle vene o il fuoco che arde nel nostro cuore?»

Le mie parole non sembrarono convincerla, dal momento che scosse la testa, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime.

«Keela, ascoltami: io voglio che tu viva. Come voglio che viva tuo fratello Ewan.» Presi il foglio dalla tasca e lo aprii sul pavimento. «È stato lui a chiedermi di darti questa illustrazione, perché ricorda il tempo in cui volevi diventare la principessa delle montagne.»

A quelle parole, la ragazzina non si trattenne più e scoppiò a piangere, ma benché desiderassi con tutta me stessa confortarla, restai al mio posto, le gambe ormai insensibili per la posizione scomoda, e attesi che fosse lei ad avvicinarsi. Dopo poco Keela si alzò e prese il foglio, asciugandosi le lacrime dagli occhi, quindi tornò alla sua branda e osservò la figura.

«Allora non è morto, come ha detto mio padre» disse, non appena si fu calmata. «Ci ha raccontato che la nuova regina lo aveva fatto a pezzi.»

«Ti assicuro che Ewan è vivo e vegeto» confermai, maledicendo dentro di me suo padre per le menzogne che le aveva propinato. «È sotto la nostra protezione, la mia e quella di Aodhan Morgane. E vogliamo proteggere anche te.»

«Ma il popolo di Maevania mi odia!» gridò. «Vogliono il mio sangue! Vogliono il sangue di tutti noi!»

«C’è una ragione per cui dovrebbero volere il tuo sangue, Keela?»

Di nuovo, la ragazza sembrò sul punto di scoppiare in lacrime. «No. Sì. Non lo so.»

«Com’è stata la tua vita di principessa in quel castello?»

Non rispose, ma ebbi la netta sensazione che la mia domanda avesse colto nel segno.

«Ti picchiavano? Ti costringevano a fare cose crudeli?» Il mio cuore prese a battere più veloce. «Era tuo padre la persona che ti ordinava di maltrattare le cameriere?»

Di nuovo, la ragazzina scoppiò a piangere e nascose il viso dietro un braccio. Pensai di averla persa, invece dopo qualche secondo mi guardò e sussurrò: «Sì. Se non facevo quelle cose, mio padre… mio padre mi faceva del male. Mi chiudeva in uno stanzino, al buio, e mi lasciava senza mangiare. Mi sembrava di stare lì dentro per giorni, però lui diceva che serviva a farmi diventare più forte, che anche suo padre aveva fatto così con lui, per renderlo duro come l’acciaio. Mio padre diceva che non poteva fidarsi di me se non facevo esattamente tutto quello che mi ordinava.»

Mentre l’ascoltavo, mi sentivo lacerata fra la parte di me che chiedeva giustizia, e che voleva vedere il sangue dei Lannon schizzare dal ceppo del boia, e quella che invece desiderava ascoltare il bisogno di pietà e di perdono che Keela Lannon suscitava in me.

«Durante il processo dovrai raccontare al popolo queste cose, Keela» mormorai, soffrendo per lei. «Dovrai dire la verità. Dovrai spiegare che cosa ha significato per te essere la nipote di re Lannon. E ti prometto che ti ascolteranno, e qualcuno si renderà conto che sei come loro. Che per la Maevania vuoi le stesse cose che vuole il popolo.»

Mi alzai, le gambe e i piedi completamente informicolati. Keela mi guardò con gli occhi gonfi di pianto, gli stessi occhi di Ewan.

«Il processo inizierà fra due giorni» le dissi. «Ti faranno salire sul palco allestito apposta, di fronte a tutta la città, per rispondere alle domande del magistrato, in modo che il popolo possa decidere se meriti di vivere o di morire. Io starò in prima fila, di fronte a te, e quando avrai paura voglio che mi guardi, così saprai che non sei sola.»