Milena Quaglini, l’unica serial killer italiana in “rosa”

Tre vittime, tutte di sesso maschile. Non un caso, naturalmente. Più che il desiderio di uccidere, dunque, la necessità di vendicarsi degli uomini, una brutta “razza” con la quale non era mai riuscita a stabilire un rapporto sano, normale, appagante. In Italia, Milena Quaglini (nata in provincia di Pavia nel 1957) è l’unica serial killer donna del dopoguerra: la sua è un’altra orrenda storia di violenza che a un certo punto ha messo in moto un meccanismo impossibile da fermare. La morte altrui diventa una compagna di viaggio che fa perdere di vista il senso delle cose e della vita, al punto che un giorno essa stessa deciderà di farla finita.

La scintilla che incendierà la sua esistenza parte, come succede almeno 90 volte su 100, dai veleni che circolano all’interno del nucleo familiare. L’origine di tutti i mali è suo padre, un fan accanito dell’alcol, ne beve talmente tanto da perdere il controllo delle sue azioni. Sono piuttosto frequenti le sere in cui torna a casa ubriaco e non trova di meglio da fare che picchiare l’incolpevole Milena e l’altrettanto incolpevole sorella. Botte selvagge a parte, l’aria in casa non è infestata solo dall’odore di vino e liquori. Perché il babbo spesso si scaglia pure sulla moglie, nei cui confronti nutre un’ottusa gelosia. Come qualsiasi altro bambino, Milena è una spugna che assorbe tutta la carica di odio del quale è impregnata l’atmosfera domestica. È particolarmente sensibile e tutte le scene a cui suo malgrado assiste le rimbalzeranno nella mente qualche anno dopo.

La vita di provincia non è fatta per alimentare il desiderio di emancipazione e Milena ci mette un po’ a raccogliere la forza e a trovare il coraggio necessario a lasciare la famiglia. La fuga avviene solo quando ha diciannove anni e nessuna prospettiva di uscire dal pantano nel quale è imprigionata: se resta lì dov’è, la sua sarà un’esistenza infelice.

La svolta arriva quando conosce un uomo di trentaquattro anni con il quale va a vivere prima a Como e poi a Lodi. È un amore genuino quello che li lega, si sposano e poi mettono al mondo anche un figlio. Finalmente il destino sembra sorridere a una ragazza che fino a quel momento non ha mai vissuto un periodo felice. Purtroppo la malasorte ha deciso di non abbandonarla, tant’è che la serenità ormai acquisita sul piano affettivo viene spazzata via dal diabete che colpisce il marito fino a fargli perdere la vista, una menomazione che precede di poco la morte.

Si ritrova vedova e, dunque, deve ricominciare da capo, è da sola e con un bambino da allevare. Torna a vivere e a lavorare nella provincia di Pavia, dove intesse una relazione con Mario Fogli, un operaio che inizialmente sembra una persona tranquilla. Presi dalla foga, i due decidono di sposarsi col rito civile, ma la nuova unione nasce sotto una cattiva stella: Fogli, infatti, è geloso e la obbliga a lasciare il lavoro perché, dice lui, le donne che hanno un impiego sono tendenzialmente infedeli.

Il rapporto non è appagante, ma nonostante le frequenti frizioni la coppia trova la forza, e il coraggio, di mettere al mondo due figli. Ma l’ossessione del tradimento è poca roba al confronto di un altro problema: Fogli non ha legato col figlio nato dal precedente matrimonio della Quaglini, anzi, in più di una circostanza lo picchia senza alcuna ragione.

Il quadro si completa con i problemi economici dovuti al fatto che lei non lavora più e lui trova solo occupazioni saltuarie e mal pagate. La ciliegina sulla torta è l’arrivo dell’ufficiale giudiziario che pignora tutto ciò che trova in casa Fogli.

Milena ignorava i guai finanziari del consorte, e tanto basta a convincerla ad abbandonarlo e a trasferirsi altrove insieme al figlio e a una delle due bimbe avute dall’operaio. Con tre marmocchi e un lavoro precario da segretaria in una palestra, non riesce a sopravvivere dignitosamente, e nel tentativo di far quadrare i conti è costretta a rinunciare al tempo libero per fare la donna di servizio a ore. Ed è proprio facendo la cameriera che conosce Giustino Della Pozza, un usuraio di ottantatré anni, che diventerà la sua prima vittima. All’anziano chiede e ottiene un prestito di 4 milioni di lire che però non riesce a restituire. Della Pozza, racconterà la Quaglini, decide di farsi pagare con delle prestazioni sessuali: Milena non ci sta e il 25 ottobre del 1995, dopo aver subito delle avances piuttosto insistenti, gli fracassa in testa una lampada. Poi si dà alla fuga:

Ritorna nella casa tre ore dopo, finge di scoprire il corpo e chiama un’ambulanza. Il Della Pozza morirà in ospedale nei giorni seguenti, ma nessuno collegherà la Quaglini al decesso dell’uomo finché lei stessa non confesserà il delitto quattro anni dopo.

(www.misteriditalia.it/altri-misteri/quaglini/QUAGLINI

(Ladinamicadegliomicidi).pdf)

Non viene affatto sospettata, e le indagini si dirigono inutilmente verso una fumosa pista che conduce a un altrettanto imprecisato giro di prestiti a tassi usurari. Per nulla turbata dall’aver ucciso una persona, Milena prova a rimettere insieme i cocci della sua vita precedente tornando dal marito Mario Fogli. L’idea si rivela pessima, oramai la relazione è fallita come dimostrano le continue liti, mentre le botte e le umiliazioni che è costretta a subire sono le stesse dei vecchi tempi. Si rifugia nell’alcol e negli antidepressivi, ma è una soluzione di scarsa efficacia e che alla fin fine alimenta solo l’odio nei confronti del consorte.

E infatti il 2 agosto del 1998 Milena decide di mettere fine ai suoi tormenti una volta e per sempre. Mentre Mario si sta riposando, lei prima lo stordisce con un pezzo di legno e poi lo lega con la tecnica dell’“incaprettamento”. Tutto ciò avviene mentre in un’altra stanza ci sono le figlie che all’epoca hanno cinque e otto anni. Mario si dimena nell’inutile tentativo di liberarsi e lei per andare sul sicuro lo strangola con la corda della tapparella. Poi avvolge il cadavere in un tappeto e lo sistema fuori sul balcone.

Stavolta però sceglie di non scappare ma chiama i carabinieri e confessa l’omicidio. Al processo i giudici tengono conto dell’aggressività del marito e del suo stato psicologico fortemente alterato e ottiene una sentenza mite: le viene riconosciuta la semi-infermità mentale e se la cava con 14 anni di carcere. Dietro le sbarre ci resta solo un anno, poi ottiene il trasferimento in una clinica di Pavia per sottoporsi a un programma di disintossicazione dall’alcol.

Però la situazione invece di migliorare precipita quando le vengono concessi gli arresti domiciliari che in realtà le permettono di andare tranquillamente in giro. I controlli all’acqua di rose le offrono la possibilità di legare con Angelo Porrello. Il 6 ottobre del 1999 Porrello sparisce dalla circolazione. I suoi familiari lo cercano disperatamente, ma è svanito nel nulla. Poi viene rintracciato, anche se oramai è troppo tardi:

Porrello lo ritrovano il 24 ottobre. La sua ex moglie, un’amica e un vicino di casa si sono messi a battere la casa e il giardino di Angelo palmo a palmo. Nel giardino c’è una concimaia, una vasca di mattoni rettangolare, chiusa da un coperchio di lamiera. Angelo Porrello è lì dentro. Nudo, rannicchiato come un feto, in avanzatissimo stato di decomposizione, tanto che non si riesce anche a prendere le impronte e all’inizio, per un momento, si potrebbe anche dubitare che sia lui. Ma lo è.

(Carlo Lucarelli-Massimo Picozzi, Serial killer, Mondadori, 2003)

Gli inquirenti ci mettono poco a scoprire che la vittima frequentava la Quaglini e la donna viene arrestata con l’accusa di aver commesso un secondo omicidio. Negli interrogatori racconta com’è andata: una sera lui voleva a tutti i costi fare sesso per una seconda volta, ma lei lo aveva rifiutato. A quel punto lei gli aveva servito un caffè con dentro dieci pasticche di sonnifero e degli antidepressivi, un mix micidiale che aveva stordito Angelo al punto da fargli perdere i sensi. Milena poi lo aveva infilato nella vasca da bagno, aveva aperto il rubinetto dell’acqua e lo aveva “annegato”. Infine, dopo diverse ore, lo aveva nascosto nella concimaia.

Dopo aver confessato di aver ucciso anche Porrello, Milena Quaglini decide di raccontare pure un pezzo della storia che altrimenti gli investigatori non avrebbero mai scoperto: e cioè che è stata lei ad ammazzare Giustino Della Pozza nel 1995.

Il professor Maurizio Marasco, specialista in neurologia e psichiatria, sostiene che i delitti commessi da Milena sono:

tre gravi reati caratterizzati da efferata violenza e nei quali aleggia il comune denominatore della triade sesso-violenza-morte, spinta dal bisogno impellente della donna di punire il partner, di vendicarsi nei suoi confronti per i torti subiti, quasi a simboleggiare la vendetta nei confronti della figura paterna, triade che rimanda alla figura criminologica del serial killer.

(Massimo Picozzi-Carlo Lucarelli, Serial killer, Mondadori)

Dal punto di vista processuale, la serial killer riesce a contenere i danni. In Appello le danno solo 6 anni e 8 mesi per l’assassinio del marito Mario Fogli, riconoscendole la seminfermità mentale. L’esito del processo per l’omicidio di Giustino Della Pozza è ancora più favorevole: la condannano per eccesso colposo di legittima difesa, e prende solo 1 anno e 8 mesi. Tutto sommato non male, anche se resta lo scoglio del delitto di Angelo Porrello. Lì la questione è assai più complicata, è improbabile che possa cavarsela con una pena mite. Al verdetto, però, Milena Quaglini preferisce non arrivarci: mette la parola fine alla sua disperata esistenza con un gesto altrettanto disperato.

Il 16 ottobre 2001 si suicida impiccandosi nel carcere di Vigevano proprio nel periodo in cui sembrava stesse risalendo la china:

Dipingeva tranquilla, diligente, tanto che i terapeuti erano ormai convinti che stesse progredendo nel recupero. Una notte, all’una passata, Milena prese un lenzuolo della sua cella, lo ridusse a strisce e si circondò il collo con una di queste. Poi entrò nell’armadietto in acciaio, dove legò il cappio al gancio per appendere gli abiti, sollevò le gambe e si lasciò strangolare. “Non ce la faccio più, perdonatemi, la mamma”, aveva scritto ai figli. Alla due di notte la serial killer Milena Quaglini morì arrendendosi al male, quello che si portava dentro e quello che le avevano inferto gli uomini che aveva incontrato. Il suo resta l’unico caso, in Italia, in cui una donna vittima di abusi sia diventata carnefice dei suoi aguzzini.

(www.fanpage.it/attualita/il-caso-milena-quaglini-la-serial-killer-

che-uccideva-pedofili-e-stupratori/)