CAPITOLO IX

I soldati di Cesare prendono Fonterabia; vani tentativi del pontefice di condurre i prìncipi alla pace o alla tregua; pretese del re d’Inghilterra al trono di Francia, e ambizione del cardinale eboracense. Accordi di Cesare e del re d’Inghilterra per muovere la guerra in Francia, il pontefice avverso all’impresa. Occupazione di Nizza. Vicende della guerra in Provenza. Deliberazione del re di Francia di portare la guerra in Italia. Ritirata dei soldati di Cesare dalla Provenza. Gli eserciti nemici nel ducato di Milano.

Aveva Cesare, nel principio dell’anno presente, mandato il campo1 a Fonterabia, terra di brevissimo spazio, posta in sull’estuario che divide il regno di Francia dalla Spagna2; e ancora che quel luogo fusse munitissimo d’uomini di artiglierie e di vettovaglie, né mancasse tempo a coloro che lo difendevano di ripararlo, nondimeno, per la imperizia de’ franzesi, i ripari furno fatti tanto inavvertentemente che, rimanendo esposti alle offese degli inimici, la necessità gli costrinse a convenire3 di uscirsene salvi. Recuperata Fonterabia4 si distendevano più oltre i suoi pensieri, rifiutati i conforti5 e l’autorità del pontefice; il quale, avendo mandato6 nel principio dell’anno, per trattare o pace o sospensione dell’armi, a Cesare al re di Francia e al re di Inghilterra, aveva trovato gli animi mal disposti : perché il re, acconsentendo alla tregua per due anni, ricusava la pace, non sperando potere ottenere in quella condizioni che gli soddisfacessino; Cesare, dannando la tregua per la quale si dava tempo al re di Francia a riordinarsi a nuova guerra, desiderava la pace; e al re d’Inghilterra era molesta qualunque convenzione si facesse per mezzo del pontefice, per il desiderio che avea che il trattamento della concordia7 finalmente del tutto si riferisse a lui8, inducendolo a questo gli ambiziosi consigli del cardinale eboracense9. Il quale, veramente esempio a’ nostri dì di immoderata superbia, benché nato di infima condizione e di sangue sordidissimo10, era salito appresso a quel re in tanta autorità che era manifestissimo a ciascuno che la volontà del re senza la approvazione di Eboracense fusse di niuno momento11, e per contrario fusse validissimo tutto quello che Eboracense solo deliberasse. Ma dissimulavano il re e il cardinale con Cesare questo pensiero, dimostrandosi ardenti a muovere la guerra contro al reame di Francia; il quale il re di Inghilterra pretendeva legittimamente appartenersegli per varie ragioni, pigliandone la prima origine da Adovardo cognominato…, re d’Inghilterra12. Il quale, essendo, insino nell’anno della salute nostra mille [trecento ventotto], morto senza figliuoli maschi Carlo quarto, cognominato bello, re di Francia, della sorella del quale13 era nato Adovardo, aveva fatto instanza, come più prossimo de’ parenti maschi al re morto, essere dichiarato re di quel reame; ma escluso dal parlamento universale di tutto il regno, nel quale fu determinato che per virtù della legge salica, legge antichissima di quel reame, fussino inabili a succedere non solo le femmine ma ciascuno nato per linea femminina, assunto non molto dipoi il titolo di re di Francia, assaltò il regno con esercito potente; dove ottenute molte vittorie, e contro a Filippo di Valois14, il quale con consentimento comune era stato dichiarato successore di Carlo bello, e contro a Giovanni suo figliuolo il quale15 condusse prigione in Inghilterra16, contrasse finalmente pace con lui; per la quale rinunziò al titolo regio17. Ma essendo a questa pace, che non fu lungamente osservata, succedute ora lunghe guerre ora lunghe tregue, ultimamente Enrico quinto re d’Inghilterra18, confederatosi con Filippo duca di Borgogna19, alienato dalla20 corona di Francia per la uccisione del duca Giovanni suo padre21, ebbe successi tanto prosperi contro a Carlo sesto, re alienato dallo intelletto, che insieme con la città di Parigi22 occupò quasi tutto il reame di Francia; nella quale città avendo trovato il re insieme con la moglie e con Caterina sua figliuola, si congiunse in matrimonio con quella23, facendo al re demente consentire che, nonostante vivesse Carlo suo figliuolo, il regno, morto il padre, si trasferisse in lei e ne’ suoi figliuoli: per virtù del quale titolo, benché invalido e inetto24, fu, dopo la morte di Enrico, coronato solennemente in Parigi Enrico sesto suo figliuolo re di Francia e di Inghilterra25. Ma ancoraché poi Carlo, dopo la morte del padre nominato Carlo settimo, per l’occasione dell’essere suscitate26 in Inghilterra tra quegli del sangue regio gravissime guerre27, cacciasse gli Inghilesi, eccettuata la terra di Calès, di là dal mare Oceano, nondimeno non omessono per questo i re di Inghilterra di usare il titolo di re di Francia. Queste cagioni potevano muovere Enrico ottavo alla guerra, sicuro più che fusse stato alcuno degli antecessori nel suo reame : perché essendo stati depressi dai re della famiglia di Iorch28 (era questo il nome d’una fazione) i re della famiglia di Lancastro29, nome dell’altra, i seguaci della casa di Lancastro, non vi essendo superstite più alcuno di quel sangue, sollevorono al regno Enrico di Richemont30, come più prossimo a loro; il quale, superati ed estinti31 i re avversari, per regnare con maggiore fermezza e autorità si copulò legittimamente con una figliuola di Adovardo penultimo re della casa di Iorch32, donde pareva che in Enrico ottavo, nato di questo matrimonio, fussino trasferite tutte le ragioni33 dell’una e dell’altra famiglia; le quali, per le insegne portavano, si chiamavano volgarmente la rosa rossa e la rosa bianca. Nondimeno, non incitava principalmente il re di Inghilterra la speranza di conseguire con l’armi il reame di Francia, perché in questo conosceva innumerabili difficoltà, quanto la cupidità di Eboracense che la lunghezza de’ travagli e la necessità delle guerre avesse finalmente a partorire che nel suo re avesse a essere rimesso l’arbitrio della pace, quale sapendo dovere dependere dalla sua autorità, pensava, in uno tempo medesimo, e fare risonare gloriosamente per tutto il mondo il nome suo e stabilirsi34 la benivolenza del re di Francia, al quale occultamente inclinava. Però non proponeva di obligarsi a quelle condizioni alle quali, se avesse [avuto] l’animo ardente a tanta guerra, era conveniente si obligasse.

Questa occasione incitava Cesare alla guerra, e molto più la speranza che la grazia l’autorità e il seguito grande che il duca di Borbone soleva avere in quel reame avesse a sollevare molto il paese. Perciò, con tutto che molti de’ suoi lo consigliassino che, mancandogli danari e avendo compagni di fede incerta, deposti i pensieri di cominciare una guerra tanto difficile, consentisse che il pontefice trattasse la sospensione dell’armi, convenne col re di Inghilterra e col duca di Borbone35: che il duca passasse nel reame di Francia con parte dello esercito che era in Italia; al quale, come avesse passato i monti, pagasse il re di Inghilterra ducati centomila per le spese della guerra del primo mese, restando in arbitrio suo o continuare di mese in mese questa contribuzione o di passare in Francia con esercito potente, per fare guerra dal primo dì di luglio per tutto il mese di dicembre, ricevendo dallo stato di Fiandra tremila cavalli e mille fanti con sufficiente artiglieria e munizione : che ottenendosi la vittoria, si restituisse al duca di Borbone lo stato toltogli dal re di Francia; acquistassesi per lui la Provenza, alla quale pretendeva per la cessione fatta dopo la morte di Carlo ottavo dal duca dell’Oreno ad Anna duchessa di Borbone36, la quale tenesse con titolo di re; giurasse, innanzi al pagamento de’ centomila ducati, il re di Inghilterra in re di Francia37 e prestassegli omaggio, il che non facendo, questa capitolazione fusse nulla; né potesse Borbone trattare, senza consenso di tutti due, col re di Francia: rompesse Cesare la guerra nel tempo medesimo da’ confini di Spagna, e che gli oratori di Cesare e del re di Inghilterra procurassino che i potentati di Italia, per assicurarsi in perpetuo dalla guerra de’ franzesi, concorressino con denari a questa impresa; cosa che riuscì vana, perché il pontefice non solo recusò di contribuire ma dannò espressamente questa impresa, predicendo che non solo non arebbe in Francia prospero successo ma che eziandio sarebbe cagione che la guerra ritornasse in Italia più potente e più pericolosa che prima.

La quale confederazione come fu fatta, benché il duca di Borbone, il quale costantemente recusò di riconoscere il re di Inghilterra in re di Francia, confortasse che più presto si andasse con l’esercito verso Lione per accostarsi al suo stato, nondimeno fu deliberato si passasse in Provenza, per la facilità che arebbe Cesare di mandargli soccorso di Spagna e per servirsi dell’armata38 che, per comandamento e co’ danari di Cesare, si preparava a Genova. I progressi di questa spedizione furno che Borbone e con lui il marchese di Pescara, dichiarato a quella guerra (perché di ubbidire a Borbone si sdegnava) capitano generale di Cesare, passomo a Nizza39; ma con forze molto minori di quelle che erano destinate: perché a cinquecento uomini d’arme ottocento cavalli leggieri quattromila fanti spagnuoli tremila fanti italiani e cinquemila tedeschi si doveano aggiugnere trecento uomini d’arme dell’esercito di Italia e cinquemila altri fanti tedeschi, ma questi per mancamento di danari non vennono; e il viceré, impotente a soldare nuovi fanti, come era stato deliberato ne’ primi consigli, per opporsi a Michelagnolo marchese di Saluzzo (il quale, cacciato del suo stato, era con mille fanti in sulla montagna), riteneva gli uomini d’arme per la guardia del paese. Aggiugnevasi che l’armata di Cesare, una delle principali speranze, guidata da don Ugo di Moncada allievo del Valentino, uomo di pravo ingegno e di pessimi costumi, appariva inferiore alla armata del re di Francia; la quale partita da Marsilia si era fermata nel porto di Villafranca. Entrorno nondimeno nella Provenza; la Palissa40 la Foglietta41 Renzo da Ceri e Federigo da Bozzole, capitani del re, perché non aveano forze sufficienti a opporsi si andavano continuamente ritirando. Una parte, camminando allato al mare, spugnò la torre imminente al porto di Tolone, dalla quale furno condotti all’esercito due cannoni. Arrendessi Asais42, città, per la sua degnità e perché vi risiede il parlamento, principale della Provenza, e molte altre terre del paese. Desiderava il duca di Borbone che da Asais, discostandosi dal mare, si cercasse di passare il fiume del Rodano, per entrare più nelle viscere dello stato del re di Francia, mentre che erano deboli le sue provisioni43; perché le genti d’arme sue, avendo patito molto e maltrattate ne’ pagamenti dal re, molto esausto di danari e che non aspettava che gli inimici di Lombardia passassino in Francia, erano ridotte in tale disordine che non si potevano così presto riordinare; e diffidando, come sempre, della virtù de’ fanti del suo reame era necessitato aspettare, innanzi uscisse in campagna, la venuta di fanti svizzeri e tedeschi: nel quale spazio di tempo pensava Borbone di potere, passando il Rodano, fare qualche progresso importante. Ma altra fu la sentenza del marchese di Pescara e degli altri capitani spagnuoli; i quali per l’opportunità del mare desideravano, come sapevano essere la intenzione di Cesare, che si acquistasse Marsilia, porto opportunissimo a molestare con l’armate marittime la Francia e a passare di Spagna in Italia. Alla volontà de’ quali non potendo repugnare44 il duca di Borbone, posero il campo a Marsilia45, nella quale città era entrato Renzo da Ceri con quegli fanti italiani che da Alessandria e da Lodi erano stati menati in Francia. Intorno a Marsilia dimororno vanamente quaranta dì, perché, benché battessino da più parti le mura con l’artiglierie e tentassino di fare le mine, nondimeno si opponevano alla spugnazione46 molte difficoltà: la muraglia assai forte di antica struttura, la virtù de’ soldati, la disposizione del popolo, divotissimo a’ re di Francia e inimicissimo al nome spagnuolo, per la memoria che Alfonso vecchio d’Aragona, ritornando da Napoli con armata marittima in Ispagna, avea all’improviso saccheggiata quella città47, la speranza del soccorso così dalla parte del mare come perché il re di Francia, venuto in Avignone città del pontefice posta in sul Rodano, raccoglieva continuamente grande esercito. Aggiugnevasi che all’esercito mancavano danari. Mancavano similmente le speranze che il re di Francia, assaltato da altre parti, fusse impedito a volgere a una parte sola tutti i suoi provedimenti : perché il re di Inghilterra, con tutto che appresso a Borbone avesse mandato Riccardo Pacceo, ricusava di pagare i centomila ducati per il secondo mese; meno faceva segni di muovere la guerra nella Piccardia, anzi, avendo ricevuto nell’isola Giovan Giovacchino dalla Spezie48 mandatogli dal re di Francia, e rispondendo il cardinale sinistramente49 agli oratori di Cesare, dava dell’animo suo non mediocre sospetto. Né dalla parte di Spagna corrispondeva la potenza alla volontà : perché, avendo le corti di Castiglia (così chiamano la congregazione de’ deputati in nome di tutto il regno) negato a Cesare di sovvenirlo di quattrocentomila ducati50, come sogliono fare ne’ casi gravi del re, non avea potuto mandare danari all’esercito che era in Provenza, né fare da’ confini suoi contro al re di Francia se non deboli movimenti e di pochissima riputazione. Onde i capitani cesarei, disperati di ottenere Marsiglia e temendo, come il re si accostava, non51 incorrere in gravissimo pericolo, levorno il campo da Marsilia, il medesimo dì nel quale il re, raccolti seimila svizzeri (la venuta de’ quali aspettando avea tardato), si mosse d’Avignone con tutto l’esercito.

Levato il campo di Marsilia52, i capitani di Cesare voltorono subito la fronte a Italia, procedendo con grandissima celerità, perché conoscevano in quanto pericolo si ridurrebbono se nel paese inimico si fusse accostato loro o tutto o parte dell’esercito del re di Francia; e da altra parte il re, giudicando d’avere occasione molto opportuna di ricuperare il ducato di Milano per l’esercito potente che avea, perché sapeva essere deboli le cose degli inimici, e perché sperava andando per il cammino diritto dovere essere in Italia innanzi all’esercito che si partiva da Marsilia, deliberò seguitare quel beneficio che la fortuna gli porgeva; la qual cosa manifestò agli uomini suoi con queste parole: — Io ho stabilito di volere, senza indugio, passare in Italia personalmente; qualunque mi conforterà al contrario non solo non sarà udito da me ma mi farà cosa molto molesta. Attenda ciascuno a eseguire sollecitamente quel che gli sarà commesso53, o che appartiene all’ufficio suo. Iddio, amatore della giustizia, e la insolenza e temerità degli inimici ci ha finalmente aperta la via di ricuperare quel che indebitamente ci era stato rapito. —

A queste parole corrispose e la costanza nella determinazione e la celerità dell’esecuzione. Mosse subito l’esercito, nel quale erano dumila lancie e ventimila fanti; fuggito il congresso della madre54, che da Avignone veniva per confortarlo che non passando i monti amministrasse la guerra per capitani55. Commesse a Renzo da Ceri che co’ fanti che erano stati seco a Marsilia salisse in sull’armata e, o per non prestare l’orecchie a’ ragionamenti della concordia o diffidando del pontefice, vietò che l’arcivescovo di Capua, mandato a lui per passare poi a Cesare, procedesse più oltre, ma che o trattasse seco per lettere, aspettando in Avignone appresso alla madre, o ritornasse al pontefice. E se (come scrisse iattabondo56 in Italia, presupponendo forse, secondo l’uso di molti, le cose ragionate e disegnate per già fatte o eseguite) avesse col medesimo ardore fatto seguitare gli inimici che si partivano, sarebbe per avventura57, con poco sangue e senza pericolo, rimasto vincitore di tutta la guerra. Ma essi58 disprezzando le molestie date da’ paesani e seguitati da piccole forze del re, procedendo con grandissimo ordine per la riviera del mare si condussono a Monaco; ove rotte in molti pezzi l’artiglierie e caricatele in su’ muli, per condurle più facilmente, pervennero al Finale : nel qual luogo intesa la mossa del re, raddoppiorno, per essere a tempo a difendere il ducato di Milano, nel quale non erano rimaste forze sufficienti a resistere, quella celerità che prima aveano usata per salvarsi. Così, procedendo l’uno e l’altro esercito verso Italia, pervennono, in un dì medesimo, il re di Francia a Vercelli, il marchese di Pescara co’ cavalli e co’ fanti spagnuoli ad Alva59; seguitando il duca di Borbone co’ fanti tedeschi per intervallo di una giornata; il quale, non dando spazio di respirare a se stesso, andò il dì seguente da Alva a Voghiera, cammino di quaranta miglia, per andare il prossimo dì a Pavia; ove si congiunse col viceré, venuto da Alessandria, ove avea lasciato alla custodia duemila fanti, con grandissima prestezza, in tempo che già l’esercito del re cominciava a toccare le ripe del Tesino. Quivi consultando tra loro e con Ieronimo Morone delle cose comuni, ebbono il primo pensiero, lasciata sufficiente guardia in Pavia, di fermarsi come l’altre volte aveano fatto in Milano: però ordinorno che subito vi andasse il Morone per provedere alle cose necessarie, e che il duca di Milano, il quale aveano mandato a chiamare, lo seguitasse; essi, lasciato Antonio de Leva a Pavia con trecento uomini d’arme e circa cinquemila fanti, da pochi spagnuoli in fuori, tutti tedeschi, si mossono verso Milano.

1. il campo: l’esercito.

2. Sul golfo di Biscaglia.

3. convenire: concordare.

4. 27 febbraio 1524.

5. i conforti: le esortazioni.

6. avendo mandato: si sottintende ambasciatori.

7. il… concordia: le trattative d’accordo.

8. del tutto… a lui: fosse completamente rimesso al suo arbitrato.

9. Thomas Wolsey.

10. sordidissimo: ignobilissimo.

11. di niuno momento: di nessun peso.

12. Edoardo III (1327-77).

13. Isabella di Francia (1290-1358), figlia di Filippo il Bello e moglie di Edoardo II d’Inghilterra.

14. Poi re Filippo VI (1328-50).

15. il quale: è oggetto.

16. Giovanni II il Buono (1350-64) fu fatto prigioniero a Poitiers nel 1356.

17. Marzo 1359.

18. Nel 1415, aveva sconfìtto i francesi nella battaglia di Azincourt.

19. Dicembre 1419-gennaio 1420.

20. alienato dalla: diventato nemico della.

21. Giovanni di Borgogna, detto Giovanni senza paura, era stato ucciso nel 1419 durante un incontro con il delfino, il futuro Carlo VII.

22. 1° dicembre 1420.

23. 2 giugno 1420.

24. benché… inetto: si riferisce a titolo.

25. 16 dicembre 1430.

26. suscitate: accese.

27. La guerra delle due rose.

28. York.

29. Lancaster.

30. Enrico VII.

31. estinti: eliminati.

32. Elisabetta di York, figlia ed erede di Edoardo IV.

33. tulle le ragioni, tutti i diritti.

34. stabilirsi: assicurarsi.

35. 25 maggio 1524,

36. Anne de Beaujeu, suocera del duca di Borbone.

37. giurasse… il re d’Inghilterra in re di Francia: riconoscesse il re d’Inghilterra come re di Francia.

38. dell’armata: della flotta.

39. 1° luglio 1524.

40. Jacques de Chabannes, signore de la Palice.

41. Antoine de la Fayette.

42. Aix-en-Provence.

43. erano… provisioni: era mal preparato alla guerra.

44. repugnare: opporsi.

45. 14 agosto.

46. spugnazione: espugnazione, presa d’assalto.

47. 4 novembre 1423.

48. Giovanni Gioacchino da Passano.

49. sinistramente: ostilmente.

50. In realtà il sovvenzionamento fu dato.

51. temendo… non: temendo, dato che il re si avvicinava, di.

52. 29 settembre 1524.

53. commesso: ordinato.

54. fuggito… madre: evitato l’incontro con la madre.

55. amministrasse… capitani: dirigesse la guerra per mezzo dei capitani.

56. iattabondo: con arrogante sicurezza.

57. per avventura: forse.

58. essi: i nemici.

59. Alba.

CAPITOLO X

Misere condizioni di Milano dopo la peste. Parole del Morone ai milanesi. I francesi sotto Milano, dove pongono un presidio per l’assedio del castello. Difficoltà di Cesare: contegno degli antichi confederati. Vano assalto del re di Francia a Pavia; vani tentativi di deviare le acque del Ticino; assedio della città.

Ma la città di Milano, afflitta dalla peste grandissima che l’avea vessata quella state, non pareva più simile a se medesima : perché del popolo era morto numero grandissimo, di quegli che aveano fuggito tanto infortunio molti erano assenti, non ridotta1 dentro la copia delle vettovaglie consueta, difficili i modi del fare provedimenti di danari; de’ ripari, non avendo alcuno atteso a conservargli, la maggiore parte per terra: e nondimeno, in tante difficoltà, sarebbe stata la antica prontezza degli uomini alle medesime fatiche e pericoli. Ma il Morone, conoscendo che il mettere l’esercito in Milano più tosto partorirebbe la ruina di quello che la difesa della città, fatta altra deliberazione, fermatosi in mezzo della moltitudine, parlò così: — Noi possiamo oggi dire, né con minore molestia di animo, le parole medesime che nelle angustie sue disse il Salvatore : «lo spirito certamente è pronto, la carne inferma»2. Voi avete il medesimo ardore che avete avuto sempre di conservarvi per signore Francesco Sforza; a lui trafiggono, come sempre, il cuore i pericoli e le calamità del suo diletto popolo; egli è parato a mettere la vita propria per salvarvi, voi con non minore prontezza l’esporreste al presente che molte volte l’avete esposta per il passato. Ma alla volontà non corrispondono da parte alcuna le forze; perché per l’essere la città quasi vota d’abitatori, esserci strettezza di vettovaglie, mancamento di danari e i bastioni quasi per terra, non ci è modo di proibire che i franzesi non3 ci entrino. Duole al duca quanto la morte l’essere necessitato ad abbandonarvi, ma molto più che la morte gli dorrebbe che il volervi difendere fusse cagione dell’ultimo eccidio vostro, come senza dubbio alcuno sarebbe. Ne’ mali tanto gravi è tenuto prudente chi elegge il male minore, chi non si dispera tanto che abbandoni con una sola deliberazione tutte le sue speranze. Però il duca vi conforta4 a cedere alla necessità, che ubbidiate al re di Francia per riserbarvi a tempi migliori; i quali abbiamo grandissime cagioni di sperare che presto ritorneranno. Non abbandonerà il duca al presente se medesimo, non abbandonerà in futuro voi. La potenza di Cesare è grandissima, la fortuna inestimabile; la causa è giustissima, gli inimici sono quegli medesimi che tante volte sono stati vinti da noi. Risguarderà5 Iddio la pietà6 vostra verso il duca, la pietà del duca verso la patria; e dobbiamo tenere per certo che, permettendo ora a qualche buon fine quello a che ci costrigne la necessità presente, ci darà presto contro all’inimico superbissimo vittoria tale che felicemente con lunga pace ci ristoreremo da tante molestie. — Dopo le quali parole, avendo fatto mettere vettovaglie in castello, si uscì della città. Andava e7 il duca a Milano, non sapendo quel che avesse fatto il Morone; ma a fatica uscito di Pavia, scontrò8 Ferrando Castriota9 che guidava l’artiglieria, dal quale avvertito che una grande parte degli inimici avea passato il Tesino, e che avendo scontrato in sul fiume Zucchero borgognone co’ suoi cavalli leggieri l’aveano rotto, temendo non10 trovare il cammino impedito, ritornò a Pavia. Nelle quali cose benché il duca e il Morone fussino proceduti sinceramente, nondimeno i capitani di Cesare, che erano coll’esercito a Binasco, insospettiti che occultamente non fussero convenuti11 col re di Francia, mandorno Alarcone con dugento lancie a Milano, per seguitarlo o no secondo gli avvisi ricevessino da lui. Alla giunta del quale, il popolo, che già concordava con alcuni fuorusciti che convenivano in nome del re12, ripreso animo chiamò il nome di Cesare e di Francesco Sforza. Ma Alarcone, conoscendo essere vana la speranza del difendersi e presentito approssimarsi già l’avanguardia franzese, uscì per la porta Romana alla via di Lodi; ove eziandio si era voltato tutto l’esercito imperiale, nel tempo medesimo che gli inimici cominciavano a entrare per le porte Ticinese e Vercellina: i quali, se non si volgendo a Milano avessino atteso a seguitare l’esercito di Cesare, stracco per la lunghezza del cammino nel quale aveano perdute molte armi e cavalli, si crede per certo che con somma facilità l’arebbono dissipato13, e se pure, poi che erano accostati a Milano, fussino andati subito verso Lodi, non arebbono avuto i capitani di Cesare ardire di fermarvisi; e forse, passando con celerità il fiume dell’Adda, arebbono con la medesima facilità messo in disordine grande le reliquie14 degli inimici. Ma il re, o parendogli forse di molta importanza lo stabilire alla sua divozione15 Milano, nella quale città gli era sempre stata fatta la resistenza principale, o non conoscendo16 l’occasione o movendolo altra cagione, non solamente si accostò a Milano, dove né entrò egli né volle che l’esercito entrasse, ma si fermò per mettervi il presidio necessario e ordinare17 l’assedio del castello, nel quale erano settecento fanti spagnuoli; avendo, con laude grande di modestia18 e benignità, proibito che a’ milanesi non fusse fatta molestia alcuna19.

Ordinate che ebbe le cose di Milano voltò l’esercito a Pavia, giudicando essere inutile alle cose sue lasciarsi dopo le spalle una città nella quale erano tanti soldati : e avea il re, secondo che era la fama, computati quegli che rimanevano a Milano, dumila lancie ottomila fanti tedeschi seimila svizzeri seimila venturieri quattromila italiani, i quali italiani dipoi molto si augumentorono. Nel qual tempo, de’ capitani di Cesare, si era fermato il marchese di Pescara in Lodi con duemila fanti; e il viceré, lasciate guardate Alessandria, Como e Trezzo, si era ridotto a Sonzino, insieme con Francesco Sforza e con Carlo di Borbone; i quali, intra tante difficoltà e angustie ripreso alquanto d’animo per la andata del re a Pavia, e pensando al riordinarsi se la difesa di quella città dava loro tempo (perché altrimenti niuno rimedio conoscevano), mandorno in Alamagna a soldare seimila fanti; allo stipendio de’ quali, e a altre spese necessarie, si provedeva con cinquantamila ducati che Cesare, perché nella guerra di Provenza si spendessino, a Genova mandati avea. Ma sopra tutte le cose disturbava i consigli loro20 la penuria di danari, non avendo facoltà di trarne del ducato di Milano, né sperando d’avere, per la impotenza sua, da Cesare altro provedimento che commissione che a Napoli si vendesse il più si poteva dell’entrate del regno. Piccolo o forse niuno sussidio, o di soldati o di danari, speravano dagli antichi confederati; perché dal pontefice e dai fiorentini, richiesti di porgere danari, ottenevano parole generali : perché il papa, dopo la partita dell’ammiraglio di Italia deliberato al tutto di non si mescolare nelle guerre tra Cesare e il re di Francia, non aveva mai voluto rinnovare la confederazione fatta coll’antecessore21 né fare lega nuova con alcun principe; anzi, benché si dimostrasse inclinato a Cesare e al re di Inghilterra, aveva occultamente prima promesso al re di Francia di non se gli opporre quando assaltasse il ducato di Milano; e i viniziani, ricercati dal viceré che ordinassino22 le genti alle quali erano tenuti per i capitoli della lega, benché non negassino rispondevano freddamente, come quegli23 che aveano nell’animo di accomodare i consigli a’ progressi delle cose24, o perché appresso a molti di loro risorgesse la memoria della congiunzione antica col re di Francia, o perché credessino egli passato in Italia con tante forze contro a inimici imparatissimi25 dovere essere vittorioso, o perché più che il solito avessino a sospetto la ambizione di Cesare, conciossiaché, con ammirazione26 e quasi querela di tutta Italia, non avesse investito Francesco Sforza del ducato di Milano. Movevagli oltre a questo l’autorità del pontefice, i cui consigli ed esempio in questo tempo non mediocremente risguardavano27.

Ma il re di Francia, accostatosi a Pavia28 dalla parte di sopra, tra il fiume del Tesino e la strada per la quale si va a Milano29, fermata la vanguardia nel borgo di Santo Antonio30 di là dal Tesino, in sulla strada che conduce a Genova, egli alloggiato alla abbazia di San Lanfranco31 lontana un miglio dalle mura, batté con l’artiglierie da due parti due dì le mura, e dipoi con l’esercito ordinato cominciò a dare la battaglia; ma apparendo la terra dentro essere bene riparata e dimostrandosi gli inimici molto valorosi a difendersi, e per contrario vedendosi ne’ suoi manifesti segni di temenza e già essendone stati ammazzati molti, dette il segno di ritirarsi; e comprendendo quanto fusse difficile l’espugnare una città, difesa da tanti uomini di guerra, coll’impeto delle battaglie, si voltò a opere di trincee e di cavalieri32 con grandissimo numero di guastatori, intento a tagliare i fianchi33 perché i soldati più sicuramente vi si accostassino. A questa opera che si dimostrava lunga e difficile aggiunse il fare le mine, per pigliarla, se altrimenti non gli riuscisse, a palmo a palmo; e ultimatamente, facendolo molto diffidare la virtù e il numero de’ difensori, avuto il consiglio di molti ingegnieri e periti del corso del fiume, il quale due miglia sopra a Pavia si divide in due corni, e poi un miglio di sotto, innanzi che entri nel Po, si ricongiugne, deliberò di divertire34 il ramo che passa allato a Pavia nel ramo minore detto il Gravalone35, sperando dovergli poi essere facile spugnarla36 da quella parte donde il muro, per la sicurtà che dava la profondità dell’acque, niuno riparo aveva37. Nella quale opera, tentata con moltitudine quasi innumerabile d’uomini e con grandissima spesa, né senza timore di38 quegli di dentro, consumò molti dì; ora rovinando l’impeto dell’acqua, la quale per le pioggie immoderate grossissima era divenuta, gli argini, che nel letto dove il fiume si divide si lavoravano per sforzarlo a volgersi nel ramo minore, ora sperando il re di superare con la possanza degli uomini e de’ danari la violenza del fiume. Finalmente l’esperienza dimostrò quel che quasi sempre apparisce che più può la rapidità del fiume che la fatica degli uomini o la industria de’ periti. Però il re, privato della speranza, della forza e delle opere, determinò di perseverare nell’assedio, colla lunghezza del quale sperava ridurre quegli di dentro in necessità di arrendersi.

1, ridotta: condotta.

2. Cfr. Matteo 26, 41 e Marco 14, 38.

3. proibire che… non: impedire che.

4. conforta: esorta.

5. Risguarderà: terrà conto di.

6. pietà: devozione.

7. e: anche.

8. scontrò: incontrò.

9. Ferdinando Castriota, marchese di Monte Sant’Angelo.

10. temendo non: temendo di.

11. insospettiti che…. non funsero convenuti: sospettando che… si fossero accordati.

12. convenivano… re: trattavano l’accordo come rappresentanti del re.

13. dissipato: sbaragliato.

14. le reliquie: i resti dell’esercito.

15. lo… devozione: consolidare il possesso di.

16. conoscendo: scorgendo.

17. ordinare: organizzare.

18. modestia: moderazione.

19. 26 ottobre 1524.

20. disturbava… loro: ostacolava i loro disegni.

21. Adriano VI (cfr. XV, ni).

22. ordinassino: preparassero e mettessero a disposizione.

23. come quegli che: forma latineggiante (cfr. quippe qui).

24. accomodare… cose: decidere sulla base dell’andamento della guerra.

25. imparatissimi: impreparatissimi.

26. ammirazione: maraviglia.

27. I cut… risguardavano: alio cui decisioni e al cui esempio prestavano in questo periodo non poca attenzione.

28. L’assedio di Pavia cominciò il 28 ottobre 1524.

29. Dal lato nord-occidentale della città.

30. Borgo meridionale di Pavia, sulla riva sinistra del Ticino.

31. A nord-ovest di Pavia.

32. I cavalieri erano opere di, fortificazione fatte di un monte di terra circondato da mura e sormontato da una postazione d’artiglieria.

33. tagliare i fianchi: smantellare e rendere inutilizzabili le postazioni di artiglieria che fiancheggiavano i baluardi,

34. divertire: deviare.

35. Gravellone, a sud del Ticino.

36. spugnarla: espugnarla, prenderla d’assalto.

37. dal lato meridionale.

38. di: da parte di.

CAPITOLO XI

Nuovi e inutili tentativi di concordia del pontefice: suoi accordi col re di Francia; nuove angustie e difficoltà di Cesare.

Ma mentre che queste cose si fanno e si preparano, il pontefice, poi che ebbe inteso il re avere occupato Milano, commosso1 dal principio tanto prospero e perciò desideroso di assicurare le cose proprie, mandò a lui Gianmatteo Giberto vescovo di Verona suo datario2, uomo a sé confidentissimo ma né anche ingrato3 al re. Commessegli che prima andasse a Sonzino a confortare4 il viceré e gli altri capitani alla concordia, dimostrando5 dovere andare al re di Francia per la medesima cagione; i quali, già cresciuti di speranza per la resistenza di Pavia, gli risposono ferocemente6 non volere prestare orecchie ad alcuna composizione per la quale il re avesse a ritenere7 un palmo di terra nel ducato di Milano. Simile e forse più dura disposizione trovò nel re di Francia8, enfiato9 per la grandezza dell’esercito e per la facoltà non solamente di sostentarlo ma di accrescerlo; col quale fondamento10 principalmente affermava essere passato in Italia e non per la speranza sola d’avere a prevenire gli inimici, benché dicesse e11 questo essergli in buona parte succeduto. Sperare al certo di ottenere Pavia, la quale tuttavia12 continuava di battere aspramente13, per l’opere14 faceva intorno alle mura; alle quali confidava che gli inimici, avendo, come si comprendeva per la infrequenza del tirare, mancamento di munizioni, non potrebbono resistere, e per la derivazione15 che ancora non era disperata del Tesino e per la carestia del pane che era dentro : né stimare premio degno di tante fatiche e di spesa così immoderata la ricuperazione sola del ducato di Milano e di Genova, ma pensare non meno ad assaltare il regno di Napoli.

Trattosi dipoi tra loro, e con piccola difficoltà se gli dette la perfezione, la cagione principale per la quale il datario era stato mandato; perché il pontefice s’obligò a non dare aiuto manifesto o occulto contro al re e che il medesimo farebbono i fiorentini, e il re ricevette in protezione il pontefice e i fiorentini16, inserendovi specialmente l’autorità che avea a Firenze la famiglia de’ Medici: la quale concordia17 convennono non si publicasse se non quando paresse al pontefice; e nondimeno, ancora che non pervenisse allora alla, notizia de’ capitani di Cesare, cresceva in essi continuamente il sospetto conceputo di lui18. Però, per certificarsi al tutto della sua mente19, mandorno a lui Marino abate di Nagera20 commissario del campo21, a proporgli insieme speranza e timore: perché da una parte gli offerivano cose grandissime, dall’altra gli dimostravano che, essendo Cesare e il re venuti all’ultima contenzione22, non poteva Cesare altro che riputare che fusse stato contro a sé chiunque non fusse stato con lui. Ma il pontefice rispondeva, niuna cosa meno convenire a sé che il partire dalla neutralità23 nelle guerre tra’ prìncipi cristiani, perché così richiedeva lo ufficio pastorale e perché potrebbe con maggiore autorità trattare la pace: per la quale, nel tempo medesimo, procurava con24 Cesare; a cui, avuta licenza dalla madre del re di passare da Lione in Spagna, dopo l’acquisto di Milano, pervenne l’arcivescovo di Capua, e scusato che ebbe con le medesime ragioni il pontefice del non avere voluto rinnovare la lega, come Cesare, intesa la andata del re verso Italia avea instantemente dimandato, lo confortò efficacemente in suo nome che o con la tregua o con la pace si deponessino l’armi. Inclinavano l’animo suo alla concordia le difficoltà nelle quali vedeva essere ridotto : non avere modo di fare in Ispagna provedimento alcuno di danari per le cose di Italia, la prosperità che si dimostrava del re di Francia, il sospetto che il re di Inghilterra non25 fusse occultamente convenuto26 con l’inimico; perché quel re non solamente ricusava che cinquantamila ducati, i quali finalmente aveva proveduti a Roma per la guerra di Provenza, si mandassino all’esercito di Lombardia, ma (quel che causava sospetto maggiore) dimandava a Cesare, costituito27 in tante necessità, che gli restituisse i danari prestati e che gli pagasse tutti quegli a’ quali era tenuto: perché Cesare, insino quando passò in Ispagna, cupidissimo della sua congiunzione28, per rimuovere tutte le difficoltà che lo potevano tenere sospeso, si obligò a pagargli la pensione che ciascuno anno gli dava il re di Francia e ventimila ducati per le pensioni che il medesimo re pagava al cardinale eboracense e ad alcuni altri, e trentamila ducati che per il doario29 si pagavano alla reina Bianca, stata moglie del re Luigi; delle quali promesse non avea insino a quel dì pagata cosa alcuna. E nondimeno Cesare, con tutto che alla afflizione dell’animo si aggiugnesse la infermità del corpo, perché il dolore conceputo quando cominciorno ad apparire le difficoltà della spugnazione di Marsilia gli avea generata la quartana, o perché la mente sua indisposta a cedere all’inimico non si piegasse naturalmente per alcune difficoltà o perché confidasse nella virtù del suo esercito, se si conducessino mai a fare giornata30 con gli inimici, o promettendosi dovere essere per l’avvenire favorito non meno immoderatamente dalla fortuna che per il passato stato fusse, rispondeva non essere secondo la degnità sua fare alcuna convenzione mentre che il re di Francia vessava coll’armi il ducato di Milano.

1. commosso: preoccupato.

2. Giovau Matteo Giberti.

3. ingrato: sgradito.

4. confortare: esortare.

5. dimostrando: dicendo di.

6. ferocemente: animosamente.

7. ritenere: conservare.

8. L’incontro con Francesco I avvenne il 9 novembre 1524.

9. enfiato: insuperbito.

10. col quale fondamento: facendo affidamento sulla qual cosa.

11. e: anche.

12. tuttavia:sempre.

13. aspramente: con violenza.

14. l’opere: gli scavi per collocarvi le mine.

15. derivazione: deviazione.

16. L’accordo fu concluso il 12 dicembre 1524.

17. la quale concordia: il quale accordo.

18. di lui: nei confronti del papa.

19. per… mente: per assicurarsi completamente delle sue intenzioni.

20. Fernando Marín, abate di Santa Maria di Najera, tesoriere dell’esercito imperiale.

21. del campo: dell’esercito.

22. all’ultima contenzione: allo scontro decisivo, ad una lotta all’ultimo sangue.

23. il… neutralità: l’abbandonare la propria posizione neutrale,

24. procurava con: si adoperava presso.

25. il sospetto che… non: il sospetto che.

26. fusse… convenuto: si fosse… accordato.

27. costituito: che si trovava.

28. congiunzione: alleanza.

29. Il doario (o dovario) era l’assegnazione di parte dei beni fatta dal marito alla moglie perché ne potesse godere in caso di vedovanza.

30. giornata: battaglia campale.

CAPITOLO XII

Disegni e preparativi del re di Francia per la spedizione contro il reame di Napoli: obiezioni del pontefice. I preparativi sospesi e ripresi; proposte del pontefice al viceré. Discussione nel consiglio dell’esercito di Cesare. Risposta del viceré al pontefice. Breve del pontefice a Cesare; risposta dell’oratore pontificio alle querele di Cesare.

Avea in questo mezzo deliberato il re di Francia di assaltare il reame di. Napoli, sperando o che il viceré, mosso dal pericolo perché non vi era rimasto presidio alcuno, abbandonerebbe, per andare a difenderlo, lo stato di Milano, o almeno cederebbe a deporre l’armi con inique condizioni; il che il re, mosso dalle difficoltà di ottenere Pavia cominciava a desiderare. Destinò che a questa guerra andasse Giovanni Stuardo duca d’Albania, del sangue de’ re di Scozia, con dugento lancie [secento] cavalli leggieri e quattromila fanti che si levassino dall’esercito, la metà italiani quattrocento svizzeri e gli altri tedeschi; e che, per unirsi a lui, Renzo da Ceri scendesse a Livorno co’ fanti destinati per l’armata1, la quale ritardata dalle difficoltà de’ provedimenti necessari dimorava ancora nel porto di Villafranca; e che Renzo medesimo e gli altri Orsini soldassino nel paese di Roma [quattro] mila fanti: la quale deliberazione fece, per Alberto conte di Carpi oratore suo, nota al pontefice, ricercandolo che permettesse che a Roma si soldassino i fanti e consentisse che l’esercito passasse per lo stato della Chiesa. Grave era questa dimanda al pontefice, a cui sarebbe stato molestissimo che al re di Francia pervenisse oltre al ducato di Milano il regno di Napoli, ma, non avendo ardire apertamente di negarla, confortava il re che per allora non facesse questa impresa, né mettesse lui in necessità di non gli concedere quello che per giusti rispetti non poteva consentire; dimostrandogli con prudente discorso questo pensiero essere contro alla propria utilità: perché se la cupidità di ricuperare il ducato di Milano gli avea per il passato concitati tanti inimici, che farebbe ora il vedersi che aspirasse anche al regno di Napoli? che maraviglia sarebbe se questo movesse i viniziani a prendere la guerra per Cesare, trapassando ancora gli obligi della loro confederazione? Considerasse che, se per disavventura si diffìcultassino i progressi suoi2 in Lombardia, con che riputazione potrebbono procedere nel regno di Napoli, e che la declinazione in qualunque di questi luoghi partorirebbe la caduta nell’altro; e che in ultimo si ricordasse d’averlo commendato3 di essersi ritirato all’ufficio del pontefice, però non convenire che ora lo astrignesse a fare il contrario. Ma invano si dicevano queste cose, perché il duca, non aspettata la risposta, avea, come certo della concessione del pontefice, passato il Po al passo della Stellata che è nello stato di Milano : benché il quinto dì poi ritornò indietro, perché il re, avendo notizia che già cominciavano ad arrivare agli inimici i fanti tedeschi e che il duca di Borbone era andato nella Alamagna per muoverne maggiore quantità, volle serbarsi intero l’esercito insino non venisse nuovo supplemento di svizzeri e grigioni i quali avea mandati a soldare.

Nel quale tempo procedevano le cose di ciascuna delle parti quasi oziosamente4. Il re continuava l’assedio di Pavia, non intermettendo5 i lavori delle trincee e il molestarla con l’artiglierie; gli imperiali, aspettando il ritorno di Borbone, si riposavano: eccetto che il marchese di Pescara, nella providenza e ardire del quale la maggiore parte de’ consigli ma certamente tutte l’esecuzioni si riposavano, uscito una notte di Lodi con dugento cavalli e dumila fanti, entrato all’improviso nella terra di Melzi, guardata negligentemente da Ieronimo6 e da Gianfermo da Triulzi7 con dugento cavalli, fece prigioni i capitani con la maggiore parte de’ soldati; de’ quali Ieronimo, poco poi, morì di una ferita ricevuta nel combattere. Arrivorno dipoi all’esercito del re i svizzeri e grigioni; alla venuta de’ quali il duca di Albania, mosso di nuovo, passò il Po alla Stradella nel piacentino.

Dalla quale inclinazione non potendo il pontefice divertire8 il re, né forse, per non lo insospettire, non ne facendo molta instanza, gli parve tempo opportuno a manifestare agli imperiali le convenzioni fatte prima con lui e a rinnovare la menzione della concordia; alla quale, per la difficoltà dell’ottenere Pavia e per il pericolo del regno di Napoli, sperava dovere trovare minore durezza in ciascuna delle parti. A’ quali effetti mandò Paolo Vettori, capitano delle sue galee, a significare9 al viceré : non avere mai potuto, benché n’avesse fatto grandissima diligenza, rimuovere il re dalla deliberazione di assaltare il reame di Napoli; né potere, per non trasferire la guerra in sé (alla quale non potrebbe resistere) vietargli il passo, anzi essere necessitato ad assicurarsi con nuove convenzioni da lui; nelle quali non consentirebbe mai condizione alcuna nociva a Cesare, a cui conoscere niuna cosa essere più utile, in tante difficoltà, che la pace; la quale perché si potesse trattare innanzi che i disordini più oltre procedessino, confortare il viceré a consentire che l’armi si sospendessino; deponendo (perché altrimenti il re non vi condiscenderebbe) in mano di persona non sospetta quel che in nome di Cesare e del duca si teneva ancora nel ducato di Milano. Sperare che, fatto questo, si converrebbe in qualche modo onesto della pace10 : per la quale proponeva che il ducato di Milano, separandosi in tutto dalla corona di Francia, fusse con l’investitura di Cesare (il quale in ricompenso ne ricevesse somma conveniente di pecunia) conceduto al secondogenito del re; che con onesto modo si provedesse al duca di Milano e al duca di Borbone; e che il pontefice i viniziani e i fiorentini si obligassino a unirsi con Cesare contro al re, in caso non osservasse le cose promesse.

Conoscevano i capitani di Cesare la grandezza delle difficoltà e de’ pericoli, avendo in un tempo medesimo a sostenere in tanta penuria di danari la guerra in Lombardia e a pensare al regno di Napoli, abbandonati manifestamente da’ sussidi del pontefice e de’ fiorentini, e già certi che i viniziani farebbono il medesimo; i quali, se bene soldando nuovi fanti si ingegnassino dare speranza di volere osservare la lega, differivano con varie scuse l’esecuzione. Però il viceré, non alieno con l’animo dalla concordia, inclinava per la sicurtà del regno di Napoli a ritirarvisi con l’esercito. Ma prevalse nel consiglio il parere del marchese di Pescara; il quale, procedendo parimente con audacia e con prudenza, dimostrò essere necessario, dispregiati gli11 altri pericoli, fermarsi alla guerra di Lombardia, dalla vittoria della quale tutte l’altre cose dipendevano. Non essere destinate tali forze ad assaltare il regno di Napoli, né potere con tal celerità condursi là, ove erano molte terre forti12, e la resistenza di coloro la salute de’ quali consisteva nel difenderlo, che almeno non si dovesse per più e più mesi sostenere13; nel qual tempo verisimilmente si imporrebbe alla guerra di Milano l’ultima mano14 : se con vittoria, chi dubitava che vincendo liberebbono subito il reame di Napoli, quando bene per Cesare non si tenesse altro che una torre sola? Stando fermi in Lombardia potere essere vincessino a Milano e a Napoli, andando a Napoli si perdeva al certo Milano né si liberava il regno dal pericolo, ove incontinente tutta la guerra si trasferirebbe: e con quale speranza, ritornandovi come vinti? donde con tanta riputazione vi entrerebbono gli inimici, tanta sarebbe l’inclinazione de’ popoli (che per natura per odio per paura si fanno incontro alla fortuna del vincitore), che non più si difenderebbe il regno di Napoli che il ducato di Milano. Né muovere altro il re di Francia, dubbio ancora de’ successi di Lombardia, a dividere l’esercito, a cominciare una guerra nuova mentre pendeva15 la prima, che la speranza che per troppa sollecitudine del regno di Napoli gli lasciassino in preda tutto lo stato di Milano : per i cui consigli deliberarsi, per i cui cenni16 muoversi l’esercito tante volte vincitore, che essere altro che con eterna infamia concedere alle minaccie de’ vinti quella gloria che tante volte contro a loro s’aveano con l’armi acquistata? La quale sentenza seguitando finalmente il viceré mandò a Napoli il duca di Traietto, con ordine che, raccolti più danari che si potesse, Ascanio Colonna17 e gli altri baroni del regno attendessino a difenderlo; e ancora che alla imbasciata fattagli in nome del pontefice avesse risposto modestamente scrisse con molta acerbità a Roma, ricusando volere udire ragionamento alcuno di concordia. Donde il pontefice, mostrando essere menato dalla necessità, perché il duca di Albania continuamente andava innanzi, publicò, non come cosa fatta prima, essere convenuto col re di Francia con una semplice promessa di non offendere l’uno l’altro : il che significò eziandio per uno breve18 agli agenti di Cesare, allegando le cagioni e specialmente la necessità che l’avea indotto. Il quale breve presentato da Giovanni Corsi oratore fiorentino e aggiunte quelle parole che convenivano a tale materia, Cesare, il quale prima dimostrava non si potere persuadere che il pontefice in tanto pericolo l’abbandonasse, commosso molto di animo, rispose che né odio né ambizione né alcuna privata cupidità l’avea indotto a pigliare da principio la guerra contro al re di Francia, ma le persuasioni e l’autorità del pontefice Leone, confortato a questo (come si diceva) dal presente pontefice che allora era il cardinale de’ Medici, dimostrandogli importante molto alla salute publica che quel re non possedesse cosa alcuna in Italia : il medesimo cardinale essere stato autore della confederazione che, innanzi alla morte di Adriano pontefice19, si fece per la medesima cagione. Però essergli sommamente molesto che colui che sopra tutti gli altri era tenuto a non si separare da lui, ne’ pericoli ne’ quali era stato autore20 che entrasse, avesse fatto una mutazione che tanto gli noceva, e senza alcuna necessità : perché a che si potere attribuire altro che a soperchio timore, mentre che Pavia si difendeva? Ricordò quel che avea sempre, dopo la morte di Lione e specialmente in due conclavi, operato per la sua grandezza, e il desiderio che avea avuto che e’ fusse assunto al pontificato, per mezzo del quale avea creduto s’avesse a stabilire la libertà e il bene comune d’Italia; né si persuadere che al pontefice fusse uscito della memoria la poca fede del re di Francia, né quel che dalla sua vittoria potesse o temere o sperare. Conchiuse che né per la deliberazione del pontefice, benché indebita e inaspettata, né per qualunque altro accidente abbandonerebbe se medesimo, né confidasse alcuno che per mancamento di danari avesse a mutare sentenza, perché metterebbe prima a ogni pericolo tutti i regni e la vita propria : ed essere tanto fisso in questo che supplicava Iddio non fusse cagione della dannazione della sua anima. Alle quali querele replicava l’oratore fiorentino: il papa, poi che fu eletto alla suprema degnità, essere stato obligato a procedere non più come cardinale de’ Medici ma come pontefice romano, l’ufficio del quale era pensare e affaticarsi per la pace de’ cristiani; perciò non avere mai ricordato21 altro che la necessità che se n’avea, scrittone sì spesso a lui e mandatogli l’arcivescovo di Capua due volte, e protestato22 che il debito suo era non aderire ad alcuno; avere ricordato il medesimo quando l’ammiraglio partì di Italia, non si potendo in tempo alcuno trattare con maggiore onore per lui : né avere riportata altra risposta che non si potere fare senza consentimento del re di Inghilterra. Ricordassesi Cesare quanto il pontefice avesse dissuaso il passare nella Provenza, perché si turbava in tutto la speranza della pace e perché, come indovino delle cose che erano succedute, avea predetto che la necessità che si poneva al re di Francia di armarsi potrebbe essere occasione di suscitare incendio in Italia di maggiori pericoli. Avere per il vescovo di Verona confortato il re, già possessore di Milano, e il viceré, alla concordia; ma in niuno avere trovato inclinazione alla pace. Avere dipoi negato, con molte ragioni e con grandissima efficacia, di consentire il passo per lo stato della Chiesa alle genti che andavano contro al regno di Napoli; ma il re non solo essere stato sordo alle parole sue ma, non aspettata la sua risposta, averle già fatte passare nel piacentino. Perciò avere ultimamente mandato Paolo Vettori a confortare il viceré alla sospensione dell’armi, proponendogli le condizioni conformi al tempo; e a certificarlo della necessità che avea di assicurarsi dal pericolo imminente, vedendo massime stare sospesi i viniziani, e il re di Inghilterra alieno da concorrere alla difesa del ducato di Milano se, nel tempo medesimo, per Cesare e per lui non si moveva la guerra di là da’ monti : ma vedendo il viceré ricusare tutti i modi proposti e le genti del re procedere sempre innanzi, era stato costretto pigliare la fede e sicurtà da lui23, non si obligando ad altro che a non l’offendere. Lamentavasi Cesare, la condizione proposta al viceré essere stata molto dura: aversi a dipositare dalla sua parte quello si teneva, senza fare menzione che dal re di Francia si facesse il medesimo. E finalmente, ancora che il marchese di Pescara, confortandolo alla concordia, gli avesse significato essere nel campo molti disordini e le cose in gravissimo pericolo, nondimeno non piegava l’animo alla pace, sperando per il valore de’ suoi soldati la vittoria se gli eserciti si conducessino l’un contr’all’altro a combattere.

1. l’armata: la flotta.

2. si… suoi: incontrasse difficoltà.

3. commendato: lodato.

4. oziosamente: senza impegno.

5. non intermettendo: senza interrompere.

6. Ieronimo Trivnlzio.

7. Padre di Ieronimo.

8. divertire; distogliere.

9. significare: comunicare.

10. si… pace: si troverebbe qualche onorevole accordo per la pace.

11. dispregiati gli: senza tener conto degli.

12. terre forti: luoghi fortificati.

13. che… sostenere: credo si debba intendere: tale da poter permettere (a chi resisteva) di opporsi per parecchi mesi agli attacchi del nemico.

14. si imporrebbe… l’ultima mano: si potrebbe… concludere.

15. pendeva: era ancora incerta quanto all’esito.

16. i cui… i cui: del re di Francia.

17. Figlio di Fabrizio, fatto gran conestabile del regno di Napoli da Carlo V nel 1520.

18. per uno breve: con una lettera pontificia.

19. Cfr. XV, III.

20. autore: promotore.

16. GUIGGIARDINI, Storia, II.

21. ricordato: ammonito.

22. protestalo: dichiarato.

23. pigliare… lui: accettare patti e garanzie accordandosi con lui.

CAPITOLO XIII

Invio di munizioni del duca di Ferrara al re di Francia; il duca di Albania, capo della spedizione contro il reame di Napoli, presso Lucca. Fazione di Varagine. Il duca di Albania a Siena: riordinamento del governo della città. Fanti assoldati in Roma e dal duca e dai Colonnesi suoi avversari.

Perseverava in questo tempo l’assedio di Pavia, benché cessato alquanto per mancamento di munizioni il molestare con l’artiglierie. Alla quale difficoltà il re per provedere era stato contento1 che il duca di Ferrara, ricevuto nuovamente da lui in protezione, con obligo di pagargli in pecunia numerata2 settantamila ducati, ne convertisse ventimila in valore di tante munizioni; le quali si conducevano per il parmigiano e piacentino, con animali e carra de’ paesani prestate per commissione del pontefice : non senza grave querela del viceré, come se questo fusse prestare espressamente aiuto al re di Francia. Le quali perché sicuramente si conducessino avea mandato a incontrarle, con dugento cavalli e mille cinquecento fanti, Giovanni de’ Medici: il quale, nel principio della guerra, querelandosi di essere veduto con malo occhio dal viceré né gli essere dati tanti danari che bastassino a muovere i soldati, era dagli stipendi di Cesare passato agli stipendi del re. E pareva che ad assicurare le munizioni bastasse questo presidio, per la propinquità del duca di Albania il quale nel tempo medesimo avea passato il Po; ma il viceré e il marchese di Pescara per impedirle, gittato il ponte presso a Cremona, passorno il Po con secento uomini d’arme e ottomila fanti, alloggiando a Monticelli3 il primo dì: nondimeno, ritornorno presto di là dal fiume, avendo sentito che il re per opporsi loro mandava Tommaso di Fois con una parte dello esercito. Dopo la partita de’ quali il duca di Albania passò, per il territorio di Reggio e la Carfagnana, l’Apennino; ma procedendo con lentezza tale che confermava l’opinione che il re, più per indurre con questo timore i capitani di Cesare o a concordia o ad abbandonare le cose di Lombardia che per speranza di fare progressi, tentasse questa impresa. Unissi con lui presso a Lucca Renzo da Ceri con [tre]mila fanti venuti in sulla armata, alla quale nel passare si era arrenduta Savona e Varagine4; e ritornata l’armata nella riviera occidentale di Genova teneva in sospetto quella città.

Séguita l’anno milla cinquecento venticinque. Nel principio del quale don Ugo di Moncada, partito da Genova con l’armata, scese in terra con tremila fanti a Varagine, dove erano a guardia alcuni fanti de’ franzesi; ma vedendovi al soccorso l’armata franzese, della quale era capitano il marchese di Saluzzo, l’armata inimica essendo restata senza fanti si ritirò, però i fanti franzesi, scesi in terra, assaltati gli inimici e mortine molti, gli roppono e presono don Ugo.

Nel principio dell’anno medesimo, il duca di Albania astrinse i lucchesi a pagargli dodicimila ducati e a prestargli certi pezzi di artiglierie; e dipoi proceduto più innanzi per il dominio de’ fiorentini, da’ quali fu raccolto5 come amico, si fermò con lo esercito appresso a Siena : pregato a questo dal pontefice, il quale, poi che né con l’autorità né con le armi poteva ovviare a quel che gli era molesto, si sforzava di condurre i suoi disegni con l’arte e con la industria. Non dispiaceva al pontefice che il re di Francia conseguisse il ducato di Milano, parendogli che, mentre stavano in Italia Cesare e il re, che la sedia apostolica e il suo pontificato fussino sicuri dalla grandezza di ciascuno di loro. Questa medesima ragione causava che gli fusse molesto che il re di Francia acquistasse il regno di Napoli, acciò che in mano di uno principe tanto potente non fusse in uno tempo medesimo quello reame e il ducato di Milano : però, cercando occasione di differire l’andata del duca di Albania, fece instanza col re che nel transito riordinasse il governo di Siena; il quale il pontefice, essendo quella città situata in mezzo tra Roma e Firenze, desiderava sommamente che fusse in mano degli amici suoi, come per opera sua era stato pochi mesi innanzi. Perché essendo, nel pontificato di Adriano, morto il cardinale Petruccio6 e pretendendo alla successione sua nel governo Francesco suo nipote, se gli opposono per la sua insolenza i principali del Monte de’ nove, con tutto che fussero della medesima fazione; facendo instanza col duca di Sessa, oratore cesareo, e col cardinale de’ Medici che fusse data altra forma al governo, o riducendola7 a libertà o volgendo quella autorità a Fabio figliuolo di Pandolfo Petrucci, benché non molto innanzi si fusse occultamente fuggito da Napoli: la quale cosa, ventilata lungamente, fu finalmente, come Clemente fu assunto al pontificato, per consentimento comune suo e di Cesare, restituito Fabio nel luogo paterno. Ma non avendo l’autorità che aveva avuta il padre, la città quasi tutta inclinata alla libertà, quegli del Monte de’ nove non molto uniti con lui né molto concordi tra loro, la debolezza che ha la potenza di uno quando non è fondata in sulla benivolenza de’ cittadini né si regge totalmente e senza rispetti a uso di tiranno, partorì (non ostante che alla piazza fusse la guardia dependente da lui) che suscitato uno giorno per opera de’ suoi avversari, senza aiuto alcuno de’ forestieri, tumulto popolare, fu con piccola difficoltà cacciato della città; donde il pontefice, il quale non confidava né nella moltitudine né in altra fazione, deliberò ridurre in loro8 l’autorità, per costituirne poi capo o Fabio o chi altri di loro gli paresse : cosa che agli imperiali (come il sospetto cominciato fa che tutte le cose si ripigliano in mala parte9) accrebbe l’opinione che la capitolazione tra il pontefice e il re di Francia contenesse da ogni parte maggiori effetti e obligazioni che di neutralità. Dal fermarsi il duca d’Albania intorno a Siena procedette che i sanesi, per liberarsi dalle molestie dell’esercito, dettono amplissima autorità a quegli cittadini che erano confidenti al pontefice sopra l’ordinazione10 del governo : la qual cosa come fu fatta, ricevute da’ sanesi artiglierie e certa quantità di danari, passò più oltre, ma procedendo colla consueta tardità. Andò da Montefiascone a Roma a parlare al pontefice, e di poi passato il Tevere a Fiano11 si fermò nelle terre degli Orsini, dove si raccoglievano i fanti che si soldavano in Roma con permissione del pontefice; il quale permetteva medesimamente che i Colonnesi, i quali per la difesa del regno di Napoli facevano la massa12 a Marino, soldassino in Roma fanti. Ma per la tardità del procedere, e perché da ogni parte apparivano pochissimi danari, era questo movimento in piccolissimo concetto13: gli occhi l’orecchie gli animi degli uomini erano tutti attenti alle cose di Lombardia; le quali, cominciando ad affrettarsi al fine, accrescevano per vari accidenti a ciascuna delle parti ora la speranza ora il timore.

1. era stato contento: aveva accettato.

2. in… numerata: in danaro contante.

3. Monticelli d’Ongina.

4. Varazze.

5. raccolto: accolto.

6. Raffaele Petrucci.

7. riducendola: riportandola.

8. ridurre in loro; ridare a loro (ai membri del Monte dei Nove).

9. si… parte: vengono interpretate in senso negativo.

10. l’ordinazione; la costituzione.

11. Fiano Romano.

12. facevano la massa: raccoglievano i soldati.

13. era… in piccolissimo concetto: era tenuto… in scarsissima considerazione.

CAPITOLO XIV

Difficoltà degli assediati in Pavia; risposta dei veneziani all’oratore dì Cesare. Scarsezza di danari nell’esercito di Cesare. Milizie cesaree in marcia verso Pavia. Diversità di pareri nel consiglio del re di Francia. Il re delibera di perseverare nell’assedio della città; nuove disposizioni delle forze assedianti, Le forze del re di Francia. Gli imperiali prendono il castello di Sant’Angelo. Casi sfortunati per i francesi. Perché i grigioni richiamano gli uomini propri soldati dal re. Appoggio del re d’Inghilterra a Cesare.

Erano gli assediati in Pavia angustiati dalla carestia de’ danari, aveano strettezza di munizioni per l’artiglierie, cominciava a mancare il vino e, dal pane in fuori, tutte l’altre vettovaglie; onde i fanti tedeschi già quasi tumultuosamente dimandavano danari, concitati dal capitano loro, oltre a quello che per se stessi faceano1: del quale2 si temeva che secretamente non fusse convenuto3 col re di Francia. Da altra parte il viceré, avvicinandosi il duca di Borbone, il quale conduceva dell’Alamagna cinquecento cavalli borgognoni e seimila fanti tedeschi, soldati co’ danari del re de’ romani, era andato a Lodi, ove pensavano raccorre tutto l’esercito; riputando dovere avere esercito non inferiore agli inimici. Ma per muovere i soldati e per sostentargli non aveano né danari né facoltà alcuna di provederne, degli aiuti del pontefice e de’ fiorentini erano del tutto disperati, medesimamente di quegli de’ viniziani. I quali, dopo avere interposto varie scuse e dilazioni, aveano finalmente risposto al protonotario Caracciolo, oratore di Cesare appresso a loro, volere procedere secondo che procedesse il pontefice, per mezzo del quale si credeva che secretamente avessino convenuto col re di Francia di stare neutrali; anzi confortavano4 occultamente il pontefice a fare scendere in Italia agli stipendi comuni diecimila svizzeri, per non avere a temere della vittoria di ciascuno de’ due eserciti : cosa approvata da lui, ma per carestia di danari e per sua natura, eseguita tanto lentamente che molto tardi mandò in Elvezia il vescovo di Veroli a preparare gli animi loro5.

Sollevò alquanto le difficoltà di Pavia la industria del viceré e degli altri capitani: perché mandati nel campo franzese alcuni a vendere vino, Antonio de Leva, avuto il segno, mandò a scaramucciare da quella parte; donde levato il romore6, i venditori, rotto il vaso grande, corsono in Pavia con uno piccolo vasetto messo in quello, nel quale erano rinchiusi tremila ducati : per la quale somma fatti capaci7 i tedeschi della difficoltà del mandargli8, stettono in futuro più pazienti. E levò anche il fomento de’ tumulti la morte del capitano, proceduta in tempo tanto opportuno che si credette fusse stato, per opera di Antonio de Leva, morto di veleno. Nel qual tempo, o poco prima, il marchese di Pescara, andato a campo a Casciano, alla custodia della qual terra erano cinquanta cavalli e quattrocento fanti italiani, gli costrinse ad arrendersi senza alcuna condizione. Ma essendo venuto co’ soldati tedeschi il duca di Borbone, niuna altra cosa ritardava i capitani, ansii9 del pericolo di Pavia, che il mancamento tanto grande di danari che non solamente non potevano pensare agli stipendi dell’esercito ma aveano difficoltà de’ danari necessari a condurre le munizioni e l’artiglierie : nella quale necessità, proponendo10 a’ fanti la gloria e le ricchezze che perverrebbono loro della vittoria, riducendo in memoria11 quel che vincitori aveano conseguito per il passato, accendendogli con gli stimoli dell’odio contro a’ franzesi, indussono i fanti spagnuoli a promettere di seguitare un mese intero l’esercito senza ricevere danari, e i tedeschi a contentarsi di tanti che bastassino a comperare le vettovaglie necessarie. Maggiore difficoltà era negli12 uomini d’arme e ne’ cavalli leggieri alloggiati per le terre13 del cremonese e della Ghiaradadda; perché non avendo, già molto tempo, ricevuti danari allegavano non potere, seguitando l’esercito ove sarebbe necessario comperare tutte le vettovaglie, sostentare sé e i cavalli. Lamentavansi essere meno grata14 e meno stimata l’opera loro che quella de’ fanti, ne’ quali era stata, pur qualche volta, distribuita alcuna quantità di danari, in essi, già tanto tempo, niuna; e nondimeno non essere inferiori né di virtù né di fede, ma molto superiori di nobiltà e di meriti passati. Mitigò gli animi di costoro il marchese di Pescara, andato a’ loro alloggiamenti; ora scusando ora consolandogli ora riprendendogli: che quanto erano di virtù più chiari, quanto più era manifesto il loro valore, tanto più si doveano sforzare di non essere superati da’ fanti né di fede né di affezione verso Cesare, di cui si trattava non solamente l’onore e la gloria ma di tutti gli stati che aveva in Italia : la cui grandezza quanto amassino, a cui quanto desiderassino servire, non dovere mai avere maggiore occasione di dimostrarlo; e se tante volte aveano per Cesare esposta la vita propria, che vergogna essere, e cosa nuova, che ora recusassino mettere per lui vile quantità di pecunia? Dalle quali persuasioni e dalla autorità del marchese mossi, consentirono di ricevere per un mese quasi minima quantità di danari. Così raccolto tutto l’esercito, nel quale si diceano essere settecento uomini d’arme, pari numero di cavalli leggieri, mille fanti italiani e più di sedicimila tra spagnuoli e tedeschi, partiti da Lodi il vigesimo quinto dì di gennaio, andorno il dì medesimo a Marignano; dimostrando volere andare verso Milano, o perché il re mosso dal pericolo di quella città si levasse da Pavia o per dare causa di partirsi da Milano a’ soldati che vi erano alla custodia : nondimeno, passato poi appresso a Vidigolfo15 il fiume del Lambro, si dirizzorno manifestamente verso Pavia.

Pagava il re nell’esercito [mille trecento] lancie diecimila svizzeri quattromila tedeschi cinquemila franzesi e settemila italiani, benché, per le fraudi de’ capitani e per la negligenza de’ suoi ministri, il numero de’ fanti era molto minore. Alla guardia di Milano era Teodoro da Triulzi con [trecento] lancie semila fanti tra grigioni e vallesi e tremila franzesi; ma quando gli imperiali si voltorno verso Pavia richiamò, da duemila in fuori, tutti i fanti all’esercito. All’uscita degli imperiali alla campagna16, si disputava nel consiglio del re quello che fusse da fare; e… della Tramoglia,… della Palissa, Tommaso di Fois e molti altri capitani confortavano che il re si levasse coll’esercito dall’assedio di Pavia, e si fermasse o al monasterio della Certosa o a Binasco, alloggiamenti forti (come ne sono spessi nel paese)17 per i canali dell’acque derivate18 per annaffiare i prati. Dimostravano che in questo modo si otterrebbe presto, e senza sague e senza pericolo, la vittoria; perché l’esercito inimico, non avendo danari, non poteva sostentarsi insieme molti dì ma era necessitato o a dissolversi o a ridursi al alloggiare sparso per le terre : che i tedeschi che erano in Pavia, i quali, per non essere imputati di coprire la timidità con la scusa del non essere pagati, sopportavano pazientemente, creditori già dello stipendio di molti mesi, subito che e’ fusse levato l’assedio dimanderebbono il pagamento; al quale non avendo i capitani modo di provedere né speranza apparente19 colla quale gli potessino, benché vanamente, nutrire, conciterebbono qualche pericoloso tumulto : non conservarsi insieme gli inimici con altro che colla speranza di fare presto la giornata20; i quali, come vedessino allungarsi la guerra e discostarsi l’opportuntà del combattere, si empierebbono di difficoltà e di confusione. Dimostravano quanto fusse pericoloso stare con l’esercito in mezzo di una città, nella quale erano cinquemila fanti di nazione bellicosissima, e di uno esercito che veniva per soccorrerla, potente e di numero d’uomini e di virtù e di esperienza di capitani e di soldati, e feroce21 per le vittorie ottenute per il passato, e il quale avea collocato tutte le speranze sue nel combattere. Non essere infamia alcuna il ritirarsi quando si fa per prudenza non per timidità, quando si fa per ricusare di non mettere in dubbio le cose certe, quando il fine propinquo della guerra ha a dimostrare a tutto il mondo la maturità del consiglio22; e niuna vittoria essere più utile più preclara23 più gloriosa che quella che s’acquista senza danno e senza sangue de’ suoi soldati; e la prima laude nella disciplina militare consistere più nel non si opporre senza necessità a’ pericoli, nel rendere, con la industria con la pazienza e con l’arti, vani i conati degli avversari, che nel combattere ferocemente. Il medesimo era consigliato al re dal pontefice, a cui il marchese di Pescara, temendo di tanta povertà, aveva prima significato24, le difficoltà dell’esercito di Cesare essere tali che gli troncavano quasi tutta la speranza di prosperi successi. Nondimeno il re, le cui deliberazioni si reggevano solamente co’ consigli dell’ammiraglio, avendo più innanzi agli occhi i romori vani25, e per ogni leggiero accidente variabili, che la sostanza salda degli effetti, si riputava26 ignominia grande che l’esercito, nel quale egli si trovava personalmente, dimostrando timore cedesse27 alla venuta degli inimici; e lo stimolava (quello di che quasi niuna cosa fanno più imprudentemente i capitani) che si era quasi obligato a seguitare co’ fatti le parole dette vanamente : perché e palesemente aveva affermato, e molte volte in Francia e per tutta Italia significato, che prima eleggerebbe la morte che muoversi senza la vittoria da Pavia. Sperava nella facilità di fortificare il suo alloggiamento di maniera che non potria essere disordinato allo improviso da assalto alcuno ; sperava che, per l’inopia de’ danari, ogni piccola dilazione disordinerebbe gli inimici, i quali, non avendo facoltà di comperare le vettovaglie e necessitati di andare predando i cibi per il paese, non potrebbono stare fermi agli alloggiamenti; sperava similmente dare impedimento alle vettovaglie che s’arebbono a condurre al campo, delle quali sapeva la maggiore parte essere destinata da Cremona28, perché di nuovo avea soldato Giovanlodovico Palavicino, acciò che o occupasse Cremona, dove era piccolo presidio, o almeno interrompesse la sicurtà29 che da quella città si movessino le vettovaglie. Queste ragioni confermorno il re nella pertinacia di perseverare nell’assedio di Pavia, e per impedire agli inimici l’entrarvi ridusse in altra forma l’alloggiamento30 dell’esercito. Alloggiava prima il re, dalla parte di Borgoratto, alla badia di San Lanfranco, posta circa un mezzo miglio di là da Pavia e oltre alla strada per la quale da Pavia si va a Milano e in sul fiume del Tesino, vicino al luogo dove fu tentata la diversione dell’acque; la Palissa, e con l’avanguardia e co’ svizzeri, alle Ronche, nel borgo appresso alla porta di Santa Iustina, fortificatosi alle chiese di San Piero di Sant’Apollonia e di San Ieronimo; alloggiava Giovanni de’ Medici, co’ cavalli e fanti suoi, alla chiesa di San Salvadore. Ma intesa la partita degli inimici da Lodi, andò ad alloggiare nel barco31, al palagio di Mirabello situato di qua da Pavia; lasciati a San Lanfranco i fanti grigioni, ma non mutato l’alloggamento della avanguardia. Ultimatamente, passò il re ad alloggiare a’ monasteri di San Paolo e di San Iacopo, luoghi comodi ed eminenti e cavalieri alla campagna32, vicinissimi a pavia ma alquanto fuori del barco; trasferito ad alloggiare a Mirabello [monsignore] d’Alansone33 col retroguardo. E per potere soccorrere l’un l’altro roppono il muro del barco da quella parte, occupando lo spazio del campo insino al Tesino, dalla parte di sotto, e dalla parte di sopra insino alla strada milanese; di maniera che, tenendo circondata intorno intorno Pavia, e il Gravelone e il Tesino e la Torretta, che è dirimpetto alla darsina34, in mano del re, non potevano gli imperiali entrare in Pavia se o non passavano il Tesino o non entravano per il barco.

Risedeva il peso del governo dell’esercito nell’ammiraglio: il re, consumando la maggiore parte del tempo in ozio e in piaceri vani, né ammettendo faccende o pensieri gravi, dispregiati tutti gli altri capitani, si consigliava con lui; udendo ancora Anna di Memoransì, Filippo Ciaboto di Brione35 e… di San Marsau, persone al re grate36 ma di piccola esperienza nella guerra. Né corrispondeva il numero dell’esercito del re a quello che ne divulgava la fama, ma eziandio37 a quello che ne credeva esso medesimo: perché, essendo della cavalleria una parte andata col duca di Albania un’altra parte rimasta con Teodoro da Triulzi alla guardia di Milno, molti alloggiando sparsi per le ville e terre circostanti, non alloggiavano fermamente38 nel campo oltre ottocento lancie, e de’ fanti, de’ quali si pagava, per le fraudi de’ capitani e per la negligenza de’ ministri del re, numero immoderato, era diversissima la verità dall’opinione, ingannando sopra tutti gli altri i capitani italiani, i quali lo stipendio per moltissimi fanti ricevevano ma pochissimi ne tenevano : il medesimo accadeva ne’ fanti franzesi. Duemila valligiani39, che alloggiavano a San Salvadore tra San Lanfranco e Pavia, assaltati all’improviso da quegli di dentro, erano stati dissipati40.

In questo stato delle cose i capitani imperiali, passato che ebbero il Lambro, si accostorno al castello di Santangelo41; il quale, situato tra Lodi e Pavia, arebbe dato, se non fusse stato in potestà loro, impedimento grandissimo al condurre delle vettovaglie da Lodi allo esercito. Guardavalo Pirro fratello di Federico da Bozzole con [du] cento cavalli e [otto]cento fanti; e il re, pochi dì prima, per non mettere i suoi temerariamente in pericolo, aveva mandato a considerare il luogo il medesimo Federico e Iacopo Cabaneo42, i quali riferirono quel presidio essere bastante a difenderlo. Ma l’esperienza dimostrò la fallacia de’ discorsi43 loro: perché essendovisi accostato Ferdinando Davalo co’ fanti spagnuoli e avendo con l’artiglierie levate alcune difese44, quegli di dentro impauriti si ritirorno il dì medesimo nella rocca, e poche ore dappoi pattuirono che, rimanendo prigioni Pirro, Emilio Cavriana45 e tre figliuoli di Febus da Gonzaga46, gli altri tutti, lasciate l’armi e i cavalli e promesso non militare per un mese contro a Cesare, si partissero.

Chiamò ancora il re dumila fanti italiani di quegli di Marsiglia, che erano a Savona; i quali (secondo scrive il Capella47) essendo arrivati nello alessandrino presso al fiume di Urbe48 Gaspar Maino49, che con mille settecento fanti era a guardia di Alessandria, uscito fuora con poca gente, gli assaltò; e avendogli trovati stracchi per il cammino e senza guardie, perché non avevano sospetto di essere assaltati, gli ruppe con poca fatica; e fuggendo nel Castellaccio, entrò dentro alla mescolata con loro : i quali si arrenderono con diciassette insegne. Né ebbe migliore successo la cura50 data a Gian Lodovico Palavicino; il quale, entrato con quattrocento cavalli e dumila fanti in Casalmaggiore, dove non erano mura, e fattivi ripari e occupato dipoi San Giovanni in Croce, cominciò di quel luogo a correre il paese51, attendendo quanto poteva a rompere52 le vettovaglie. Però Francesco Sforza, che era a Cremona, fatto con difficoltà mille quattrocento fanti, gli mandò con pochi cavalli di Ridolfo da Camerino53 e co’ cavalli della sua guardia verso Casalmaggiore, sotto Alessandro Bentivoglio; i quali accostatisi, il Palavicino col quale era Niccolò Varolo soldato de’ franzesi, il decimo ottavo dì di febbraio, confidando nello avere più gente, non aspettato Francesco Rangone che doveva venire con altri fanti e cavalli, uscito fuora si attaccò con loro; e volendo sostenere i suoi che già si ritiravano, fatto cadere da cavallo, fu fatto prigione e tutti i suoi rotti e dissipati54.

Aggiunsesi alle cose del re di Francia un’altra difficoltà: perché Gian Iacopo de’ Medici da Milano, castellano di Mus55, dove era stato mandato dal duca di Milano per l’omicidio fatto di Monsignorino Ettor Visconte, posto di notte uno agguato a canto alla rocca di Chiavenna, situata in su uno colle a capo del lago e distante dalle case del castello, prese il castellano, uscito fuora a passeggiare, e condotto subito alla porta della rocca minacciando di ammazzarlo, indusse la moglie a dargli la rocca; il che fatto, egli, immediate56, scopertosi di un altro agguato57 con trecento fanti ed entrato per la rocca nella terra, la prese: donde le leghe de’ grigioni, pochi dì innanzi al conflitto, revocorno i seimila grigioni che erano nello esercito del re.

Arrivò in questo tempo nello esercito imperiale il cavaliere da Casale58, mandato dal re d’Inghilterra con promesse grandi, e con ordine di levare i cinquantamila ducati di Viterbo: perché quel re, cominciando ad avere invidia alla prosperità del re di Francia, e mosso ancora che nel mare di verso Scozia erano state prese dai franzesi certe navi inghilesi, minacciava rompere la guerra in Francia, e desiderava sostenere l’esercito imperiale. Però commesse al Pacceo, che era a Trento, che andasse a Vinegia a protestare59 in nome suo la osservanza della lega; alla quale si sperava gli avesse a indurre più facilmente, che60 Cesare aveva mandato la investitura di Francesco Sforza in mano del viceré, con ordine ne disponesse secondo le occorrenze delle cose61. Fece ancora il re d’Inghilterra pregare dall’oratore suo il pontefice che aiutasse le cose di Cesare; a che il pontefice si scusò per la capitolazione fatta col re di Francia, per sua sicurtà, senza offesa di Cesare; dolendosi ancora che, dopo il ritorno dello esercito di Provenza, era stato venti dì innanzi avesse potuto intendere i loro disegni, e se avevano animo di difendere o di abbandonare lo stato di Milano.

1. oltre… faceano: a fare disordini maggiori di quelli che già facevano spontaneamente.

2. del quale: del capitano.

3. non… convenuto: si fosse accordato.

4. confortavano: esortavano.

5. loro; degli svizzeri.

6. levato il romore: dato l’allarme.

7. fatti capaci: convinti.

8. mandargli: oggetto è i danari.

9. ansii: ansiosi, preoccupati. Cfr. il latino anxius.

10. proponendo: prospettando.

11. riducendo in memoria: ricordando. Calco del latino in memoriam, reducere.

12. negli: a convincere gli.

13. per le terre: per i luoghi fortificati.

14. essere meno graia: esseie considerala con minore gratitudine.

15. Detta anche Vigidulfu.

16. alla campagna: in campo aperto.

17. come… paese: dato che ve ne sono molti nella zona.

18. derivate: deviate.

19. apparente: consistente, credibile.

20. la giornata: la battaglia.

21. feroce; animoso.

22. la… consiglio: la saggezza della decisione.

23. preclara: illustre.

24. significato: comunicato.

25. avendo… vani: facendo maggiore stima della fama pubblica e delle vacue dicerie degli uomini.

26. si riputava: riteneva che per lui sarebbe stata.

27. cedesse: si ritirasse.

28. essere… Cremona: era programmato che dovessero venire da Cremona.

29. interrompesse la sicurtà: facesse venir meno la sicurezza.

30. ridusse… alloggiamento: mutò la disposizione degli alloggiamenti.

31. barco: parco.

32. cavalieri alla campagna: in posizione dominante sulla campagna.

33. Charles di Valois, duca di Alençon.

34. darsina: darsena.

35. Philippe de Chabod, signore di Brion.

36. al re grate: che godevano del favore del re.

37. eziandio: nemmeno.

38. fermamente: stabilmente.

39. Fanti del Vallese.

40. dissipati: dispersi.

41. Sant’Angelo Lodigiano.

42. Jacques de Chabannes, signore de la Palice.

43. discorsi: calcoli.

44. levate… difese: rese inutilizzabili in alcuni punti le artiglierie con cui si difendevano quelli di dentro.

45. Emilio Forlani (Fiorano o Ferlano), signore di Cavriana.

46. Gianfrancesco Ippolito ed Ercole Gonzaga.

47. Galeazzo Capra (latinizzato in Galeacius Capella), autore dei Commentari de rebus gestis pro restitucione Francisci II Mediolanensium ducis. Nell’edizione veneziana del 1535, il passo cui il G. si riferisce si trova nel libro IV, 128.

48. Orba.

49. O del Maino, governatore di Alessandria al servizio dell’impero.

50. la cura: l’incarico.

51. correre il paese: fare scorrerie per il territorio.

52. rompere: impedire.

53. Rodolfo da Varano.

54. rotti e dissipati: messi in fuga e dispersi.

55. Musso, in Valdorba.

56. immediate: immediatamente. Termine latino.

57. Scopertosi… aguato: messo in atto un altro agguato.

58. Gregorio di Michele da Casale, ambasciatore a Roma di Enrico VIII d’Inghilterra.

59. protestare: intimare.

60. che: il fatto che.

61. le… cose: le evenienze.

CAPITOLO XV

Gli imperiali, occupati i luoghi vicini a Pavia, si accostano all’esercito nemico; sussidio di munizioni agli assediati. Scaramuccie fra i soldati nemici; trattative di tregua per opera dei nunzi del pontefice presso i due eserciti. Ferita di Giovanni de’ Medici. Battaglia di Pavia.

Ma erano già di piccolo momento i trattamenti1 e le pratiche de’ prìncipi e le diligenze e sollecitudini degli imbasciadori, perché approssimandosi gli eserciti si riduceva la somma2 di tutta la guerra, e delle difficoltà e pericoli sostenuti molti mesi, alla fortuna di poche ore. Conciossiaché l’esercito imperiale, dopo l’acquisto di Santo Angelo, spingendosi innanzi andò ad alloggiare, il primo dì di febbraio, a Vistarino e il secondo dì a Lardirago, Santo Alesso e le due porte del barco3, passato la Lolona4 piccolo fiumicello; il quale alloggiamento era propinquo quattro miglia a Pavia e a tre miglia del campo franzese: e il terzo o quarto dì di febbraio venne ad alloggiare in Prati5, credo verso porta Santa lustina, distendendosi tra Prati, Trelevero6 e la Motta7, e in uno bosco a canto a San Lazzero; alloggiamenti vicini a due miglia e mezzo di Pavia, a uno miglio della vanguardia8 franzese e a mezzo miglio de’ ripari e fosse del campo loro, e tanto vicini che molto si danneggiavano con l’artiglierie. Avevano gli imperiali occupato Belgioioso e tutte le terre e il paese che avevano alle spalle eccetto San Colombano9, nel quale perseverava la guardia franzese, ma assediata, che10 niuno poteva uscirne : avevano in Santo Angelo e in Belgioioso trovata quantità grande di vettovaglie; e si sforzavano, per esserne più copiosi, acquistare il Tesino come avevono acquistato il Po, donde le impedivano a’ franzesi: tenevano Santa Croce; e avendo il re, quando andò ad alloggiare a Mirabello, abbandonata la Certosa, non vi andavano gli imperiali perché non fussino impedite loro le vettovaglie. Tenevano San Lazzero i franzesi, ma per l’artiglierie degli inimici non ardivano di starvi. Correva in mezzo tra l’uno e l’altro alloggiamento una roza, cioè uno rivolo di acqua corrente detto la Vernacula11, che ha origine nel barco; il quale passando in mezzo tra San Lazzero e San Piero in Verge12 entra nel Tesino : il quale, come molto importante sforzandosi gli imperiali di passare per potere con minore difficoltà procedere più innanzi, i franzesi valorosamente lo difendevano; e ciascuno sollecitamente il proprio alloggiamento fortificava. Il canale della Vernacula era alquanto profondo, con le ripe alte in modo non si poteva passare senza ponte; e passava tra Santa Croce e San Lazzero. Aveva lo alloggiamento del re grossi ripari a fronte alle spalle e al fianco sinistro, circondati da fossi e fortificati con bastioni e al fianco destro il muro del barco di Pavia; in modo13 era riputato fortissimo. Simigliante fortificazione aveva l’alloggiamento degli imperiali, i quali tenevano tutto il paese da Lan Lazzero verso Belgioioso insino al Po; in modo che l’esercito abbondava di vettovaglie. Vicini i ripari dell’uno alloggiamento all’altro a quaranta passi, e i bastioni sì propinqui che si tiravano con gli archibusi. In questo modo stavano alloggiati gli eserciti l’ottavo dì di febbraio, e scaramucciavano a ogn’ora; ma ciascuno teneva il campo nel forte suo14, non volendo fare giornata a disavvantaggio15 ; e pareva a’ capitani imperiali avere insino a quel dì guadagnato assai, poiché si erano accostati tanto a Pavia che facendosi giornata potevano essere aiutati dalle genti che vi erano dentro. Pativasi in Pavia di munizioni; però gli imperiali mandorno cinquanta cavalli, ciascuno con uno valigiotto in groppa pieno di polvere; i quali entrati di notte per la via di Milano16, aspettando che per ordine di quegli del campo si facesse dare all’arme a’ franzesi, si condussono salvi in Pavia : donde spesso uscendo Antonio de Leva, e infestando quegli di fuora, assaltati i grigioni che erano alla guardia di Borgoratto e di San Lanfranco, tolse loro tre pezzi di artiglieria e parecchie carra cariche di munizioni. I quali17, pochi dì poi, revocati da’ loro superiori si partirno dall’esercito.

In questo stato delle cose era incredibile la vigilanza la industria e le fatiche del corpo e dell’animo del marchese di Pescara, il quale dì e notte non cessava, con scaramuccie col dare all’arme con fare nuovi lavori, di infestare gli inimici; spingendosi sempre innanzi, con cavamenti18 con fossi e con bastioni. Lavoravano uno cavaliere19 sopra il canale, e danneggiandogli molto i franzesi con due pezzi piantati a San Lazzero, voltatavi l’artiglieria lo rovinorno, e gli costrinsono ad abbandonarlo. Però pativano i franzesi molto da uno cavaliere fatto nel campo, e il simigliante da un altro che era fatto a Pavia. Ed eransi fortificati in modo con bastioni e con ripari, e fatti tali cavalieri, che offendevano assai il campo franzese ed erano poco offesi : però i franzesi mutavano artiglierie20, con battergli per fianco, facendo continuamente ogni opera gli spagnuoli per andare innanzi a palmo a palmo. Erano anche, in tanta vicinità, frequenti le scaramuccie, nelle quali quasi sempre i franzesi restavano inferiori; non si intermettendo in parte alcuna le fazioni21 per la pratica della tregua, la quale continuamente si trattava per i nunzi del pontefice che erano nell’uno esercito e nell’altro; né mancando anche, assiduamente, molti de’ più intimi del re, e il pontefice molte volte, di confortarlo che per fuggire tanto pericolo si discostasse con l’esercito da Pavia, per22 essere necessario che, per la penuria che avevano gli inimici di danari, ottenesse in brevissimo tempo e senza sangue la vittoria. Il decimo settimo dì di febbraio, quegli di Pavia usciti fuora scaramucciorno con la compagnia di Giovanni de’ Medici, il quale onorevolmente gli rimesse dentro; e ritornando poi a mostrare all’ammiraglio il luogo e le cose accadute nella fazione, essendo ascosti alcuni scoppiettieri in una casa, fu ferito con uno scoppio sopra ‘1 tallone e rottogli l’osso, con dispiacere grande del re; per la quale ferita fu necessitato farsi portare a Piacenza. Per la ferita del quale si rimesse23, nelle scaramuccie e negli assalti subiti24, tutta la ferocia25 del campo franzese; e quegli di Pavia, uscendo ogni dì fuora con maggiore ardire, e avendo abbruciata la badia di San Lanfranco, sempre battevano i franzesi, i quali parevano molto inviliti; e la notte de’ diciannove venendo i venti26, il marchese di Pescara con tremila fanti spagnuoli assaltò i bastioni de’ franzesi, e salito (secondo scrive il Numaio27) su per i ripari, ammazzò più di cinquecento fanti e inchiodò tre pezzi di artiglieria.

Finalmente, non essendo possibile a’ capitani imperiali sostenere più, per mancamento di danari, l’esercito loro in quello alloggiamento, e considerando che ritirandosi non solo si perdeva Pavia ma restavano senza speranza di difendere l’altre cose che possedevano del ducato di Milano, avendo anche grandissima confidenza di ottenere la vittoria per la virtù de’ soldati loro e perché nell’esercito franzese erano moltissimi disordini, e oltre a esserne partiti molti fanti non corrispondendo il numero, di lunghissimo intervallo, a quegli che erano pagati: la notte avanti il vigesimoquinto dì di febbraio, giorno dedicato secondo il rito de’ cristiani all’apostolo Matteo e il medesimo dì natale di Cesare, deliberati, secondo dicono alcuni, di assaltare l’esercito del re, altri dicono, di andare a Mirabello dove alloggiavano alcune compagnie di cavalli e di fanti, con intenzione, non si movendo i franzesi, di avere liberato lo assedio di Pavia28, e movendosi, tentare la fortuna della giornata, — però avendo (secondo scrivono alcuni) fatto dare nelle prime parti della notte più volte all’armi per straccare i franzesi, fingendo volergli assaltare verso il Po, Tesino e San Lazzero, dipoi, a mezza notte, essendosi per comandamento de’ capitani tutti i soldati messi una camicia bianca sopra l’armi per segno di riconoscersi da’ franzesi, fatto (secondo scrive il Cappella29) due squadre di cavalli e quattro di fanti, nella prima seimila fanti divisi in parti eguali di tedeschi spagnuoli e italiani sotto il marchese del Guasto30, la seconda solo di fanti spagnuoli, la terza e quarta di tedeschi; — e arrivati al muro del barco, con muratori ed eziandio con aiuto de’ soldati, essendo qualche ora innanzi giorno, gittorno in terra sessanta braccia di muro, secondo il Cappella: il Numaio31, che andorno alle due porte del barco, presonle ed etiam gittorno a terra più braccia di mura; secondo il Barba32, roppeno in più luoghi il muro del barco per fare in uno tempo tre assalti : uno con tremila fanti tra lanzi e spagnuoli alla volta di Mirabello, dove (secondo lui) alloggiava il re con parte dello esercito; l’altro nel resto delle genti d’arme che erano più a basso co’ svizzeri, nel bosco grande del barco, e questi due assalti non con grande sforzo ma tanto che intratenesse33, e col resto del campo assaltare al traverso del campo franzese34. E scrive il Cappella35 che il muro fu gittato in terra con tanto silenzio che i franzesi non sentirno, ma di questo il re poi disse il contrario; e che entrati nel barco, la prima squadra andò alla volta di Mirabello, il resto dello esercito alla volta del campo; ma che il re, intesa la entrata nel barco, pensando andassino a Mirabello, uscì degli alloggiamenti e venne a combattere in su la campagna, la quale credo fusse aperta e spianata dal re, desideroso si combattesse più presto quivi che altrove per la superiorità di cavalli. E secondo il Numaio36, presono il cammino verso Mirabello e castel di Pavia37; e che38 i franzesi, credendo volessino andare a Milano, voltorno subito l’artiglierie39 e feciono grande danno al retroguardo; e che gli imperiali avevano nella vanguardia quattrocento cavalli leggieri e quattromila tra archibusieri e scoppiettieri, che si attaccorno con lo squadrone del re, che ordinariamente era la battaglia40 ma, secondo camminavano41 gli spagnuoli, fu la vanguardia. Scrive il Cappella42 che, scontrato il re nella prima squadra degli spagnuoli, i suoi furno costretti dagli scoppi a piegare, insino a tanto che, sopravenendo i svizzeri, gli spagnuoli furno ributtati da’ svizzeri e dalla cavalleria che gli assaltò per fianco; e che sopragiunseno i tedeschi e ruppeno con molta uccisione i svizzeri: ed essendo il re con grande numero di gente d’arme entrato nella battaglia, e sforzandosi fermare i suoi, dopo avere combattuto alquanto, ferito il cavallo ed egli caduto in terra, fu preso da cinque soldati che non lo conoscevano; ma sopravenendo il viceré, dandosi a conoscere43, venne in sua mano. Nel quale tempo, il Guasto con la prima squadra aveva rotto i cavalli che erano a Mirabello; e il Leva, il quale (secondo dicono alcuni) aveva a questo effetto gittato in terra tanto spazio di muro che potevano uscirne in uno tempo medesimo cento e cinquanta cavalli, uscito di Pavia, aveva assaltato i franzesi alle spalle, in modo che tutti si messono in fuga, e quasi tutti svaligiati eccetto il retroguardo de’ cavalli, il quale, sotto Alanson, nel principio della battaglia si ritirò intero. Scrive il Barba44 che quella terza parte più grossa, che assaltò al traverso del campo franzese, fu piegata dalle artiglierie di sorte che se il viceré, per avviso di Pescara, non soccorreva erano rotti, ma la sua giunta gli ricompose e seguitò lo assalto gagliardo; che la scoppietteria spagnuola dette ne’ svizzeri, e gli voltò45 di sorte che fece fare il medesimo alla gente d’arme; che quegli di Pavia con sei bandiere46 assaltorono i fanti franzesi che alloggiavano quasi al diritto del castello47, e con l’aiuto delle artiglierie gli ruppeno subito; che al re fu morto il cavallo sotto, e ferito leggiermente in una mano e più leggiermente nel volto. Il Numaio48 : che lo squadrone del re, assaltato da detti scoppiettieri, si messe in rotta, e nel ritirarsi disordinò gli altri fanti e il resto dello esercito; che al re fu morto il cavallo sotto, ed essendo in mezzo di molti che lo volevano prigione vi corse il viceré, e con molte riverenze gli baciò la mano, e [lo] ricevé prigione in nome dello imperadore, ferito leggiermente in una mano e più leggiermente nel volto; e che di Pavia uscirno tutti i cavalli e tremila fanti. Il Cappella49: che in questa giornata morirno, tra di ferro e di essere affogati, fuggendo, nel Tesino, più di ottomila nel campo franzese e circa venti de’ primi signori di Francia, tra’ quali l’ammiraglio, Iacopo Cabanneo, il marisciallo di Francia (credo sia la Palissa)50, la Tramoglia, il grande scudiere51, Obignì, Boisì52 e lo Scudo; il quale, pervenuto ferito in potestà degli inimici, espirò53 presto. Furono fatti prigioni il re di Navarra54, il bastardo di Savoia55, Memoransì56, San Polo57, Brione58, La Valle59, Ciandé60, Ambricort61, Galeazzo Visconte, Federigo da Bozzole, Bernabò Visconte, Guidanes62 e infiniti gentiluomini, e quasi tutti i capitani che non furono ammazzati; fu preso anche Ieronimo Leandro vescovo di Brindisi63, nunzio del pontefice, ma per comandamento del viceré fu liberato : de’ quali prigioni San Polo e Federigo da Bozzole, condotti nel castello di Pavia, non molto dipoi, corrotti gli spagnuoli che gli guardavano, si liberorno con la fuga. Che degli imperiali morirno circa settecento, ma nessuno capitano eccetto Ferrando Castriota marchese di Santo Angelo; e che la preda fu sì grande che mai furno in Italia soldati più ricchi. Il marchese di Pescara ebbe due ferite di picca e una di scoppio, e Antonio da Leva fu ferito leggiermente in una gamba. E de’ franzesi annegorno molti nel Tesino; e Pavia si poteva poco più tenere, mancandovi massime il vino. E i genovesi avevano poco innanzi fatto tregua co’ franzesi per tempo di uno mese. E il Numaio: che nella giornata morirno in tutto seimila uomini64.

Salvossi di tanto esercito il retroguardo guidato da Alanson, di [quattrocento] lancie; il quale, senza combattere o essere assaltato o seguitato, intero, ma lasciati i carriaggi, si ritirò con grandissima celerità nel Piamonte. Della quale vittoria subito che fu pervenuto il rumore a Milano, Teodoro da Triulzi restatovi in presidio con quattrocento lancie, se ne partì verso Musocco, seguitandolo tutti i soldati alla sfilata65: in modo che, il dì medesimo che fu fatta la giornata, restò libero dai franzesi tutto il ducato di Milano. Fu il re condotto, il dì seguente dopo la vittoria, nella rocca di Pizzichitone ; perché il duca di Milano per sicurtà propria malvolentieri consentiva che e’ fusse condotto nel castello di Milano: dove, dalla libertà [in fuori], che era guardato con somma diligenza, era in tutte l’altre cose trattato e onorato come re.

E fu di questo successo attribuita per tutto colpa grande o alla avarizia o alla pusillanimità del pontefice: il quale, se al desiderio che ebbe di sospendere l’armi tra gli eserciti, insino a tanto che tra i prìncipi si fusse convenuto delle differenze principali, avesse accompagnato l’armarsi potentemente e spignere le genti a Parma e Piacenza, non solo arebbe conservato sé in maggiore riputazione, con più sicurtà per tutti i casi che potessino succedere, ma eziandio arebbe maneggiato con più autorità la concordia: trattandola in modo che ciascuna delle parti avesse causa di dubitare che egli pigliasse l’arme in favore di coloro che fussino manco alieni dalla concordia. Ma mentre che, rinvolto nelle sue irresoluzioni e nella cupidità di non spendere, differisce di dì in dì l’armarsi, e però con piccola autorità si interpone alla concordia, avendo la giornata posto fine alla guerra, e in tempo che stimolato dai viniziani e confortato da molti altri e ammonito dal pericolo che gli era imminente da chi restasse vincitore si risolveva a soldare in compagnia de’ viniziani diecimila svizzeri…66.

1. i trattamenti: le trattative.

2. la somma: l’esito conclusivo.

3. Era chiamato così un passaggio posto nel lato nord-orientale delle mura del parco.

4. L’Olona.

5. Prado.

6. Forse l’attuale Molino Travalera.

7. Motta San Damiano.

8. vanguardia: avanguardia.

9. San Colombano al Lambro.

10. che: in modo che.

11. La roggia Vernavola, che sbocca nel Ticino a est di Pavia.

12. San Pietro in Verzolo.

13. in modo: sicché.

14. teneva… suo: non faceva muovere l’esercito dalla posizione protetta in cui si trovava.

15. fare… disavantaggio: attaccare battaglia in posizione svantaggiosa.

16. Da nord-ovest.

17. i quali: i grigioni.

18. cavamenti: scavi.

19. Il cavaliere era un monte di terra circondato da mura e sormontato da una postazione di artiglieria.

20. mutavano artiglierie: spostavano il tiro delle artiglierie.

21. non… fazioni: senza che gli scontri fossero minimamente interrotti.

22. per: ha valore causale.

23. si rimesse: venne meno.

24. subiti: improvvisi.

25. tutta la ferocia; tutto l’ardimento.

26. de’… venti: tra il diciannove e il venti.

27. Antonio Numai, vescovo di Isernia e cancelliere pontificio, si trovava in quel momento al servizio del cardinale Salviati, emissario del pontefice nel campo francese.

28. di… Pavia: di liberare dall’assedio Pavia.

29. Cfr. CAPELLA, op. cit., libro IV, 134-36.

30. Alfonso d’Avalos, marchese del Vasto, nipote e allievo del marchese di Pescara.

31. Il G. si riferisce probabilmente ad una relazione della battaglia di Pavia scritta da Antonio Numai, in qualità di segretario del cardinale Salviati. Di questa relazione, per ora irreperibile, si conservano gli estratti che il G. dettò al suo segretario per inserirli nella Storia d’Italia. Essi si trovano nell’Archivio Guicciardini, di Firenze (scatola XVI, quaderno 9, cc. 2r-v).

32. Bernardino Castellari della Barba da Pescia, vescovo di Casale, nunzio di Clemente VII nel campo imperiale. Queste indicazioni sono tratte da una relazione della battaglia che porta la data del 25 febbraio 1525, che si trova nell’Archivio di Stato di Firenze (Carte strozziane, serie II, 295, ce, 10-12) ed è stata pubblicata da A. Vigili, nell’articolo Dopo la battaglia di Pavia, in «Archivio storico italiano», Serie V, vol. VI, pp. 248-53.

33. intratenesse: tenesse a bada i nemici.

34. assaltare… franzese: assalire trasversalmente il campo francese.

35. Cfr.CAPELLA,op. cit., libro IV, 135.

36. Si tratta sempre della relazione indicata alla nota 31.

37. Il castello si trova lungo il muro settentrionale della città.

38. che: concordanza sincopata e anacolutica. Si sottintende «scrive il Numaio» o qualcosa di simile.

39. voltorono… l’artiglierie: invertirono il tiro delle artiglierie.

40. la battaglia: il grosso dell’esercito.

41. secondo camminavano: nella direzione in cui camminavano.

42. Cfr. CAPELLA, op, cit., libro IV, 135-36.

43. dandosi a conoscere: rivelata la propria identità.

44. Cfr. la relazione citata alla nota 32.

45. gli voltò: li fece ripiegare.

46. bandiere: schiere,

47. al… castello: di fronte al castello.

48. Cfr. la relazione citata alla nota 31.

49. Cfr. CAPELLA, op. cit., libro IV, 137.

50. Jacques de Chabannes, signore di la Palice.

51. Galeazzo Sanseverino.

52. Jacques d’Amboise, signore di Bussy.

53. espirò: spirò.

54. Enrico II di Navarra.

55. Renato di Savoia, conte di Villars-en-Bresse e di Tenda.

56. Anne de Montmorency.

57. François de Bourbon, conte di Saint-Pol.

58. Philippe de Chabod, signore di Brion.

59. Jean de Laval, signore di Chateaubriand.

60. Forse Louis de Chandieu (o Chandio), che però secondo altre fonti non avrebbe partecipato alla battaglia.

61. Adrien de Brimeu, signore di Humbercourt (o Imbercourt).

62. Personaggio di difficile identificazione.

63. Girolamo Aleandro, vescovo di Brindisi.

64. gittorono in terra sessanta braccia di muro… seimila uomini: questa parte della descrizione della battaglia di Pavia è molto diversa nelle edizioni precedenti a quella del Gherardi, nelle quali il testo appare profondamente rielaborato ad opera dei revisori: «sessanta braccia di muro; e entrati nel barco, la prima squadra andò alla volta di Mirabello, il resto dell’esercito alla volta del campo. Ma il re, intesa l’entrata nel barco, pensando andassino a Mirabello, uscì degli alloggiamenti per combattere in su la campagna aperta e spianata, desideroso si combattesse più presto quivi che altrove, per la superiorità dei cavalli; ordinando nel medesimo tempo che l’artiglierie si volgessino verso gli inimici: le quali, battendoli per fianco, feciono qualche danno al retroguardo. Urtossi in questo mezzo ferocemente la battaglia imperiale con lo squadrone del re, che ordinariamente era battaglia (ma, secondo camminavano gli spagnuoli, fu l’avanguardia); dove egli combattendo egregiamente sosteneva l’impeto degli inimici, da’ quali i suoi furono costretti, per il furore degli scoppietti, a piegare, insino a tanto che, sopravvenendo i svizzeri, gli spagnuoli furono ributtati da loro e dalla cavalleria, che gli assaltò per fianco. Ma chiamato dal marchese di Pescara il viceré, e sopragiugnendo coi fanti tedeschi, roppero facilmente e con

65. alla sfilata: alla spicciolata.

66. E fu… svizzeri: questo passo, evidentemente incompiuto, non appare nelle edizioni precedenti a quella del Gherardi.