BRIANNA
Città reale di Lyonesse, territorio di lord Burke
Ero molto nervosa quando mi ritrovai nei pressi della taverna insieme a Luc. Il fatiscente edificio in mattoni era incuneato fra due birrifici, il tetto era coperto da un fitto strato di muschio, e dalle finestre, strette come fessure, brillavano le timide luci delle candele. Indossavamo un ampio mantello nero chiuso fino al mento, e il cappuccio alzato ci copriva la testa. Sulla parte interna del polso ci eravamo disegnati una falce di luna con l’inchiostro, e per ordine di Isolde avevamo un pugnale nascosto addosso. Non potevamo entrare in un postaccio del genere disarmati, tuttavia era chiaro a entrambi che dovevamo a tutti i costi tenerci lontani dai guai. Ammesso che fosse possibile.
Jourdain e Cartier aspettavano in una strada vicina, dentro una carrozza coperta da cui potevano tenere d’occhio il portone del locale. Il drappello di soldati fornito da lord Burke, invece, era appostato in un’altra via. La loro consegna era di intervenire al segnale di Jourdain, il quale a sua volta aspettava da me e Luc la conferma della presenza di Declan, che avremmo comunicato accendendo un mazzetto di focherelle, che entrambi custodivamo in una tasca del farsetto.
Cartier aveva scelto quella pianta perché era altamente infiammabile e una volta accesa produceva una girandola di scintille azzurre che sarebbe stato impossibile non notare nel buio della sera.
Giunti davanti al locale, riuscii a resistere alla tentazione di voltarmi verso mio padre e Cartier, pur sapendo che mi stavano osservando. Luc mi prese sottobraccio per darmi coraggio e insieme varcammo la soglia, con la sensazione di entrare nelle acque torbide di uno stagno.
L’ambiente era poco illuminato, nell’aria aleggiava un tanfo di gente poco pulita misto all’odore pungente della birra stantia. Lo spazio era disseminato di tavoli scompagnati, occupati da uomini che giocavano a carte e bevevano birra da grossi boccali. Ero una delle rarissime donne presenti. Luc e io scegliemmo un tavolo un po’ in disparte. Non appena fummo seduti, appoggiai nervosamente le mani sul piano, ma era talmente appiccicoso che d’istinto le ritirai e le misi in grembo.
Gli altri avventori si accorsero subito che eravamo forestieri e iniziarono a osservarci, anche a causa dei cappucci che ci nascondevano.
«Dobbiamo scoprire la testa» sussurrai a Luc, e subito diedi l’esempio, mostrando il viso. Prima di uscire mi ero truccata gli occhi con il kajal nero e avevo messo un po’ di belletto sulle guance. Avevo anche deciso di tenere i capelli sciolti e di lasciarli ricadere su una spalla.
Luc si scoprì la testa a sua volta e appoggiò il mento sulle mani, fingendo un’aria annoiata. In realtà approfittò di quella posizione per analizzare gli avventori della taverna.
Una ragazza ci portò due boccali di birra inacidita, che finsi di bere, studiando a mia volta il posto. Dietro il bancone, un uomo corpulento mi guardava con sospetto, appoggiato al ripiano di legno levigato. Aveva un tatuaggio all’interno del polso e non appena riconobbi la falce di luna ebbi un tuffo al cuore.
La mia intuizione era corretta, eravamo entrati in un covo di Gilroy Lannon. Ma se anche Declan si fosse nascosto lì dentro, dove avrebbe potuto essere? Il locale era costituito da una grande sala con una porta di ingresso e un’altra porta sul fondo, che verosimilmente conduceva alla cantina. L’oste si accorse che fissavo la porta sul retro e subito si voltò facendo uno strano gesto con le dita, come se volesse segnalare qualcosa a qualcuno.
«Credo che dovremmo andarcene» sussurrai all’orecchio di Luc.
«Lo credo anch’io» mormorò mio fratello proprio nel momento esatto in cui un omone con una vistosa cicatrice sulla fronte si stava avvicinando al nostro tavolo.
«Casato?» domandò il tipaccio, appoggiando i pugni sul tavolo.
«Lannon» rispose Luc senza esitazioni. «Come voi.»
Lui ci studiò per qualche secondo, poi si soffermò su di me. «Lei non ha l’aria di una Lannon.»
Luc e io eravamo entrambi bruni, ma i capelli dei Lannon avevano i colori più diversi: Ewan per esempio era fulvo, mentre il padre, Declan, era castano.
«Volevamo solo bere qualcosa» dissi, e allungai il braccio verso il mio boccale, in modo che da sotto la manica spuntasse la punta della mia falce di luna. Gli occhi dell’uomo puntarono proprio in quel punto, come un cane il suo osso. «Però possiamo andare via, se è questo che volete.»
Lui mi sorrise con i suoi denti marci. «Perdonate la mia scortesia. Ma da queste parti non vi avevamo mai visti. E io li conosco quasi tutti, i Lannon.»
Dopodiché con orrore lo vidi prendere una sedia e sedersi al nostro tavolo. Luc si irrigidì e mi toccò il piede per mettermi in guardia.
«Ditemi… siete del nord o del sud? Domandò il brutto ceffo, indicando alla giovane cameriera di portargli un boccale.
«Del nord, ovviamente» risposi veloce, attenta a non guardare Luc.
Non riuscii a capire se la mia risposta soddisfacesse il nostro compagno di tavolo oppure no. In ogni caso continuò a fissarmi, ignorando del tutto mio fratello. «Avrei dovuto immaginarlo. Perché avete un certo non so che.»
In quel momento arrivò la ragazza con la birra e per un attimo riuscii a sfuggire allo sguardo indagatore del tizio. Ma fu giusto un attimo, perché riprese subito a fissarmi, e aggiunse: «Quindi vi ha mandati il Corno Rosso, giusto?».
Corno Rosso… Corno Rosso…
Cercai di decodificare quello pseudonimo per capire a chi potesse riferirsi. Oona Lannon aveva i capelli rossi, e anche Ewan. Era forse lei il Corno Rosso? Stava inviando messaggi dalle segrete?
«Anche se sappiamo tutti che preferisce tenersele strette, le bamboline come voi» bofonchiò subito dopo il tipaccio, chiaramente contrariato.
Quindi il Corno Rosso era un uomo.
«Veramente non ci ha mandati lui» osai replicare, bevendo una sorsata di birra per mascherare il tremito della voce.
Di nuovo, sentii Luc toccarmi il piede. Voleva andare via, prima che ci scoprissero.
«Davvero?» Il nostro amico tirò su col naso e si grattò la barba. «Strano. Perché stiamo aspettando un messaggio da parte sua. Ero convinto di sentirlo da voi.»
Di certo il Corno Rosso non era Declan…. Ma se lo fosse stato, era evidente che non si trovava in quel locale.
In ogni caso, il mio talento di attrice si era già espresso al suo massimo. Non credo avrei resistito ancora a lungo con quella messinscena.
«Sono spiacente, ma noi non portiamo nessun messaggio. Volevamo soltanto berci una birra in compagnia della nostra gente» intervenne Luc. Il tizio degnò mio fratello di uno sguardo annoiato e tornò subito a concentrarsi su di me. La camicia che indossavo sotto il farsetto era ormai madida di sudore. Stavo cercando una via d’uscita che non lo insospettisse.
D’un tratto l’oste lanciò un fischio e il nostro amico si voltò. Seguirono una serie di gesti, dopodiché il tipaccio ci riferì che l’altro voleva sapere i nostri nomi.
Luc cercò di prendere tempo bevendo un lungo sorso di birra, e lasciando a me il compito di rispondere.
«Rose» inventai al momento, alterando il nome di mia madre, Rosalie. «E lui è mio marito Kirk.»
Non appena udì la parola “marito” il tizio sembrò deluso e di colpo perse interesse.
«Bene. Allora rilassatevi e godetevi la birra» disse. «Questo giro lo offro io.»
«Grazie» risposi, pensando che non ce ne sarebbe mai stato un secondo.
Il tizio alzò il boccale per brindare alla mia salute, e io mio malgrado risposi con lo stesso gesto. Finalmente l’uomo se ne andò, e Luc e io decidemmo di restare seduti ancora una decina di minuti per non destare sospetti.
Trascorso il tempo previsto, mi alzai. «Ora possiamo andarcene» sussurrai.
Luc subito mi imitò. Salutammo con un cenno il nostro “amico”, impegnato in una partita a carte a uno dei tavoli, e osai addirittura salutare con la mano l’oste dietro il bancone, giusto per mostragli la mia falce di luna.
Quando lasciammo la taverna ci tremavano le ginocchia, e non smettemmo di camminare finché non fummo avvolti dalle tenebre.
«Santi numi» esclamò Luc, e per calmarsi si appoggiò contro il muro della casa più vicina. «Come sei riuscita a tirarci fuori di là?»
«A Magnalia ho studiato Teatro per un anno» risposi, con la voce stentata di chi non riesce a riprendere fiato. «Ai tempi avevo una terribile paura del palcoscenico, ma a questo punto dovrò informare il maestro Xavier e la mia amica Abree che la mia tecnica è decisamente migliorata.»
Luc scoppiò a ridere, e io, appoggiata contro il muro accanto a lui, lo imitai volentieri, lieta di aver trovato un modo per allentare la tensione.
«Bene» annunciò mio fratello quando ci fummo calmati, «direi che possiamo proseguire con il prossimo locale.»
La locanda non era distante, giusto un paio di strade più avanti. L’edificio sembrava sprofondare nella terra, e per raggiungere l’entrata dovemmo scendere una scala piuttosto instabile.
La porta era presidiata da un uomo armato. Gli mostrai il polso e attesi il suo benestare con il cuore in gola. La guardia mi sollevò il cappuccio per guardarmi in viso.
«Siete armati?» mi chiese, scrutando il mio corpo.
Purtroppo esitai un istante di troppo. Se avessi mentito, lo avrebbe capito. «Sì. Due dirk.»
Allungò la mano per farsi consegnare i pugnali, e io ebbi la sensazione che disarmasse soltanto gli sconosciuti.
«Sono certo che permetterete a mia moglie di tenere con sé un’arma» intervenne Luc, parlando alle mie spalle. Sapevo che cosa intendeva dire. Ero una donna sul punto di entrare in un locale che con molta probabilità era affollato di uomini ubriachi. Se c’era qualcuno che aveva tutto il diritto di potersi difendere, quella ero io. La guardia mi studiò ancora un po’, ma alla fine cedette e con un cenno della testa mi indicò di entrare.
Indugiai sulla soglia per qualche secondo, cercando di respirare tutta l’aria fresca che potevo prima di immergermi nel fumo e nel fetore della locanda. Luc intanto stava mostrando il polso all’uomo che controllava la porta. Ma prima che potesse raggiungermi, la guardia lo tirò indietro per il colletto.
«La donzella o entra armata o entra con te. Non tutt’e due le cose, amico.»
Guardai Luc. Stava cercando di mantenere la calma perché sapevamo entrambi che Isolde ci aveva ordinato di non usare il pugnale se non per una questione di vita o di morte.
La sua preoccupazione aumentò ancora quando mi sentì dire: «Torno da te fra un attimo, tesoro».
La guardia rise, divertita dal fatto che avessi scelto le armi al posto del marito, e io mi affrettai a entrare, prima che Luc potesse rovinare la nostra copertura.
La locanda era più grande di quanto pensassi. Dal salone principale si poteva accedere ad altre salette più piccole, alcune chiuse con una tenda formata da fili di grosse perle e vetri colorati. Passai accanto ai tavoli, avvolta dal rumore delle risate, delle chiacchiere e dei brindisi con i boccali di peltro, cercando di decidere dove andare a sedermi. Lì c’erano molte donne, e guardandole mi resi conto che non ero vestita in modo adeguato: le altre sfoggiavano profonde scollature e pizzi neri, io invece, con i miei abiti severi, ricordavo piuttosto un sicario incaricato di qualche spedizione punitiva.
Un paio di donne mi notarono, ma si limitarono a sorridermi per darmi il benvenuto.
Mi avvicinai al bancone, vi posai una moneta di rame e ottenni un boccale colmo di pessima birra, dopodiché presi a gironzolare fra le molte salette della locanda, scostando qualche tenda di perline, finché non trovai una panca in un angolino appartato da cui potevo tenere d’occhio un paio di salette e gli avventori che le occupavano.
Sulle prime non lo riconobbi. Si era appena alzato da un tavolo, e attirò la mia attenzione solo perché portava a tracolla una cartella di cuoio, molto simile a quella di Cartier.
D’un tratto però si voltò e si guardò intorno. Aveva il viso sottile, con un neo molto vistoso su uno zigomo. Il suo sguardo si posò su di me e prima che potessi nascondere la faccia, i nostri occhi si incontrarono.
L’uomo rimase impietrito, e mi fissò per qualche istante tra le volute di fumo del locale, gli occhi sgranati per la paura. Era la guardia che mi aveva accompagnata nelle segrete qualche giorno prima, quando ero scesa a parlare con Keela Lannon. L’uomo che conosceva le viscere del castello come le proprie tasche.
Il traditore che aveva liberato Declan.
Fechin.
Lo fissai a mia volta, immobile come una statua, i pugni serrati per la tensione. L’unica reazione e cui riuscii a pensare in quel momento fu di sorridere e alzare il boccale alla sua salute, come se fossimo amici.
Un attimo dopo il traditore si era già dileguato, rapido come il fulmine.
Io scattai in piedi e cercai di inseguirlo, sgusciando fra i tavoli con il boccale in mano, e rovesciai tutta la mia birra. Riuscii a individuare i suoi folti capelli castani mentre l’uomo entrava nella saletta successiva, e lo seguii lanciandomi oltre le tende di perline. A quel punto il mio comportamento aveva attirato l’attenzione dei presenti, io però rimasi concentrata soltanto sul mio cuore che batteva all’impazzata e sul pugnale che nascondevo sotto i vestiti, e continuai il mio inseguimento.
La mia incoscienza mi spingeva a braccare il secondino per non perdere le sue tracce, la mia razionalità invece mi pregava di rispettare il nostro piano, ovvero uscire in strada e accendere il mazzetto di erbe per segnalare a Cartier e ai soldati di intervenire.
Decisi in una frazione di secondo, e scelsi di inseguire la guardia perché sentivo che Ewan e Keela non dovevano essere lontani.
In quel momento però persi di vista Fechin, che scomparve in un corridoio molto angusto, interrotto da una serie di porte chiuse su entrambi i lati. Recuperai il dirk da dietro la schiena, il respiro alterato per la tensione. Studiai le porte: da più di una fessura filtrava qualche debole raggio di luce, tuttavia decisi di puntare al trambusto che proveniva dall’ultima, che spalancai con un calcio.
Era una stanza molto piccola. E vuota. Vidi soltanto un lettino, con un mucchio di coperte di disordine, e un vassoio con i rimasugli di un pasto. Ma soprattutto… per terra c’era un foglio di carta strappato. Lo raccolsi e vidi che era l’illustrazione della principessa delle montagne, quella che Ewan mi aveva chiesto di dare a Keela quando le avevo fatto visita nelle segrete.
Erano lì. Declan e i suoi figli erano appena fuggiti. Mi sembrò di vedere proiettata sulle pareti l’ombra di quell’uomo, di sentire l’odore dell’oceano e della muffa nelle segrete.
Nella stanzetta c’era una finestrella aperta sulla notte. Un soffio di vento fece tremare la fiamma delle candele ancora accese.
Senza pensarci due volte, saltai fuori dalla finestra, evitando per un pelo di storcermi una caviglia, e mi ritrovai in un vicoletto coperto di rifiuti. Scrutai il buio intorno a me per qualche secondo, finché non sentii un rumore.
«Brianna! Brianna!» Era la voce di Ewan. Mi voltai di scatto verso sinistra e scorsi Declan a pochi passi da me, illuminato dalla luna, che fuggiva trascinandosi dietro i due figli.
Il principe si fermò per un secondo e i nostri sguardi si incrociarono. Mi rise in faccia, sfidandomi a seguirlo, prima di dileguarsi nell’oscurità di un vicolo laterale; un istante dopo, le grida di Ewan e i singhiozzi di Keela furono soltanto un’eco lontana.
«Luc!» gridai, sperando che potesse sentirmi dall’entrata della taverna, dov’era rimasto, e mi lanciai all’inseguimento di Declan. Il principe era un uomo robusto e possente, e non mi illudevo di poterlo affrontare con il mio pugnale, ma fuggire con i due ragazzini in braccio lo avrebbe sicuramente rallentato. Il mio unico obiettivo in quel momento era recuperare Ewan e Keela. Se poi Declan fosse riuscito a scappare, pazienza.
Concentrata su questi pensieri, però, avevo completamente dimenticato Fechin.
La guardia mi sbucò davanti all’improvviso da un angolo buio, e mi serrò la gola con un braccio. Caddi a terra sulla schiena, il respiro mozzo, l’aria intrappolata nei polmoni dalla pressione sulla laringe.
Cercai di divincolarmi per riuscire a respirare, mentre lui trafficava rabbiosamente per controllarmi il polso, dove però la mezzaluna si stava già cancellando.
«Sei molto furba» mi ringhiò all’orecchio. «Vedrai che la prossima volta ti riserveremo un trattamento speciale. Puoi starne certa.» E mi abbandonò lì, ansimante, sul selciato del vicolo. Ma lui non sapeva che avevo ancora il mio dirk.
Senza neppure alzarmi, guizzai sulla sua sagoma in fuga affondandogli il pugnale nel polpaccio tanto da lacerare i muscoli fino all’osso. Fechin urlò come una bestia ferita, e d’istinto mi restituì il favore voltandosi di scatto e sferrandomi un calcio in faccia. Sentii uno scricchiolio sinistro dentro il naso e ricaddi sdraiata, tra la sporcizia e i rifiuti del vicolo, stordita dal dolore, senza quasi riuscire a respirare a causa del sangue che mi ostruiva la gola.
«Brianna! Brianna!»
Non mi resi neppure conto che stavo perdendo conoscenza finché Luc non iniziò a strattonarmi così forte che il dolore al naso mi riportò alla realtà.
Riaprii gli occhi, cercando di mettere a fuoco il viso sconvolto di mio fratello nonostante il buio. «I ba… i bamb…» Ma la mia voce era soltanto polvere dentro la gola. Luc mi prese fra le braccia e mi portò fino alla carrozza, dove aspettavano Cartier e Jourdain. I sussulti della corsa mi diedero il voltastomaco, ma strinsi i denti e cercai in ogni modo di non vomitare sulla camicia di mio fratello.
«Brianna? Cos’è successo, Brianna?» mormorò Jourdain, appena mi vide.
«Ho…» Ma di nuovo la mia voce fu soltanto un alito sofferente. Mi sistemarono sul sedile, accanto a mio padre. Cartier mi aveva lasciato il suo posto e, inginocchiato ai miei piedi, mi fissava. Aveva le mani sporche del mio sangue e dal suo sguardo capii che era pronto a uccidere.
«È stato Declan a farti questo?» mi chiese in un sussurro.
Scossi la testa.
«Ma hai visto chi è stato?»
Annuii, e gli afferrai la camicia per spingerlo via e dirgli di correre all’inseguimento.
La carrozza era ancora ferma nel vicolo. Cartier mi prese le mani: aveva capito che cosa gli stavo dicendo. Sentii le voci dei soldati di Burke, che stavano già perlustrando le strade lì intorno alla ricerca di Declan. Il principe era di nuovo riuscito a fuggire.
«Riportatela al castello» Cartier ordinò a Jourdain, la voce calma ma determinata. Non lo avevo mai sentito usare quel tono e rabbrividii quando lo vidi scendere e lasciare il suo posto a Luc.
Non appena la carrozza partì, Jourdain aggredì il figlio. «Credevo che gli ordini fossero chiari. Non dovevate affrontare quella gente da soli.»
Luc mi guardò, incerto su come rispondere. Perché in effetti ero stata io a disobbedire.
«Sono sicuro che Brianna avesse buoni motivi per farlo» replicò infine mio fratello.
Giunti nel cortile del castello, Jourdain tratteneva a stento la collera per quanto era successo, e Luc non riusciva a star fermo per l’agitazione. Mio padre e mio fratello mi accompagnarono fino in camera e a quel punto mi fu chiaro che cosa dovevo fare. Non riuscivo ancora a parlare, perciò presi carta e calamaio e iniziai furiosamente a scrivere le mie spiegazioni.
«Brianna» sospirò Jourdain dopo aver letto il mio resoconto. Finalmente aveva capito perché avevo scelto di non seguire il nostro piano, ma già sapevo che la frustrazione per quanto era accaduto lo avrebbe tormentato per ore.
Tuttavia, prima che mio padre potesse farmi la sua ramanzina, Isolde irruppe nella stanza.
«Fuori tutti» ordinò agli uomini.
Quando lo sguardo furente della regina si posò su di me, per la prima volta ebbi davvero paura di lei. Osservai Jourdain e Luc uscire immediatamente e mi preparai ad accettare la mia punizione.
Dopo qualche secondo, però, capii che Isolde non era lì per rimproverarmi. Al contrario, voleva aiutarmi a fare un bagno e curarmi le ferite al viso.
Sedetti quindi nella vasca, immersa nel tepore dell’acqua, e lasciai che la regina mi lavasse via dal corpo e dai capelli il sudiciume della taverna, e che mi ripulisse il sangue dal viso, onorata da tante attenzioni. Dopo aver cercato dove fossi ferita, con molta delicatezza si occupò del naso. All’inizio mi irrigidii, temendo di sentire dolore, ma la sua magia fu piacevole come un raggio di sole, leggera come un’ala di farfalla. Il suo intervento rimise a posto il naso, lasciandomi soltanto un piccolo bernoccolo che riuscii appena a percepire quando mi sfiorai il viso con le dita.
«Sei ferita in altri punti?» mi domandò, versandomi un po’ d’acqua sulle spalle per eliminare il sapone.
Mi indicai la gola e non appena Isolde la sfiorò con la punta delle dita il grosso grumo che mi impediva di parlare si sciolse, lasciando al suo posto un leggero formicolio.
«Grazie, mia signora» riuscii finalmente a dire, sebbene a fatica.
«La tua voce non sarà a posto ancora per qualche giorno» mi avvertì, aiutandomi a uscire dalla vasca e avvolgendomi in un grande telo. «Non devi sforzarla.»
Cercai di non replicare, di non usare la voce e di fare come mi aveva detto. Ma fu inutile. Perché volevo spiegarle che lo avevo trovato, che Declan si era rifugiato in uno dei covi che avevamo individuato, proprio come previsto. E che mi ero trovata faccia a faccia con Fechin.
Indossai una camicia da notte fresca di bucato e mi infilai a letto, da dove le raccontai tutto ciò che era successo, in ogni minimo dettaglio, compreso quello strano nome in codice. Corno Rosso.
La regina mi ascoltò e poi rimase in silenzio per qualche istante, accarezzando con le dita le cuciture della mia trapunta.
«Ti chiedo scusa, Isolde» terminai, «so che non avrei dovuto disobbedire agli ordini.»
«Lo so. E capisco perché lo hai fatto» replicò la regina. «Anzi, se devo essere sincera, al tuo posto forse avrei fatto lo stesso. Forse. Ma se davvero vogliamo catturare Declan, dobbiamo essere strategici. Dobbiamo agire in gruppo. Non saresti mai dovuta entrare sola in quella locanda. Oltretutto, avevo ordinato a te e a Luc di portare sempre con voi un’arma, perciò sarebbe stato meglio che steste insieme. E tu non avresti mai dovuto inseguire Declan da sola.»
Le sue osservazioni mi fecero abbassare gli occhi e arrossire di imbarazzo. La mia unica consolazione in quel momento fu il pensiero della profonda ferita che avevo inflitto alla guardia. Ed era anche la sola informazione che potevo fornire per aiutare la sua cattura. «Credo che Fechin zoppicherà per sempre, dopo la mia pugnalata. Dovremmo contattare tutti i medici e i guaritori di quella zona, perché di sicuro è andato da qualcuno per farsi ricucire.»
«Lo faremo.» Isolde sorrise. Poi di colpo mi sembrò esausta, il viso tirato, e pensai che forse la magia aveva questo effetto su di lei: la svuotava, come se curare gli altri la rendesse debole e vulnerabile.
In quel momento qualcuno bussò alla porta principale e dopo qualche secondo Jourdain comparve sulla soglia della mia camera, cupo come un cielo temporalesco. Capii immediatamente che non potevo evitarlo.
Mi appoggiai contro i cuscini mentre salutavo e ringraziavo Isolde, che mi lasciò sola in compagnia di mio padre. Jourdain prese subito il suo posto, e si sedette sul bordo del letto.
«Cartier è rientrato?» domandai, in apprensione.
«Sì.»
E dal tono con cui pronunciò quel sì, capii che non aveva trovato Declan, così attesi il seguito.
«Ho deciso di rimandarti a casa, Brianna.»
Io sbattei gli occhi per la sorpresa. «Non voglio tornare a casa.»
«Lo so. Ma io devo saperti al sicuro, figlia mia.» Jourdain colse il mio sconcerto, e mi prese la mano. «E poi ho bisogno che tu prenda il mio posto a Fionn, come lady dei MacQuinn.»
Era l’ultima cosa che mi sarei aspettata da lui.
«Ma, padre» cercai di obiettare, sussurrando a fatica. «Non posso prendere il vostro posto. I MacQuinn…»
«La mia gente ti ascolterà e ti seguirà, Brianna. Perché sei mia figlia.»
Non volevo discutere con lui, ma proprio non riuscivo a immaginare di poter tornare al castello di Fionn e guidare delle persone che mi avrebbero sempre considerato con diffidenza.
Jourdain sospirò e si passò una mano fra i capelli. «Oggi ho ricevuto una lettera da Thorn. Ricordi chi è?»
«Il vostro scontroso maggiordomo.»
«Proprio lui. Mi chiede se Luc può rientrare in modo che possa aiutarlo a risolvere certe questioni. Sembra che si siano problemi con una delle ragazze, e Thorn non sa come procedere. Credo però che Luc non sia la persona giusta e invece penso che dovresti occupartene tu, Brianna.»
«Ma io non ho idea di cosa significhi essere la lady dei MacQuinn» protestai timidamente.
«Imparerai.» Ecco una di quelle risposte lapidarie tipiche degli uomini. Per fortuna si accorse che non avevo gradito, perché subito aggiunse: «A volte è meglio essere indotti a fare le cose nostro malgrado, altrimenti il rischio è di non farle mai».
Una concezione dell’apprendimento molto maevaniana, che contemplava l’idea di saltare dentro le acque di un fiume tumultuoso per imparare a nuotare. In Valenia, invece, si preferiva avere tutto il tempo che serviva per imparare qualcosa. Ecco perché ogni passione richiedeva almeno sette anni di studio.
«Secondo me, state solo cercando di togliermi di mezzo» ribattei.
Jourdain mi guardò accigliato. «Quando ti chiedo di aiutarmi, figlia mia, è quello che intendo. Se ti occuperai di risolvere la questione di questa ragazza, mi solleverai da un grosso peso. Tuttavia, è anche vero che voglio tenerti lontana da questa situazione. Voglio saperti al sicuro. Non potrei mai perdonarmi se ti dovesse succedere qualcosa, Brianna. Ho già perso mia moglie per mano dei Lannon. Per niente al mondo permetterò che succeda lo stesso con mia figlia.»
E non trovai nessun argomento che potesse confutare una simile affermazione.
Era questo il timore più grande di Jourdain, fin dall’inizio del mio coinvolgimento, e se fosse stato per lui, non avrei neanche mai attraversato il canale per andare alla ricerca della Pietra di Eventide. Se solo fosse stato possibile, Jourdain avrebbe passato le mie informazioni a Luc, e mi avrebbe tenuta in Valenia, al riparo dai pericoli della rivolta.
Avrei voluto ribattere, avrei voluto dirgli che non era giusto mandarmi via mentre Luc continuava a braccare Declan Lannon. Avrei voluto dirgli che aveva bisogno di me, che tutti loro avevano bisogno di me, sentivo quelle parole premermi in gola per uscire, per comunicare la mia rabbia e la mia frustrazione. E poi vidi il suo viso addolcirsi e i suoi occhi inumidirsi. Mio padre mi guardò con tutto il suo amore, mi guardò come fossi sangue del suo sangue, carne della sua carne, come una figlia nata MacQuinn, come se qualcosa della moglie perduta fosse davvero dentro di me.
Non era forse questo ciò che avevo sempre desiderato?
E così in quel preciso momento decisi di diventare quella persona, di essere sua figlia a tutti gli effetti, di lasciarmi proteggere da lui.
«Molto bene» risposi in un sussurro. «Tornerò a Fionn.»
La delusione però restava, e abbassai lo sguardo, finché Jourdain con un gesto amorevole mi sollevò il mento e mi guardò negli occhi.
«Sappi che sono davvero fiero di te, Brianna. Hai la mia totale fiducia. Soltanto a te potrei affidare la guida della mia gente.»
Annuii per confermare che avevo accettato la sua decisione. Tuttavia, dentro di me non ero affatto contenta di dover lasciare Lyonesse, e in più mi sentivo in colpa per non aver rispettato il piano che io stessa avevo elaborato per quella sera. Ovviamente, ero lusingata che Jourdain si fidasse di me al punto da concedermi il ruolo di lady dei MacQuinn, ma ero anche terrorizzata alla prospettiva di come il clan dei MacQuinn avrebbe accolto la notizia che ero stata mandata a Fionn per guidarlo.
Jourdain mi baciò sulle guance e quel gesto semplice mi provocò di colpo una tale nostalgia della Valenia che dovetti chiudere gli occhi per trattenere le lacrime. Mio padre si alzò e fece per andarsene, ma un attimo prima che uscisse mi schiarii la voce e domandai: «Quando devo partire, padre?».
Pensavo che avrei avuto un paio di giorni di tempo, invece lui si voltò e con aria dispiaciuta rispose: «All’alba, Brianna».