27

Di lame e di pietre

BRIANNA
Castello di Lerah, territorio di lady Halloran

Trascorsi quattro giorni in totale solitudine.

Le guardie mi portavano una scodella di zuppa e una tazza di acqua al mattino e alla sera, e solo così riuscii a tenere il conto dei giorni. Passai il tempo pensando a Ewan e Keela – chissà se li avevano scoperti mentre tentavano di rubare la chiave – e chiedendomi dove fossero finiti Jourdain, Cartier, Isolde e Luc.

Quella mattina mi svegliò il rumore metallico della porta che si apriva. Declan Lannon era venuto da me.

Appena lo vidi, mi ritrassi il più possibile in un angolo della mia branda.

Lui avvicinò lo sgabello e si sedette, lo sguardo fisso sul pavimento. Si accarezzava la barba, in silenzio, e ne dedussi che non ci sarebbe stato nessuno scambio. E quindi lui si sarebbe vendicato facendomi del male.

«I miei informatori mi dicono che Isolde Kavanagh è ancora al castello di Fionn e che non ha dato disposizioni per incontrarmi nel punto indicato, fra tre giorni» riferì infine. Sembrava febbricitante, e tutta la sua rabbia si concentrava in una luce malevola al centro delle pupille. «Questo significa che la vostra regina e vostro padre hanno in mente di ingannarmi, cara Brianna.»

Il cuore iniziò a martellarmi nel petto. Non riuscivo più a deglutire, né a sentire altro che non fosse la sua voce, tanta era la paura che mi attanagliava. «Non potete esserne sicuro.»

«Già. Però lo sono. Nell’ultimatum avevo fissato un incontro dopo sette giorni nella Vallata delle Ossa. Avrebbero già dovuto iniziare i preparativi per il viaggio.» Cambiò posizione, facendo scricchiolare lo sgabello sotto il suo peso. «Vi avevo detto che se avessero fatto ciò che chiedevo non vi avrei toccata. Purtroppo, i vostri amici stanno cercando di imbrogliarmi. Il punto è, bella mia, che non vi troveranno mai. Ciò significa che non ho fretta, e potrò inviare loro un dito oggi, domani un orecchio, forse strada facendo anche la lingua, giusto per aiutarli a decidere.»

Rabbrividii.

«Ripensandoci, però, forse mozzarvi la lingua sarebbe un errore. Perciò, se risponderete alle mie domande, potrei decidere di lasciarvela.»

Nella disperazione del momento cercai di capire se rispondere mi avrebbe fatto guadagnare tempo, o se invece quello fosse solo uno dei suoi giochetti. In ogni caso, se poteva servire a salvarmi la lingua… Risposi con un breve cenno di assenso.

«Ditemi, bella, come siete riuscita a trovare la pietra?» mi chiese. Il tono era quello di una persona educata e civile, e non corrispondeva affatto al pazzo furioso che avevo davanti.

Risposi con sincerità. «Grazie al mio antenato.»

Declan alzò il sopracciglio. «Quale?»

«Tristan Allenach. Ho ereditato… i suoi ricordi.» Avevo la bocca così asciutta che quasi non riuscivo a parlare.

«Come? Com’è successo? E potete averne altri, di questi ricordi?»

A fatica, gli raccontai della memoria ancestrale, dei canali di comunicazione che si erano creati fra la mia epoca e quella di Tristan Allenach, e del fatto che tutti i ricordi ancestrali ricevuti riguardavano la Pietra di Eventide.»

Declan ascoltò con grande attenzione, continuando ad accarezzarsi la barba. «Ah, Brianna, Brianna… come sono invidioso di voi!»

La paura mi stringeva il cuore in una morsa, e tremavo così forte che non mi era possibile nasconderlo. Mi sentivo in equilibrio sulla lama di un coltello, in attesa di capire da quale parte sarei caduta.

«Voi discendete da uno degli uomini più valorosi della nostra storia» proseguì il principe. «Tristan Allenach. L’uomo che rubò la Pietra di Eventide e poi uccise l’ultima regina.»

«Era un codardo e un traditore» ribattei d’istinto.

Declan sogghignò. «Se solo potessi trasformarvi, Brianna. Se solo potessi farvi vedere la vita dal mio punto di vista. Se solo poteste unirvi a me.»

Gli lanciai un’occhiata di ghiaccio. «Non vi converrebbe avermi dalla vostra parte. Vi ricordo che sono pur sempre una Allenach. E finirei per deporvi dal trono una seconda volta.»

Declan scoppiò a ridere. Approfittai di quell’attimo di distrazione per afferrare la catena e lanciarmi su di lui per strangolarlo. Purtroppo, lui fu più veloce. E prima che potessi raggiungerlo mi prese per il collo e mi sbatté la testa contro il muro.

Intontita, cercai di riprendere fiato, ma sotto la sua stretta d’acciaio sentivo già le pulsazioni rallentare.

«Credo che siamo pronti per iniziare» mi disse, senza smettere di sorridere.

Allentò la presa e mi sentii scivolare lungo la parete, come se d’un tratto le mie ossa fossero di gelatina. Ero ancora in debito d’ossigeno, e la gola mi bruciava per il soffocamento.

In quel momento entrarono due guardie. Mi tolsero la catena che mi assicurava al letto ma non gli anelli di ferro che avevo ai polsi, dopodiché infilarono i due anelli ad altrettanti ganci che pendevano dal soffitto, a un’altezza che mi permetteva appena di toccare terra con la punta dei piedi, costringendomi in una posizione molto precaria. Il dolore alle spalle iniziò subito a farsi sentire, nonostante cercassi con tutta me stessa di contrastare la forza di gravità per non rischiare di disarticolarle.

Le due guardie uscirono e io restai di nuovo sola con Declan Lannon. Pensai di mettermi a urlare, però mi accorsi che quasi non avevo più fiato per respirare.

Lo guardai sfilare un pugnale da sotto il farsetto e quando vidi la lama scintillare malgrado la luce fioca della cella, sentii un rivolo di sudore freddo scendermi lungo la schiena.

Fui presa dal panico, e mi mancò il respiro. Tempo. Dovevo dare più tempo a Cartier e Jourdain.

«Inizieremo con qualcosa di molto semplice, Brianna» annunciò Declan. La sua voce mi risuonava nelle orecchie come se la mia anima stesse lasciando il corpo per rotolare in un buco senza fine.

Quando si prese la prima manciata di capelli, sussultai. Ma lui continuò, e mi tagliò la chioma con movimenti convulsi, gettando le ciocche a terra. Era maldestro, la lama mi ferì la pelle più di una volta e sentii il sangue colarmi lungo il collo, macchiando la già lurida camicia che avevo indosso.

Era già a metà dell’opera quando udimmo un cigolio.

Dapprima pensai che il suono venisse da dentro di me, però Declan si voltò a controllare. Era Keela, inginocchiata davanti alle sbarre che chiudevano la cella, in preda a un pianto irrefrenabile.

«No! Padre, non fatele del male! Non fatele del male!»

«Keela! Questa donna è una nostra nemica» le ringhiò contro Declan.

«No. Non è vero!» ribatté lei, piagnucolando. «Vi prego. Vi prego, padre. Smettetela. Farò qualsiasi cosa, ma lasciatela stare.»

Declan si avvicinò alla figlia, si inginocchiò davanti a lei e le infilò la mano tra i capelli. Lei cercò di allontanarsi, ma lui le afferrò le trecce, proprio come aveva appena fatto con me. Io ebbi la sensazione che il cuore potesse saltarmi fuori dal petto per la disperazione e per la rabbia.

«Keela?» la chiamai, la mia voce come acciaio nella fucina, rinforzato dai colpi di martello. «Keela, non preoccuparti. Tuo padre mi sta soltanto tagliando i capelli perché gli danno fastidio. Ma presto ricresceranno.»

Declan scoppiò a ridere, e quel suono era come avere dei serpenti che ti strisciano sulle gambe. «Sì, Keela. Ricresceranno. Adesso però corri via di qui e vai nella tua stanza, come una brava figlia. Altrimenti taglierò anche i tuoi.»

Keela stava ancora singhiozzando quando si divincolò dal padre e si alzò in piedi. La vidi correre via, e il pianto lentamente si perse nell’opprimente silenzio della torre.

Declan si alzò e ripulì la lama del pugnale dal mio sangue. Mentre riprese a tagliarmi i capelli una ciocca alla volta, mi raccontò la storia della sua infanzia, di come era cresciuto nel castello reale, e che aveva scelto come moglie la più bella fra tutte le donne di Maevania. Io non lo ascoltavo, ma cercavo di concentrarmi su un nuovo piano, su un modo per fuggire di lì. Perché non c’erano dubbi che Declan Lannon mi avrebbe uccisa, lentamente, mandando pezzi del mio corpo alla mia famiglia e ai miei amici.

«Una volta ho fatto rapare a zero mia moglie» disse, tranciando l’ultima ciocca «perché una notte mi aveva risposto male.» Dopodiché fece un passo indietro, e ammirò la sua opera inclinando la testa. Non mi aveva rapata a zero, ma i miei capelli dovevano essere cortissimi e tagliati a casaccio. Mi sforzai di non piangere, e non volli guardare a terra, dove sentivo le ciocche brutalmente recise da Declan accarezzarmi la punta dei piedi.

«So quello che pensate di me» mormorò. «Che sono un figlio delle tenebre, che in me non c’è niente di buono. Ma non è sempre stato così. Nella mia vita è esistita una persona che un tempo mi insegnò ad amare gli altri. Ed è l’unica persona che io abbia mai amato, anche se oggi la devo tenere rinchiusa. Proprio come sto facendo con voi.»

Perché mi racconta quella storia? Mi stava scoppiando la testa. Distolsi lo sguardo, ma lui mi prese il viso fra le mani e mi costrinse a guardarlo negli occhi.

«Non le assomigliate per niente, Brianna, eppure… Perché quando vi guardo mi viene da pensare a lei?» mi sussurrò. «È l’unica persona che mi abbia fatto implorare per la sua vita.»

Era chiaro che voleva costringermi a chiedergli chi fosse questa donna. Come se, pronunciando il suo nome, potesse non sentirsi più in colpa per ciò che mi stava facendo.

Strinsi i denti, finché non riuscii più a sopportare la stretta con cui mi stava schiacciando il viso.

«Chi?» domandai a fatica.

«Dovreste saperlo» replicò lui, «visto che amate suo figlio.»

Sulle prime pensai che stesse pensando a qualcun altro, dato che la madre di Cartier non c’era più. «Líle Morgane morì durante la prima rivolta, insieme a lady Kavanagh e a lady MacQuinn.»

Lui osservò la mia espressione, cercando di interpretare le rughe che mi solcavano la fronte.

«Avevo undici anni all’epoca della prima ribellione» iniziò a raccontare. «Durante la battaglia mio padre mozzò una mano a Líle Morgane e poi la trascinò nella sala del trono, dove intendeva decapitarla, ai piedi del suo scranno. Ma io non riuscii a sopportarlo. Non potevo tollerare l’idea che volesse ucciderla, che volesse distruggere l’unica cosa bella della mia vita. Non mi importava se Líle era insorta insieme ai ribelli, se ci aveva traditi. Perciò mi gettai sopra di lei e implorai mio padre di risparmiarle la vita.»

Tremavo, e mi sentivo oppressa dal peso di quelle parole. Stavo per vomitare…

«Perché mi raccontate tutto questo?» domandai con un filo di voce.

«Perché la madre di Aodhan Morgane non è morta. È viva. In tutti questi anni è sempre stata viva, e solo grazie alla mia pietà, alla mia bontà.» E nel pronunciare quelle parole mi prese per le spalle e mi scosse come se volesse obbligarmi a credergli.

E se fosse la verità? Se Líle Morgane fosse veramente viva? pensai.

Cartier. Il solo pensiero di una simile possibilità mi gettò nello sconforto più assoluto.

«Voi mentite. Mentite!» gli gridai, con gli occhi pieni di lacrime.

«Così mio padre mi portò via da Líle» proseguì Declan, ignorando la mia provocazione, «e mi disse che se volevo farla sopravvivere, dovevo tenerla in catene. E avrei anche dovuto ridurla al silenzio, altrimenti la verità si sarebbe diffusa come un incendio d’estate e i Morgane sarebbero insorti ancora una volta. Così la rinchiuse nelle segrete, le tagliò la lingua e al suo posto fece decapitare un’altra donna con i capelli biondi. Kane Morgane, quel vecchio sciocco, vide la testa bionda su una picca e pensò che fosse davvero Líle.»

È una menzogna, è una menzogna, è una menzogna…

Continuavo a ripetermi le uniche tre parole a cui potevo attaccarmi. Le uniche a cui potevo credere.

«Voi e Líle siete simili. Ambedue vi siete ribellate alla mia famiglia. E poi amate Aodhan. E cercate con tutte le forze di non avere paura di me.»

Singhiozzai, cercando di trattenere il pianto dentro il petto.

Declan alitò sulla lama del pugnale per appannare il metallo prima di lucidarlo sul farsetto di pelle. «Non ho intenzione di uccidervi, Brianna. Voglio che alla fine Aodhan riesca a riavervi. Così, quando guarderà il vostro viso, vedrà sua madre. E capirà dove trovarla.»

Mi afferrò per le guance e quando capii che cosa aveva intenzione di fare, mi misi a urlare. Sentii la lama incidermi la fronte, dall’attaccatura dei capelli fino alla tempia destra. Poi lo sentii continuare verso il basso, finché non mi aprì la guancia. Evitò l’occhio solo d’un soffio, ma il sangue che colava dalla fronte già mi impediva di vedere, e il dolore divenne un fuoco intrappolato sotto la pelle, che bruciava, bruciava, bruciava… Dov’era la fine di quell’orrore? Perché una fine doveva pur esserci.

«Pensare che eravate una così bella ragazza. Peccato.»

Abbassai la testa e osservai il mio sangue gocciolare ininterrotto sulle ciocche di capelli ai miei piedi.

Declan stava parlando, ma il suono delle sue parole si fece lontano, come se stesse percorrendo i secoli.

Cercai una posizione migliore per stare in equilibrio sulla punta dei piedi, ma di nuovo fui devastata dal terribile dolore provocato dalle ferite al viso. Mi sembrava di essere stata picchiata ovunque, anche se Declan mi aveva straziato solo il volto. Nella nebbia che mi velava lo sguardo lo vidi ripulire il sangue dalla lama e rinfoderare il pugnale mentre, di nuovo, indietreggiava di un passo per potermi ammirare.

Respiravo a fatica, però il dolore misto alla rabbia era così insopportabile che urlai.

Declan sembrò confuso dalla mia reazione, ma in quel momento mi raggiunse una voce, distante, sconosciuta, che sembrava arrivare dal passato.

«Dove hai nascosto la pietra?»

Altro dolore, lancinante, questa volta al braccio. Qualcuno mi stava spezzando l’osso. Qualcuno che non potevo vedere.

«Allenach, devi dirci dove hai nascosto la pietra.»

Il dolore adesso iniziava a ghermirmi la schiena, e solo in quel momento capii che cosa stava succedendo. Stavo entrando nei ricordi di Tristan.

E, sopraffatta dalla situazione, mi lasciai andare, incapace di resistere al passaggio da una camera di tortura a un’altra.

Così il mio corpo divenne il corpo di Tristan, e mi lasciai avvolgere dalla sua pelle come fosse un velo, e iniziai a vedere il mondo attraverso i suoi occhi.

«Allenach, dov’è?» insisteva minaccioso un giovane alto e robusto. Il suo farsetto era macchiato di sangue, un farsetto verde con una lince ricamata sul cuore.

Un Lannon.

«Devo spezzarti anche l’altro braccio?»

Tristan si lasciò sfuggire un gemito. Ormai vedeva solo con un occhio, e aveva la bocca piena di sangue. Gli avevano mozzato i pollici e il braccio destro era spezzato. Probabilmente anche metà delle costole erano incrinate.

«Parla, Allenach» urlava il principe Lannon, visibilmente stizzito. Da quanto tempo ormai lo stava torturando? «Parla, o sarà sempre peggio.»

Tristan sogghignò. In fondo era divertente sapere che aveva mantenuto così bene il suo segreto che il re Lannon e i suoi figli l’avevano scoperto soltanto adesso: lui sapeva dov’era nascosta la Pietra di Eventide.

«Hai paura, vero, ragazzo?» si sforzò di replicare Tristan, sputando sangue e anche qualche dente. «Hai paura che la pietra possa ricomparire e che il tuo regno possa terminare prima ancora di poter iniziare.»

Il principe, il viso stravolto dall’ira, gli sferrò un pugno in piena faccia, facendogli saltare altri denti.

«Basta così, Fergus» ordinò il secondo Lannon da un angolo della cella. «Altrimenti rischi di ammazzarlo prima che possa parlare.»

«Mi sta provocando, Patrick!» strillò Fergus Lannon.

«Che cosa è più importante per nostro padre: il tuo orgoglio o la pietra?»

Fergus serrò i pugni.

Patrick si avvicinò. Non aveva il fisico imponente del fratello primogenito, ma nei suoi occhi brillava una luce malvagia quando si inginocchiò per incrociare lo sguardo annebbiato di Tristan.

«So bene che sei un vecchio» gli disse, «e che non resta molto tempo per te su questa terra. Hai avuto le tue soddisfazioni, ma ormai tua moglie non c’è più da tanto tempo e i tuoi figli aspettano soltanto la tua morte per godersi l’eredità.» Si interruppe e lo osservò per qualche secondo. «Allora perché l’hai fatto? Perché hai voluto nascondere la pietra?»

Non era semplice rispondere a quella domanda. Un tempo Tristan era convinto di averlo fatto per il bene del popolo, per impedire le devastazioni causate da una guerra magica. Ma adesso, sinceramente, non lo sapeva più. Forse per l’odio nei confronti dei Kavanagh e dei loro poteri magici. Forse semplicemente per vedere se un gesto tanto ardito fosse effettivamente possibile, se le leggende dei Kavanagh fossero vere. Per vedere se la magia sarebbe svanita senza la Pietra di Eventide.

Tristan sorrise. «Lo so, siete convinti che adesso parlerò. Che se mi spezzerete tutte le ossa alla fine vi dirò dove ho nascosto la pietra. Bene, ormai non c’è più molto di intero nel mio corpo, quindi avvicinatevi, ragazzi. Avvicinatevi, così ve lo dico.»

Il principe Fergus si chinò subito verso il prigioniero, ma Patrick, che era più accorto, lo fermò tirandolo per un braccio.

«Ti ascoltiamo anche da qui, Allenach» disse.

Tristan fece per scoppiare a ridere, ma il sangue che aveva in bocca gli andò di traverso. «Dovresti essere tu l’erede, ragazzo. Non Fergus.»

Quest’ultimo, furioso, prese una mazza e, prima che Patrick potesse fermarlo, gli ruppe l’altro braccio.

Il dolore fu tale che gli tolse il respiro e il suo cuore sembrò cedere definitivamente. Ma Tristan digrignò i pochi denti che gli restavano in bocca e si costrinse a rimanere lucido perché non aveva ancora finito con quei due cialtroni.

«Io non sono l’unico a sapere dove si trova la pietra» rantolò, senza quasi riuscire a respirare.

«Chi è e dov’è quest’altro uomo?» lo incalzò Fergus.

Tristan sorrise. «Non è un uomo.»

Fergus lo guardò sbigottito, senza parole. Patrick invece sogghignò, per nulla sorpreso.

«Dov’è questa donna, Allenach? Diccelo, così possiamo lasciarti vivere, e anche lei.»

Tristan appoggiò la testa contro il muro alle sue spalle, il muro della cella dove aveva passato l’ultima settimana. Aveva quasi del tutto perso la vista e stava lottando per prendere ancora qualche respiro.

«È una vera sfortuna per voi» abbassò la testa per guardare i due Lannon ancora una volta e pronunciare le sue ultime parole, «perché questa donna non è ancora nata.»