CAPITOLO XII
Azione di prìncipi presso Cesare per la liberazione del pontefice. Il cardinale eboracense in Francia e suoi accordi col re. Condizioni ed inattività degli eserciti avversari in Italia. Atto degno d’infamia compiuto a Perugia dai capitani dei confederati. Azioni dei collegati nel Lazio e nell’Umbria.
Aveva in questo mezzo Cesare, per lettere del gran cancelliere1, il quale mandato da lui veniva in Italia, scrittegli da Monaco (il quale richiamò subito), intesa la cattura del pontefice; e benché con le parole dimostrasse essergli molestissima, nondimeno si raccoglieva2 che in secreto gli era stata gratissima; anzi, non si astenendo totalmente dalle dimostrazioni estrinseche, non aveva per questo intermesso le feste cominciate prima per la natività del figliuolo3. Ma essendo la liberazione del pontefice desiderata ardentissimamente dal re di Inghilterra e dal cardinale eboracense, e per la autorità loro risentendosene4 anche il re di Francia (il quale altrimenti, se avesse recuperato i figliuoli, si sarebbe poco commosso5 per i danni del pontefice e di tutta Italia), mandorono congiuntamente, l’uno e l’altro, oratori a Cesare a dimandargli la sua liberazione, come cosa appartenente comunemente a tutti i6 prìncipi cristiani, e come debita particolarmente da Cesare, sotto la fede7 del quale era stato da’ suoi capitani e dal suo esercito ridotto in tanta miseria; e in questo tempo medesimo ricercorono i cardinali che erano in Italia, che insieme co’ cardinali che erano di là da’ monti si congregassino in Avignone, per consultare in tempo tanto difficile quel che s’avesse a fare per beneficio della Chiesa: i quali, per non si mettere tutti in mano di prìncipi tanto potenti, recusorono, benché con diverse escusazioni, di andarvi. E da altra parte il cardinale de’ Salviati, legato appresso al re di Francia, ricercato dal pontefice che andasse a Cesare per aiutare le cose sue, alla venuta di don Ugo (il quale si era convenuto nella capitolazione che vi andasse), ricusò di farlo, come se fusse cosa perniciosa che tanti cardinali fussino in potestà di Cesare, ma mandò per uno suo cameriere la istruzione ricevuta da Roma allo auditore della camera8; il quale riportò benignissime parole ma incerta e varia risoluzione. Arebbe Cesare desiderato che la persona del pontefice fusse condotta in Spagna; nondimeno, e perché era pure cosa piena di infamia e per non irritare tanto l’animo del re di Inghilterra e perché tutti i regni di Spagna, i quali, e principalmente i prelati e i signori, detestavano9 molto che dallo imperadore romano, protettore e avvocato della Chiesa, fusse, con tanta ignominia di tutta la cristianità, tenuto in carcere quello che rappresentava la persona di Cristo in terra, però, avendo risposto a quegli oratori benignamente, e alla instanza che gli facevano della pace essere contento che la trattasse il re di Inghilterra (il che da loro fu accettato), mandò il terzo dì di agosto il generale10 in Italia e, di poi quattro dì, [Veri] di Migliau11, l’uno e l’altro, secondo si diceva, con commissione al viceré per la liberazione del pontefice e restituzione di tutte le terre e fortezze occupategli. Per la sostentazione del quale consentì anche che il nunzio suo gli mandasse certa somma di danari, esatta dalla collettoria12 di quegli reami i quali nelle corti avevano denegato di dare a Cesare danari.
Passò in questo tempo, che era di luglio, il cardinale eboracense a Cales con milledugento cavalli; incontra il quale il re di Francia, volendo riceverlo onoratissimamente, mandò il cardinale del Loreno13. Andò dipoi il re in Amiens a’ tre di agosto, dove il seguente dì entrò Eboracense con grandissima pompa; accrescendogli ancora la estimazione lo avere portato seco trecentomila scudi per le spese occorrenti14, e per prestarne al re di Francia, bisognando. Trattossi tra loro quel che apparteneva alla pace e quello che apparteneva alla guerra. E ancora che i fini del re di Francia fussino diversi da quegli del re di Inghilterra (perché per conseguire i figliuoli arebbe lasciato il pontefice e Italia in preda) nondimeno era stato necessitato promettergli di non fare accordo alcuno con Cesare senza la liberazione del pontefice. Però, avendo mandato Cesare al re di Inghilterra gli articoli della pace, gli fu risposto, in nome comune, che accetterebbono la pace con la restituzione de’ figliuoli, pagandogli in certi tempi due milioni di ducati, la liberazione del pontefice e dello stato ecclesiastico, la conservazione di tutti gli stati e governi di Italia come erano di presente, e finalmente la pace universale. E si convenne15 tra loro che, accettando Cesare questi articoli, la figlia di Inghilterra16 si desse per moglie al duca d’Orliens17, perché andrebbe innanzi18 il matrimonio del re con la sorella di Cesare; ma non succedendo la pace, si desse per moglie al re; i quali articoli mandati, denegorono di concedere salvocondotto a uno uomo quale Cesare dimandava di mandarvi, rispondendo bastare gli fussino stati mandati quegli articoli. La quale conclusione fatta, fu, il decimo ottavo dì di agosto, giurata e publicata solennemente la pace e la confederazione tra l’uno re e l’altro19. Deliberarono che la guerra di Italia si facesse gagliardamente, avendo per obietto principale la liberazione del pontefice, ma rimettendo liberamente i modi e i mezzi del proseguirla nel consiglio di Lautrech; il quale, innanzi alla partita sua, aveva ottenuto dal re tutte l’espedizioni domandate20: perché il re si metteva a fare sforzo ultimo, e quasi perentorio21. Volle ancora Eboracense che in campo andasse per il suo re il cavaliere Casale, al quale si indirizzassino i trentacinquemila ducati pagava ciascuno mese, per essere certo vi fusse il numero intero degli alamanni. Così stabilito il modo della guerra di Italia, e mandate unitamente le risposte in Spagna, partì Eboracense, spedito alla partita sua il protonotario Gambero al pontefice, per confortare a farlo suo vicario universale in Francia in Inghilterra e in Germania, mentre stava in prigione : a che il re di Francia dimostrava consentire ma in segreto contradiceva22.
Facevansi intratanto poche fazioni di guerra in Italia, essendo grande l’espettazione della venuta di Lautrech. Perché l’esercito imperiale, disordinato e deposta l’ubbidienza23 a’ capitani, grave agli amici e alle terre arrendute, non si movendo, non era agli inimici di alcuno terrore; i fanti spagnuoli e gli italiani, fuggendo la contagione della peste, si stavano sparsi intorno a Roma; il principe di Oranges con cento cinquanta cavalli era andato a Siena, per quale si voglia cagione; dove prima aveva mandato alcuni fanti, perché il popolo di quella città, sollevato da capi sediziosi, aveva tumultuosamente saccheggiate le case de’ cittadini del Monte de’ nove e ammazzato Pietro Borghesi, cittadino di autorità, insieme con uno figliuolo24 e sedici o diciotto altri. In Roma restavano solamente i tedeschi pieni di peste; i quali essendo stati sodisfatti con grandissima difficoltà dal pontefice de’ primi cento cinquantamila ducati, parte con danari parte con partiti25 fatti con mercatanti genovesi sopra le decime del regno di Napoli e sopra la vendita di Benevento, dimandavano, per il resto de’ denari dovuti, altre sicurtà e altro assegnamento26 che la imposizione in su lo stato ecclesiastico27, cose impossibili al pontefice incarcerato; [e] dopo molti minacci fatti agli statichi28, e il tenergli incatenati con grandissima acerbità, gli condussono ignominiosamente in Campo di Fiore, dove rizzate le forche, come se incontinente29 volessino prendere di loro quello supplicio30. Uscirono dipoi tutti di Roma senza capitani di autorità, per allargarsi31 e rinfrescarsi32 più che per fare fazioni di importanza: e avendo saccheggiato le città di Terni e Narni, Spuleto si accordò di dare loro passo e vettovaglia. Però l’esercito de’ collegati per sicurtà di Perugia, andò ad alloggiare a Pontenuovo di là da Perugia; il quale33 prima alloggiava in sul lago di Perugia, ma diminuito, rispetto alle obligazioni de’ collegati, molto di numero; perché col marchese di Saluzzo erano trecento lancie e trecento arcieri franzesi tremila svizzeri e mille fanti italiani, col duca d’Urbino cinquanta uomini d’arme trecento cavalli leggieri mille fanti alamanni e dumila italiani : scusandosi, impudentemente e contro alla verità, i viniziani, che supplivano le loro obligazioni con le genti tenevano nel ducato di Milano. Avevanvi i fiorentini ottanta uomini d’arme cento cinquanta cavalli leggieri e quattromila fanti, necessitandogli a stare meglio proveduti che gli altri il timore che avevano continuamente che l’esercito imperiale non34 assaltasse la Toscana: però pagavano a’ tempi debiti le genti loro, di che facevano il contrario tutti gli altri. Ma il duca d’Urbino, oltre alle sue antiche difficoltà, era in grandissimo dispiacere e quasi disperazione, sapendo che il re di Francia e Lautrech, tassandolo35 eziandio di infedeltà, non parlavano onoratamente di lui, ma molto più perché era in malissimo concetto appresso a’ viniziani; i quali, insospettiti o della fede o della instabilità sua, avevano messa diligente guardia alla moglie e al figliuolo36, che erano in Vinegia, perché non partissino senza licenza loro; e dannavano scopertamente il suo consiglio37, che era che Lautrech, senza tentare le cose di Lombardia, andasse verso Roma. Però dormiva ogni cosa oziosamente in quello esercito, avendo per grazia38 che gli imperiali non venissino più innanzi: i quali, non molto poi, ricevuti dal marchese del Guasto, che andò all’esercito, due scudi per uno se ne ritornorono, i tedeschi, male concordi con gli spagnuoli, a Roma, restando gli spagnuoli e gli italiani distesi39 ad Alviano, Attighano40, Castiglione della Teverina e verso Bolsena; ma diminuito tanto il numero massime de’ tedeschi, per la peste, che si credeva che in tutto l’esercito di Cesare non fussino restati più che diecimila fanti.
Ma innanzi alla partita loro feciono i capitani de’ confederati uno atto degno di eterna infamia. Perché essendo Gentile Baglione ritornato in Perugia con volontà di Orazio, il quale, affermando che le discordie tra loro erano perniciose a tutti, aveva dimostrato di riconciliarsi seco, vi andò, con consentimento di tutti i capitani, Federigo da Bozzole a fargli intendere che, avendo presentito che egli trattava occultamente con gli inimici, intendevano di assicurarsi di lui; [e] ancoraché egli si giustificasse, e promettesse di andare a Castiglione del Lago, lo lasciò in guardia a Gigante Corso, colonnello de’ viniziani; ma la sera medesima fu ammazzato, con due nipoti, da alcuni satelliti di Orazio, e per la sua commissione : il quale fece, ne’ medesimi dì, ammazzare fuora di Perugia Galeotto fratello di Braccio e nipote anche egli di Gentile.
Mandorono di poi gente per entrare in Camerino, inteso essere morto il duca; ma era prevenuto41 Sforza Baglione in nome degli imperiali, e vi entrò dipoi Sciarra Colonna per conto di Ridolfo genero suo, figliuolo naturale del duca morto. Assaltorono dipoi il marchese di Saluzzo e Federico con molti cavalli e con mille fanti, di notte, la badia di San Piero vicina a Terni42, dove erano Pietromaria Rosso e Alessandro Vitello con dugento cavalli e quattrocento fanti : la quale impresa per sé temeraria, perché con tale presidio non era espugnabile se non con l’artiglierie, rendé felice o la fortuna o la imprudenza o l’avarizia43 di quegli condottieri; i quali, avendo il dì medesimo mandati cento cinquanta archibusieri a spogliare uno castello vicino, si erano privati delle genti necessarie alla difesa. Però, benché si fussino difesi molte ore, si detteno a discrezione44; salvo però Piermaria Rosso e Alessandro Vitello con le robe loro, feriti l’uno e l’altro di archibusi, il primo in una gamba l’altro in una mano. Nel quale tempo avendo rotto il fiume del Tevere per tre o quattro bocche, inondò con grandissimo danno il campo della lega; il quale andò ad alloggiare verso Ascesi, essendo ancora gli imperiali fra Terni e Narni. Per la partita loro i collegati fattisi innanzi, alloggiò il duca di Urbino a Narni, i franzesi a Bevagna; le bande nere, governate da Orazio Baglione, capitano generale della fanteria de’ fiorentini, non avendo ricevuto alloggiamento, entrate nella terra di Montefalco la saccheggiorono. Assaltò poi una parte di questi fanti le Presse45, nel quale castello erano ritirati Ridolfo da Varano e Beatrice sua moglie; i quali non potendo difendersi si arrenderono a discrezione: benché poco dipoi recuperassino la libertà, perché Sciarra, non potendo più sostenersi in Camerino per le molestie riceveva da quello esercito, si convenne di relassarlo, ricuperando il genero e la figliuola. Tentorono anche il marchese di Saluzzo e Federigo con la cavalleria franzese e con dumila fanti, di svaligiare furtivamente46 la cavalleria spagnuola, alloggiata in Monte Ritondo, e in Lamentano, senza guardie e senza scolte, secondo riferiva Mario Orsino, cammino di tre giornate47, ma scoperti, perché procedettono con poco ordine, non tentata la fazione tornorno indietro, avendo disegnato, per privargli della facoltà del fuggire, di tagliare in uno tempo medesimo il ponte del Teverone.
1. Mercurino Arborio da Gattinara.
2. si raccoglieva: si capiva.
3. Il futuro Filippo II.
4. risentendosene: mostrandosene desideroso e vivamente interessato
5. commosso: turbato.
6. appartenente… i: che riguardava tutta la comunità dei.
7. sotto la fede: fidandosi della garanzia.
8. Girolamo Ghinucci.
9. detestavano; disapprovavano.
10. Quiñones.
11. Pierre de Veyre, signore di Migliau, barone di Saint-Julien.
12. la collettoria era l’ufficio collettore delle decime spettanti alla Santa Sede.
13. Jean de Lorrain, vescovo di Metz e arvicescovo di Narbonne.
14. occorrenti: che si presentassero.
15. si convenne: si concordò.
16. la… Inghilterra: la figlia del re d’Inghilterra.
17. Enrico duca d’Orléans, il futuro Enrico II.
18. andrebbe innanzi: si concluderebbe.
19. Trattato di Amiens.
20. l’espedizioni domandate: i provvedimenti richiesti.
21. perentorio: decisivo.
22. contradiceva: si opponeva.
23. deposta l’ubbidienza: rifintandosi di obbedire.
24. Giovambattista Borghesi.
25. partiti: prestiti.
26. altro assegnamento: altre garanzie.
27. Cfr. XVIII, X.
28. statichi: ostaggi.
29. incontinente: immediatamente.
30. Il periodo rimane interrotto.
31. allargarsi: spargere gli alloggiamenti.
32. rinfrescarsi: rifornirsi di viveri.
33. il quale: l’esercito dei collegati.
34. che… non: che.
35. tassandolo: tacciandolo.
36. Guidubaldo.
37. dannavano… il suo consiglio: confutavano… il suo parere.
38. avendo per grazia: considerando una fortuna.
39. distesi: sparsi.
40. Accogliamo qui la correzione apportala dalla Seidel Menchi al testo del Panigada, che è «a Tigliano». La correzione è motivata dal fatto che Attigliano è 8 km a sud di Alviano, sempre sulla riva sinistra del Tevere.
41. prevenuto: arrivato prima.
42. San Pietro in Valle.
43. avarizia: avidità.
44. si… discrezione: si arresero senza condizioni.
45. Le Preci.
46. furtivamente: di sorpresa.
47. cammino… giornate: non è ben chiaro a che cosa si riferisca questa espressione.
CAPITOLO XIII
Scarsa attività degli eserciti in Lombardia. Azioni del Lautrech in Piemonte. Resa di Genova al re di Francia. Resa di Alessandria ai francesi. L’acquisto di Alessandria causa di discordia fra i collegati. Presa e sacco di Pavia; deliberazione del Lautrech di marciare verso Roma e verso il reame di Napoli. Condizioni poste da Cesare per la concordia e sue speranze di lieti successi.
Non erano state molto diverse da queste, tutta la state, le operazioni de’ soldati di Lombardia: dove le genti de’ viniziani e del duca, congiunte insieme appresso a Milano con intenzione di tagliare i grani di quello contado, avevano rotto la scorta delle vettovaglie, morti cento fanti, presi trenta uomini d’arme e trecento cavalli tra utili e inutili; ma non procederono più oltre contro a’ frumenti, perché le genti de’ viniziani, secondo il costume loro, presto diminuirono. Andrea Doria con l’armata1 sua si era ritirato verso Savona, i genovesi avevano recuperata la Spezie.
Ma cominciorono poi a riscaldare le cose di Lombardia per la passata di Lautrech nel Piemonte con una parte dell’esercito; il quale per non stare ozioso, mentre aspetta il resto, si pose a campo, ne’ primi dì del mese di agosto, alla terra del Bosco nel contado di Alessandria, nella quale erano a guardia mille fanti, la maggiore parte tedeschi. Difendevansi con somma ostinazione, perché Lautrech, sdegnato che avevano morti alcuni svizzeri, recusava di accettargli se non si rimettevano liberamente2 alla sua discrezione; e somministrava loro spessi aiuti e dava animo Lodovico conte di Lodrone, proposto alla difesa di Alessandria, perché nel Bosco erano rinchiusi la moglie e i figliuoli. Finalmente, vessati dì e notte dalle artiglierie, e temendo delle mine, poi che ebbono tollerato dieci dì tanto travaglio, si rimessono in arbitrio di Lautrech: il quale ritenne prigioni3 i capitani, salvò la vita a’ fanti, ma con condizione che gli spagnuoli ritornassino in Spagna per via di Francia, i tedeschi in Germania per il paese de’ svizzeri; e che ciascuno d’essi, secondo l’uso della iattanza militare4, uscisse del Bosco senza arme con una canna in mano; ma al conte Lodovico restituì liberamente la moglie e i figliuoli.
Seguitorono questo acquisto successi prosperi delle cose di Genova. Perché essendo arrivate in Portofino cinque navi che andavano a Genova, cariche quattro di frumenti e una di mercatanzie, e perché si conducessino salve essendo andate nove galee da Genova per accompagnarle, accadde che, avendo avuto avviso che Cesare Fregoso si accostava per terra a Genova con dumila fanti vi si ridussono5 quasi tutti quegli che erano in Portofino, abbandonando l’armata; il che dette occasione a Andrea Doria, condotto con tutte le condizioni che aveva dimandate agli stipendi del re di Francia, di serrarle con le galee sue nel porto medesimo; dove, conoscendo non potere resistere, disarmorono le galee e messeno le genti in terra. Così delle nove galee essendone abbruciata una, l’altre vennono in potestà degli inimici, con le navi cariche di frumenti e con la caracca Iustiniana6, che venuta di levante si diceva essere ricca di centomila ducati. Alla quale fazione7 furono anche altre galee franzesi; le quali avendo prese prima cinque navi cariche di grani, che andavano a Genova, si erano dipoi poste alla Chiappa8 a ridosso di Codemonte fra Portofino e Genova. Ne’ quali dì ancora, certi fanti condotti dagli Adorni per mettergli in Genova furno rotti a Priacroce9, luogo situato in quei monti. Questa calamità, oltre a tante altre perdite e danni di vari legni, privò i genovesi, ridotti in ultima estremità, totalmente di speranza di potersi più sostenere; non ostante che ne’ medesimi dì Cesare Fregoso, accostatosi a San Piero della Arena, fusse stato costretto a ritirarsi : ma spaventandogli più la fame che le forze degli inimici, costretti dalla ultima necessità, mandorno a Lautrech imbasciadori a capitolare. Ritirossi Antoniotto Adorno doge nel Castelletto; e posati i tumulti, per opera massime di Filippino Doria10 che vi era prigione, la città ritornò sotto il dominio del re di Francia, il quale vi deputò governatore Teodoro da Triulzi. Ma il Capella11 scrive che, infestando Cesare Fregoso Genova per terra, Andrea Doria con diciassette galee aveva rinchiuso certe navi cariche di frumenti in uno porto tra Genova e Savona; e mandando i genovesi sei galee per soccorrerle, il vento spinse Andrea Doria a Savona : però le navi andorno a Genova, e i soldati uscirno fuora contro al Fregoso. Col quale mentre combattevano, il popolo genovese cominciò a chiamare Francia; e ritornando i soldati dentro a fermare12 il tumulto, gli inimici seguitandogli entrorno nella città con loro.
Accostossi dipoi Lautrech ad Alessandria, avendo nell’esercito suo la condotta di ottomila svizzeri13, i quali continuamente diminuivano, diecimila fanti di Pietro Navarra e tremila guasconi, condotti di nuovo14 in Italia dal barone di Bierna15, e tremila fanti del duca di Milano. Erano in Alessandria mille cinquecento fanti, i quali per la perdita degli alamanni che erano nel Bosco si erano molto inviliti; ma essendovi poi entrati, per i colli che erano vicini alla città, cinquecento fanti con Alberigo da Belgioioso, avevano ripreso animo, e difendevansi gagliardamente: ma raddoppiata la batteria da più parti, per la venuta all’esercito delle artiglierie e delle genti de’ viniziani (benché né per terra né per mare corrispondessino al numero al quale erano obligati), molestandola ferocemente16 nel tempo medesimo con le trincee e con le mine, come sempre in qualunque oppugnazione17 faceva Pietro Navarra, Batista da Lodrone, non potendo più difenderla, accordò di potersene andare in Piemonte, e gli alamanni con le loro robe in Germania, non potendo per sei mesi pigliare soldo18 contro allo esercito franzese.
L’acquisto di Alessandria dimostrò tra i confederati principio di qualche contenzione19. Perché, disegnando Lautrech lasciarvi a guardia cinquecento fanti perché avessino in qualunque caso uno ricetto sicuro le genti sue, e quelle che venivano di Francia comodità di raccôrsi20 e riordinarsi in quella città, insospettito l’oratore del duca di Milano che questo non21 fusse principio di volere occupare per il suo re quello stato, con tradisse con parole efficaci e con protesti22; e risentendosene quasi non meno di lui l’oratore viniziano, interponendosene ancora quello di Inghilterra, cedé Lautrech, benché con grave indignazione, di lasciarla libera al duca di Milano : cosa che fu forse di molto pregiudizio a quella impresa, perché è opinione di molti che più negligentemente attendesse allo acquisto di Milano o per sdegno o per riservarlo a tempo che, senza rispetto23 d’altri, potesse tirarlo a suo profitto.
Dopo la perdita di Alessandria, non essendo dubbio che Lautrech si dirizzerebbe24 alla impresa di Milano o di Pavia, è fama che Antonio de Leva, col quale erano centocinquanta uomini d’arme e cinquemila fanti tra tedeschi e spagnuoli, diffidandosi di potere difendere Milano con sì poca gente e con tante difficoltà, pensò di ritirarsi a Pavia; nondimeno, considerando essere poche vettovaglie in Pavia, né potersi in quella città sostentare l’esercito con le estorsioni, come acerbissimamente aveva fatto a Milano, deliberò finalmente di fermarvisi, e mandò alla guardia di Pavia Lodovico da Belgioioso; e a’ milanesi, i quali vollono comperare con danari la licenza di partirsi, la concedette. Ma Lautrech, per rimuovere le difficoltà le quali potessino ritardarlo, fatta tregua con Cerviglione spagnuolo25 il quale era alla guardia di Case26, benché molto diminuito di svizzeri, procedendo innanzi occupò Vigevano; e dipoi fatto uno ponte sopra il Tesino, e per quello (secondo credo) passato l’esercito, si inviò verso Benerola27, villa28 propinqua a quattro miglia a Milano; dimostrando di volere andare, come lo confortavano i viniziani, a campo a quella città, ma veramente risoluto a quella deliberazione che gli paresse più facile. Ma avendo inteso, come fu appropinquato a otto miglia a Milano, il Belgioioso avervi la notte dinanzi mandati quattrocento fanti, in modo che in Pavia non erano restati se non ottocento, voltato il cammino29, andò il dì seguente, che fu il vigesimo ottavo dì di settembre, al monaslerio della Certosa e dipoi con celerità grande si pose a campo a Pavia; al soccorso della quale città avendo Antonio de Leva, come intese la mutazione di Lautrech, mandato tre bandiere30 di fanti, non potettono entrarvi, in modo che per il piccolo numero de’ difensori non pareva potersi resistere: e nondimeno il Belgioioso, supplicando il popolo della città che permettesse loro che per fuggire il sacco e la distruzione della città si accordassino, lo recusò. Ma avendo Lautrech continuato di battere quattro dì, e gittato in terra tanto muro che i pochi difensori non bastavano a ripararlo, alla fine il Belgioioso mandò uno trombetto a Lautrech; il quale non avendo potuto parlargli così presto, perché per sorte era andato nel campo de’ viniziani, i soldati accostatisi entrarono nella terra per le rovine del muro : il che vedendo il Belgioioso, aperta la porta, uscì fuora ad arrendersi a’ franzesi, da’ quali fu mandato prigione a Genova. La città andò a sacco, e vi fu per otto dì continui usata da’ franzesi crudeltà grande e fatti molti incendi, per memoria della rotta ricevuta nel barco31. Disputossi poi se era da andare alla impresa di Milano o da procedere verso Roma. Instavano i fiorentini che andasse innanzi, per timore che, fermandosi Lautrech in Lombardia, lo esercito imperiale non32 uscisse di Roma a’ danni loro; contradicevano i viniziani e il duca di Milano, venuto personalmente a Pavia a fare questa instanza, allegando la opportunità grande che si aveva di pigliare Milano e il profitto che se ne traeva ancora alla33 impresa di Napoli, perché preso Milano non restava speranza agli imperiali di avere soccorso di Germania, ma restando aperta questa porta si aveva sempre a temere che, venuto da quella banda grosso esercito, o non mettesse in pericolo Lautrech o non lo divertisse34 dalla impresa di Napoli : il quale rispose essere necessitato a andare innanzi per i comandamenti del suo re e del re d’Inghilterra, che principalmente l’avevano mandato in Italia per la liberazione del pontefice. Alla quale deliberazione si crede lo potesse indurre il sospetto che, se si acquistava il ducato di Milano, i viniziani, riputandosi assicurati dal pericolo della grandezza di Cesare, non fussino negligenti ad aiutarlo alla impresa del regno di Napoli; e forse non meno il parere al re essere utile alle cose sue che Francesco Sforza non ricuperasse interamente quello stato, acciò che, restando a lui facoltà di offerire di lasciarlo a Cesare, conseguisse più facilmente la liberazione de’ figliuoli per la via di accordo : il quale continuamente si trattava, appresso a Cesare, per gli oratori franzesi e inghilesi e viniziani.
Ma in questo trattato35 nascevano molte difficoltà, perché Cesare faceva instanza che la causa di Francesco Sforza si vedesse di ragione36, e che pendente la cognizione37 fusse posseduto da sé tutto lo stato; promettendo in ogni caso di non lo appropriare a se medesimo : dimandava che i viniziani pagassino allo arciduca il resto de’ dugentomila ducati dovutigli per i capitoli di Vormazia38; il che l’oratore veneto non ricusava, adempiendo l’arciduca e restituendo i luoghi a che era obligato : dimandava che a’ fuorusciti loro, come già era stato convenuto, o restituissino centomila ducati o consegnassino entrata di cinquemila; pagassino a lui quello erano debitori per la confederazione fatta seco, la quale voleva si rinnovasse: restituissino alla Chiesa Ravenna, e rilasciassino quanto tenevano nello stato di Milano: dimandava a’ fiorentini trecentomila ducati, per le spese fatte e danni avuti per la loro inosservanza: consentiva che il re di Francia pagasse al re di Inghilterra per lui il debito de’ quattrocento cinquantamila ducati; del resto, insino in due milioni, dimandava staggi39: voleva le dodici galee dal re di Francia per l’andata sua in Italia, ma non più né cavalli né fanti : e che, subito che fusse stipulata la concordia, si partissino tutte le genti franzesi di Italia, il che il re recusava se prima non gli erano restituiti i suoi figliuoli. Le quali dimande40 quando si sperava mitigasse, lo fece (secondo il costume suo di non cedere alle difficoltà) più pertinace la perdita di Alessandria e di Pavia, in modo che, essendo venuto a lui il quintodecimo dì di ottobre, di Inghilterra, l’auditore della camera, a sollecitare in nome di quello re la liberazione del pontefice, rispose avere proveduto per il generale41; e che quanto allo accordo non voleva, né per amore né per forza, alterare le condizioni che aveva proposte prima. Ma certamente si comprendeva non essere Cesare molto inclinato alla pace, perché contro alla potenza degli inimici gli davano animo molte cagioni : perché confidava avere a resistere in Italia, per la virtù del suo esercito e per la facilità del difendere le terre42; potere sempre con piccola difficoltà fare passare nuovi fanti tedeschi; essere esausti il re di Francia e i viniziani per le lunghe spese, le provisioni loro (come è consueto nelle leghe) interrotte e diminuite; confidarsi di potere esigere43 danari di Spagna a bastanza, con ciò sia che sostentava la guerra con spese molto minori (per le rapine de’ soldati) che gli avversari, e perché sperava di disunire o di fare più negligenti i collegati con qualche arte; e finalmente perché molto si prometteva della sua grandissima felicità44, comprovata con la esperienza di molti anni, e pronunziatagli con innumerabili vaticini insino da puerizia.
1. armata: flotta.
2. liberamente: senza condizioni.
3. ritenne prigioni: fece prigionieri.
4. secondo… militare: conformemente all’uso della arroganza militare.
5. ridussono: ritirarono.
6. Grossa nave armata di cannoni di proprietà della famiglia Giustiniani.
7. fazione: scontro.
8. Punta Chiappa, 3 km a sud di Camogli.
9. Località di difficile identificazione.
10. Nipote di Andrea Doria.
11. Cfr. Capella, op. cit., libro VII, pp. 198-200.
12. fermare: placare.
13. avendo… svizzeri: conducendo nel suo esercito ottomila svizzeri che erano stati assoldati.
14. di nuovo: recentemente.
15. Roger, barone di Béarn.
16. ferocemente: animosamente.
17. oppugnazione: assedio.
18. pigliare soldo: prestare servizio.
19. contenzione: disaccordo.
20. raccôrsi: raccogliersi.
21. insospettito… che… non: temendo… che.
22. protesti: dichiarazioni minacciose.
23. senza rispetto; senza tener conto.
24. si dirizzerebbe: si dirigerebbe.
25. probabilmente Juan Cerbellòn.
26. Casei.
27. Bonirola.
28. villa: villaggio.
29. voltato il cammino: cambiata la direzione di marcia.
30. bandiere: schiere.
31. barco: parco.
32. che… non: che.
33. ancora alla: anche per la.
34. divertisse: distogliesse.
35. in questo trattato: in questa trattativa.
36. si… ragione: si decidesse per via giuridica.
37. pendente la cognizione: mentre era in corso il processo.
38. Cfr. XV, II.
39. staggi: ostaggi.
40. le quali dimande: è oggetto.
41. per il generale: dandone incarico al generale (Quiñones).
42. le terre: le città forrificate.
43. esigere: riscuotere.
44. felicità: fortuna.
Indugi di Lautrech per ordini del re di Francia. Condizioni con cui il duca di Ferrara si allea ai confederati; entrata del marchese di Mantova nella confederazione. Posizioni degli eserciti nemici nell’Italia centrale; ancora della lentezza del Lautrech. Accordi per la liberazione del pontefice dalla prigionia. Il pontefice a Orvieto.
Ma in questo tempo Lautrech (per l’autorità del quale, come arrivò in Italia, il duca di Ferrara aveva operato che i Mariscotti restituissino a’ bolognesi Castelfranco, e che i Bentivogli deponessino l’armi) sollecitava che l’armate marittime, destinate a assaltare o la Sicilia o il reame di Napoli, procedessino innanzi; delle quali la viniziana, non essendo le provisioni loro né per terra né per mare pari alle obligazioni, era a Corfù, e sedici galee dovevano andare a unirsi con Andrea Doria, il quale aspettava nella riviera di Genova Renzo da Ceri, destinato co’ fanti a quella impresa. Rimandò di poi Lautrech in Francia quattrocento lancie e tremila fanti, e convenne co’ viniziani, i quali confortava a restituire Ravenna al collegio de’ cardinali, e col duca di Milano che, per difendere quello che si era acquistato, tenessino le genti loro, con le quali erano Ianus Fregoso e il conte di Caiazzo, in alloggiamento molto fortificato a Landriano, villa vicina a due miglia a Milano; per la vicinità de’ quali non potendo allargarsi1 le genti che erano in Milano, si stimava aversi facilmente a guardare Pavia, Moncia, Biagrassa, Marignano, Binasco, Vigevano e Alessandria : egli, stabilite queste cose, passò, con mille cinquecento svizzeri, aitanti2 tedeschi e seimila tra franzesi e guasconi, il decimo ottavo dì di ottobre, il Po a riscontro di3 Castel San Giovanni, con intenzione di aspettare i fanti tedeschi, de’ quali era arrivata insino a quel dì piccola parte, e un’altra banda4 pure di fanti della medesima nazione, i quali il re di Francia aveva mandato a soldare di nuovo in luogo de’ svizzeri, già resoluti5 quasi tutti. Dal quale luogo fu necessitato fare ritornare di là dal Po Pietro Navarra co’ fanti guasconi e italiani, al soccorso di Biagrassa; alla quale terra, custodita dal duca di Milano, Antonio de Leva, intendendo essere male proveduta, era, il vigesimo ottavo dì di ottobre, andato a campo con quattromila fanti e sette pezzi d’artiglierie, e ottenutola il secondo dì per accordo, si preparava per passare nella Lomellina alla recuperazione di Vigevano e di Novara; ma intesa la venuta di Pietro Navarra con maggiori forze, si ritornò a Milano: donde al Navarra fu facile recuperare Biagrassa, nella quale Francesco Sforza messe migliori provisioni. Vedevasi già manifestamente differire industriosamente6 Lautrech il partirsi; e benché allegasse averlo ritenuto7 la espettazione de’ fanti tedeschi, con una banda de’ quali era pure finalmente venuto Valdemonte8 (gli altri si aspettavano), e si lamentasse per tutto delle piccole provisioni de’ viniziani, nondimeno si dubitava ne fusse stato cagione l’aspettare danari di Francia : ma la cagione più vera e più potente era che il re, sperando la pace, la pratica della quale era stretta con Cesare, gli aveva commesso che, dissimulando questa cagione, procedesse lentamente. Da che anche era nato che il re non era stato pronto a pagare la parte sua degli alamanni, che si conducevano in luogo de’ svizzeri, né quegli che prima erano destinati a venire con Valdemonte.
Con queste o necessità o escusazioni soprastando Lautrech a Piacenza con le genti alloggiate tra Piacenza e Parma, si rimosse la difficoltà avuta prima del duca di Ferrara : il quale che entrasse nella confederazione aveva Lautrech, subito che arrivò in Italia, fatto instanza grande; cosa da una parte desiderata dal duca per il parentado che gli era proposto col re di Francia9, da altra ritenendolo la diffidenza che aveva del valore de’ franzesi, e il sospetto che il re finalmente per recuperare i figliuoli non concordasse con Cesare; ma temendo de’ minacci di Lautrech, aveva dimandato che le cose sue si trattassino a Ferrara, perché voleva maneggiare le cose che tanto gli importavano da se medesimo. Perciò andorono a Ferrara gli imbasciadori di tutti i collegati, e in nome de’ cardinali congregati a Parma il cardinale Cibo : dove, alla fine, mosso il duca dal procedere innanzi di Lautrech, sforzatosi di fare capaci10 il capitano Giorgio11e Andrea di Burgo, che molto onorati e intrattenuti12 da lui erano a Ferrara, accordò, ma con condizioni che dimostrorno o la industria13 sua nel sapere bene negoziare, e che non invano avesse voluto tirare la pratica alla presenza sua14, o la cupidità grande che ebbeno gli altri di tirarlo nella confederazione. Nella quale entrò con obligazione di pagare ogni mese, per tempo di sei mesi, da sei a diecimila scudi secondo la dichiarazione del re di Francia, il quale dichiarò poi di seimila; e dare a Lautrech cento uomini d’arme pagati : e da altra parte, si obligorno i confederati alla protezione di lui e del suo stato; a dargli Cotignuola, tolta poco innanzi da’ viniziani agli spagnuoli, in cambio della città antica e quasi disabitata di Adria, la quale instantemente dimandava; fargli restituire i palazzi che già possedeva in Vinegia e in Firenze; permettergli contro ad Alberto Pio l’acquisto della fortezza di Novi, posta appresso a’ confini del Mantuano, la quale allora teneva assediata; pagassingli i frutti dello arcivescovado di Milano, se gli imperiali gli molestassino all’arcivescovo suo figliuolo15. Obligò il cardinale Cibo, in nome de’ cardinali i quali promettevano la ratificazione del collegio, il pontefice a rinnovare la investitura di Ferrara, a renunziare alle ragioni di16 Modena per la compra fatta da Massimiliano17, ad annullare le obligazioni de’ sali18, a consentire alla protezione che i collegati preseno di lui, a promettere per bolle apostoliche di lasciare possedere a lui e a’ suoi successori tutto quello possedeva; e che il pontefice farebbe cardinale il figliuolo, e gli conferirebbe il vescovado di Modena, vacante per la morte del cardinale Rangone19. Con la quale confederazione si congiunse il parentado di Renea, figliuola del re Luigi20, in21 Ercole suo primogenito, col ducato di Ciartres22 in dota e altre onorate condizioni. Entrò anche il marchese di Mantova, per la instanza di Lautrech, nella confederazione, benché prima si fusse condotto agli stipendi di23 Cesare.
Ma era in questo tempo indebolito molto l’altro esercito de’ confederati, il quale stette ozioso molti dì tra Fuligno, Montefalco e Bevagna; del quale il duca di Urbino, intesa la custodia che si faceva in Vinegia della moglie e del figliuolo, partitosi contro alla commissione del senato per andare in poste24 a giustificarsi, ricevuto in cammino avviso della loro liberazione, e che il senato sodisfatto di lui desiderava non andasse più innanzi, ritornò allo esercito: nel quale i svizzeri e i fanti del marchese non erano pagati; e i viniziani, né quivi né in Lombardia, dove erano obligati a tenere novemila fanti, ne tenevano la terza parte. Ritiroronsi di poi in quello di Todi e all’intorno; e gli spagnuoli, alla fine di novembre, erano verso Corneto e Toscanella; i tedeschi a Roma, a’ quali era ritornato il principe di Oranges da Siena: dove, andato vanamente per riordinare quello governo, dimorò poco. Né si dubita, che se l’esercito imperiale si fusse fatto innanzi, che il duca di Urbino e il marchese di Saluzzo si sarebbono ritirati con l’esercito alle mura di Firenze; benché per iattanza spesso parlassino che25, per impedire a loro la venuta in Toscana, farebbeno uno alloggiamento o tra Orvieto e Viterbo o nel territorio sanese, verso Chiusi e Sartiano26. Ma Lautrech, non ostante fussino arrivati i fanti tedeschi, procedendo, per la espettazione della pratica della pace, con la consueta tardità, si era fermato a Parma: nella quale città, benché vi fussino i cardinali, ridotte in potestà sua le fortezze, e riscossi da tutt’a due quelle città e de’ territori loro circa cinquantamila ducati, si credeva che avesse in animo non solo tenere in potestà sua Parma e Piacenza ma, perché Bologna dependesse dalla autorità del re, volgere il primato di quella città nella famiglia de’ Peppoli. I quali disegni fece vani la liberazione del pontefice. Alla quale benché da principio non paresse che Cesare condiscendesse prontamente, perché dopo la nuova della cattività aveva tardato più di uno mese a farne deliberazione alcuna, nondimeno, intesa poi la andata di Lautrech in Italia e la prontezza del re di Inghilterra alla guerra, aveva mandato in Italia il generale di San Francesco e Veri di Migliau con commissione27 sopra questo negozio al viceré28; il quale essendo, in quegli dì che arrivò il generale, morto a Gaeta, fu necessario trattare il negozio con don Ugo di Moncada, al quale anche si distendeva il mandato di Cesare, e il quale il viceré aveva sostituito in suo luogo insino a tanto che sopra il governo del regno venisse da Cesare nuova ordinazione29: e avendo il generale comunicato con don Ugo, andò a Roma, e insieme con lui [Migliau] venuto di Spagna con le medesime commissioni che il generale. Conteneva questo negozio due articoli principali : l’uno, che il pontefice sodisfacesse all’esercito creditore di somma grossissima di denari; l’altro, la sicurtà di Cesare che il pontefice, liberato, non si aderisse30 co’ suoi inimici; e in questo si proponevano dure condizioni di statichi31 e di sicurtà di terre32. Trattossi per queste difficoltà la cosa lungamente : la quale per facilitare, il pontefice aveva spesso sollecitato e continuamente sollecitava, ma occultamente, Lautrech a farsi innanzi, affermando essere sua intenzione di non promettere cosa alcuna agl’imperiali se non forzato, e che in tale caso, uscito di carcere, non osserverebbe, come prima33 potesse condursi in luogo sicuro; il che cercherebbe di fare col dare loro manco comodità potesse; e se pure accordasse, lo pregava che la compassione de’ suoi infortuni e delle necessità facessino la scusa per lui. La qual cosa mentre che si trattava, gli statichi, con indegnazione gravissima de’ fanti tedeschi, fuggirono occultamente di Roma, alla fine di novembre. Lunga fu la discettazione sopra questa materia, non essendo anche di una medesima sentenza34 quegli che avevano a determinare: perché don Ugo, benché avesse mandato a Roma Serone suo secretario insieme con gli altri, v’aveva35, per la malignità della sua natura e per avere l’animo alieno dal pontefice, piccola inclinazione; il generale, tutto il contrario, per la cupidità di diventare cardinale; Migliau contradiceva come a cosa pericolosa a Cesare36, e non potendo resistere se ne andò a Napoli; della quale empietà patì le pene, perché ne’ primi dì dello assedio37, scaramuccindo, fu morto di uno archibuso. Né mancava il pontefice a se medesimo38; perché tirò nella sentenza sua39 Ieronimo Morone, il consiglio del quale era in tutte le deliberazioni di grande autorità; conferito il vescovado di Modena al figliuolo40, e promessi a lui certi frumenti suoi che erano a Corneto, di valore di più di dodicimila ducati. Ma non con minore industria41 si fece propizio il cardinale Colonna; promessagli la legazione della Marca, e dimostrandogli, quando, venuto a Roma, l’andò a visitare nel Castello, di volere essere a lui principalmente debitore di tanto beneficio; e artificiosamente instillandogli negli orecchi : che maggiore gloria o che maggiore felicità potesse desiderare che farsi noto a tutto il mondo essere in potestà sua deprimere i pontefici, in potestà sua, quando erano annichilati, fargli ritornare nella pristina grandezza. Dalle quali cose commosso quel cardinale, elatissimo e ventosissimo42 per natura, aiutò prontamente la liberazione; credendo fusse così facile al pontefice, liberato, dimenticarsi di tante ingiurie come facilmente gli aveva, prigione, raccomandato umilissimamente con prieghi e con lacrime la sua liberazione. Alleggerì in qualche parte le difficoltà la nuova commissione di Cesare, il quale instava che il pontefice si liberasse con più sodisfazione sua43 che fusse possibile : soggiugnendo bastargli che, liberato, non aderisse più a’ collegati che a lui. Ma si crede giovasse più che alcuna altra cosa la necessità che avevano, per il timore della venuta di Lautrech, di condurre quello esercito alla difesa del reame di Napoli; cosa impossibile se prima non era assicurato degli stipendi decorsi44, in ricompenso de’ quali recusavano ammettere45 tante prede e tanti guadagni fatti nel tempo medesimo. Questa necessità del provedere a’ pagamenti fu anche cagione che manco si pensasse allo assicurarsi, per il tempo futuro, del pontefice.
Conchiusesi finalmente, credo l’ultimo dì di ottobre46 dopo lunga pratica, la concordia in Roma col generale e con Serene in nome di don Ugo, che poi ratificò : non avversasse il papa a Cesare nelle cose di Milano e di Napoli; concedessegli la crociata47 in Spagna, e una decima delle entrate ecclesiastiche in tutti i suoi regni; rimanessino, per sicurtà della osservanza, in mano di Cesare Ostia e Civitavecchia, stata prima rilasciata da Andrea Doria; consegnassegli Civita Castellana, la quale terra, essendo entrato nella rocca per commissione secretissima del pontefice, benché simulasse il contrario, Mario Perusco procuratore fiscale, aveva ricusato di ammettere48 gli imperiali; consegnassegli eziandio la rocca di Furlì, e per statichi Ippolito e Alessandro suoi nipoti, e insino a tanto venissino a Parma, i cardinali Pisano49, Triulzio50 e Gaddi51, che furono condotti da loro nel regno di Napoli; pagasse subito a’ tedeschi credo ducati sessantasettemila, agli spagnuoli trentacinquemila, con questo che52 lo lasciassino libero con tutti i cardinali, e uscissinsi di Roma e del Castello, chiamandosi libero ogni volta53 fusse condotto salvo in Orvieto, Spoleto o Perugia; e fra quindici dì dopo l’uscita di Roma pagasse aitanti54 danari a’ tedeschi, e il resto poi (che credo ascendeva, co’ primi, a ducati più di trecento cinquantamila) pagasse infra tre mesi a’ tedeschi e spagnuoli, secondo le rate loro55. Le quali cose per potere osservare, il pontefice, ricorrendo per uscire di carcere a quegli rimedi a’ quali non era voluto ricorrere per non vi entrare, creò per danari [alcuni] cardinali, persone la maggiore parte indegne di tanto onore; per il resto, concedette nel reame di Napoli decime e facoltà di alienare de’ beni ecclesiastici56: convertendosi per concessione del vicario di Cristo (così sono profondi i giudici divini) in uso e in sostentazione di eretici quel che era dedicato al culto di Dio. Co’ quali modi avendo stabilito e assicurato di pagare a’ tempi promessi, dette anche per statichi, per la sicurtà de’ soldati, i cardinali Cesis57 e Orsino58, che furono condotti dal cardinale Colonna a Grottaferrata; ed essendo spedite59 tutte le cose, e stabilito che il nono dì di dicembre dovessino gli spagnuoli accompagnarlo in luogo sicuro, egli, temendo di qualche variazione per la mala volontà che sapeva avere don Ugo, e per ogni altra cagione che potesse interrompere60, la notte dinanzi, uscito segretamente al principio della notte, in abito di mercatante, del Castello, fu da Luigi da Gonzaga soldato degli imperiali, che con grossa compagnia di archibusieri l’aspettava ne’ Prati, accompagnato insino a Montefiascone : dove licenziati quasi tutti i fanti, Luigi medesimo l’accompagnò insino a Orvieto, nella quale città entrò di notte, non accompagnato da alcuno de’ cardinali. Esempio certamente molto considerabile e forse non mai, da poi che la Chiesa fu grande, accaduto: uno pontefice, caduto di tanta potenza e riverenza, essere custodito prigione, perduta Roma, e tutto lo stato ridotto in potestà d’altri : il medesimo, in spazio di pochi mesi, restituito alla libertà, rilasciatogli lo stato occupato, e in brevissimo tempo poi ritornato alla pristina grandezza. Tanta è appresso a’ prìncipi cristiani l’autorità del pontificato, e il rispetto che da tutti gli è avuto.
1. allargarsi: uscire dalla città.
2. altanti: altrettanti.
3. a… di: di fronte a.
4. banda: truppa, schiera.
5. resoluti: dispersi.
6. industriosamente: di proposito.
7. ritenuto: trattenuto.
8. Louis de Lorraine Vaudémont, conte di Vaudémont.
9. Il matrimonio tra Ercole suo primogenito e Renata di Francia, figlia di Luigi XII.
10. fare capaci: convincere.
11. Frundsberg.
12. intrattenuti: tenuti in speranza.
13. industria: abilità.
14. che non… sua: che non senza uno scopo preciso avesse voluto che le trattative avvenissero in sua presenza e nel suo stato.
15. gli… figliuolo: ne ostacolassero il godimento ad Ippolito figlio di Alfonso e arcivescovo di Milano.
16. renunziare… di: cedere i diritti su.
17. Nel 1514 (cfr. XI, vIII e XII, vii).
18. le… sali: l’obbligo per il duca di Milano di importare il sale dal dominio della Chiesa.
19. Ercole Rangoni, morto il 25 agosto 1527.
20. Renata di Francia.
21. in: con.
22. Chartres.
23. si… di: avesse prestato servizio nell’esercito di.
24. in poste: in gran fretta.
25. parlassino che: dicessero che.
26. Sarteano.
27. commissione: istruzioni.
28. Charles di Lannoy.
29. ordinazione: disposizione.
30. aderisse: si alleasse.
31. statichi: ostaggi.
32. sicurtà di terre: cessione temporanea (per garanzia) di città.
33. come prima: appena.
34. di… sentenza: dello stesso parere.
35. v’aveva: s’intende all’accordo.
36. contradiceva… Cesare: vi si opponeva dicendo che era cosa pericolosa a Cesare.
37. L’assedio cominciato da Lautrec nella primavera del 1528.
38. Né mancava… a se medesimo: né trascurava… di fare i propri interessi.
39. tirò… sua: convinse del proprio parere.
40. Giovanni Morone.
41. non… industria: con abilità non minore.
42. elatissimo e ventosissimo: superbissimo e vanitosissimo.
43. sua: del pontefice.
44. non… decorsi: non gli erano pagati o garantiti gli stipendi arretrati.
45. ammettere: riconoscere.
46. 26 novembre 1527.
47. concedessegli la crociata: gli permettesse di servirsi del danaro della crociata (contributo pubblico e volontario decretato da una bolla pontificia a favore di un sovrano allo scopo di finanziare le crociate).
48. recusato di ammettere: soggetto è la quale terra.
49. Francesco Pisani.
50. Scaramuzza Trivulzio.
51. Niccolò Gaddi.
52. con questo che: a condizione che.
53. ogni volta: qualora.
54. aitanti: altrettanti.
55. secondo… loro: secondo le porzioni che spettavano loro.
56. facoltà… ecclesiastici: il permesso di vendere alcuni beni della Chiesa.
57. Paolo Emilio Cesi.
58. Franciotto Orsini.
59. spedite: concluse.
60. interrompere: fare ostacolo.
CAPITOLO XV
Fazioni di guerra in Lombardia. Sfortunata impresa delle navi dei collegati contro la Sardegna; il Lautrech a Bologna e sue trattative col pontefice. Condotta contraddittoria del pontefice verso gli alleati. Vane pratiche di pace fra gli ambasciatori dei collegati e Cesare; intimazione di guerra.
Nel quale tempo Antonio de Leva, dopo la partita di Lautrech da Piacenza, mandò fuora di Milano i fanti spagnuoli e italiani, perché si pascessino, perché recuperassino i luoghi più deboli del paese, e perché aprissino le comodità1 del condursi le vettovaglie a Milano; quali presono quella parte del contado di sopra che si chiama Sepri2. Mandò anche Filippo Torniello con mille dugento fanti e con alcuni cavalli a Novara, nella quale città erano quattrocento fanti del duca di Milano. Entrovvi il Torniello per la rocca, tenutasi sempre in nome di Cesare; de’ fanti sforzeschi si ridusse3 una parte in Arona l’altra in Mortara. A’ quali avendo il duca aggiunti altri fanti per la difesa della Lomellina e del paese, non era libero al Torniello lo allargarsi molto4: in modo che, non si facendo per quella vernata altre fazioni5 che spesse scaramuccie, attendevano tutti a rubare, gli amici e i nimici, conducendo a ultimo eccidio tutto il paese.
Eransi anche in questo tempo congiunte, a Livorno, [le galee d’] Andrea Doria e quattordici galee franzesi con le sedici galee de’ viniziani; e avendo ricevuto Renzo da Ceri con tremila fanti per porre in terra6, partirono il terzodecimo dì di novembre da Livorno: e benché prima fusse stato determinato che assaltassino l’isola di Sicilia, mutato consiglio, si voltorono alla impresa di Sardigna, per i conforti7, secondo si credette, di Andrea Doria, e perché già avesse nel petto nuovi concetti. Acconsentì a questa impresa Lautrech, per la speranza che presa la Sardigna si facilitasse molto l’acquisto della Sicilia. Quello che ne fusse la cagione, travagliate in mare da tristissimi tempi, separate, andorno vagando per mare: una delle galee franzesi andò a traverso8 appresso a’ liti di Sardigna; quattro delle galee viniziane, molto battute9, ritornorono a Livorno; le franzesi scorsono10 per l’impeto de’ venti in Corsica, dove poi in Porto Vecchio si ricongiunsono seco quattro galee de’ viniziani; l’altre otto furono traportate a Livorno. Finalmente la impresa risolvette11, restando insieme in molta discordia Andrea Doria e Renzo da Ceri. Ma Lautrech, il quale ricevé quando era in Reggio avviso della liberazione del pontefice, rilasciata la fortezza di Parma a’ ministri ecclesiastici, andò a Bologna; nella quale città, arrivato il vigesimo dì del mese medesimo12, si fermò aspettando la venuta degli ultimi fanti tedeschi; i quali pochi dì poi si condussono nel bolognese, non in numero seimila, come era destinato, ma solamente tremila: e nondimeno soggiornò venti dì in Bologna, aspettando avviso dal re di Francia dell’ultima risoluzione circa la pratica della pace, e instando intratanto con somma diligenza col pontefice, insieme con l’autorità del re di Inghilterra, perché apertamente aderisse a’ collegati.
Al quale, ne’ primi che arrivò a Orvieto, essendo andati a lui a congratularsi il duca di Urbino il marchese di Saluzzo, Federigo da Bozzole (il quale pochi dì poi morì di morte naturale a Todi) e Luigi Pisano proveditore viniziano, gli aveva con grandissima instanza ricercati che levassino le genti loro dello stato ecclesiastico, affermando gli imperiali avergli promesso che si partirebbono ancora13 essi dello stato della Chiesa in caso che l’esercito de’ confederati facesse il medesimo. Aveva anche scritto uno breve a Lautrech, [ringraziandolo] dell’opere fatte per la sua liberazione e dell’averlo confortato a liberarsi in qualunque modo; le quali opere erano state di tanto momento14 a costrignere gli imperiali a determinarsi che non meno si pretendeva obligato al re e a lui che se fusse stato liberato con l’armi loro, i progressi delle quali arebbe volentieri aspettato se la necessità non l’avesse indotto, perché continuamente gli erano mutate in peggio le condizioni proposte, e perché apertamente aveva compreso non potere se non per mezzo della concordia conseguire la sua liberazione; la quale quanto più si differiva tanto procedeva in maggiore precipizio la autorità e lo stato della Chiesa: ma sopra tutto averlo mosso la speranza d’avere a essere instrumento opportuno a trattare col suo re e con gli altri prìncipi cristiani il bene comune. Queste furono da principio le sue parole, sincere e semplici come pareva convenire allo officio pontificale, e di uno pontefice specialmente che avesse avuto da Dio sì gravi e sì aspre ammonizioni : nondimeno, ritenendo15 la sua natura solita, né avendo per la carcere deposte né le sue astuzie né le sue cupidità, arrivati che furono a lui (già cominciato l’anno mille cinquecento ventotto) gli uomini mandati da Lautrech e Gregorio da Casale oratore del re di Inghilterra, a ricercarlo che si confederasse con gli altri, cominciò a dare varie risposte: ora dando speranza ora scusandosi che, non avendo né danari né gente né autorità, sarebbe a loro inutile il suo dichiararsi, e nondimeno a sé potrebbe essere nocivo perché darebbe causa agli imperiali di offenderlo in molti luoghi, ora accennando di volere sodisfare a questa dimanda se Lautrech venisse innanzi: cosa molto desiderata da lui perché i tedeschi avessino necessità di partirsi di Roma; i quali, consumando le reliquie di quella misera città e di tutto il paese circostante, e deposta totalmente la obbedienza de’ capitani16, tumultuando spesso tra loro, ricusavano di partirsi, dimandando nuovi denari e pagamenti.
Ma alla fine dell’anno precedente, e molto più nel principio dell’anno medesimo, cominciorono manifestamente ad apparire vane le pratiche della pace, per le quali si esacerborono molto più gli animi de’ prìncipi: perché, essendo risolute quasi tutte le difficoltà (con ciò sia che Cesare non negasse di restituire il ducato di Milano a Francesco Sforza, e di comporre co’ viniziani e co’ fiorentini e con gli altri confederati), si disputava solamente quale cosa s’avesse prima a mettere in esecuzione, o la partita dello esercito del re di Francia di Italia o la restituzione de’ figliuoli. Negava il re di obligarsi a Cesare, restando a lui Genova, Asti e Edin, a levare l’esercito di Italia, se prima non recuperava i figli, ma offeriva statichi17 in mano del re di Inghilterra, per sicurtà della osservanza delle pene alle quali si obligava se recuperati i figli non levasse subito l’esercito; Cesare instava del contrario, offerendo le medesime cauzioni in mano del re di Inghilterra. E disputandosi chi fusse più onesto18 che si fidasse dell’altro, diceva Cesare non si potere fidare di chi una volta l’aveva ingannato; a che rispondevano argutamente gli oratori franzesi che quanto più si pretendeva ingannato dal re di Francia tanto manco poteva il re di Francia fidarsi di lui; né la offerta di Cesare, di dare le sicurtà medesime in mano del re di Inghilterra che offeriva di dare il re di Francia, essere offerta pari perché anche non era pari il caso, con ciò sia che fusse di tanto maggiore momento quello che Cesare prometteva di fare che quello che prometteva il re di Francia, e però non assicurare le sicurtà medesime19. Soggiunseno in ultimo che gli oratori del re di Inghilterra, quali avevano mandato dal suo re di obligarlo a fare osservare quello che promettesse il re di Francia, non avevano mandato a obligarlo con l’osservanza di quello promettesse Cesare; e che, essendo le facoltà loro terminate20 e con tempo prefisso, non potevano né trasgredire né aspettare. Sopra la quale disputa non si trovava risoluzione alcuna, perché Cesare non aveva la medesima inclinazione alla pace che aveva il suo consiglio, persuadendosi, eziandio perduto Napoli, poterlo riavere con la restituzione de’ figliuoli : ed era imputato molto il gran cancelliere, ritornato molto prima in Ispagna, di avere turbato21 con punti22 e con sofistiche interpretazioni. Finalmente gli oratori franzesi e inghilesi deliberorono, secondo le commissioni che avevano in caso della disperazione della concordia23, di dimandare a Cesare licenza di partirsi, e poi subito fare intimare24 la guerra. Con la quale conclusione presentatisi, il vicesimo primo dì di gennaio, seguitandogli gli oratori de’ viniziani del duca di Milano e de’ fiorentini, innanzi a Cesare, residente allora con la corte a Burgus, gli oratori inghilesi gli dimandorono i quattrocento cinquantamila ducati prestatigli dal loro re, seicentomila per la pena nella quale era incorso per il ripudio della figliuola e cinquecentomila per le pensioni del re di Francia e per altre cagioni: le quali cose proposte25 per maggiore giustificazione, tutti gli oratori de’ collegati gli dimandorono licenza di partirsi. A’ quali rispose che consulterebbe la risposta che avesse a fare, ma essere necessario che, anche innanzi alla partita loro, gli oratori suoi fussino in luogo sicuro. E partiti da lui gli imbasciadori, entrorono subito gli araldi del re di Francia e del re di Inghilterra a intimargli la guerra : la quale avendo accettata con lieto animo, ordinò che gli imbasciadori del re di Francia de’ viniziani e de’ fiorentini fussino condotti a una villa26 lontana trenta miglia dalla corte, dove fu posta loro guardia di arcieri e alabardieri, proibito ogni commercio27 e la facoltà dello scrivere; a quello del duca di Milano, come a suo suddito, fece fare comandamento che non partisse dalla corte; a l’inghilese non fu fatta innovazione alcuna28. E così, rotta ogni pratica della pace, restorono accesi solamente i pensieri della guerra, condotta e stabilita tutta in Italia.
1. aprissino le comodità: trovassero modo.
2. Seprio.
3. si ridusse: si ritirò.
4. non.., malto; il Torniello non poteva allontanarsi molto
5. altre /azioni; altri scontri.
6. per… terra: da fare sbarcare.
7. i conforti: le esortazioni.
8. andò a traverso: affondò.
9. battute: danneggiate.
10. scorsono: furono trascinate.
11. risolvette: sfumò.
12. Dicembre 1527.
13. ancora: anche.
14. di… momento: così determinanti.
15. ritenendo: conservando.
16. deposta… capitani: non riconoscendo più minimamente l’autorità dei capitani.
17. statichi: ostaggi.
18. onesto: giusto.
19. non… medesime: non davano garanzie per le stesse cose.
20. terminate: limitate.
21. turbato: si sottintende la pace.
22. punti: cavilli.
23. in caso… concordia: nel caso che non si potesse più sperare nell’accordo.
24. intimare: dichiarare.
25. proposte: dette.
26. a una villa: a un villaggio.
27. commercio: rapporto.
28. non… alcuna: fu trattato normalmente.
CAPITOLO XVI
Il Lautrech muove con l’esercito da Bologna per il regno di Napoli. Ragioni di diffidenza fra il pontefice e i collegati. Il Lautrech sul Tronto; accordi fra il re di Francia e quello d’Inghilterra restio a portare la guerra in Fiandra. Sfida dei re di Francia e d’Inghilterra a Cesare. Desiderio del re d’Inghilterra che sia annullato il matrimonio suo con Caterina d’Aragona e sue richieste al pontefice. Atteggiamento del pontefice.
Dove Lautrech, stimolato dal suo re ma molto più dal re di Inghilterra, poiché cominciò a indebolire la speranza della pace, era il nono dì di gennaio partito da Bologna, indirizzandosi al reame di Napoli per il cammino della Romagna e della Marca; cammino eletto da lui, dopo molta consultazione, contro alla instanza del pontefice, desideroso, con l’occasione della passata sua, di fare rimettere in Siena Fabio Petrucci e il Monte de’ nove : e contro alla instanza ancora de’ fiorentini, i quali, per fuggire i danni del loro paese, e nondimeno perché quello esercito fusse più pronto a soccorrergli se gli imperiali, per fare diversione, si movessino per assaltare la Toscana, approvavano il cammino della Marecchia. Ma Lautrech elesse di entrare più tosto per la via del Tronto nel regno di Napoli, per essere cammino più comodo a condurre l’artiglierie e più copioso di vettovaglie, e per non dare occasione agli inimici di fare testa1 a Siena o in altro luogo; desiderando di entrare, innanzi che avesse alcuno ostacolo, nel regno di Napoli.
Ma come fu mosso da Bologna, Giovanni da Sassatello restituì la rocca di Imola al pontefice, la quale quando era prigione aveva occupata; e accostandosi dipoi a Rimini, Sigismondo Malatesta figliuolo di Pandolfo si convenne seco di restituire quella città al pontefice, con patto che fusse obligato a lasciare godere alla madre2la dota, a dare seimila ducati alla sorella non maritata3 e a consegnare, tra ’l padre e lui, ducati duemila di entrata; partisse subito di Rimini Sigismondo, e vi restasse il padre insino a tanto che il pontefice avesse ratificato, e in questo mezzo stesse la rocca in mano di Guido Rangone suo cugino4; il quale, condotto agli stipendi del re di Francia, seguitava Lautrech alla guerra. Ma differendo il pontefice a adempiere queste promesse, Sigismondo occupò di nuovo la rocca, non senza querela grave del pontefice contro a Guido Rangone, come se tacitamente l’avesse permesso, né senza sospetto ancora che non vi avessino consentito Lautrech e i viniziani, come5 desiderassino tenerlo in continue difficoltà: i viniziani per causa di Ravenna, la quale avendo il pontefice, subito che fu liberato di Castello, mandato l’arcivescovo sipontino6 a dimandare a quel senato, aveva riportato risposta generale, con rimettersi a quello che gli esporrebbe Gaspare Contareno eletto oratore a lui; perché se bene avessino prima affermato che la ritenevano per la7 sedia apostolica, nondimeno aveano totalmente l’animo alieno dal restituirla, mossi dallo interesse pubblico e dallo interesse privato; perché quella città era molto opportuna8 ad ampliare lo imperio in Romagna, fertile da se stessa di frumenti, e per la fertilità delle terre vicine dava opportunità grande a condurne ciascuno anno in Vinegia, e perché molti viniziani avevano in quel territorio ampie possessioni. Sospettava dell’animo di Lautrech: perché avendo Lautrech, oltre a molte instanze fattegli prima, mandato, da poi che era partito da Bologna, Valdemonte capitano generale di tutti i fanti tedeschi e Longavilla9, a ricercarlo strettissimamente che si dichiarasse contro a Cesare, potendo, massime per l’approssimarsi l’esercito, farlo sicuramente, non aveva potuto ottenerlo, non lo denegando il pontefice espressamente ma differendo e escusando; per la quale cagione aveva offerto al re di Francia di consentirvi, ma con condizione che i viniziani gli restituissino Ravenna : condizione quale sapeva non dovere avere effetto, non essendo i viniziani per muoversi a questo per le persuasioni del re, né comportando il tempo che egli, per sodisfare al pontefice, se gli provocasse inimici. Aggiugnevasi che anche non udiva la instanza di Lautrech fatta perché ratificasse la concordia fatta col duca di Ferrara, allegando essere cosa molto indegna lo approvare, quando era vivo, le convenzioni fatte in nome suo mentre che era morto; ma che non recuserebbe di convenire con lui: donde il duca di Ferrara, pigliando questa occasione, faceva difficoltà, benché ricevuto nella protezione del re di Francia e de’ viniziani, mandare a Lautrech i cento uomini d’arme e di pagargli i danari promessi; come quello che, dubitando dell’esito delle cose, si sforzava di non aderire tanto al re di Francia che non gli restasse luogo10 di placare in qualunque evento l’animo di Cesare, appresso al quale si era escusato della sua necessità; e intratteneva11 continuamente a Ferrara Giorgio Fronspergh e Andrea de Burgo.
Procedeva nondimeno innanzi Lautrech con l’esercito, col quale arrivò il decimo dì di febbraio in sul fiume del Tronto, confine tra lo stato ecclesiastico e il regno di Napoli. Ma in Francia il re, intesa la retenzione12 del suo imbasciadore, messe quello di Cesare nel castelletto13 di Parigi, e ordinò che per tutta Francia fussino ritenuti14 i mercatanti sudditi di Cesare. Il medesimo in quanto allo oratore di Cesare fece il re di Inghilterra; benché, inteso dipoi il suo non essere stato ritenuto, lo liberò. Ed essendo già bandita la guerra in Francia in Inghilterra e in Spagna, instava il re in Inghilterra che si rompesse comunemente la guerra in Fiandra; alla quale egli per dare principio, aveva fatto correre e predare alcune sue genti in sul paese della Fiandra: non si facendo per questo da qnegli di Fiandra movimento alcuno se non per difendersi; perché madama Margherita15, sforzandosi quanto poteva di estinguere le occasioni di entrare in guerra col re di Francia, non permetteva che gli uomini suoi uscissino del suo paese. Ma al re di Inghilterra era anche molestissimo l’avere la guerra co’ popoli di Fiandra: perché, non ostante che acquistandosi certe terre promessegli prima da Cesare, per sicurtà de’ danari prestati, avessino a essere consegnate a lui, nondimeno e alle entrate sue e al suo regno era di molto pregiudizio lo interrompere il commercio de’ suoi mercatanti in quella provincia; ma non potendo per le convenzioni fatte, apertamente recusarlo, differiva quanto poteva, allegando che, secondo i capitoli di quella obligazione, gli era lecito tardare quaranta dì dopo la intimazione fatta, per dare tempo a’ mercatanti di ritirarsi. La quale sua volontà e la cagione essendo conosciuta dal re cristianissimo, dopo avere trattato insieme di assaltare, in luogo della guerra di Fiandra, con armate marittime le marine della Spagna, affermando il re di Francia avere intelligenza16 in quelle parti17. Le quali cose partorirono finalmente che, il re d’Inghilterra, avendo mandato in Francia il vescovo batoniense18 per persuadere a lasciare le imprese di là da’ monti e a crescere le forze e la guerra d’Italia, per consigli e conforti suoi si [convenne] che, per tempo di otto mesi prossimi, si levassino le offese tra il re di Francia il re di Inghilterra e il paese di Fiandra, con gli altri stati circostanti sottoposti a Cesare: alla quale [tregua] perché il re di Francia condiscendesse più facilmente si obligò il re di Inghilterra a pagare, ogni mese, trentamila ducati per la guerra di Italia, per la quale era finita la contribuzione promessa prima per sei mesi.
Ma così come continuamente si accrescevano le preparazioni alla guerra si accendevano molto più gli odii tra i prìncipi, pigliando qualunque occasione di ingiuriarsi e di contendere, non meno con l’animo e con la emulazione che con l’armi. Perché avendo Cesare, circa due anni innanzi, in Granata, in tempo che similmente si trattava la pace tra il re di Francia e lui, detto al presidente di Granopoli oratore del re di Francia certe parole le quali inferivano19 che, volentieri, acciò che delle differenze20, loro non avessino a patire più i popoli cristiani e tante persone innocenti, le diffinirebbe seco con battaglia singolare21, e dipoi replicate all’araldo, quando ultimatamente gli aveva intimata la guerra, le parole medesime, aggiugnendogli, di più, il suo re essersi portato bruttamente22 a mancargli della fede data, il re di Francia, avendo intese queste parole, e parendogli di non potere senza sua igniminia passarle con silenzio, ancora che la richiesta di Cesare fusse richiesta forse più degna tra cavalieri che tra tali prìncipi, convocati il vigesimo settimo dì di marzo in una grandissima sala del palazzo suo (credo di Parigi) tutti i prìncipi tutti gli imbasciadori e tutta la corte, nella quale presentatosi dipoi lui con grandissima pompa di vestimenti ricchissimi e di molto ornata compagnia, e postosi a sedere nella sedia regale, fece chiamare l’oratore di Cesare23: il quale, perché si era determinato che, condotto a Baiona, fusse liberato nel tempo medesimo che fussino liberati gli imbasciadori de’ confederati, i quali per questo si conducevano a Baiona, dimandava di espedirsi24 da lui. Parlò il re scusandosi che principalmente Cesare, per avere con esempio nuovo e inumano ritenuto gli imbasciadori suoi e de’ suoi collegati, era stato causa che anche egli fusse ritenuto; ma che dovendo ora andare a Baiona, perché in un tempo medesimo si facesse la liberazione di tutti, desiderava portasse a Cesare una sua lettera ed esponesse una ambasciata di questo tenore : che avendo Cesare detto allo araldo che egli aveva mancato alla sua fede, aveva detto cosa falsa e che tante volte mentiva quante volte lo replicava; e che in luogo di risposta, per non tardare la diffìnizione delle loro differenze, gli mandasse25 il campo dove avessino tutti due insieme a combattere. E ricusando lo imbasciadore di portare e la lettera e la imbasciata, soggiunse che gli manderebbe, a fare intendere il medesimo, l’araldo; e che sapendo anche che aveva detto parole contro all’onore del re di Inghilterra suo fratello, non parlava di questo perché sapeva quel re essere bastante a difenderlo, ma che, se per indisposizione del corpo fusse impedito, che offeriva di mettere al cimento la sua persona per lui. La medesima disfida fece, pochi dì poi, con le medesime solennità e cerimonie, il re d’Inghilterra: non passando26 però con molto onore de’ primi prìncipi della cristianità che, avendo insieme guerra tanto importante e di tanto pregiudizio a tutta la cristianità, implicassino anche l’animo in simili pensieri.
E nondimeno, in tanto ardore di guerra e d’armi, non si divertiva27 il re di Inghilterra dalle cure amatorie : le quali, cominciando a empiere il petto suo di furore, partorirono in ultimo crudeltà e sceleratezze orrende e inaudite; con infamia grandissima e eterna del nome suo, che acquistato da Leone il titolo di difensore della fede28 per29 dimostrarsi osservantissimo della sedia apostolica, e per avere fatto scrivere in nome suo uno libro contro alla empietà e velenosa eresia di Martino Luter30, acquistò titolo e nome di empio oppugnatore e persecutore della cristiana religione. Aveva per moglie il re d’Inghilterra Caterina figliuola già di Ferdinando e di Elisabella, re di Spagna, regina certamente degna di tali genitori, e che per le virtù e prudenza sua era in sommo amore e venerazione appresso a tutto quel regno : la quale, vivente Enrico padre suo, era stata prima maritata ad Artù figliuolo suo primogenito31, col quale poi che ebbe dormito, restata vedova per la immatura morte del marito, fu di comune consentimento del padre e del suocero maritata a Enrico minore fratello, precedente, per l’impedimento della affinità tanto stretta, la dispensazione di Giulio pontefice. Del quale matrimonio essendone nato uno figliuolo maschio, che con immatura morte fu tolto loro, non ne nacque altri figliuoli che una figliuola femmina32 : sussurrando già, massime alcuni per la corte, che, per essere il matrimonio illecito e non dispensabile in primo grado33, erano miracolosamente privati di figliuoli maschi. Da che e dal desiderio che sapeva avere il re di figliuoli, presa occasione il cardinale eboracense, cominciò a persuadere al re che, ripudiata la prima moglie che giustamente non era moglie, contraesse un altro matrimonio: movendolo a questo non la coscienza, né la cupidità per se stessa che il re avesse successori maschi, ma il persuadersi di potere indurre il re a pigliare Renea figliuola del re Luigi; il che desiderava estremamente, perché, conoscendo essere esoso a tutto il regno, desiderava di prepararsi a tutto quello che potesse succedere e in vita e dopo la morte del re; e inducendolo anche l’odio grande che aveva conceputo contro a Cesare, perché né con dimostrazioni né con fatti sodisfaceva alla maravigliosa sua superbia : né dubitava, per l’autorità grande che avevano il re ed egli nel pontefice, di non ottenere da lui la facoltà di fare giuridicamente il divorzio. Prestò gli orecchi il re a questo consiglio, non indotto a quel fine che disegnava Eboracense ma mosso, come molti dissono, non tanto dal desiderio di avere figliuoli quanto perché era innamorato di una donzella della regina34, nata di basso luogo, la quale inchinò l’animo a pigliare per moglie; non essendo né a Eboracense né ad altri noto questo suo disegno, il quale quando cominciò o a scoprirsi o a congettuarsi non ebbe facoltà Eboracense di dissuadergli il fare divorzio, perché non arebbe avuto autorità a consigliargli il contrario di quello che prima gli aveva persuaso: e già il re, avendo dimandato parere da teologi da giureconsulti e da religiosi, aveva avuto risposta da molti che il matrimonio non era valido, o perché così credessino o per gratificare, come è costume degli uomini, al principe. Però, come il pontefice fu liberato di prigione, gli destinò imbasciadori per confortarlo a entrare nella lega, per operarsi35, secondo che da lui fusse ordinato loro, per la restituzione di Ravenna, ma principalmente per ottenere la facoltà di fare il divorzio : che non si cercava per via di dispensa, ma per via di dichiarazione che il matrimonio con Caterina fusse nullo. E si persuase il re che il pontefice, per trovarsi debole di forze e di riputazione né appoggiato alla potenza di altri prìncipi, e mosso ancora dal benefizio fresco de’ favori grandi avuti da lui per la sua liberazione, avesse facilmente a consentirgli; sapendo massime che il cardinale, per avere favorito sempre le cose sue e prima quelle di Lione, poteva molto in lui: e acciò che il pontefice non potesse allegare scusa di timore per la offesa che ne risultava a Cesare, figliuolo d’una sorella di Caterina, e per allettarlo con questo dono, offerse pagargli per sua sicurtà una guardia di quattromila fanti. Udì il pontefice questa proposta; ma ancora che considerasse la importanza della cosa e la infamia grande che gliene potesse risultare, nondimeno trovandosi a Orvieto, e neutrale ancora tra Cesare e il re di Francia e in poca confidenza con36 ciascuno di loro, e però stimando assai il conservarsi l’amicizia del re d’Inghilterra, non ebbe ardire di contradire a questa dimanda; anzi, dimostrandosi desideroso di compiacere al re ma allungando37, col diffidiltare i modi che si proponeva, accese la speranza e la importunità del re e de’ suoi ministri, la quale, origine di molti mali, continuamente augumentava.
Ma quando il pontefice ebbe udito Valdemonte e Longavilla, il quale gli era stato mandato dal re [di Francia], risposto a loro parole generali, mandò al re insieme con Longavilla il vescovo di Pistoia, per farlo capace38 che, per l’essere senza danari senza forze e senza autorità, la dichiarazione sua non sarebbe di frutto alcuno a’ collegati; potergli solamente giovare nel trattare la pace, e che però aveva commissione di andare a Cesare per esortamelo con parole rigorose: il che il re, benché non restasse male sodisfatto della neutralità del pontefice, nondimeno, dubitando non lo mandasse per trattare altro, non consentì. Né Cesare anche si lamentava del pontefice se stava neutrale.
1. fare testa: raccogliersi per opporre resistenza.
2. Violante di Giovanni Bentivoglio.
3. Ginevra.
4. Figlio di Niccolò Rangoni e di Bianca di Giovanni Bentivoglio.
5. come: come se.
6. Giovanni Maria Ciocchi Del Monte di Montesansavino.
7. la… la: la tenevano in nome della.
8. opportuna: utile.
9. Louis d’Orléans, duca di Longueville.
10. luogo: possibilità.
11. intratteneva: tratteneva.
12. la retenzione: l’arresto.
13. Châtelet.
14. ritenuti: imprigionati.
15. Margherita d’Asburgo, governatrice di Fiandra.
16. intelligenza: intesa.
17. Il periodo rimane sospeso, perché manca la proposizione reggente.
18. John Clerk, cancelliere, vescovo di Bath e di Wells.
19. inferivano: lasciavano intendere.
20. differenze: controversie.
21. con… singolare: in duello.
22. portato bruttamente: comportato disonorevolmente.
23. Nicolas Perrenot, signore di Granvelle.
24. espedirsi: congedarsi.
25. mandasse: comunicasse.
26. non passando: non accadendo.
27. divertiva: distoglieva.
28. Nel 1520.
29. per: ha valore causale.
30. Asserito septem sacramentorum contra Martinum Lutherum.
31. Arthur, principe di Galles, morto nel 1502.
32. Maria.
33. non… grado: non autorizzabile da nessuna dispensa, data la parentela di primo grado tra i due.
34. Anne Boleyn.
35. operarsi: adoperarsi.
36. in… con: fidandosi poco di.
37. allungando: tirando per le lunghe.
38. farlo capace: convincerlo.
CAPITOLO XVII
Difficoltà delle armate alleate; cause di malcontento del Doria e dei genovesi verso il re di Francia. Progressi delle milizie di terra; deficienza di danari; occupazione dell’ Abruzzi. Partenza delle milizie imperiali da Roma; condizioni della città. L’esercito dei collegati in Puglia. Azioni di guerra; presa di Melfi. Il papa a Viterbo; occupazione dei castelli già appartenenti a Vespasiano Colonna.
Ma nel tempo che Lautrech andava innanzi, e che era destinato che l’armate1 facessino il medesimo, si opponevano a questo molte difficoltà. Perché le dodici galee viniziane che prima si erano ridotte a Livorno, avendo patito molto nella impresa di Sardigna, e per i travagli del mare e per la carestia delle vettovaglie, partirono il decimo dì di febbraio da Livorno per andare a Corfù a rifornirsi: benché i viniziani promettevano mandarne in luogo loro dodici altre, per unirsi con l’armata franzese. La quale anche aveva delle difficoltà, per quello che aveva patito e per le differenze2 nate tra Andrea Doria e Renzo da Ceri; per le quali, benché Renzo si fusse fermato in Pisa ammalato, si trattava che il Doria, il quale con tutte le galee aveva toccato a Livorno, andasse con le sue galee a Napoli, Renzo con l’altre franzesi, con quattro di fra Bernardino3 e con le quattro de’ viniziani, che tutte erano insieme, assaltasse la Sicilia : ma il Doria, con le otto sue galee e otto altre dell’armata del re di Francia, si ritirò a Genova, allegando essere necessario e alle galee e a lui concedere riposo; o perché questa fusse veramente la cagione, o perché gli interessi delle cose di Genova4 gli inclinassino già l’animo a nuovi pensieri. Con ciò sia che, avendosi a Genova dimandato al re che concedesse loro che si governassino liberamente da se stessi, offerendogli per il dono della libertà dugentomila ducati, e avendolo il re recusato, si credeva che al Doria, autore o almeno confortatore5 che facessino queste dimande, non fusse grato6 che il re acquistasse la Sicilia se la libertà non si concedeva a’ genovesi. E pullulava7 anche un’altra causa importante di controversia : perché, avendo il re smembrato la città di Savona da’ genovesi, si dubitava che, voltandosi infra non molto tempo, per il favore del re e per la opportunità del sito, a Savona la maggiore parte del commercio delle mercatanzie, e quivi facendo scala l’armate regie, quivi fabricandosi i legni per lui, Genova non si spogliasse di frequenza8 d’abitatori e di ricchezze : però il Doria si affaticava molto col re che Savona fusse rimessa nella antica subiezione de’ genovesi9.
Ma con maggiore felicità che le espedizioni marittime procedevano le cose di Lautrech : il quale, come fu arrivato ad Ascoli, inviò Pietro Navarra co’ suoi fanti alla volta dell’Aquila; essendosi già, alla fama della sua venuta, arrenduti Teramo e Giulianuova. Seguitavalo, per la via della Lionessa, il marchese di Saluzzo con le sue genti; e più addietro cento cinquanta cavalli leggieri e quattromila fanti delle bande nere de’ fiorentini, con Orazio Baglione. Avevono anche i viniziani promesso mandargli, senza la persona del duca d’Urbino, quattrocento cavalli leggieri e quattromila fanti, delle genti le quali avevano in terra di Roma; e, in supplemento delle altre con le quali erano obligati di aiutare la guerra del regno di Napoli, si erano convenuti di pagargli ciascuno mese ventitremila ducati; e affermavano che, con l’armata disegnata per la impresa della Sicilia, arebbono in mare trentasei legni; e nondimeno apparendo manifestamente che erano stracchi, procedevano molto lentamente allo spendere. Come similmente era il re di Francia; perché a Lautrech, in questo tempo, vennono avvisi che l’assegnamento10 fattogli dal re, quando partì di Francia, di cento trentamila scudi il mese per le spese della guerra, e del quale aveva ancora a riscuoterne circa dugentomila, era stato ridotto, né11 per più che per tre mesi futuri, solamente a ragione di12 sessantamila scudi il mese: di che era in grandissima disperazione, lamentandosi che il re non si commovesse né dalla ragione né dalla fede né dalla memoria ed esempio del danno proprio; perché diceva che l’avere voltato il re i denari e le forze che avevano a servire a lui, per la difesa del ducato di Milano, alla impresa di Fonterabia13 era stato cagione di fargli perdere quello stato. Succedette la cosa dell’Aquila felicemente : perché, come Pietro Navarra, il quale Lautrech vi aveva mandato insino da Fermo, vi si accostò, il principe di Melfi14 se ne partì, e vi entrò in nome del re di Francia il vescovo della città, figliuolo del conte di Montorio15. Occuporono per accordo e i fanti tedeschi de’ viniziani16 Civitella, piccola terra ma forte, posta di là dal Tronto sette miglia; prevenuti dugento archibusieri spagnuoli i quali camminavano per entrarvi dentro. Seguitò l’esempio della Aquila tutto lo Abruzzi; e arebbe fatto il simigliante, in brevissimo tempo, tutto il reame di Napoli se l’esercito imperiale non fusse uscito di Roma.
Il quale, dopo molte difficoltà e molti tumulti, nati perché i soldati dimandavano di essere pagati del tempo corso dopo la liberazione del pontefice, uscì di Roma il decimosettimo dì di febbraio; dì di grandissimo respiramenro alle miserie tanto lunghe del popolo romano se, subito dopo la partita loro, non vi fussino entrati l’abate di Farfa e altri Orsini co’ villani delle terre loro, i quali vi feciono per molti dì gravissimi danni. Restò Roma spogliata, dall’esercito, non solo di una parte degli abitatori, con tante case desolate e distrutte, ma eziandio spogliata di statue di colonne di pietre singolari e di molti ornamenti della antichità; e nondimeno, non volendo partire i tedeschi senza i danari di due paghe, perché gli spagnuoli consentirono di uscirne senza altro pagamento, fu necessitato il pontefice, desideroso che Roma restasse vacua, pagare prima ventimila ducati, i quali pagò sotto colore17 di liberare i due cardinali statichi18, e poi ventimila altri ne riceverono sotto nome del popolo romano; dubitandosi che anche questi non fussino pagati dal pontefice, ma sotto questo nome per dare minore causa di querelarsi a Lautrech : il quale nondimeno si querelò gravissimamente che, co’ danari suoi, fusse stato cagione della partita da Roma dell’esercito, per la quale la vittoria manifestissima si riduceva agli eventi dubbi della guerra. Uscirono, secondo che è fama, di Roma mille cinquecento cavalli quattromila fanti spagnuoli dumila in tremila19 fanti italiani e cinquemila fanti tedeschi, tanti di questi aveva diminuiti20 la pestilenza.
La partita dell’esercito imperiale da Roma costrinse Lautrech, il quale altrimenti sarebbe andato per il cammino più diritto verso Napoli, a pigliare il cammino più lungo di Puglia a canto alla marina, per la difficoltà di condurre l’artiglierie, se avesse avuto in quegli luoghi l’opposizione degli inimici, per la montagna; e molto più per fare provisione di vettovaglie, acciò che non gli mancassino se fusse necessitato fermare il corso della vittoria alle mura di Napoli. Però venne a Civita di Chieta21, capo22 dello Abruzzi citra (perché il fiume di Pescara divide lo Abruzzi citra dallo Abruzzi ultra), dove se gli erano date Sermona e molte altre terre del paese, e con tanta inclinazione, o per l’affezione al nome de’ franzesi o per l’odio a quello degli spagnuoli, che quasi tutte le terre anticipavano a darsi venticinque o trenta miglia innanzi alla giunta dello esercito. Procedeva nondimeno più lentamente di quello arebbe potuto, per andare innanzi con maggiore stabilità e sicurezza; e si credeva che, per assicurarsi di riscuotere per tutto marzo l’entrata della dogana di Puglia23, entrata di ottantamila ducati la quale consisteva in cinque terre, v’avesse a mandare Pietro Navarra co’ suoi fanti, per la stranezza24 del quale, essendo Lautrech necessitato a comportarla25, non era nello esercito molto ordine. Ma essendo partito dal Guasto26, e inteso che una parte dell’esercito inimico, col quale si era unito il principe di Melfi con mille fanti tedeschi, di quegli che aveva menati di Spagna don Carlo viceré27, e con dumila fanti italiani usciti della Aquila, era venuta a Nocera28, lontana quaranta miglia da Termini29 verso la marina, e un’altra a Campobasso, lontana trenta miglia da Termini in sul cammino proprio di Napoli, mandato innanzi Pietro Navarra co’ suoi fanti, egli l’ultimo dì di febbraio andò alla Serra30, lontana diciotto miglia da Termini, donde il quarto dì di marzo arrivò a San Severo. Ma Pietro Navarra, procedendo innanzi, entrò l’uno dì in Nocera e l’altro dì in Foggia, entrando per una porta quando gli spagnuoli, che si erano ritirati a Troia, Barletta e Manfredonia, volevano entrarvi per l’altra: che giovò assai per le vettovaglie dell’esercito. Erano con Lautrech in tutto quattrocento lancie e dodicimila fanti, né di gente molto eletta; ma dovevansi unire seco il marchese di Saluzzo, il quale camminava innanzi a tutti, le genti de’ viniziani e le bande nere de’ fiorentini, desiderate molto da Lautrech perché, avendo fama di essere fanteria destra e ardita agli assalti quanto31 fanteria che allora fusse in Italia, facevano come uno condimento [al suo esercito], nel quale erano genti ferme e stabili a combattere. Ma inteso, per relazione di Pietro Navarra mandato da lui a speculare32 il sito, che in Troia e all’intorno erano cinquemila alamanni cin quemila spagnuoli e tremila cinquecento italiani, e tra Manfredonia e Barletta mille cinquecento italiani, né potendosi per i freddi grandissimi stare in campagna33, Lautrech, agli otto dì di marzo, andò a Nocera con tutti i fanti e cavalli leggieri, e il marchese di Saluzzo34 nuovamente35 arrivato messe con le genti d’arme e con mille fanti in Foggia; affermando di volere fare, se la occasione si presentava, la giornata36, e per altre ragioni e perché, essendogli stati diminuiti dal re gli assegnamenti, non poteva sostentare molto tempo le spese della guerra: e in San Severo lasciò gl’imbasciadori e le genti non atte alla guerra, con poca guardia. Così gli pareva stare sicuro né essere necessitato a fare giornata se non con vantaggio. Né gli mancavano vettovaglie, benché si pativa di macinato. Uscì dipoi, a’ dodici dì di marzo, in campagna, tre miglia di là da Nocera e cinque miglia presso a Troia, perché Nocera e Barletta distanti intra sé dodici miglia distano non più che otto miglia da Troia; e gli imperiali, i quali avevano raccolte quasi tutte le genti che erano in Manfredonia e in Barletta, ma non pagate eccetto i fanti tedeschi, e che in Troia aveano copia di vettovaglie, uscirono a scaramucciare: dipoi il dì seguente si messeno in campagna, senza artiglieria, in uno alloggiamento forte in su il colle di Troia. Lautrech, a’ quattordici dì, girò37 quello colle dalla banda di sopra che risguarda mezzo dì verso la montagna, e voltando il viso a Troia cominciò a salire, e guadagnato il poggio con grossa scaramuccia fece uno alloggiamento cavaliere a loro38, e gli costrinse a colpi di artiglierie a ritirarsi, guadagnando per sé lo alloggiamento loro, parte in Troia parte a ridosso: in modo che Troia e lo esercito imperiale restorono tra l’esercito franzese e San Severo, il che difficultava i soccorsi che e’ potessino avere da Napoli e anche in grande parte impediva le vettovaglie che potessino condursi a loro; benché, per essere scarichi di bagaglie e di gente inutile, non consumassino molto. E da altra parte erano impedite da essi le vettovaglie che andavano da San Severo al campo franzese; e anche tenevano in pericolo San Severo, il quale potevano assaltare con una parte delle loro genti senza che i franzesi se ne accorgessino.
Così stando alloggiati gli eserciti, i franzesi di là da Troia di verso la montagna, gl’imperiali dalla banda di qua verso Nocera a ridosso della terra, in su la spiaggia molto fortificata, ed essendo la più parte de’ luoghi circostanti in mano de’ franzesi, dimororono così insino a’ diciannove dì, dandosi tutta notte all’arme e ogni dì facendo scaramuccie, in una delle quali fu preso Marzio Colonna; e interrompendo39 spesso le vettovaglie che andavano da San Severo e da Foggia allo esercito franzese (che per questo ebbe qualche stretta)40, né si potevano condurre senza grossa scorta. Nel quale tempo (secondo scrive il Borgia41), il marchese del Guasto consigliò che si facesse la giornata, perché l’esercito franzese cresceva ogni giorno e il loro diminuiva; ma ebbe più autorità il. consiglio di Alarcone, che mostrava essere più speranza nella vittoria nel stare alla difesa, consumando tempo, che nel rimettersi allo arbitrio della fortuna. A’ diciannove dì42, gli imperiali, per essere danneggiati dall’artiglieria inimica, si ritirorono in Troia; ma riparato poi il loro alloggiamento dalla artiglieria, al tempo buono vi ritornavano, al sinistro si ritornavano in Troia. Ma a’ ventuno, in su il fare del dì, si levorono, e andorono verso la montagna ad Ariano con non piccola giornata43, ed essendosi, contro a quello che prima credevano i franzesi, trovate in Troia vettovaglie assai, da che, per avere serrato i passi da condurle, s’erano promessi vanamente la vittoria, si interpretavano fussino levati o per volergli tirare in luogo dove patissino di vettovaglie o per avere inteso che il dì seguente si aspettavano nel campo franzese le bande nere : le quali, nel venir innanzi, essendo alloggiate per transito nell’Aquila, aveano, senza essere stati o ingiuriati o provocati ma meramente per cupidità di rubare, saccheggiata sceleratamente quella città. A’ ventidue, Lautrech alloggiò alla Lionessa in su il fiume dello Ofanto, detto da’ latini Aufido, lontano sei miglia da Ascoli44, mandate le bande nere, e Pietro Navarra co’ fanti suoi e con due cannoni, alla oppugnazione45 di Melfi; dove, avendo fatto piccola rottura46; i guasconi s’appresentorono alle mura e le bande nere con maggiore impeto, contro all’ordine de’ capitani, feciono il medesimo : e facendo l’una nazione a gara con l’altra, battendogli gli archibusi de’ fianchi47, furono ributtati, con morte di molti guasconi e di circa sessanta delle bande nere. Ed ebbeno la sera medesima un’altra battitura quasi eguale, essendo tornati al tardi, poiché era stata continuata la batteria, a dare un altro assalto. Ma la notte venneno in campo nuove artiglierie da Lautrech, con le quali avendo la mattina seguente fatte due batterie grandi, i villani, che ne erano dentro molti, cominciorono per paura a tumultuare. Per timore del quale tumulto occupati i soldati, che erano circa seicento, abbandonorono la difesa; donde quegli del campo entrati dentro ammazzorono tutti i villani e gli uomini della terra. Ritiroronsi i soldati nel castello, col principe; e poco poi si arrenderono, secondo disseno quegli del campo, a discrezione48, benché essi pretendessino esserne eccettuata la vita. Fu salvato il principe con pochi de’ suoi, gli altri tutti ammazzati, saccheggiata la terra e morti in tutto tremila uomini. Nella quale si trovò vettovaglie assai, con grandissimo comodo49 de’ franzesi che avevano, per le loro male provisioni, somma necessità in Puglia di quello di che vi è somma abbondanza. A’ ventiquattro, gli spagnuoli partirono da Ariano e si fermorono alla Tripalda, lontana venticinque miglia da Napoli in su il cammino diritto, e quaranta miglia da l’Ofanto : co’ quali si unì il viceré il principe di Salerno e Fabbrizio Maramaus, con tremila fanti e con dodici pezzi di artiglieria; e si diceva che Alarcone usciva di Napoli con dumila fanti, per soccorrere la dogana. Soprastava nondimeno Lautrech in su l’Ofanto, per fare prima grossa provisione di vettovaglie; e tutta la gente sua era alloggiata tra Ascoli e Melfi : e dopo il caso di Melfi se gli erano date Barletta, Trani e tutte le terre circostanti, eccetto Manfredonia, dove erano mille fanti : donde mandato Pietro Navarra con quattromila fanti a combattere la rocca di Venosa, guardata da dugento cinquanta fanti spagnuoli che la difendevano gagliardamente, l’ottenne a discrezione; e ritenuti prigioni i capitani, licenziò gli altri senza armi. E aveva dato ordine tale50 che per lui si riscoteva l’entrata della dogana di Puglia, ma per gli impedimenti che dà la guerra non ascendeva alla metà di quello che era consueto riscuotersi. In questo alloggiamento arrivò il proveditore Pisani con le genti de’ viniziani, che furno in tutto circa dumila fanti (ma non so se i lanzi loro, che erano circa mille, si computino in questo numero o se pure erano prima con Lautrech, come credo). Così attendeva ad assicurarsi delle vettovaglie: di che ebbe più facilità poi che, per opera delle genti viniziane, ebbe Ascoli in suo potere.
Nel quale tempo, preso animo dalla prosperità de’ successi, strigneva con parole alte51 il papa a dichiararsi. Il quale, se bene prima i viterbesi, per opera di Ottaviano degli Spiriti, non avevano voluto ricevere il suo governatore, nondimeno, avendo poi per timore ceduto, aveva trasferita la corte a Viterbo. Ed essendo nel tempo medesimo morto Vespasiano Colonna, e disposto nella sua ultima volontà che Isabella, sua unica figliuola52, si maritasse a Ippolito de’ Medici, il pontefice occupò tutte le castella che possedeva in terra di Roma : benché Ascanio pretendesse che, mancata la linea mascolina di Prospero Colonna, appartenessino a lui.
1. l’armate: le flotte.
2. differenze: discordie.
3. Probabilmente Bernard d’Ornesan, abate di Nisors e di Feuillans.
4. gli… Genova: l’interesse che aveva a prendere il potere in Genova.
5. confortatore: sostenitore, favorevole.
6. grato: gradito.
7. pullulava: emergeva.
8. frequenza: abbondanza.
9. nell’antica… genovesi: sotto il potere di Genova, come era stata anticamente.
10. l’assegnamenio: lo stanziamento.
11. né: e non sarebbe durato.
12. solamente… di: a soli.
13. Cfr. XV, ix.
14. Giovanni Caracciolo.
15. Giovanfrancesco di Ludovico Franchi.
16. e… viniziani: anche i fanti tedeschi al servizio dei veneziani.
17. sotto colore: col pretesto.
18. statichi: ostaggi.
19. dumila in tremila: tra i duemila e i tremila.
20. tanti… diminuiti: di tanto questi erano diminuiti per la pestilenza.
21. Chieti.
22. capo: capoluogo.
23. Si tratta della tassa pagata dai pastori che si spostavano dall’Abruzzo alla Puglia.
24. stranezza: indisciplina.
25. comportarla: sopportarla.
26. Vasto.
27. Lannoy.
28. Lucera.
29. Termoli.
30. Serracapriola.
31. quanto: più di ogni.
32. speculare: esplorare.
33. in campagna: in campo aperto.
34. il… Saluzzo: è oggetto di messe.
35. nuovamente: da poco.
36. la giornata: la battaglia campale.
37. girò: aggirò.
38. cavaliere a loro: che era in posizione dominante rispetto a loro (ai nemici).
39. interrompendo: impedendo.
40. stretta; carestia.
41. Girolamo Borgia autore di una Historia de bellis italicis, inedita; il manoscritto che si trova nella biblioteca Marciana di Venezia (XXII, 162) comprende i libri I-XII; quello che si trova nella biblioteca vaticana (Barb. lat. 2621) comprende i libri XIII-XXI. Il passo a cui si riferisce il G. si trova nel libro XIII.
42. 19 marzo 1528.
43. con… giornata: con una lunga tappa, facendo molto cammino in una sola tappa.
44. Ascoli Satriano.
45. alla oppugnazione: all’assalto.
46. rottura: breccia nelle mura.
47. Fianchi erano i bracci di mura muniti di artiglierie che fiancheggiavano i bastioni.
48. a discrezione: senza condizioni.
49. comodo: utilità.
50. E… tale: e aveva predisposto le cose in modo tale.
51. alte: altezzose.
52. Erede di Fondi e di Traietto.
CAPITOLO XVIII
Resa di Monopoli ai veneziani. Il duca di Ferrara invia il figliuolo in Francia per la perfezione del matrimonio. Raccolta di nuove milizie imperiali da inviarsi in Italia; provvedimenti dei collegati per far fronte ad esse. Misserime condizioni e sofferenze dei milanesi; defezione del castellano di Mus. Il Lautrech nella Campania; la flotta dei Doria davanti al porto di Napoli; l’esercito dei collegati sotto le mura della città.
Erasi in questo tempo Monopoli arrenduto a’ viniziani, per i quali1, secondo l’ultime convenzioni fatte col re di Francia, si acquistavano tutti quegli porti del regno di Napoli i quali possedevano innanzi alla rotta ricevuta dal re Luigi nella Ghiaradadda.
Indussono queste prosperità de’ franzesi il duca di Ferrara a mandare il figliuolo in Francia, per la perfezione del matrimonio : il che prima, ricusando eziandio di essere capitano della lega, aveva industriosamente differito.
Ma Cesare, non provedendo con le genti di Spagna a tanti pericoli del regno napoletano, perché da quella parte mandò solamente seicento fanti non molto utili in Sicilia, aveva ordinato che di Germania passassino in Italia, per soccorso di quel reame, sotto il duca di Brunsvich, nuovi fanti tedeschi; i quali si preparavano con tanto maggiore sollecitudine quanto si intendeva essere maggiore, per i progressi di Lautrech, la necessità del soccorso. Alla venuta de’ quali per opporsi, acciò che non perturbasse la speranza della vittoria, fu, con consentimento comune del re di Francia del re di Inghilterra e de’ viniziani, destinato che in Italia passasse, per seguitare i tedeschi se andavano nel reame di Napoli, se non per fare la guerra con le genti de’ viniziani e di Francesco Sforza contro a Milano, Francesco monsignore di San Polo della famiglia di Borbone2, con quattrocento lance cinquecento cavalli leggieri cinquemila fanti franzesi dumila svizzeri e dumila tedeschi: alla spesa del quale esercito, che si disegnava di sessantamila ducati il mese, concorreva il re di Inghilterra con trentamila ducati ciascuno mese. E i viniziani avevano fatto, nel consiglio de’ pregati, decreto di soldare diecimila fanti : aiuto molto incerto e molto lento perché, secondo l’uso loro, non succedeva così presto il soldare al deliberare. Tardava il muoversi, poi che erano soldati; mossi che erano, restava la difficoltà, quasi inestricabile, del passare i fiumi; e ultimamente, il volere mettersi al pericolo di uscire alla campagna3 e lo impedire i passi de’ monti, per l’esperienze passate, era difficile, perché avevano infiniti modi e vie da passare. Però il duca di Ferrara consigliava non si tentasse neanche di combattergli in campagna, per essere gente animosa ed efferata, ma che con uno esercito grosso gli andassino secondando4, per impedire loro le vettovaglie e l’unirsi con le genti che erano in Milano.
Nella quale città, per l’acerbità di Antonio de Leva, era estremità e suggezione miserabile; perché, per provedere a’ pagamenti de’ soldati, aveva tirato in sé5 tutte le vettovaglie della città, delle quali, fatti fondachi6 publichi e vendendole in nome suo, cavava i denari per i pagamenti loro; essendo costretti tutti gli uomini, per non morire di fame, di pagarle a’ prezzi che paresse a lui: il che non avendo la gente povera modo di poterlo fare, molti perivano quasi per le strade. Né bastando anche questi denari a’ soldati tedeschi che erano alloggiati per le case, costrignevano i padroni ogni dì a nuove taglie, tenendo incatenati quegli che non pagavano: e perché, per fuggire queste acerbità e pesi intollerabili, molti erano fuggiti e fuggivano continuamente della città, non ostante l’asprezza de’ comandamenti e la diligenza delle guardie, si procedeva contro agli assenti alle confiscazioni de’ beni; che erano in tanto numero che, per fuggire il tedio dello scrivere, si mettevano in stampa. Ed era stretta7 in modo la vettovaglia che infiniti poveri morivano di fame, i nobili male vestiti e poverissimi; e i luoghi già più frequenti, pieni di ortiche e di pruni. E nondimeno, a chi era autore di tante acerbità e di tanti supplizi succedevano tutte le cose felicemente: perché essendo il castellano di Mus accampatosi a Lecco come soldato della lega, con seicento fanti, e tolte le navi, perché gli spagnuoli che erano in Como non potessino soccorrerlo per la via del lago, Antonio de Leva, chiamati i fanti di Novara, uscito di Milano, si fermò a quindici miglia di Milano co’ tedeschi; ed espugnata la rocca di Olgina8 che è in ripa di Adda, stata presa prima da Mus, mandò Filippo Torniello co’ fanti italiani e spagnuoli a soccorrere Lecco, che è in su l’altra ripa del lago; dove Mus, con aiuti fatti venire da’ viniziani e dal duca di Milano e con artiglieria avuta da’ viniziani, aveva preso tutti i passi e fortificatogli, che per l’asprezza de’ luoghi e de’ monti sono difficili. Ma gl’imperiali, occupato allo oppositu il monte imminente a Lecco, poi che ebbeno fatto pruova invano di passare in più luoghi, sforzorno finalmente dove, le genti de’ viniziani guardavano; le quali Mus, o per confidare manco nella virtù loro o per mettergli in manco pericolo, aveva posto ne’ luoghi più aspri. Però Mus, con l’artiglieria e co’ suoi salito in su le navi, salvò la gente; non stando senza sospetto che i viniziani avessino fatto leggiera difesa per gratificare9 al duca di Milano, al quale non piaceva che egli pigliasse Lecco: e poco poi, per conseguire con la concordia quello che non aveva potuto conseguire con l’armi, passato nelle parti imperiali, ebbe, per virtù dell’accordo, Lecco e altri luoghi da Antonio de Leva, ottenuto anche da Ieronimo Morone, che per lettere era stato autore di questa pratica, la cessione delle sue ragioni. Dal quale accordo ebbe Antonio de Leva, nella strettezza della fame, grandissima comodità di vettovaglie e di danari; perché il castellano, il quale aspirando a concetti più alti10 assunse poi il titolo di marchese, pagò trentamila ducati, e a Milano mandò tremila sacca di frumento.
Procedeva intanto Lautrech, e a’ tre di aprile era a Rocca Manarda11, lasciati a guardia di Puglia cinquanta uomini d’arme dugento cavalli leggieri mille cinquecento in dumila12 fanti, tutte genti de’ viniziani; dove non si teneva altro che Manfredonia in nome di Cesare. Ma l’esercito imperiale, risoluto di attendere (abbandonato tutto il paese circostante) [a difendere] Napoli e Gaeta, poi che, per tôrre alimenti agli inimici, ebbe saccheggiato Nola e condotto a Napoli le vettovaglie che erano in Capua, alloggiò in sul monte di San Martino, donde di poi entrò in Napoli con diecimila fanti tra tedeschi e spagnuoli, e licenziati tutti i fanti italiani, eccetto secento i quali militavano sotto Fabrizio Maramaus, perché Sciarra Colonna co’ fanti suoi era andato nell’Abruzzi. Restorono in Napoli pochissimi abitatori, perché tutti quegli che avevano o facoltà o qualità si erano ritirati a Ischia a Capri e altre isole vicine: dicevasi esservi frumento per poco più di due mesi, ma di carne e di strami piccola quantità. Arrenderonsi a Lautrech Capua, Nola, l’Acerra, Aversa e tutte le terre circostanti. Il quale dimorò con l’esercito quattro dì alla badia dell’Acerra distante sette miglia da Napoli, essendo proceduto e procedendo lentamente per aspettare le vettovaglie impedite da’ cattivi cammini e dalle pioggie per le quali era la campagna piena d’acqua; bisognandogli provederne quantità grandissima perché era fama che nello esercito suo, secondo la corruttela13 moderna della milizia, fussino più di ventimila cavalli e di ottantamila uomini, i due terzi gente inutile : e di quivi mandò alla impresa della Calavria Simone Romano14, con cento cinquanta cavalli leggieri e cinquecento côrsi, non pagati, venuti del campo imperiale. E già Filippino Doria, con otto galee di Andrea Doria e due navi, venuto alla spiaggia di Napoli, aveva preso una nave carica di grani, e fatto con l’artiglierie sdiloggiare gl’imperiali dalla Maddalena; e benché poco di poi pigliasse due altre navi cariche di grani, e fusse cagione di molte incomodità agli inimici, nondimeno non bastavano le sue galee sole a tenere totalmente assediato il porto di Napoli. Perciò Lautrech sollecitava le sedici galee de’ viniziani che venissino a unirsi con quelle; le quali, dopo essersi lentamente rimesse in ordine a Corfù, erano venute nel porto di Trani : ma esse, benché già si fussino arrendute loro le città di Trani e di Monopoli, preponendo i negozi propri agli alieni, benché dalla vittoria di Napoli dependessino tutte le cose, ritardavano, per pigliare prima Pulignano, Otranto e Brindisi. A’ diciassette, Lautrech a Caviano15, cinque miglia presso a Napoli; e il dì medesimo gl’imperiali che abbondavano di cavalli leggieri, dimostrandosi maggiore la sollecitudine e la diligenza per la negligenza de’ franzesi, tolseno loro le vettovaglie, delle quali pativano; e avevano fortificato Santo Erasmo, posto nella sommità del monte di San Martino, per torlo16 a’ franzesi, essendo cavaliere a Napoli da poterlo danneggiare17 assai con l’artiglieria, e perché, essendo padroni di quel monte, impedivano che quasi alla maggiore parte della città non si potevano accostare i franzesi. A’ quali dette qualche speranza di discordia tra gli inimici l’avere il marchese del Guasto, pure per cause private, ferito il conte di Potenza e ammazzatogli il figliuolo18. A’ ventuno, a Casoria, a tre miglia di Napoli in su la via di Aversa : nel quale dì si scaramucciò sotto le mura di Napoli, e vi fu morto Migliau, quello che aveva accerrimamente contradetto alla liberazione del pontefice; della quale aveva esso medesimo portata la commissione di Cesare a’ capitani. A’ ventidue, a uno miglio e mezzo di Napoli; dove Lautrech proibì lo scaramucciare come inutile : e già se gli era arrenduto Pozzuolo. Finalmente, il penultimo dì di aprile, pervenuto alla città di Napoli, alloggiò l’esercito tra Poggio Reale, palazzo molto magnifico, edificato da Alfonso secondo di Aragona, quando era duca di Calavria19, e il monte di San Martino; distendendosi le genti insino a mezzo miglio di Napoli; la persona sua più innanzi di Poggioreale alla masseria del duca di Montealto20 : nel quale luogo si era fortificato allargandosi verso la via di Capua: alloggiamento fatto in sito molto forte, e dal quale si impediva a Napoli la comodità degli acquedotti che si partono da Poggio Reale; donde disegnava fare poi un altro alloggiamento più innanzi, in sul colle che è sotto il monte di Santo Ermo, per torre più le comodità a Napoli, e molestare di luogo più propinquo la città. Delle quali cose per intelligenza più chiara, pare necessario descrivere il sito della città di Napoli e del paese circostante21.
1. per i quali: da parte dei quali.
2. Francois de Bourbon, signore di Saint-Poi.
3. alla campagna: in campo aperto.
4. secondando: seguendo.
5. tirato in sé; raccolto sotto la propria autorità e amministrazione.
6. fondachi: depositi e centri di vendita.
7. stretta: scarsa.
8. Olginate.
9. gratificare: fare cosa gradita.
10. aspirando… alti: avendo mire più ambiziose, aspirando ad elevare la propria condizione.
11. Grottaminarda.
12. mille cinquecento in dumila: tra i millecinquecento e i duemila.
13. secondo la corruttela: conformemente alla corruzione.
14. Simone Tebaldi Romano, barone napoletano filofrancese.
15. Caivano.
16. per… franzesi: per occuparlo prima che vi arrivassero i francesi.
17. essendo… danneggiare: sovrastando Napoli in modo tale che di lì si poteva danneggiare la città.
18. Antonio di Giovanni di Guevara.
19. Costruito nel 1480 su progetto di Giuliano da Maiano.
20. Ferrante d’Aragona, duca di Montalto e figlio illegittimo di Ferdinando I di Napoli.
21. La descrizione manca nei codici, dove, come dice il Gherardi, furono lasciate per avvertimento dell’autore, quattro carte bianche che avrebbero dovuto contenerla [Nota del Panigada].