CARTIER
Castello di Lerah, territorio di lady Halloran
Quella sarebbe stata l’ultima volta che avrei dato la caccia a Declan Lannon.
Salii sulla torre occidentale con la promessa stretta fra i denti, aprendo tutte le porte che incontravo sul mio cammino: non erano chiuse a chiave e le maniglie si arrendevano facilmente sotto la pressione della mia mano. Lui doveva essere lì, in quella torre, perché le varie stanze erano buie ma arredate, i mobili coperti con le lenzuola per proteggerli dalla polvere, com’era costume nelle camere per gli ospiti.
Più salivo, più aumentava la mia ansia, e continuavo a cercare, a cercare… Il clamore che arrivava dalla corte centrale era ormai impossibile da ignorare anche per qualcuno che se ne stesse isolato in quella torre. Declan ormai doveva aver capito che la situazione stava precipitando e immaginavo che stesse già pianificando la fuga.
La mia unica certezza era che la torre aveva un’unica via d’uscita, e io la stavo percorrendo una rampa alla volta. Alla fine, lui e io ci saremmo incrociati per forza.
Dove sei, Declan?
Aprii l’ennesima porta e trovai una stanza illuminata. Era una biblioteca. L’ambiente era rischiarato da una quantità di candele e su un tavolo notai dei libri aperti e, accanto, un piatto di scone. Qualcuno era appena stato lì. Pensai subito a Ewan. Stavo per varcare la soglia, quando udii uno scalpiccio sopra la mia testa. Una porta che sbatteva. Un vocio indistinto e distante.
Era lui. Continuai a salire, silenzioso, seguendo la curva delle scale e muovendomi fra l’oscurità e la luce delle torce. Iniziava a mancarmi il fiato, avevo le gambe indolenzite, i muscoli protestavano, tuttavia cercai di respirare profondamente per mantenermi calmo e concentrato.
Lui avrebbe avuto il vantaggio della sua prestanza fisica, io quello della sorpresa.
Le voci si fecero più forti, le avevo quasi raggiunte. Un’altra porta aperta e poi richiusa, una vibrazione lungo le pietre.
Arrivai a un pianerottolo. Era circolare e il pavimento, decorato a mosaico, brillava sotto la luce delle torce. Davanti a me tre porte ad arco, chiuse, ma sentivo delle voci concitate. Dietro quale porta si nascondevano?
Mi accostai alla più vicina, ma un attimo prima di spalancarla, inaspettatamente quella centrale si aprì.
Declan mi vide e si fermò sulla soglia, dove mi studiò con gli occhi socchiusi.
Non mi riconobbe. Indossavo l’armatura degli Halloran e avevo l’elmo in testa.
«Cosa vuoi?» mi aggredì il principe. «Dov’è la mia scorta?»
Lentamente mi scoprii il viso sfilandomi l’elmo, che poi lasciai cadere a terra mettendo fra noi il rumore metallico di un corpo cavo.
Declan mi fissò senza parlare come fossi scaturito dal luccichio del mosaico, o apparso dal nulla.
Ma fu un attimo. «Ah, Aodhan. Finalmente mi hai trovato» disse beffardo, superato lo stupore del primo momento.
Mi avvicinai di un passo, lo sguardo fisso su di lui. Notai il tremore della guancia, l’impercettibile fremito del suo corpo. Voleva fuggire.
«Era solo questione di tempo» replicai, avvicinandomi ancora. «Mi è bastato seguire la fetida scia che ti lasci dietro.» E lì mi fermai, perché volevo dirgli ancora una cosa, prima di partire al suo inseguimento. «Declan Lannon, sappi che avrei una gran voglia di spezzarti le ossa a una a una, lentamente, eppure non lo farò, perché non mi abbasserò mai al tuo infimo livello. Una cosa però la devi sapere: quando ti spaccherò il cuore con la mia spada, lo farò per mia sorella, lo farò per mia madre, lo farò per i Morgane.»
Declan sorrise. «Vuoi sapere che cosa successe quella notte, Aodhan? La notte in cui tua sorella morì?»
Non ascoltarlo, urlava la mia testa, e invece restai lì, in attesa.
«È vero, mio padre mi diede un ordine» riprese il principe, la voce bassa e roca. «Mi intimò di spezzare le ossa di tua sorella, partendo dalle mani. Così afferrai una mazza, ma non riuscii a eseguire il suo ordine perché tua sorella mi guardava terrorizzata, e piangeva. Così mio padre mi disse: “Mi hai già implorato di salvare una vita, adesso devi prenderne un’altra per dimostrarmi che sei forte”. Mi chiuse la mano nella sua e colpì la mano di tua sorella attraverso di me. E fu in quel momento che persi la mia anima, mentre guardavo tua sorella morire.»
Sta mentendo, pensai, e continuai a ripetermi quella frase nella testa mentre ricordavo che Aileen mi aveva raccontato una storia differente. Non mi aveva detto che Gilroy aveva preso la mano di Declan nella sua per dirigere i colpi.
«Quando quella notte trovai tua sorella nella credenza» proseguì, «non pensavo che mio padre l’avrebbe torturata. Per questo gliela consegnai. Ero convinto che l’avremmo portata al castello per farla vivere con noi, e crescerla come una Lannon. Se avessi saputo che l’avrebbe uccisa, l’avrei lasciata nel suo nascondiglio.»
Stava cercando di confondermi. Stava cercando di indebolirmi. Sentii la mano inumidirsi di sudore, l’impugnatura della spada scivolare via dalla mia presa.
«Sì, Aodhan, io sono la tenebra della tua luce» sentenziò Declan, ormai padrone delle parole tra di noi. «Sono il crepuscolo della tua alba, le spine delle tue rose. Tu e io siamo legati come fratelli attraverso di lei. E lei vive grazie a me. Voglio che tu lo sappia, prima di uccidermi. Lei vive perché io le voglio bene.»
Di chi stava parlando? Di Brianna?
Avevo sopportato abbastanza. Non avrei ascoltato altro veleno uscire da quella bocca.
In quell’istante lui con uno scatto repentino si rintanò nella stanza e cercò di richiudersi la porta alle spalle. Io però non mi lasciai sorprendere e la bloccai con il piede, per poi buttarla giù con una spallata.
Colpito in faccia dal battente e dalle schegge saltate via dalla porta, il principe barcollò, e iniziò a perdere sangue da una ferita sul labbro. Cercò di tenersi in equilibrio appoggiandosi al tavolo di marmo, dove qualche minuto prima stava cenando. I peltri tintinnarono, un calice di vino si rovesciò, ma il momento della sorpresa era finito. Declan scoppiò in una risata, e quel suono risvegliò l’oscurità che era in me.
Con la coda dell’occhio vidi un riflesso di luce scintillare su una lama d’acciaio. Ero così concentrato sul principe che quasi mi era sfuggito. La spada era puntata contro di me. Ruotai su me stesso, furioso per essere costretto a distogliere l’attenzione dal mio vero rivale, e parai la lama con la mia un istante prima che affondasse nel mio stomaco, dopodiché spinsi il mio nuovo avversario contro il muro.
Fechin. L’uomo mi guardò sbigottito per la destrezza della mia parata e per la sorpresa di ritrovarmi; e mentre cercava scompostamente di rimettersi in equilibrio, io gli andai sotto e lo disarmai senza difficoltà.
«Vuoi sapere che cosa faccio agli uomini tanto sciocchi da rompere il naso a Brianna MacQuinn?» gli dissi, tenendolo per i capelli.
«Mi-mio signore» balbettò, sconfitto dalla sua stessa paura, come tutti i codardi quando vengono scoperti. «Non sono stato io.»
Gli sputai in faccia e gli trapassai il ventre con la spada. Lui sussultò, strabuzzando gli occhi, e io ritirai la mia lama per lasciarlo accasciare sul pavimento.
Quando alzai lo sguardo, la stanza era vuota.
Mi accorsi che l’ambiente era diviso in due zone distinte, separate da tre gradini: in una spiccava una grande portafinestra dai vetri già appannati per il freddo della sera, e che dava su una balconata; l’altra zona invece era delimitata da una parete con quattro porte ad arco, tutte aperte sul buio.
Presi un candelabro dal tavolo e mi avvicinai alla prima stanza con la spada sguainata, strizzando gli occhi per vedere nell’oscurità.
«Dove sei, Declan?» urlai, muovendomi con circospezione. «Fatti vedere. Non dirmi che hai paura del piccolo Aodhan Morgane, il bambino che ti è sfuggito perché era nascosto in un mucchio di letame.»
Entrai, pronto a combattere, facendomi luce con le candele.
Era una camera da letto, e sul pavimento c’erano tante bamboline fatte con le foglie di pannocchia e un groviglio di nastri. Doveva essere la stanza di Keela. Ma era vuota.
Uscii e passai alla porta successiva. Superata la soglia, la mia attenzione fu attirata da un piagnucolio sommesso. Guardai nella penombra e vidi Declan seduto su uno sgabello, con Ewan in braccio e un coltello puntato alla gola del figlio.
Il ragazzino tremava come una foglia, e mi guardava terrorizzato.
Per un attimo sentii il cuore fermarsi. Dovevo restare lucido, non potevo permettermi di perdere la concentrazione. In quel momento, però, una parte di me si lasciò prendere dal dubbio, e sulla lingua sentii per la prima volta il sapore del fallimento, la sensazione che non sarei riuscito a salvare sia me sia Ewan.
«Non avvicinarti, Morgane» mi intimò Declan.
Non mi mossi, e continuai a fissare il ragazzino, cercando di rassicurarlo con lo sguardo.
«Posa il candelabro e la spada» mi ordinò il principe, «altrimenti gli taglio la gola.»
Tremavo, ma cercai di nasconderlo. Non avrei mai pensato di potermi arrendere a lui, di cedere le armi, di essere sconfitto. Eppure adesso il mio unico pensiero era proteggere Ewan, anche perché ero certo che Declan non avrebbe esitato a fare del male al suo stesso figlio.
«Saresti capace di uccidere la carne della tua carne?» domandai solo per prendere tempo.
«Oh, ma lui non è più carne della mia carne» replicò Declan, sarcastico. «Ho sentito che adesso Ewan è un Morgane. Giusto?» E serrò la stretta sul ragazzino, che trasalì.
Per favore, avrei voluto gridare. Lascialo andare.
«Ti ho fatto una domanda, Ewan» insisté Declan. «A quale casato appartieni?»
«Sono… sono un La… un Lannon.»
Declan mi sorrise. «Sentito, Aodhan?»
«Ewan, sapevi che mia madre era una Lannon?» dissi con calma, cercando ancora di rassicurarlo, di infondergli quel coraggio che gli avrebbe permesso di scappare. «Quindi io sono per metà Morgane e per metà Lannon. E anche tu puoi esserlo, se lo vuoi.»
«Non parlare di Líle» sbraitò il principe, e la rabbia della sua voce mi colse alla sprovvista.
«Perché non lasci andare il bambino» lo sfidai, «così tu e io possiamo chiudere i conti?»
«Non provocarmi, Aodhan. Lascia la spada e il candelabro e allontanati.»
Non avevo scelta. Feci quel che voleva e mentre indietreggiavo fino al muro cercai di capire come muovermi. Avevo ancora il dirk nascosto dietro la schiena, ma non sapevo se sarei riuscito a essere più veloce di Declan, che oltre allo stiletto poteva contare anche su una lunga spada a due mani.
«Figlio, portami quell’arma» ordinò Declan, spingendo via Ewan.
Il ragazzino inciampò e perse uno stivale. Ma non se ne curò e strisciò fino alla mia spada. Io volevo soltanto che Ewan mi guardasse, che leggesse nei miei occhi.
Portala a me, Ewan. Non a lui.
Invece lui non mi guardò, e piangendo strinse l’impugnatura di un’arma troppo pesante per lui. La trascinò fino al padre, con la punta che strisciava sul pavimento, scalciando via alcune biglie con cui probabilmente stava giocando prima di quel momento.
«Che bravo bambino» commentò Declan, afferrando la mia spada. «Allora sei davvero un Lannon, Ewan. Adesso vai a sederti sul letto, così ti faccio vedere come si uccide un uomo.»
«Padre, padre, vi prego, no» implorò il piccolo tra i singhiozzi.
«Smettila di frignare! Sei peggio di tua sorella.»
Ewan obbedì e andò sul letto, dove si coprì la faccia con le mani.
Io continuai a respirare con calma, cercando di non perdere la concentrazione e di mantenere lo sguardo fisso su Declan.
«Credevo di avertelo già detto, Aodhan» proseguì il principe, alzandosi in piedi. La sua corporatura era davvero notevole: era più alto di me di tutta la testa. «Chi nasce Lannon, muore Lannon. Compresa tua madre.»
Non reagii e mi lasciai scivolare addosso la provocazione, sapendo che mi avrebbe attaccato non appena avessi aperto bocca, non appena avessi abbassato la guardia per parlare.
«Come sei riuscito a trovarmi?» insisté il principe.
Io continuai a ignorare le sue parole e iniziai a contare i passi necessari a raggiungere lo sgabello…
«Mi piacerebbe esserci» mormorò Declan, che intanto si era avvicinato. Le ombre gli avvolsero il viso, fluttuando tra i suoi lineamenti come spettri. «Essere lì quando scoprirai che cosa ho fatto a Brianna.»
Conosceva il mio punto debole.
In quel momento la mia sicurezza andò in frantumi. La mia più grande paura si stava avverando, di colpo mi sembrò di non poter più respirare, e mi sentii soffocare dal dolore.
Aveva torturato Brianna.
Riuscii a schivare il suo affondo per puro istinto. Il principe mi colpì al fianco infilando la spada nella fessura a lato del pettorale. Quasi non percepii il morso della lama perché ero totalmente assorbito da ciò che vedevo di fronte a me: le biglie sparpagliate sul pavimento, lo stivale di Ewan. Lo sgabello. Lo sgabello…
Con una mossa fulminea lo afferrai e usandolo come uno scudo ruotai su me stesso per parare un altro affondo di Declan, che colpì l’oggetto e lo fracassò. «Scappa, Ewan!» riuscii a gridare, ritrovando la mia voce nonostante la concitazione del momento. Non volevo che mi vedesse uccidere suo padre.
«Ewan, resta qui!» urlò Declan, Ma il ragazzino era già schizzato via dalla stanza.
La rabbia sul viso del principe mi riempì di soddisfazione, e approfittai del momento per raccogliere da terra una scheggia di legno e conficcargliela nella coscia, sperando di recidere un’arteria. Quell’attimo di vantaggio mi permise di correre fuori dalla camera e tornare nella stanza principale.
Volai letteralmente oltre i gradini e oltre il corpo esanime di Fechin, e con mano tremante raccolsi l’arma del secondino ormai defunto. Mi voltai giusto in tempo per schivare una brocca che Declan mi aveva scagliato addosso e che andò a frantumarsi contro una parete, in una pioggia di cocci e di vino. Risposi ribaltando il tavolo e rovesciando cibo e stoviglie sul pavimento. Lui scagliò via gli oggetti con un calcio e ci ritrovammo uno di fronte all’altro, le spade pronte al duello, al centro della stanza.
Parai colpo su colpo, ma mi sentivo debole, la stanchezza una corda che mi legava le caviglie rallentando i miei movimenti. Rimasi sulla difensiva e cercai di spingere Declan indietro, contro i gradini. Non sentivo più le mani e il dolore al fianco iniziava a mordere. Mi accorsi in quel momento che mi ero lasciato alle spalle una scia di sangue.
Declan però non aveva dimenticato l’ostacolo dei gradini, come invece avevo sperato. Li risalì all’indietro, con la scheggia di legno ancora conficcata nella coscia. Il nostro sangue si mischiò sul pavimento mentre i colpi, le giravolte e le parate si susseguivano sempre più incalzanti, in una danza che ricordava l’orbitare della terra intorno al sole. Finché non decisi di passare all’attacco, e lo sorpresi con un affondo che gli aprì una ferita sulla spalla.
Declan barcollò e io tornai in difesa, attento a non abbassare la guardia contro i suoi attacchi incessanti e repentini. Non c’è posto per tutti e due in questo dominio, pensavo. Non potevo vivere in un mondo che permettesse a uomini come Declan di esistere.
O lui o me. Questo il pensiero che mi tenne concentrato, che mi diede la forza di arrivare al momento tanto atteso.
E quel momento infine arrivò. Declan inciampò, e per una frazione di secondo abbassò la guardia. E io ne approfittai.
Gli affondai la lama nel petto, passandolo da parte a parte. Sentii le ossa spezzarsi, e fu come se vedessi il cuore spaccarsi in due. Declan urlò, e la spada gli saltò via dalle mani, ormai troppo debole per intaccare la mia corazza.
Non avevo ancora finito. Pensai a mia madre, all’argento che non avrei mai visto fra i suoi capelli, alle risate che non avrei mai ascoltato. Pensai a mia sorella, alla terra che avrebbe dovuto ereditare, ai sorrisi che non mi avrebbe mai rivolto. E pensai a Brianna, l’altra metà della mia anima. Brianna.
Afferrai Declan per la camicia, lo sollevai con tutta la mia rabbia e lo scaraventai contro la portafinestra che dava sulla balconata. I vetri esplosero in una pioggia di schegge iridescenti, stelle e sogni infranti che mai avrebbero potuto essere a causa di quell’uomo e della sua famiglia.
Declan ricadde sulla schiena nel buio della sera, coperto di sangue e di vetri rotti. Respirava ancora.
Mi avvicinai e guardai la sua vita svanire, finché nei suoi occhi malvagi non restò che un’ultima scintilla. Il principe cercò di parlare, il viso una maschera agonizzante, la bocca invasa dal sangue.
Mi accovacciai accanto al suo corpo e gli parlai sopra, sovrastando la sua voce ormai flebile. «Così finisce il casato dei Lannon, i feroci. Che semmai furono soltanto vigliacchi, e per questo cadranno nella polvere, e saranno oltraggiati. E i figli di Declan Lannon diventeranno Morgane. Come dicevi? “Chi nasce Lannon…” Non ne nasceranno più. I tuoi discendenti diventeranno tutto ciò che Gilroy ha cercato di distruggere, senza riuscirci. Perché la luce vince sempre sulle tenebre.»
Declan rantolava. Per un attimo mi parve che stesse dicendo: «Chiedi a lei», ma le parole si spensero sulle sue labbra.
Morì così, con una spada nel cuore, gli occhi su di me e una manciata di parole annodate in gola.
Mi alzai a fatica. La ferita al fianco pulsava furiosamente. E avevo delle schegge di vetro conficcate nel ginocchio. Rientrai nella stanza barcollando, i muscoli di tutto il corpo doloranti.
Stavo per crollare. Passata la tensione della lotta, mi sentivo svuotato.
«Lord Aodhan.»
Alzai lo sguardo. In mezzo alle stoviglie rovesciate, in mezzo ai resti della cena interrotta, Ewan mi guardava.
«Ewan» mormorai, e lui scoppiò in un pianto sconsolato.
Mi inginocchiai, i vetri come frecce acuminate dentro la mia carne, e allargai le braccia. Il ragazzino corse da me, mi strinse con le braccine magre e nascose il viso nel mio petto.
«Farò qualsiasi cosa, lord Aodhan» disse tra i singhiozzi, le parole quasi incomprensibili. «Vi prego, però. Vi prego, non mandatemi via! Lasciatemi stare con voi.»
La disperata supplica di quel bambino mi riempì gli occhi di lacrime. Mi commosse l’idea che fosse convinto di non meritare di vivere con me, che fosse preoccupato di non essere accettato. Lo strinsi finché non ebbe versato fino all’ultima lacrima e poi mi alzai, tenendolo in braccio.
«Ewan» dissi, sorridendo con gli occhi lucidi. «Potrai stare con me fin quando lo vorrai. E prometto che sarai il mio messaggero, e ti pagherò per questo.»
Ewan si asciugò le guance e il naso pieno di moccio sulla manica. «Davvero, mio signore? E mia sorella?»
«Anche Keela potrà stare con me fin quando lo vorrà.»
Allora lui mi rivolse un sorriso luminoso come il sole.
E così, con il ragazzino in braccio, me ne andai da quel posto di sangue e di morte.