Maurizio Minghella, il “John Travolta” col vizio di uccidere le donne

La vita non gli ha mai sorriso, mai, fin dalla nascita. Quella di Maurizio Minghella (nato a Genova nel 1958) è stata un’esistenza infelice costellata di vicende tristi che lo hanno segnato nel profondo, contribuendo a trasformarlo in quel che è diventato: un assassino seriale. Ma la sua storia è particolare e va necessariamente divisa in due fasi: alla prima risalgono quattro omicidi commessi in Liguria e una conseguente condanna all’ergastolo; alla seconda altri omicidi commessi a Torino mentre era in stato di semilibertà, beneficio che gli era stato concesso perché si era comportato come un detenuto modello, oramai pronto per essere reinserito nel circuito della convivenza civile. Tra la prima fase e la seconda trascorreranno vent’anni.

Il futuro serial killer parte già con un discreto svantaggio rispetto ai suoi coetanei: ha un quoziente intellettivo basso, tant’è che per otto anni di seguito frequenta la seconda elementare, e solo al nono viene promosso in terza. Un suo avvocato lo definirà così:

Debole di mente, ha poca memoria, non è interessato a ciò che succede attorno a lui, non ha cultura, è nato asfittico a causa di un parto cesareo.

(www.youtube.com/watch?v=8CeUHpAclwc&t=1310s)

Col cervello arranca, ma la sorte ha malignamente compensato la totale assenza di ingegno regalandogli una spiccata aggressività. A scuola non studia e non riesce ad apprendere, però con le mani se la cava benissimo. I compagni hanno smesso di deriderlo per la sua palese ignoranza perché agli sfottò reagisce con pugni e calci. Del resto la prepotenza fisica è l’unico modo di comunicare che gli è stato insegnato. Il padre, che poi abbandonerà lui e i suoi tre fratelli, era manesco; ancora più violento era stato il convivente della madre, uno straccivendolo intrappolato nell’alcol e finito in carcere con l’accusa di tentato omicidio.

Il contesto in cui cresce dilata a dismisura i suoi difetti e non lo aiuta a coltivare i pochi pregi. È ancora minorenne quando comincia ad avere delle rogne con la giustizia. Altri problemi li ha dal punto di vista emotivo, e non potrebbe essere altrimenti considerando il deserto affettivo nel quale è stato allevato fin da piccolo. Ha ricevuto amore solo dalla madre, ma evidentemente non è bastato a sottrarlo al bisogno di tenerezza. Infatti è ancora un ragazzo immaturo quando decide di sposarsi: ha soltanto diciannove anni, la moglie ne ha appena sedici. Non sembrano destinati a essere una coppia felice: se lui è mentalmente instabile, lei è un’abituale consumatrice di psicofarmaci.

L’attitudine a fare a botte lo porta a frequentare una palestra di pugilato, ma dopo poco lo mettono alla porta perché non ha capito che la boxe è uno sport e non un pretesto per fare a cazzotti.

Maurizio intanto non rinuncia a godersi la vita. Gli piace vestirsi alla moda e soprattutto ama ballare, si ispira a John Travolta, l’attore-ballerino protagonista del film La febbre del sabato sera, come scrive Andrea Accorsi:

Riformato dal servizio di leva per “insufficienza mentale”, trovò lavoro come piastrellista; la sera frequentava le discoteche dove era noto come “il Travoltino della Valpolcevera”.

(Michael Newton, op. cit.)

In un quadro complessivo già compromesso, la personalità di Minghella subisce altri traumi. Un fratello muore in un incidente, un lutto che lo devasta al punto che comincia a frequentare l’obitorio solo per assistere al dolore delle famiglie dei morti. Poi la moglie ha un aborto spontaneo e in quella occasione vedere del sangue lo agita parecchio. E delle turbe che lo inquietano non si accorge nessuno, tranne le sue vittime. La prima si chiama Anna Pagano, ha vent’anni e da tempo si è persa nel labirinto della tossicodipendenza: la trovano completamente nuda in un viottolo nei pressi di Sant’Olcese, in Val Polcevera.

È stata uccisa a colpi di pietra, e l’assassino ha tentato uno stupido depistaggio scrivendole sulla schiena, con un pennarello: “Moro”, “Brigate Rose” (sì, con una sola S). Nella cavità anale della ragazza è stata inserita una penna biro: è un particolare che aggiunge altro disgusto nei confronti dell’autore del delitto, ma è un elemento che più avanti aiuterà gli inquirenti a fare luce su altri omicidi.

Spiegherà il criminologo Massimo Picozzi:

Alcuni comportamenti che si registrano sulla scena del crimine e che appaiono bizzarri e incomprensibili sono di fatto il surrogato di una sessualità incapace di normale espressione. Ad esempio, la penetrazione con oggetti permette al killer, in difficoltà, di trovare il proprio piacere.

(www.youtube.com/watch?v=8CeUHpAclwc&t=1310s)

Le indagini scavano nel mondo della delinquenza, si sospettano regolamenti di conti nel sottobosco della prostituzione, ma in realtà è opera di Minghella. Sempre sua è la mano nell’omicidio di Maria Catena Alba, quattordici anni, trovata cadavere in un bosco nei pressi di Savignano: prima di ucciderla, l’assassino l’ha violentata, infine l’ha legata a un albero. Poi tocca a Maria Strambelli, ventuno anni, è di Bari ma si è trasferita a Genova dove fa la commessa in una drogheria: la trovano morta in un bosco, strangolata, nuda e coperta solo di foglie; l’avanzato stato di decomposizione impedisce di capire se è stata violentata. L’ultima vittima è la diciannovenne Wanda Scerra, il cui corpo senza vita viene trovato lungo la scarpata che costeggia la ferrovia Genova-Milano.

Nel capoluogo ligure dilaga la psicosi del mostro che uccide donne giovani o giovanissime. Maurizio Minghella è nel ristretto elenco dei potenziali assassini perché conosceva due delle quattro vittime.

Nella notte tra il 5 e il 6 dicembre del 1978 “Travoltino” viene arrestato perché fortemente sospettato di aver ammazzato la Strambelli e la Scerra. Prima nega ogni coinvolgimento, poi, dopo un interrogatorio di 38 ore, confessa al giudice Luigi Carli:

Ammetto di aver ucciso Maria Strambelli e Wanda Scerra, ma non so perché l’ho fatto. […] Non mi sono reso conto di quanto ho fatto perché quando vedo il sangue delle mestruazioni non capisco più niente.

(Flaminia Savelli, Giovani, carini ma assassini, Newton Compton, 2015)

Le indagini però vanno avanti e accertano che Minghella ha ammazzato pure la Alba e la Pagano (la grafia delle scritte sulla schiena è la sua). Al processo torna a negare, i suoi difensori puntano a dimostrare la totale o parziale incapacità di intendere e di volere, ma la tesi non viene accolta; il 2 aprile del 1981, dopo nove ore di camera di consiglio, i giudici lo condannano all’ergastolo. Il verdetto sarà confermato in Appello e in Cassazione. Gli avvocati chiederanno la revisione del processo, inutilmente: “Travoltino” deve restare in carcere a vita. A Genova e dintorni tirano un sospiro di sollievo perché oramai il serial killer è in gabbia e in gabbia resterà. Ma non andrà così. Perché nel febbraio del 1999 Maurizio Minghella, oramai quarantenne, ottiene la semilibertà: dietro le sbarre si è comportato molto bene, è stato un detenuto modello, non ha mai creato nessun problema, era sempre di buonumore e gentile con tutti. Finalmente il carcere è servito a restituire un uomo diverso, pienamente recuperato? La risposta arriverà presto.

Minghella si trasferisce a Torino, lavora in una falegnameria ed è assistito dal Gruppo Abele, diretto da don Luigi Ciotti, fondatore dell’associazione Libera. La mattina va al lavoro e la sera, entro le 22, fa ritorno nel penitenziario delle Vallette. Sembra che si sia rifatto una vita come dimostra il legame sentimentale con una donna che gli darà anche un figlio.

Dal 1996, però, anche a Torino si verificano degli omicidi: diverse “squillo” vengono assassinate con modalità brutali, in un paio di casi l’assassino dà persino fuoco alle vittime.

Il nome di Maurizio Minghella spunta fuori per un’aggressione denunciata da una prostituta: la donna, alla quale sono stati sottratti soldi e cellulare, dà una descrizione dell’aggressore che corrisponde all’ex serial killer ligure. È il marzo del 2001. Arrestato, finisce di nuovo in carcere: a quel punto gli inquirenti indagano sul suo conto per capire se è coinvolto negli omicidi di sei prostitute avvenuti a Torino dal 1996 al 2001. Quasi tutte sono straniere, una sola è italiana. Nell’elenco c’è anche una donna data alle fiamme che però non è stata ancora identificata.

L’ultimo omicidio in ordine di tempo è stato quello di Tina Motoc, una ragazza moldava arrivata in Italia per cercare un lavoro e per mantenere la figlioletta lasciata in patria in custodia ai nonni. Nel corso dell’autopsia sul corpo della Motoc il medico legale Lorenzo Varetto individua nella cavità anale un frammento di ramo lungo circa dieci centimetri. È un particolare che riporta alla mente il caso di Anna Pagano, assassinata in Liguria: in quella occasione invece del rametto c’era una penna biro. E chi era stato condannato per l’omicidio della Pagano? “Travoltino”, proprio lui. No, non è una coincidenza, almeno secondo il pm Roberto Sparagna, titolare delle indagini. Spiegherà il criminologo Massimo Picozzi:

Negli omicidi di Maurizio Minghella la componente sadico-sessuale è evidente non solo per il tipo di vittime ma anche per le azioni che il killer compie sia durante l’aggressione e successivamente alla morte.

(www.youtube.com/watch?v=8CeUHpAclwc&t=1310s)

A carico di “Travoltino” gli inquirenti raccolgono altre prove, a partire dal suo DNA trovato in un profilattico lasciato sul cadavere di una delle vittime. Tracce organiche sono presenti pure sui fazzoletti recuperati nel cestino di una prostituta parecchio avanti con gli anni. Nel suo appartamento ci sono dei telefonini con la matricola cancellata, uno appartiene alla povera Tina Motoc. Lui nega, dice che l’esame del DNA è sbagliato, che lui non c’entra nulla, sostiene di essere stato incastrato e per protesta inizia anche uno sciopero della fame. Il suo atteggiamento però moltiplica i dubbi sulla sua estraneità: rifiuta, ad esempio, un confronto all’“americana” (cioè faccia a faccia) con alcune delle prostitute che lo accusano di aggressione e rapina. Prima che cominci il processo evade dall’ospedale di Biella, dov’era stato ricoverato per dolori al petto, ma la fuga dura solo poche ore. Ai carabinieri dice che stava andando a Torino per uccidere il pm Roberto Sparagna. Intanto l’evasione gli costa una condanna a 10 mesi.

Negare di essere il serial killer però non gli servirà: in primo grado viene condannato a un ergastolo per l’omicidio di Tina Motoc e a 30 rispettivamente per l’uccisione di Fatima Didou e di Cosima Guido (per effetto dell’articolo 72 del codice penale queste ultime due condanne sono state riunite nell’ergastolo); assoluzione invece per l’assassinio di una donna trovata morta a Carmagnola e mai identificata. I giudici stabiliranno che ha commesso gli omicidi nelle ore (spesso dalle 17 alle 22) che trascorreva all’esterno prima di ritornare in carcere.

Minghella colleziona pure oltre 130 anni di carcere per una dozzina di rapine e per spaccio di sostanze stupefacenti, e una condanna che gli impone il pagamento di un risarcimento alle parti civili di oltre un milione e mezzo di euro. Il verdetto viene confermato in Appello, mentre in Cassazione gli sarà praticato uno “sconto”: un solo ergastolo invece di due.

Dopo Genova, dunque, anche Torino può tirare un sospiro di sollievo: il mostro dalla gabbia non uscirà mai più.

La macchina investigativa, tuttavia, non si ferma perché nel capoluogo piemontese ci sono ancora numerosi delitti ancora senza un colpevole. Minghella resta sotto la lente d’ingrandimento degli inquirenti che nel 2007 lo incriminano per un altro omicidio, quello di Floreta Islami, una ragazza albanese strangolata a Rivoli nel febbraio del 1998. Grazie alle nuove tecniche di investigazione biomolecolare, sulla sciarpa dell’extracomunitaria è stato trovato il DNA di “Travoltino”. Per la morte della Islami, Minghella sarà condannato a 30 anni di carcere. Nella sentenza, i giudici della Cassazione scriveranno che l’imputato ha una:

non comune capacità di delinquere, non inficiata dai periodi di prolungata detenzione e dal trattamento rieducativo messo in atto” e che ha inoltre dimostrato “l’assenza di qualsivoglia resipiscenza”.

(Ansa, 13 marzo 2020)