Andy Murray ha vinto due volte il torneo di Wimbledon (nel 2013 e nel 2016), una volta gli US Open (2012); e ha vinto la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Londra (2012) e a quelle di Rio de Janeiro (2016). Aveva diciassette anni quando ha vinto gli Us Open Juniores, (2004).
Ma se è riuscito a diventare uno dei protagonisti del tennis mondiale, lo deve (anche) alla velocità con la quale un giorno è andato a nascondersi sotto la cattedra della sua scuola elementare. Quel giorno era il 13 marzo del 1996.
Murray è infatti sopravvissuto a uno dei massacri più orribili avvenuti nel Regno Unito: a morire furono 16 bambini di età compresa tra i cinque e i sei anni, e un insegnante di quarantacinque anni. La strage si consumò nella palestra della Primary School di Dunblane, un piccolo centro della Scozia meridionale. A uccidere delle anime innocenti fu Thomas Hamilton, un ex capo scout finito in disgrazia per le eccessive attenzioni nei confronti dei ragazzini. Dunque, fu una vendetta a scoppio ritardato a scatenare la follia omicida dell’assassino che dopo aver ucciso diciassette volte, si suicidò con un colpo alla testa: aveva covato il desiderio di punire il mondo per ben 22 anni.
La vita non è iniziata proprio benissimo per Thomas Hamilton. Nato nel 1952 a Glasgow (Scozia), non ha mai conosciuto suo padre perché l’uomo se l’è data a gambe lasciando da sola la moglie, cameriera in un albergo. È cresciuto con i genitori adottivi della madre, ma fino a una certa età ha creduto che fossero loro il babbo e la mamma. Non solo: fino a ventidue anni ha pensato pure che la madre biologica fosse la sorella maggiore.
All’apparenza questa confusione non l’ha destabilizzato, ma intimamente deve aver scavato un solco abbastanza profondo. La sua aspirazione è diventare un capo degli scout e alla fine ci riesce. È un tipo strano, sicuramente, ma sembra affidabile. Purtroppo, però, sul suo conto cominciano a circolare voci, alcune delle quali piuttosto allarmanti: in giro si dice che ha l’insano hobby di fotografare i ragazzi seminudi e che rivolga delle attenzioni particolari ai bambini.
Sul suo conto si racconta anche dell’altro e cioè che insegna ai ragazzi come maneggiare le armi. I pettegolezzi si concretizzano quando alla polizia arrivano delle denunce circa i comportamenti strani di Hamilton. Gli investigatori non trovano nessuna prova schiacciante delle sue presunte abitudini sconvenienti, ma probabilmente qualcosa di fondato ci dev’essere. Pur in assenza di elementi che dimostrino in maniera inequivocabile la scorrettezza delle sue abitudini, i vertici dell’organizzazione locale degli scout decidono che è il caso di risolvere il problema alla radice: nel 1974 Thomas Hamilton si vede recapitare una lettera con la quale viene dimesso dall’associazione di cui fa parte, e gli viene inoltre impedito di far parte in futuro di qualsiasi altra aggregazione per ragazzi. L’iniziativa non è condivisa da tutti, non sono pochi quanti lo difendono sostenendo di non aver mai notato nulla di discutibile nel suo modo di relazionarsi con i giovani. Ma oramai non c’è più niente da fare, è stato bollato come un soggetto che non può e non deve avere a che fare con bambini e adolescenti:
Secondo una consigliera comunale locale, Rena Davidson, residente a Dunblane, i genitori s’erano allarmati per le attività di quest’uomo. «Apparentemente», ha detto, «c’era chi diceva che Hamilton ultimamente faceva mettere i bambini a torso nudo, e che gli faceva portare delle sottovesti, e poi li fotografava prima dell’inizio delle gare sportive. Una mamma mi ha detto che i suoi figli erano impauriti nel vederlo», ha aggiunto. La signora Davidson ha anche detto che ci sono testimonianze di altre madri a confermare gli strani comportamenti di Thomas Hamilton. […] Come ha detto un responsabile politico scozzese, la polizia era al corrente delle sue particolari delle attività, altrettanto era informato il consiglio regionale, «ma che nessuno poteva provare nulla e nessuno poteva fare nulla senza prove».
(«L’Unità», 14 marzo 1996)
Per Thomas Hamilton è una botta tremenda che fa esplodere tutte le sue debolezze amplificandole a dismisura. Da quel momento in poi vive una vita che non è la sua, si sente come se gli avessero ingiustamente distrutto un sogno, come se qualcuno lo avesse scippato dell’unica cosa buona che era riuscito a fare nel corso della sua non fortunatissima esistenza. L’autostima si dissolve e ci mette un bel po’ a riprendersi e a ripartire da zero. Quando apre un’attività commerciale per guadagnarsi da vivere, la buonasorte non gli tende una mano, anzi: gli affari vanno male e Hamilton attribuisce la colpa del suo scarso successo alla brutta nomea che si è fatto nel 1974. Non solo: c’è chi lo prende in giro ricordando la storia delle foto ai ragazzi nudi e lui avverte una sensazione di disprezzo che non ha mai smesso di ossessionarlo. Sempre più disperato, tenta di riprendersi ciò che gli hanno strappato, ma è un tentativo che si schianta contro un’etichetta della quale non riesce più a liberarsi:
Nel corso degli anni aveva fatto vari tentativi per essere riammesso nell’organizzazione e successivamente aveva anche messo in piedi un suo gruppo scout, chiamato i Rangers di Stirling, ma anche questa attività era naufragata dopo che alcuni genitori lo avevano accusato di avere fotografato i figli semi nudi. Thomas Hamilton alcuni giorni fa aveva scritto alla Regina sostenendo di essere vittima di una persecuzione.
(Ibidem)
La mattina del 13 marzo del 1996 Thomas Hamilton decide che non ne può più e che è arrivato il momento di regolare i conti con un passato che lo sta divorando. Alle 8:15 esce da casa, toglie il ghiaccio che si è formato sul parabrezza del suo furgone bianco, percorre circa 8 chilometri e arriva davanti alla Primary School di Dunblane.
Lascia il furgone nel parcheggio della scuola ed entra nell’edificio. Nessuno sa che quell’uomo nelle tasche del giaccone ha quattro pistole: due Browning HP da 9 millimetri e due revolver Smith & Wesson M19.357 Magnum. Vuole uccidere il maggior numero di persone ed è convinto che quella mattina ci sia un’assemblea dei docenti, ma in realtà quella riunione non c’è. Allora si dirige verso la palestra, dove c’è una classe di 28 alunni che si appresta a iniziare una lezione di educazione fisica sotto la direzione di 3 insegnanti. Quando Hamilton fa irruzione nella palestra con le pistole in pugno, gli va incontro la docente Eileen Harrild che prova a fermarlo in qualche modo.
Lui non risponde ma spara a ripetizione: la donna viene raggiunta alle braccia e al petto, ma resta solo ferita. L’assassino poi punta l’arma contro Gwen Mayor, un’altra insegnante, e la uccide.
Sono attimi di assoluto e incontrollabile terrore. I bambini scappano, cercano riparo da qualche parte, c’è chi riesce a uscire dalla palestra e va nascondersi negli armadietti o nelle altre aule. Hamilton, intanto, fa fuoco sugli altri scolari, li ferisce, ma quando si accorge che non sono ancora morti torna indietro e li finisce. Intanto il rumore degli spari ha seminato il panico. Gli altri insegnanti conducono i bambini nelle aule più lontane dal luogo della strage. Molti vengono chiusi negli armadietti, altri si riparano sotto i banchi e le cattedre. Il fragore delle pistolettate rimbomba nei corridoi deserti, l’ex capo scout colpisce pure la bidella Grace Tweddle. Tutto questo accade nell’arco di tre-quattro minuti.
Poi Hamilton rientra in palestra, dove a terra ci sono 17 corpi: è una scena atroce, forse solo in quel momento si rende conto di ciò che ha fatto e di ciò che lo aspetta. E allora sceglie di farla finita: s’infila la canna di una pistola in bocca, preme il grilletto e si suicida.
Quando la polizia fa irruzione nella scuola, scopre l’entità della carneficina. Nella palestra, in mezzo ai cadaveri, ci sono due bambini ancora vivi, verranno portati in ospedale ma moriranno poco dopo. Gli scolari feriti sono almeno una dozzina, vengono soccorsi dai cinque medici di Dunblane, tutti convocati in fretta e furia sul luogo del massacro.
Il bilancio complessivo è di 18 morti: 16 bambini, un’insegnante e lo stesso Hamilton. Per la Scozia è un trauma spaventoso. La Regina Elisabetta dichiara il lutto nazionale.
Tra chi è riuscito a salvarsi c’è anche Andy Murray: all’epoca ha nove anni, e non ha mai dimenticato quel giorno. Da grande Andy diventerà un tennista di fama mondiale, e la sua prima affermazione a livello internazionale è la vittoria agli US Open juniores, nel 2004. In quella occasione dedica la vittoria alle vittime di Beslan, in Russia (334 morti, 186 erano minorenni), e alle vittime di Dunblane, il paesino in cui è nato:
Di quel giorno ricordo poco. So che ho realmente capito l’enormità di quello che era successo solo tre o quattro anni dopo, quando il peggio era passato, la gente cominciava pian piano a riprendersi la vita e a tornare alla normalità. Ricordo che attorno a me piangevano tutti, c’erano bambini che erano in classe con me che avevano perso fratelli o sorelle. È stato un momento molto difficile per la comunità. Voglio dare a Dunblane e alla sua gente un motivo per essere felici. Non voglio che questo nome venga sempre e solo collegato alla morte di sedici bambini.
(«Corriere della Sera», 21 settembre 2004)
Meno di un mese dopo la carneficina, la palestra è stata demolita: al suo posto è sorto un giardino commemorativo.