Stephen Paddock, il folle che sparò sulla folla al concerto country

L’interrogativo è ancora lì da quel primo ottobre del 2017, aggrappato a mille perché. Già: perché un uomo di sessantaquattro anni, senza precedenti penali, ha deciso di sparare alla cieca sulla folla che assisteva a un concerto di musica country, uccidendo 58 persone e ferendone quasi 500?

Nessuno lo saprà mai, tanto più che il diretto interessato non potrà mai rivelarlo, visto che nell’elenco delle vittime c’è pure lui: si è suicidato prima che la polizia potesse arrestarlo. È dunque rimasta senza un movente la carneficina compiuta da Stephen Paddock, un immobiliarista (forse) divorato dal gioco d’azzardo che un giorno di ottobre a Las Vegas (USA) ha compiuto una strage come se ne vedono solo nei film.

Un’influenza non trascurabile sulla sua personalità la esercita il padre, Benjamin. Non è proprio una brava persona se tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 l’FBI, la polizia federale americana, lo ha inserito nella lista dei ricercati più pericolosi. Gli investigatori lo hanno descritto come uno psicopatico abituato a usare le armi con una certa disinvoltura. Paddock senior ha iniziato la sua attività criminale nel 1946 con dei furti d’auto ma dopo un discreto numero di anni di carcere s’è dato a una serie di attività imprenditoriali: a Tucson, in Arizona, ha prima gestito un night, poi una pompa di benzina e infine è diventato titolare di un deposito di rifiuti. Nel 1959 ha cambiato attività e ha fatto tre rapine a Phoenix, sempre in Arizona. Nel 1960 ha ingaggiato una sparatoria con gli agenti dell’FBI ed è tornato in galera. Otto anni dopo è evaso e nel 1978 è finito in Oregon per gestire una sala bingo. Non ha cessato di condurre una vita tormentata: nel 1979, a Springfield (sempre in Oregon), ha aperto una sala scommesse attraverso una finta associazione religiosa, la Holy Life Congregation. Nel 1987 è stato accusato di gioco illegale e pur di evitare il carcere ha pagato allo Stato una multa di 723.000 dollari. Benjamin Paddock è poi morto nel 1998.

Diciamo la verità: Stephen (nato nel 1953) non è affatto avvantaggiato nell’avere nelle vene lo stesso sangue di un uomo così ostinatamente fuorilegge. La madre un po’ si vergogna del marito e, piuttosto che confessare di aver sposato un inguaribile mascalzone, dice ai figli: papà è in cielo, è morto in un incidente stradale. Stephen non ha motivo di dubitare delle parole della mamma, ma un giorno – quando ha da poco festeggiato i vent’anni – scopre che il babbo è vivo; e se non lo ha mai visto è perché è impegnato in un perenne tour nei penitenziari.

La donna pur di mandare avanti la baracca fa sforzi enormi, e la situazione si stabilizza quando ogni mese ritira uno stipendio da segretaria in un’azienda. Pur tra tante difficoltà, il futuro assassino si diploma al Politecnico e per un periodo fa il portalettere. Desideroso di affrancarsi da una vita grama, riesce a laurearsi in economia alla California State University e a collocarsi alla Internal Revenue Service, il servizio di riscossione dei tributi. I problemi finanziari sono stati risolti, ma il resto non è tutto rose e fiori: suo fratello Bruce ha ereditato in parte la vocazione paterna e si fa arrestare più volte per atti di vandalismo, danneggiamenti e guida senza patente. Pure Stephen, intanto, coltiva una passione per le armi che non promette nulla di buono. Nel frattempo finisce il suo primo matrimonio, durato poco meno di 24 mesi. Nel 1985 si sposa di nuovo con una compagna del college, ma il rapporto va in frantumi 5 anni più tardi.

A un certo punto lascia l’impiego pubblico e, inebriato da una retribuzione più sostanziosa e dalla possibilità di fare carriera, va a fare il contabile per la società Lockheed Martin. L’intraprendenza e la capacità di accumulare i risparmi lo invogliano a investire quasi mezzo milione di dollari nell’acquisto di un condominio a Los Angeles, un affare che realizza insieme al perspicace fratello Eric. Gli affitti rendono un bel po’ e l’operazione si rivela assai redditizia.

Agli inizi degli anni ’90 le ristrettezze economiche dell’infanzia sono da considerare un’esperienza lontanissima. Gli investimenti nel settore edilizio, soprattutto in California, gli consentono di diventare ricco al punto che arriva a possedere dei piccoli aerei, tra cui un Cessna 152. Insomma, è uno che ce l’ha fatta:

Un immobiliarista esperto con un buon fiuto per gli affari. Gli investigatori che stanno cercando di risalire alla storia personale di Stephen Paddock sono venuti a scoprire nuovi particolari sugli investimenti effettuati dal killer di Las Vegas negli ultimi anni. Il più eclatante risale al 2004, quando Paddock si presentò agli agenti immobiliari di Dallas mostrando interesse per un complesso di ben 111 appartamenti in vendita a Mesquite, un sobborgo della città. Alla fine l’affare si fece: Paddock comprò il tutto per ben 8,4 milioni di dollari. «Era un tipo piuttosto trasandato, non sembrava che avesse due monete da mettere insieme – ricorda all’agenzia Reuters un broker che trattò con Paddock all’epoca – ma in realtà aveva qualche milione di dollari in un conto, fece la sua due diligence e chiuse l’accordo». Dove trovò tutti quei denari? In parte dalla cessione di altre proprietà nell’area di Los Angeles, dove viveva.

(www.ilsole24ore.com/art/quando-killer-las-vegas-stephen-paddock-compro-111-appartamenti-84-milioni-dollari-AE6Ww3gC?refresh_ce=1)

Secondo i giornalisti Sabrina Tavernise, Serge F. Kovaleski e Julie Turkewitz, Stephen Paddock:

era un giocatore d’azzardo che non correva rischi. Un uomo che possedeva case dappertutto, ma non viveva davvero in nessuna. Uno che amava la vita di divertimenti dei casinò, ma guidava un anonimo minivan e indossava vestiti dimessi, anche sciatti, ciabatte e tute. Non usava Facebook o Twitter, ma ha passato gli ultimi 25 anni fissando gli schermi dei video poker.

(www.nytimes.com/2017/10/07/us/stephen-paddock-vegas.html)

Le sontuose disponibilità economiche gli consentono di andare a giocare nei casinò: frequenta il Wynn e il Cosmopolitan a Las Vegas, e l’Atlantis di Reno. È proprio all’Atlantis che conosce Marilou Danely, che diventerà la sua compagna.

I dollari lo ubriacano e impiega poco per farsi risucchiare nel gorgo del gioco. Davanti alle macchinette del videopoker trascorre anche 14 ore al giorno, non si allontana neppure per mangiare:

John Weinreich, un ex amministratore dell’Atlantis Casino Resort Spa di Reno, in Nevada, ha raccontato al New York Times che quando Paddock voleva mangiare mentre stava giocando d’azzardo, pretendeva che gli fosse servito subito. Spesso ordinava le stesse cose a un secondo cameriere, se ciò che aveva chiesto non arrivava in fretta. Weinreich ha detto anche che Paddock era inflessibile ma anche molto intelligente: «Lo paragonerei a uno scacchista: molto analitico e bravo con i numeri. Sembrava usare il cervello a una velocità maggiore di quella della maggior parte delle persone che giocano d’azzardo».

(www.ilpost.it/2017/10/08/stephen-paddock/)

I casinò da luogo di svago si trasformano in una trappola mortale; gioca sempre e soltanto ai videopoker, spesso perde parecchi soldi:

Un esperto di gioco d’azzardo che ha parlato con il New York Times ha definito Paddock come una persona piuttosto abituata a buttare via i soldi: in una sola sessione di gioco, che poteva durare anche diversi giorni, Paddock era capace di perdere anche 100.000 dollari (l’equivalente di 85.000 euro). Negli ultimi mesi Paddock potrebbe aver perso una quantità di denaro del genere al Red Rock Casino di Las Vegas.

(Ibidem)

Qualcosa non va più nella sua testa. Altrimenti non si spiegherebbe come mai nel giro di meno di un anno – da ottobre 2016 a settembre 2017 – compra 33 armi: fucili d’assalto, carabine da caccia, pistole. Inoltre acquista dei dispositivi per rendere quelle armi automatiche.

Qualcosa che sfugge totalmente a ogni logica avviene verso la fine di settembre. Paddock alloggia al Mandalay Hotel di Las Vegas. Il 28 settembre si sposta nella suite 315 al 32esimo piano: con sé ha due borsoni che contengono le armi. Poi succede il patatrac. Il primo ottobre, poco dopo le 22 si affaccia dalla finestra della suite e comincia a sparare sulla folla che sta assistendo a un festival di musica country sul Las Vegas Boulevard. In quegli istanti si sta esibendo Jason Aldean, il cantante di Nashville.

Paddock utilizza fucili e pistole, in qualche caso le armi sono dotate di un caricatore che dispone di ben 100 cartucce. In tutto esplode un migliaio di colpi. A terra restano i cadaveri di 58 persone, i feriti sono quasi 500.

Paddock spara per almeno un quarto d’ora di seguito, ci sono solo delle brevi pause durante le quali cambia le armi. Quando la polizia entra nella sua suite per bloccarlo, lui si è già suicidato. Nella stanza ci sono almeno una ventina tra pistole e fucili e una impressionante quantità di munizioni.

Altre armi saranno trovate nella sua abitazione di Mesquite.

Poche ore dopo la carneficina, arriva la rivendicazione dell’ISIS: l’immobiliarista – si sostiene – si era convertito da molti anni ed ha fatto la strage in nome e per conto dello Stato islamico.

Ma la notizia viene smentita da chiunque abbia conosciuto Paddock: non si era convertito a nessuna religione, né aveva degli ideali politici che potessero spingerlo a fare ciò che ha fatto. Dirà il fratello Eric:

Non aveva affiliazioni religiose da quello che sappiamo. Era solo un uomo a cui piaceva il video poker, che mangiava Taco Bell e periodicamente andava in crociera. Non abbiamo assolutamente idea del perché lo abbia fatto. Non c’era nulla di segreto o strano in lui.

(www.ansa.it)

Il giorno dopo, l’FBI di Los Angeles interroga la moglie di Paddock, Marilou Danley, appena rientrata dalle Filippine. La donna dichiara che non sapeva in alcun modo che Stephen avesse intenzione di fare una carneficina. Ma nessuno lo sapeva, sono stati tutti colti di sorpresa da un gesto così spropositato:

Le persone che conoscevano Paddock come giocatore d’azzardo non si spiegano perché abbia sparato sul pubblico del concerto del primo ottobre, così come i suoi famigliari, e pensano che la sparatoria non abbia nulla a che fare con il denaro. Paddock era in buoni rapporti con i gestori degli hotel e dei casinò MGM, con quelli del Mandalay e del Bellagio. Era conosciuto come un buon cliente e per questo poteva chiedere un credito ai casinò fino a 100.000 dollari per poter giocare, ma non arrivava mai a usarli tutti. Anche i suoi vicini non sanno spiegarsi perché Paddock abbia compiuto una strage, ma loro lo conoscevano ancora meno dei gestori dei casinò e dei suoi inquilini, perché si faceva raramente vedere nelle case in cui in teoria abitava. L’unica vera opinione dei suoi vicini è che fosse riservato – attorno e sul retro della sua casa di Reno aveva eretto un alto steccato che nascondeva l’abitazione alla vista della strada – e maleducato.

(www.ilpost.it/2017/10/08/stephen-paddock/)

58 vittime, 500 feriti: il perché di quella strage resta ancora un mistero.