CARTIER
In viaggio verso il castello di Lerah, territorio di lord MacQuinn
Alle prime luci dell’alba saltai sul carro con Luc e Sean. Ci sdraiammo fianco a fianco, e osservammo Neeve e Betha sistemare pezze di tessuto e di lana sopra di noi finché non fummo perfettamente nascosti. Non potevamo muoverci ed eravamo scomodi, e in più avevamo davanti la prospettiva di un viaggio lungo ore e ore. Io stavo già sudando, e il cuore seguiva il ritmo della mia ansia. Cercai di respirare a fondo per calmare la mente e per sciogliere la tensione del corpo.
Il piano doveva funzionare. La nostra missione non poteva fallire.
Udii Betha e Neeve salire a cassetta, dopodiché sentii il carro muoversi e partire. Jourdain, Isolde e un piccolo drappello di soldati dei MacQuinn ci avrebbero tenuto d’occhio a distanza di sicurezza. Lady Grainne invece era partita due giorni prima per radunare le sue truppe. Al crepuscolo, ci saremmo ritrovati tutti nei pressi del castello di Lerah.
Nessuno di noi parlava, ma per tutta la mattina sentii il respiro dei miei compagni tra i sussulti e i sobbalzi del carro. Il silenzio mi diede modo di rimuginare sulla vera identità di Neeve. Ripensai alle parole di Brianna, al racconto che aveva trascritto per lo stalliere dei MacQuinn, i fogli che Neeve ci aveva mostrato tra le lacrime: “E quando Allenach si rese conto che sua figlia non sarebbe morta e avrebbe portato le sue cicatrici con fierezza, la abbandonò, lasciandola alle cure delle tessitrici”.
Non riuscivo ancora a credere che Brianna avesse una sorellastra. Tuttavia, ripensando meglio a Neeve, iniziavo a notare l’affinità fra le due ragazze. Entrambe assomigliavano alle madri, però avevano lo stesso sorriso, la stessa forma del volto. Camminavano con la stessa languida grazia.
E poi c’era Sean. Quando aveva letto quella storia era quasi svenuto. Nel giro di un solo mese, ancorché burrascoso, aveva perso il padre e il fratello, ma aveva guadagnato il titolo di lord e scoperto di avere due sorelle. Quando lui e Neeve si erano abbracciati, era scoppiato in lacrime.
Era circa mezzogiorno quando il carro si bloccò improvvisamente. Guardai Luc, che era steso al mio fianco. Lui sgranò gli occhi per lo spavento, mentre il sudore già gli imperlava la fronte. Restammo immobili, in attesa di capire perché Betha avesse fermato il carro.
«Chi siete?» le aggredì una voce maschile.
«Siamo le tessitrici dei MacQuinn» rispose Betha con calma. «Abbiamo una consegna per lady Halloran.»
Seguì la voce di un altro uomo. Non riuscii a distinguere le sue parole, ma capii che non promettevano niente di buono.
«Perché dovete perquisire il carro?» domandò Neeve, riuscendo a farci arrivare la sua voce oltre gli strati di stoffa per avvertirci. «Consegniamo lane e tessuti ogni mese.»
Spostai lentamente la mano verso la vita, dove tenevo il dirk. Con un cenno indicai a Sean a e Luc di fare altrettanto mentre sentivo il rumore degli stivali che si avvicinavano. Le pezze di stoffa iniziarono a spostarsi proprio sopra la mia faccia, lasciando filtrare un raggio di luce. Scattai in avanti prim’ancora che la guardia degli Halloran mi vedesse e gli puntai il dirk alla gola. Lui ricadde all’indietro, imprecando, ma io riuscii a bloccarlo mentre Luc e Sean affrontavano la seconda guardia. Erano solo in due, e la strada era sgombra, ma non ero affatto tranquillo perché eravamo completamente allo scoperto.
«Presto» dissi. «Betha, portate il carro in quel boschetto. Sean, prendete i cavalli dei soldati.»
Trascinai il mio prigioniero fra gli alberi, e Luc mi seguì con l’altro. Una volta protetti dalla cortina di piante, imbavagliammo e legammo le guardie, cercando di decidere cosa fare di loro.
Ma poi pensai: perché dobbiamo nasconderci dentro il carro, quando due di noi potrebbero indossare le armature di questi soldati e montare i loro cavalli?
Luc ebbe lo stesso pensiero, perché in quel momento si avvicinò e mi sussurrò: «Potremmo arrivare a Lerah a cavallo».
Prima che potessi rispondere, Sean colpì i due uomini legati, che persero i sensi. Cercammo di sfilare loro l’armatura il più velocemente possibile e poi Luc e io la indossammo trasformandoci subito in due Halloran, con le tuniche blu scuro, i mantelli gialli e l’armatura in bronzo con lo stambecco inciso sul pettorale.
«Noi due fingeremo di essere la vostra scorta» dissi alle due donne mentre mi infilavo l’elmo. «Appena entrati nella corte del castello, aiuteremo Sean a scendere dal carro senza farci vedere.»
Betha annuì e risalì a cassetta mentre Neeve nascondeva Sean sotto le pezze dei tessuti. Luc e io, intanto, andammo a legare a un albero le due guardie ancora svenute.
Dopodiché uscimmo dal boschetto e riprendemmo la strada. Era successo tutto nel giro di pochi minuti e benché volessi sollecitare Betha a guidare più veloce, sapevo che quel piccolo ritardo avrebbe giocato a nostro favore.
Raggiungemmo infatti il ponte levatoio al tramonto, con la luce del crepuscolo che ci avvolgeva come un velo protettivo. Ci fermammo davanti alla garitta prima del fossato.
Il castello era esattamente come Sean lo aveva descritto: una formidabile fortezza costruita su una collinetta e protetta da un largo fossato. Osservai le quattro torri, indugiando su quella meridionale, accarezzata dal sole del tramonto: la torre dov’era rinchiusa Brianna.
Mi girai verso est, e vidi in lontananza i frutteti dove Jourdain e le sue truppe stavano aspettando, mentre alle mie spalle riconobbi il profumo della foresta, un misto di querce, di muschio e di terriccio umido e grasso. Resistetti alla tentazione di voltarmi per guardare verso quel bosco, sapendo che lady Grainne e i suoi soldati erano nascosti fra le fronde e ci osservavano, in attesa di entrare in azione.
Una guardia comparve sulla soglia della garitta, e ci esaminò reggendo una torcia. Neeve e Betha si erano coperte la testa con lo scialle, ma per un attimo mi sentii prendere dal panico. L’uomo però rientrò nella garitta e diede il segnale di via libera al corpo di guardia.
Osservai il ponte levatoio scendere in un clangore di catene finché non atterrò davanti a noi, invitante e minaccioso al tempo stesso. Betha fece schioccare le redini e il carro lentamente passò sulla piattaforma di legno e ferro. Luc e io lo seguimmo, accompagnati dal rumore sordo degli zoccoli sulle assi, mentre sotto di noi scorreva l’acqua del fossato, punteggiata dal riflesso delle stelle.
Non osavo sperare. Non ancora. E neppure quando superammo la saracinesca, che si alzò sopra di noi come i denti arrugginiti di un gigante. E neppure quando attraversammo la striscia erbosa del corridoio interno, né quando ci lasciammo alle spalle il corpo di guardia. Non osai sperare di avercela fatta nemmeno quando Betha condusse il carro nella corte centrale, illuminata con le torce.
Era esattamente come Sean l’aveva descritta. In fondo, riuscivo a intravvedere i giardini; dalla mia destra, invece, arrivava il profumo del lievito e del forno; c’erano anche i colpi distanti di una fucina, quasi sicuramente a est, e i cavalli che nitrivano nelle stalle. Intorno a noi si percepiva l’altezza delle mura del castello, una barriera di mattoni rossi interrotta dagli archi delle porte e da finestre sottili come feritoie. Ma noi dove dovevamo andare? Dove dovevamo consegnare la nostra merce?
Scambiai un’occhiata di intesa con Luc, distinguendo a fatica i suoi occhi nel chiaroscuro dell’imbrunire.
Lui fu il primo a scendere da cavallo, proprio quando lo stalliere uscì per prendere in consegna gli animali. Le scuderie si trovavano alle nostre spalle, all’interno del basamento della torre meridionale. La torre della prigione. Che osservai ancora una volta per studiarla meglio.
«Prendo il vostro cavallo, signore.»
Scivolai giù dalla sella, le ginocchia dolenti per la posizione tenuta troppo a lungo, e consegnai l’animale al ragazzo. Neeve era già saltata giù dal carro e si accingeva a spostare i tessuti in modo che Sean potesse discretamente emergerne. Mi avvicinai a un lato del carro e sollevai una delle pezze a mo’ di paravento, così che lui potesse scendere senza essere visto. Dopodiché si coprì la testa con un drappo per nascondere il viso.
«La torre meridionale è proprio qui, alle nostre spalle» sussurrai a Neeve.
Lei guardò dietro di me e d’un tratto si rese conto di quanto fosse difficoltosa l’impresa. Sarebbe dovuta salire sulla torre e poi uscirne con una prigioniera.
«Ve la sentite?» domandai.
«Sì» rispose lei, risoluta al punto da suonare aggressiva.
«Presto, prendete anche voi una pezza di tessuto e infiliamoci qua dentro» ci interruppe Sean, che come Betha teneva già un fascio di panni di lana fra le braccia. Neeve e io ci affrettammo a recuperare una pezza a testa e seguimmo Sean sotto un’arcata accanto alle scuderie, che immetteva in un lungo passaggio tra la torre meridionale e quella orientale, illuminato dalle torce infilate nei loro sostegni. Dovevo assolutamente raggiungere l’altro lato del castello, quello delle torri settentrionale e occidentale, ma quando Luc e Sean ci lasciarono, diretti al corpo di guardia, mi resi conto che non potevo abbandonare Betha e Neeve.
«Dovete andare, mio signore» sussurrò Neeve.
«Lasciate almeno che vi aiuti a entrare nella torre» replicai.
Per un attimo sembrò sul punto di protestare, ma poi udimmo un rumore. «Svelte, nascondiamoci. Sta arrivando qualcuno.»
Sgusciammo nella porta più vicina, e ci ritrovammo nel retrobottega del fornaio. Per un attimo mi sentii perduto, convinto di aver commesso un terribile errore, e che ci saremmo fatti scoprire. Invece la stanza era deserta. C’era soltanto un lungo tavolo sporco di farina, forme di pane lasciate a lievitare sulle pietre calde, scaffali carichi di recipienti di coccio, e sacchi ovunque. Da un ambiente attiguo arrivavano le risate dei fornai. In un angolo notai un vassoio colmo di panini appena sfornati. Posai le mie stoffe e presi un tagliere di legno, su cui sistemai tre panini, un vasetto di miele e una coppa di birra che qualcuno aveva dimenticato.
«Che cosa state facendo?» domandò Betha sottovoce.
«Fidatevi di me» dissi, aprendo la porta che dava sul passaggio esterno.
Sbuffando, la donna raccolse la pezza di tessuto che avevo lasciato sul tavolo, e tutti e tre uscimmo per raggiungere la torre meridionale. In fondo, il passaggio si divideva in due vie, una delle quali dava su una scala a chiocciola.
Iniziai a salire, seguito dalle donne, con la cena improvvisata che traballava sul tagliere.
Le scale conducevano a un pianerottolo che immetteva sul camminamento dietro il parapetto del castello, proprio come aveva spiegato Sean. L’entrata della torre non doveva essere lontana. Uscii all’aperto, e fui investito dal tanfo che saliva dalle scuderie sottostanti. Quell’odore mi ricordò che un tempo ero stato nascosto proprio lì dentro, e che il letame mi aveva salvato la vita. Mi spostai vicino al bordo del parapetto, seguendo il mio olfatto, e vidi che ci trovavamo all’interno del corridoio interno, la striscia di terreno compresa fra le due cinte di mura.
«Se doveste saltare da qui» sussurrai a Neeve, «dovrete fare in modo di cadere là sopra.»
Neeve annuì. «E lì c’è una porta.» La ragazza indicò un punto della torre dove si intravvedeva, incastrato nel muro, un battente rinforzato con sbarre di ferro. Non era custodito, il che mi sorprese. Subito dopo però vidi una pattuglia che avanzava sul parapetto e che stava per scoprirci.
«Per tutti i numi del cielo» mormorò Betha, e lì per lì pensai che si riferisse alle guardie in avvicinamento; poi però udii un rumore di pietre che cadevano.
Alzai gli occhi verso la torre e vidi nientemeno che Keela Lannon scalare il muro. Stava utilizzando un pianta rampicante che saliva dal parapetto fino a una finestrella aperta sul muro della prigione. In quel momento capii che la ragazzina stava andando da Brianna, ed era il faro che ci avrebbe guidati.
«Quella è la tua via di accesso» dissi a Neeve. «Segui quella ragazza.»
Lei non ebbe la minima esitazione. Gettò le stoffe oltre il muro, nel mucchio del letame, e si affrettò a imitare Keela. Betha invece era paralizzata dalla paura.
«Non sarò mai capace di scalare quel muro» disse la tessitrice, pallida mentre osservava Neeve cercare con cautela il primo punto di appoggio.
«Non dovete farlo. Voi potete restare qui, come diversivo» le dissi, porgendole il tagliere con i panini e liberandola dalle pezze di stoffa.
Lanciai di sotto i tessuti, come aveva fatto Neeve, e osservai Betha avvicinarsi con calma a una guardia, dopodiché mi nascosi in un punto buio e controllai la salita di Neeve. Keela era già scomparsa dentro la finestra, ignara della nostra presenza.
Attesi finché anche Neeve non raggiunse il suo obiettivo, e riuscì a issarsi sul davanzale. La finestra sembrò inghiottirla di colpo, ma dopo qualche secondo rividi il suo viso, pallido come la luna, e la sua mano che mi rassicurava con un cenno.
Solo allora iniziai a sperare. Ed entrai a mia volta in azione.
Tornai al passaggio che avevamo già percorso, e lo seguii fino alla zona occidentale del castello. Quando udii il clangore del ponte levatoio che si abbassava iniziai a correre, incurante del rumore dei miei stivali sulle pietre, amplificato dal buio della notte. Sentii le prime grida di allarme, e mi fermai giusto il tempo di dare un’occhiata fuori dalla finestra più vicina, che affacciava proprio sul ponte levatoio. Era già completamente abbassato, e Grainne Dermott e le sue truppe stavano entrando, i pettorali di acciaio scintillanti sotto la luna, le spade illuminate dalle stelle. Nessuno parlava, si muovevano come un corpo unico, un serpente che strisciava sul ponte e dentro il castello.
Raggiunsi la torre occidentale nel momento in cui dal corpo di guardia si levavano altre urla. Sentivo nelle pietre lo sbalordimento, il terrore per l’assalto in corso.
Sguainai la spada e salii le scale della torre, in cerca di Declan Lannon.