I signori Dutroux: i torturatori e stupratori che sconvolsero il Belgio

Questo libro è pieno zeppo di casi in cui la realtà supera abbondantemente l’immaginazione. Anzi, quasi tutte le storie presentano aspetti raggelanti che agli occhi dei comuni mortali appaiono il prodotto di sceneggiatori, scrittori e giornalisti dall’abbagliante vena creativa. Ebbene, da questo punto di vista la vicenda del belga Marc Dutroux si colloca senz’altro ai primissimi posti in una ideale classifica di fatti e personaggi che sembrano inventati di sana pianta.

Purtroppo è tutto vero, tutto tragicamente vero. Noto come “il mostro di Marcinelle”, Dutroux si è macchiato di fatti sconcertanti che hanno provocato un dolore inenarrabile alle vittime, ai loro parenti e ai sopravvissuti, che portano nella mente, negli occhi e sul corpo i segni di un’esperienza che nessun aggettivo potrebbe mai definire. Negli abissi dell’atrocità Dutroux trascinerà pure la seconda moglie, Michelle Martin, sicuramente complice di un uomo che fin da giovane aveva dato segnali di un ingestibile squilibrio.

C’è poi un altro elemento che rende ancora più inaccettabili le nefandezze compiute dal mostro di Marcinelle: prima che diventasse la bestia che conosceremo, era stato arrestato e condannato a una pena lieve. Poteva essere fermato in tempo, quindi, ma la blanda attenzione degli investigatori gli ha dato la possibilità di uccidere, sequestrare e torturare. Non senza fatica, sono riusciti a inchiodarlo perché una delle sue prede è riuscita a scappare. Dutroux è stato condannato all’ergastolo, mentre la moglie se l’è cavata con una pena meno severa avendo dimostrato di essere stata soggiogata dal consorte.

Oltre a seminare dolore e angoscia, la vicenda è stata così raccapricciante da aver condizionato la vita di migliaia di persone. Tra il 1996 e il 1998 un terzo dei cittadini che di cognome facevano Dutroux ha presentato domanda per cambiarlo; e la discutibile gestione del caso da allora è una delle ragioni per cui molti belgi non hanno fiducia nelle istituzioni.

Marc Dutroux è indubbiamente un altro criminale al quale la vita non ha mai sorriso, neppure tra l’infanzia e l’adolescenza, quando il gioco e la spensieratezza riempiono le ore e i giorni. L’amore non è esattamente il sentimento che lo circonda fin dal primo vagito. I genitori non sono stati proprio contenti di metterlo al mondo; e il babbo addirittura sospetta che non sia neppure suo figlio. Ma non è tutto:

Marc è il figlio maggiore (ha tre fratelli e una sorella) e descrive il padre come una persona volubile affetta da disturbi psichici, mentre la madre è «egoista, calcolatrice e subdola». I genitori si separano nel 1972 e, sempre secondo i resoconti di Marc, la madre aveva dei rapporti incestuosi con lui e i fratelli, uno dei quali si suicida nel 1992.

(Ruben De Luca, Serial killer, Newton Compton, 2021)

Durante l’adolescenza si fa espellere dalla scuola perché ha fotografato una studentessa in pose sconce e poi ha venduto le immagini. Alle soglie della maturità lascia la famiglia e va a vivere da solo lavorando come elettricista. Ha un’idea della sessualità contorta, verso le coetanee nutre un interesse stranamente fiacco, mentre si concede con discreta frequenza incontri con prostitute. Nonostante una personalità palesemente inquieta, Dutroux trova una compagna e molto presto decide di sposarla. È il 1976, lei si chiama Francoise Dubois e ha appena diciassette anni. Il matrimonio non è proprio sereno, lui picchia lei e poi va a caccia di avventure, nonostante tutto da questa tumultuosa unione nascono due figli, Dany (nel 1977) e Xavier (1979). Cinque anni dopo aver impalmato l’acerba Dubois, riscopre impulsi ormai sopiti e si lancia come un forsennato in una nuova relazione sentimentale con l’insegnante Michelle Martin, ventuno anni. Tra i due la scintilla dell’amore si trasforma in un incendio di passione: non è un capriccio per uscire dalla noia quotidiana ma un amore autentico. La Dubois si accorge che il marito la tradisce e chiede il divorzio, decisione che Dutroux accoglie con gioia perché gli consente di legarsi definitivamente alla Martin. La nuova coppia si trasferisce a Charleroi, dove dà alla luce, nel 1984, il primo figlio, Frederic.

La relazione con Michelle lo appaga (avranno due figli) ma intanto qualche rotella del suo cervello s’inceppa. Proprio normale non lo è mai stato, ma a un certo punto imbocca una direzione che lo porterà a tirar fuori tutto il marcio che ha dentro. A corto di soldi, si dedica alle rapine ed estorce del danaro persino a sua nonna. Col tempo manifesta tutte le sue turbe sessuali: con una scusa riesce ad abbordare delle ragazze, spesso conosciute alla stazione, le porta a casa sua e dopo averle violentate le tiene segregate. Tutto questo accade con la complicità della moglie che talvolta assiste, silente, agli abusi. Ma il via vai non passa inosservato e nel febbraio del 1986 Dutroux e la Martin finiscono in galera con l’accusa di aver rapito e stuprato delle minorenni. Nell’aprile del 1989 entrambi vengono condannati: 13 anni lui, 5 lei. La giustizia ha però le maglie larghe e i due dietro le sbarre ci stanno poco:

Michelle Martin esce di prigione ad agosto 1991 e, nonostante il parere contrario del procuratore e degli psichiatri, Marc Dutroux viene liberato sulla parola ad aprile 1992. A novembre dello stesso anno, Dutroux è accusato di aver molestato alcune adolescenti sulla pista di pattinaggio di Charleroi ma, dopo un breve interrogatorio, la polizia decide inspiegabilmente di lasciarlo andare. Marc Dutroux non era particolarmente affezionato ai figli maschi e la sua attenzione era tutta per Celine: voleva praticare l’incesto e “introdurla all’arte dell’amore”.

(Ibidem)

Non si capirà mai se l’elettricista fallito abbia goduto o meno di protezioni che gli hanno garantito un trattamento insolitamente morbido da parte dei tribunali, ma sta di fatto che le brutture di cui è stato protagonista vengono alla luce tutte in una volta. Gli inquirenti s’interessano a lui quando scompare un’adolescente, prelevata con la forza da un uomo scappato via a bordo di un furgone bianco. Un passante nota lo strano movimento e annota la targa del furgone, un Renault Trafic, e avverte la polizia. Il mezzo è intestato a Marc Dutroux. È il 9 agosto del 1996. Dunque, grazie all’occhio attento di un cittadino scrupoloso si arriva sulle tracce del mostro che viene arrestato qualche giorno dopo:

La minuscola cittadina di Sars-la-Buissière venne sconvolta da un evento mai visto prima. Un elicottero della gendarmeria belga atterrò davanti a un casolare in una strada residenziale. Nello stesso istante arrivarono le volanti, agenti in divisa, armati, sfondarono la porta d’ingresso della casa. Qualcuno prese un bambino e lo accompagnò fuori mentre un uomo e una donna venivano trascinati via in stato di arresto. Lui era Marc Dutroux, lei, Michelle Martin, sua moglie e madre del ragazzino che i vicini stavano additando come il figlio del mostro.

(www.fanpage.it/attualita/segrego-e-violento-8-bimbe-e-ne-uccise-

due-marc-dutroux-il-mostro-di-marcinelle/#il-ritrovamento-

di-melissa-russo-e-julie-lejeune)

L’intero Belgio fa fatica a credere a quanto sia accaduto. La lista delle accuse è chilometrica. Marc Dutroux deve rispondere di omicidi, violenze, sequestri e torture. Idem la moglie. Altre due persone, Michele Lelievre e Michel Nihoul, sono accusate di complicità in relazione ad alcuni episodi. Secondo quanto emerge dalle indagini, i Dutroux hanno assassinato quatto ragazze e un presunto complice, e un’altra decina di minorenni sono state rapite, stuprate, schiavizzate e rinchiuse in uno scantinato fradicio e sudicio lungo poco meno di due metri e mezzo, largo un metro e alto 1 metro e 64. Le prove sono inoppugnabili. Pochi giorni dopo l’arresto, gli investigatori recuperano quattro cadaveri seppelliti nei luoghi abitualmente frequentati da Marc Dutroux. In un giardino di Sars-la-Buissiere, dove le vittime erano state catturate, gli scavi consentono di individuare quel che resta di due bambine di 8 anni, Julie Lejeune e Melissa Russo. Sequestrate più di un anno prima, violentate e seviziate, erano morte di fame e di sete, completamente abbandonate nel periodo in cui Dutroux era in galera per una condanna per furto. A raccontarlo sarà la moglie Michelle, che sa tutto perché era stata lasciata in casa a fare da carceriera.

I corpi erano talmente irriconoscibili che ai genitori non saranno mai mostrati, dovranno accontentarsi di stringere tra le mani solo qualche ciocca di capelli. In quello stesso giardino era stato seppellito pure un complice, tale Bernard Weinstein, fatto fuori perché ritenuto un pericoloso testimone. Un’altra dose di orrore la procura il secondo ritrovamento: tre metri sotto il pavimento di un capanno ci sono i resti di An Marchal (diciassette anni) e di Eefje Lambrecks (diciannove anni), rapite mentre tornavano da una festa.

L’elenco si sarebbe potuto allungare con altri due nomi, Sabine Dardenne e Laetitia Delhez: per fortuna entrambe saranno liberate dalla polizia che le troverà nello scantinato-cella utilizzato per tenere prigioniere le vittime. La Delhez è l’adolescente che il passante aveva visto salire a bordo del Renault Trafic costretta con la forza.

Tutto il Belgio è tramortito. E resta sbigottito nell’apprendere che Dutroux era finito in carcere per reati a sfondo sessuale e che nonostante le gravi imputazioni se l’era cavata con delle condanne fin troppo lievi. Sotto accusa ci sono soprattutto gli apparati investigativi e giudiziari, colpevoli di aver usato il guanto di velluto nei confronti di un uomo capace di tutto.

Il 20 ottobre del 1996 la rabbia dei belgi si trasforma in una enorme manifestazione di protesta, battezzata la “Marche Blanche”. A Bruxelles scende in piazza una marea di persone per contestare l’inaccettabile mollezza con la quale lo Stato ha trattato un criminale che ha violentato e ucciso persino bimbe di otto anni:

La Marcia Bianca è l’evento organizzato a Bruxelles il 20 ottobre 1996 per manifestare l’indignazione popolare per la gestione del caso Dutroux e sollecitare una profonda riforma delle istituzioni. Hanno partecipato circa 350.000 dimostranti di tutte le classi sociali, e una delle prime conseguenze è stata la creazione, nel 1998, dell’European Child Focus Centre per i bambini scomparsi e vittime di abusi sessuali, con sede nella capitale e la presidenza onoraria affidata alla regina Paola del Belgio, che ha contattato personalmente altre first ladies per incoraggiare la realizzazione di strutture simili, dotate dello stesso numero verde, in tutti i paesi europei.

(De Luca, op. cit.)

Il Paese, che fino a quel momento non aveva vissuto traumi del genere, è scosso e molti di quanti portano il cognome Dutroux (tra i più diffusi) chiedono di poterlo cambiare. Intanto si fa largo il sospetto che il mostro di Marcinelle abbia goduto di particolari appoggi perché potrebbe far parte di un giro di pedofili nel quale sarebbero coinvolti diversi rappresentanti delle forze dell’ordine e delle istituzioni. I dubbi si moltiplicano quando, in maniera del tutto singolare, il 23 aprile del 1998 il mostro si dà alla fuga mentre i poliziotti lo stanno trasferendo al Tribunale di Neufchateau. È un’altra figuraccia alla quale si prova a porre rimedio scatenando una gigantesca caccia all’uomo. Ma ad arrestarlo sarà una solitaria guardia forestale. L’imbarazzo provocato dall’inaccettabile episodio costringe alle dimissioni il ministro della Giustizia, Stefaan de Clerq, e il suo collega degli Interni, Vande Lanotte.

Nel 2004 c’è il processo e la sentenza non può che essere una sola: Marc Dutroux viene condannato all’ergastolo. La moglie Michelle Martin, invece, se la cava con una punizione meno pesante: 30 anni di carcere. Secondo le perizie degli psichiatri, la donna ha una personalità fragile e se si è macchiata di indicibili nefandezze è perché è stata vittima della perversione del marito: l’ha plagiata e l’ha trattata più o meno come le ragazze che teneva segregate in casa. Nell’agosto 2012 la Martin è stata rilasciata “sulla parola” provocando proteste in tutto il Paese; di lei si sono perse le tracce, forse perché si è rinchiusa in un convento, così come aveva detto di voler fare. I complici Michele Lelievre e Michel Nihoul sono stati condannati rispettivamente a 25 e a 5 anni.

Dutroux non sparisce dalle cronache. Nel 2013 chiede di tornare in libertà in virtù del comportamento tranquillo tenuto in carcere, ma non gli viene concessa. Nel 2019 ci ha riprovato, chiedendo di essere esaminato da tre esperti – così come prevede la legge – il cui parere è indispensabile per ottenere dei benefici. Nel settembre del 2020, i tre esperti dopo aver incontrato più volte in carcere il mostro hanno messo nero su bianco che Dutroux non deve uscire di galera perché la sua condizione mentale non è migliorata, è sempre uno psicopatico. Se tornasse in libertà è quasi certo che commetterebbe di nuovo gli stessi reati che lo hanno trascinato all’ergastolo.

Intanto il sospetto che abbia potuto contare sul sostegno di poliziotti e inquirenti pedofili come lui, sarà smontato dall’inchiesta di una Commissione parlamentare secondo la quale Dutroux non ha mai avuto complici nelle alte sfere della polizia e del sistema governativo. Invece è certo che abbia potuto approfittare della corruzione generale, della lentezza e dell’incompetenza degli organi giudiziari.