Non è possibile prevedere se i giudici, un giorno, gli consentiranno di uscire dal carcere. Certo è che se dipendesse dalla moglie della vittima, potrebbero pure buttare la chiave della cella in un tombino e chiudere il tombino con una colata di cemento a presa rapida.
Lui si chiama Mark David Chapman, uno dei criminali più “famosi” della storia. La moglie della vittima è Yoko Ono. La vittima è, invece, John Lennon.
Chapman è infatti l’uomo che nel 1980 assassinò uno dei componenti dei Beatles, la band di Liverpool che aveva spopolato in tutto il mondo nel decennio 1960-1970. L’omicidio fu sconvolgente non solo per la straordinaria popolarità di Lennon ma anche per le risibili ragioni che spinsero il suo carnefice a sparargli cinque colpi di pistola in una fredda sera di dicembre.
Mark non ha un’infanzia particolarmente tormentata, tuttavia i suoi traumi li vive comunque. Nato nel 1955 a Fort Worth, in Texas, da bambino deve sopportare le liti tutt’altro che rare tra il babbo, un sergente della Air Force, e la madre infermiera.
Per sottrarsi allo scontro tra i genitori, è abituato a trovare riparo nella sua camera e a fantasticare immaginando mondi decisamente diversi dal suo. La natura ombrosa e solitaria lo fa apparire come un soggetto complessato agli occhi dei compagni di scuola che approfittano delle sue debolezze per bullizzarlo senza pietà. Lo stato di perenne isolamento in cui vive è frustrante, per cui cerca qualche diversivo per rendere le giornate meno aride. Comincia a fumare l’erba e, soprattutto, si diletta con la chitarra: strimpella i brani dei Beatles, la band inglese per la quale nutre un’autentica venerazione.
La musica è un’ottima compagna di viaggio ma non è un anestetico universale capace anche di ammansire i demoni che alloggiano nell’animo e nella testa. Più passa il tempo e più cova rabbia e rancore nei confronti del resto del pianeta. Nel bel mezzo dell’adolescenza sceglie un’altra soluzione e prova a curare le sue angosce con la religione: a sedici anni si converte al presbiterianesimo. Nonostante non abbia nessun sostegno dai genitori, se la cava molto bene anche da solo. Nel ’71 lavora come istruttore in un campo estivo della Young Men’s Christian Association (YMCA), un’esperienza nella quale riesce a farsi apprezzare da colleghi e superiori e che gli restituisce una buona dose di autostima.
Non tutto, però, fila liscio come vorrebbe. La vita sentimentale continua a essere troppo impegnativa per lui, commette qualche marachella e poi se ne pente quando è oramai tardi:
È in questo periodo che conosce la sua prima ragazza, Jessica Blakenfield. Finito il liceo, i due decidono di iscriversi insieme al Covenant, un college evangelico presbiteriano in Georgia, ma nel giro di poco Mark la tradisce e il senso di colpa lo trascina nella prima di una lunga serie di spirali ossessive. La storia tra i due finisce, e Chapman comincia a pensare seriamente al suicidio. Dopo aver lasciato una serie di lavori insoddisfacenti, nel 1977 attacca un tubo di gomma alla marmitta della sua auto e tenta l’avvelenamento da monossido di carbonio, il tubo però si scioglie e il tentato suicidio fallisce.
(www.rollingstone.it)
Uscito malconcio dal fallito fidanzamento, Mark va in depressione, ma poi si riprende e raggiunge la madre alle Hawaii nel tentativo di ripartire da zero. Lì trova un’occupazione che gli garantisce un minimo di stabilità: farà la guardia giurata. Non si tratta, però, di un mestiere ideale per una persona dalla stabilità psicologica traballante. Il tempo che passa, intanto, scava dei solchi pericolosi nella mente del ragazzo, facilmente influenzato dalle letture e dalla musica; legge ossessivamente Il giovane Holden di J. D. Salinger e ascolta altrettanto ossessivamente i dischi dei Beatles. Un giorno, ispirato dalla lettura del libro Il giro del mondo in 80 giorni di Jules Verne, decide di partire per un lungo viaggio che lo porta in svariate zone del globo: dal Giappone all’India, dall’Inghilterra alla Francia. Nel lungo peregrinare per l’Asia e l’Europa conosce anche una donna, Gloria, che poi sposa nell’estate del 1979: è un’orientale, come Yoko Ono, la moglie di John Lennon.
Il matrimonio invece di stabilizzarlo, provoca l’effetto inverso.
Il 1980 è l’anno di un progressivo e inarrestabile degrado psicologico. Ha iniziato a bere e un po’ alla volta l’alcol ha anestetizzato quel po’ di razionalità che gli era rimasta. Nella sua mente comincia a covare un odio incontrollabile nei confronti di star del cinema americano come Marlon Brando, Elizabeth Taylor o Jimmy Carson; sul suo personale libro nero c’è anche Jacqueline Onassis, la vedova del presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy, che in secondo nozze ha sposato l’armatore greco Aristotele Onassis.
Ai suoi occhi tutti hanno da farsi perdonare una grave colpa: sono degli ipocriti e dei bugiardi, gente che predica bene di uguaglianza e di diritti e poi razzola male vivendo nel lusso più sfrenato.
In cima alla lista ci finisce però John Lennon, al quale vengono addossate due intollerabili mancanze. Innanzitutto la responsabilità è tutta sua se i Beatles si sono sciolti; e inoltre mentre nella canzone “Imagine” dice di sognare un mondo senza proprietà privata, lui intanto ha i miliardi, vive in un appartamentino lussuoso a New York e possiede uno yacht. Come se non bastasse, Chapman detesta Lennon perché in diverse circostanze avrebbe espresso opinioni offensive nei confronti della religione, di Dio e di Gesù. Quindi, questa è la conclusione, John deve pagarla cara.
Quando nell’autunno del 1980, Mark comincia a pianificare l’assassinio, è ormai fuori controllo. Da tempo beve in maniera smodata, ha lasciato il suo lavoro di guardia giurata firmandosi come “John Lennon”, e a sua moglie Gloria capita di essere svegliata nel mezzo della notte da stornelli inquietanti tipo:
«L’ipocrita deve morire, dice il Giovane Holden.
L’ipocrita deve morire, dice il Giovane Holden.
Il Giovane Holden sta venendo a prenderti.
Non credere a John Lennon.
Immagina che John Lennon sia morto, oh yeah, yeah, yeah».
(Ibidem)
Ma al di là di essere oggetto dell’odio di Chapman, cosa fa l’ex Beatles in quel periodo? Il gruppo si è sciolto da una decina d’anni, ma lui non ha abbandonato la musica, anzi. Nel dicembre del 1970 ha pubblicato John Lennon/Plastic Ono Band, il suo primo disco da solista. Nel 1971 con Imagine ha ottenuto un successo planetario. Lui e la moglie Yoko si sono trasferiti a New York, ma negli USA non sono state tutte rose e fiori:
Lì si impegnarono nell’attivismo di sinistra, diventando un simbolo del pacifismo e subendo per quattro anni i tentativi di espulsione da parte dell’amministrazione del presidente Richard Nixon. Nel frattempo Lennon e Ono si allontanarono: la separazione durò diciotto mesi che Lennon passò in California, facendo intenso uso di alcol e droghe. Alla fine del 1974 la coppia si riunì e nel 1975 nacque Sean: da quel momento Lennon smise di occuparsi pubblicamente di musica, e si occupò soprattutto del figlio, facendo il «casalingo», come disse lui stesso.
(www.ilpost.it/2020/12/08/john-lennon-morte-mark-david-chapman/)
Lennon, insomma, fa semplicemente ciò che ama fare, senza procurare fastidio a nessuno. Ma Chapman ha deciso che deve morire, e va a New York per compiere la sua missione. Nel pomeriggio dell’8 dicembre del 1980, l’ex guardia giurata si apposta davanti al Dakota Building, l’elegante edificio nel quale il musicista abita con la moglie Yoko e il figlio Sean.
C’è sempre una folla di fan che attende l’uscita di Lennon, e quel giorno in mezzo ai tanti c’è pure il suo assassino. Dopo le 17 John esce con la consorte e viene circondato da gente che vuole un autografo. Tra questi c’è pure lo stesso Chapman che chiede a Lennon di firmargli la copertina del disco Double Fantasy. Quando l’artista va via, lo sciame si dirada. Nei pressi del Dakota Building resta una sola persona: è Chapman, il quale con grande pazienza attende il ritorno dell’artista e per vincere la noia dell’attesa rilegge, per l’ennesima volta, Il giovane Holden. La sosta è tutt’altro che breve, ma l’ex vigilantes non demorde, pur di giustiziare quel traditore ricco sfondato starebbe lì fino al giorno dopo.
L’artista e la moglie rientrano intorno alle 22:50. Il killer solitario è a qualche decina di metri, sembra un passante qualsiasi. Quando John e Yoko scendono dalla limousine e si avviano verso l’ingresso, alle loro spalle sbuca Mark Chapman, il quale urla: «Signor Lennon!». Poi estrae la pistola e spara cinque volte. Quattro colpi raggiungono l’ex Beatles in varie parti del corpo, uno gli trapassa l’aorta. John Lennon crolla a terra, ma non è morto:
Gli agenti accorsi sul luogo del delitto si accorsero subito che le ferite riportate da Lennon erano molto serie e decisero di non aspettare l’ambulanza ma di caricare il ferito sull’auto di servizio per condurlo al vicino ospedale Roosevelt Hospital dove John Lennon fu dichiarato morto alle 23:07.
(«Il Secolo XIX», 5 dicembre 2015)
Chapman, intanto, dopo aver sparato non scappa come farebbe qualsiasi persona mediamente intelligente, ma resta davanti al Dakota Building e si rimette a leggere Il giovane Holden. Dopo pochi minuti arriva la polizia e lo arresta. Lui porge i polsi senza scomporsi neppure un po’.
Adesso non resta che capire perché ha voluto sparare a un artista che nelle sue canzoni parlava spesso di pace e di amore. La sua giustificazione è sorprendente:
Mi sembrò l’unico modo per liberarmi dalla depressione cosmica che mi avvolgeva. Ero un nulla totale e il mio unico modo per diventare qualcuno era uccidere l’uomo più famoso del mondo, Lennon. A otto anni ammiravo già i Beatles, come tanti altri ragazzini. Ma non ho mai pensato che Lennon fosse mio padre. E si sbaglia anche chi sostiene che mi credevo “il vero Lennon” o che lo amavo alla follia. Mi sentivo tradito, ma a un livello puramente idealistico. La cosa che mi faceva imbestialire di più era che lui avesse sfondato, mentre io no. Eravamo come due treni che correvano l’uno contro l’altro sullo stesso binario. Il suo «tutto» e il mio «nulla» hanno finito per scontrarsi frontalmente. Nella cieca rabbia e depressione di allora, quella era l’unica via d’uscita. L’unico modo per vedere la luce alla fine del tunnel era ucciderlo.
(Ibidem)
Mark Chapman la luce non la vede e più che uscire dal tunnel ci entra per restarci forse per sempre. Accusato di omicidio di secondo grado, viene condannato a una pena da un minimo di 20 anni al massimo dell’ergastolo. A partire dal 2000, quando ha finito di scontare la condanna, si è visto rifiutare sistematicamente la richiesta di scarcerazione. L’ultimo “no” risale all’agosto del 2020.
Nonostante sia chiaro a tutti che l’omicidio di Lennon sia stato opera di un fan che si sentiva “tradito”, non sono mancate le tesi alternative e le interpretazioni complottistiche. E non è mancata l’onnipresente CIA, l’agenzia di spionaggio chiamata in causa una volta sì e l’altra pure:
[…] E così c’è chi esprime la convinzione che Chapman in realtà fosse un assassino della CIA a cui era stato fatto il lavaggio del cervello e `programmato´ a uccidere Lennon da elementi del governo statunitense. La teoria è dettagliata e affascinante: nel 1976 Chapman fu visto alle Hawaii, in un centro per agenti segreti della CIA e delle forze speciali, dove disagi mentali e ospedalizzazione lo portarono a cambiare diversi lavori. I cultori del complotto ipotizzano che durante questo periodo la CIA ipnotizzò e drogò Chapman nell’ambito del programma Mk-Ultra, secondo quanto rivelato al Senato nel 1975, con tanto di lavaggio del cervello per fargli uccidere Lennon, che l’FBI effettivamente spiava insieme alla moglie Yoko Ono per le sue simpatie di sinistra e il suo impegno antimilitarista.
(Ibidem)
Una chiave di lettura assai fantasiosa. Ma la realtà spesso è molto più banale di quanto si possa immaginare: Chapman assassinò John Lennon perché era fuori di testa.
Ogni due anni, Yoko Ono spedisce una lettera alla New York State Division of Parole, a cui spetta la responsabilità di allentare le misure restrittive ai detenuti. Il contenuto è sempre lo stesso, si tratta di un breve appello affinché l’assassino non assapori il piacere della libertà.
Il suo rilascio – sostiene la vedova – andrebbe a sminuire la gravità del crimine compiuto e scoraggerebbe il rispetto delle leggi.
Ogni due anni Chapman chiede – inutilmente – la libertà condizionale, l’ultima volta risale al settembre del 2020. In quella occasione ha approfittato dell’udienza per mandare un messaggio alla Ono:
Voglio solo ribadire che mi dispiace per il mio crimine, non ho scuse, è stato fatto per auto-celebrazione. L’ho assassinato perché era molto, molto, molto famoso e io ero molto, molto, molto alla ricerca di glorificazione, molto egoista. Sono dispiaciuto per il dolore che ho causato, ci penso tutto il tempo.
Se scegliete di lasciarmi in prigione per il resto della mia vita, non ho niente da eccepire.
(AGI, 22 settembre 2020)
L’assassino dell’ex Beatles potrà ripresentare la richiesta di libertà condizionale nel settembre del 2022. Yoko Ono si opporrà come sempre perché teme che Chapman potrebbe rifarlo di nuovo, colpendo lei stessa o anche il figlio Sean.