Distinto, di bell’aspetto, di buone maniere. Insomma, una persona di cui fidarsi. Ma l’apparenza inganna, e nel caso specifico, l’inganno portava alla morte.
Ted Bundy sembrava davvero una brava persona. Molto garbata, intelligente, di quelle con cui si entra subito in confidenza saltando volentieri formalità e salamelecchi. E poi con le donne ci sapeva fare, eccome. E le donne cedevano spesso alle sue lusinghe di uomo brillante e disinvolto. Peccato però che molte non hanno mai potuto raccontare a nessuno del loro incontro con l’affabile Ted. Non hanno mai potuto perché Ted le ha uccise con modalità truculente, adoperando una barbarie che suscita solo orrore e che stride fortemente con l’eleganza delle sue movenze.
La storia di Theodore Robert Bundy comincia nel 1946 quando viene alla luce nel freddo Vermont (Stati Uniti, a meno di 100 chilometri dal confine col Canada), e finisce nella calda Florida, dove nel 1989 lo faranno accomodare sulla sedia elettrica del penitenziario di Starke.
Prima di arrivare alla condanna a morte, aveva seminato il terrore in più di uno Stato (Utah, Idaho, Colorado, Florida), ed era evaso due volte dal carcere per ricominciare a uccidere. Si autoaccuserà di una trentina di omicidi, ma è probabile che ne abbia commessi molti di più. Le sue vittime erano tutte donne e tutte con i capelli scuri o castani.
Il padre non lo ha mai conosciuto e la madre Louise non se l’è mai passata bene economicamente, al punto da cercare riparo e sostegno nella casa dei suoi genitori. Dove, però, non tutto fila liscio perché nonno Sam è un personaggio a dir poco discutibile:
Samuel Cowell era un uomo dispotico e oppressivo e tutti sapevano che sua moglie e la figlia Louise vivevano alla sua schiacciante ombra, senza mai osare reagire agli abusi. Non era violento, ma era in grado di terrorizzare ugualmente le due povere donne, tanto che sua moglie subiva frequenti elettroshock per “curare” la depressione. Per questo in molti a Burlington pensavano che il vero padre di Ted fosse proprio Sam, il nonno. Per anni il dubbio che quel ragazzo fosse il risultato di un odioso incesto circondò la famiglia, fino a quando Louise non decise di trasferirsi a casa di parenti a Tacoma, Washington, e nel 1950 cambiò il suo cognome da Cowell a Nelson.
(www.fanpage.it/attualita/di-giorno-politico-a-washington-di-notte-
stupratore-assassino-ted-bundy-ha-ammazzato-piu-di-30-ragazze/)
Da bambino non sembra proprio un angioletto, tutti lo tollerano pensando che a quell’età è normale combinare delle marachelle; nessuno immagina che non sono delle semplici bravate ma solo i primi sintomi della sua complessa personalità. A Tacoma la madre incontra John Bundy, un cuoco che lavora in una mensa e che diventerà suo marito e la renderà madre di quattro figli. Ted, intanto, è l’orgoglio della famiglia: a scuola ha un profitto più che apprezzabile, anche se la condotta lascia parecchio a desiderare. Però sembra destinato a fare qualcosa di importante, sebbene di tanto in tanto un temperamento sopra le righe lo porta a compiere azioni di cui non si può certo andar fieri.
Da adolescente manifesta le sue prime pulsioni sessuali in pubblico, poi lo arrestano un paio di volte per furto con scasso e per aver rubato un’auto. È un lettore compulsivo di riviste pornografiche, soprattutto quelle in cui ci sono scene violente, alle quali molti anni dopo – pur senza considerarle un alibi – attribuirà la responsabilità di aver condizionato in negativo il suo modo di gestire gli istinti. Se le procura frugando, insieme ai coetanei, nei bidoni dell’immondizia.
Con gli anni riesce a darsi una calmata e tira fuori la parte migliore di sé. Coltiva interessi diversi e scopre una irresistibile passione per la politica. A ventidue anni si trasferisce a Seattle per lavorare nell’ufficio elettorale di Nelson Rockfeller, che sarà poi vicepresidente degli Stati Uniti dal 1974 al 1977. Di lui parlano pure i giornali per un episodio particolare: riceve un encomio dal Dipartimento di polizia locale per aver bloccato un borseggiatore. E la “popolarità” gli frutta dei vantaggi:
Ted aveva scoperto che le sue naturali abilità di manipolazione e il suo camaleontico trasformismo erano doti non solo apprezzate, ma richieste nel mondo della politica. Nominato dal governatore Daniel J. Evans assistente direttore del Comitato per la prevenzione della criminalità di Seattle, era talmente stimato che ottenne anche una raccomandazione alla facoltà di Giurisprudenza dello Utah, dove si trasferì in un appartamento di Salt Lake City.
(Ibidem)
È sveglio, e lo dimostra con gli eccellenti risultati ottenuti da studente universitario e con il lavoro part-time in una sorta di “telefono amico” per persone con tendenze suicide. Lì conosce la collega Ann Rule, che un giorno diventerà la sua biografa.
Un brav’uomo, dunque? No, piuttosto un tizio con una doppia personalità, o per meglio dire una capacità di recitazione assai spiccata che gli consente di spacciarsi per ciò che non è, un brav’uomo appunto. Nel 1974, quando ha ventotto anni, non è solo uno spumeggiante giovanotto ma pure uno spietato assassino. La sua prima vittima si chiama Linda Healy, scomparsa il 31 gennaio dal suo seminterrato di Seattle: di lei resterà solo il sangue appiccicato alle lenzuola e alla vestaglia. Il 12 marzo uccide Donna Gail Manson, una ragazza di appena diciannove anni, della quale si perdono le tracce la sera in cui sta andando a un concerto a Olimpia, la capitale dello Stato di Washington. Un mese dopo, a Ellensburg, tocca a Susan Rancourt, diciassette anni. Tra la primavera e l’inizio dell’estate a Seattle succedono fatti inquietanti. Agli inizi di maggio la sventurata che incontra Ted si chiama Roberta Parks, ventidue anni: pure lei sarà ammazzata, e il corpo non sarà mai ritrovato. A giugno, nell’area di Seattle, Bundy ammazza prima Brenda Ball, ventidue anni, e poi, dieci giorni dopo, la diciottenne Georgann Hawkins.
La polizia fa fatica a capire come mai nel giro di così poco tempo siano sparite così tante ragazze. Non si riesce a comprendere se dietro ci sia l’opera di una mano sola, o se si tratti di eventi scollegati l’uno dall’altro. Il dubbio si dirada nel momento in cui emerge in maniera lampante un elemento che all’inizio nessuno aveva notato: tutte le ragazze si somigliano. In alcuni casi alcune sembrano addirittura gemelle. Tutte giovani, dalle fattezze gradevoli, con i capelli scuri (o al massimo castani) e lunghi fino alle spalle. Dunque, c’è un filo invisibile che le unisce. Ma è prematuro parlare di un serial killer perché i cadaveri non sono stati mai trovati.
Mentre gli inquirenti girano a vuoto, Bundy non si ferma, colpisce ancora sul lago di Sammamish, nello Stato di Washington. Il 14 luglio del 1974 Janice Ott, ventitré anni, e Denise Naslund, diciannove anni, sono a fare il bagno ciascuna in compagnia della propria comitiva di amici. L’intraprendente Ted avvicina prima l’una e poi l’altra con una scusa: deve legare la barca alla macchina, un’operazione che non può fare da solo perché ha il braccio fasciato e dolorante. È una bugia, naturalmente, l’unica cosa vera è che si tratta della sua auto: un “Maggiolino”. Ma non è un “Maggiolino” qualsiasi: la parte interna del lato passeggero è sprovvista di maniglia. Chi entra, dunque, non può più uscire perché la portiera può essere aperta soltanto dall’esterno. È esattamente questa è la fine che hanno fatto la Ott e la Naslund, la cui scomparsa viene denunciata dagli amici che non le hanno più viste tornare dopo che avevano aiutato un uomo con il braccio fasciato. Quando la polizia avvia le indagini per quanto è accaduto sul lago Sammamish, scopre che un certo “Ted” ha attaccato bottone con altre due donne, le quali, però, si sono ben guardate dall’assecondarlo nella sua farlocca richiesta.
Gli investigatori diffondono la notizia e ricevono centinaia di segnalazioni su chi possa essere il “Ted” di cui si parla. Qualche anonimo interlocutore fa il nome di un certo Ted Bundy, ma quando gli agenti vanno a controllare scoprono che corrisponde a una persona irreprensibile, impegnata in politica e gratificata in passato da un encomio dal Dipartimento di polizia di Seattle per aver bloccato un borseggiatore.
Il 7 settembre è la data in cui si verifica un episodio che imprime un’accelerazione alle indagini. A pochi chilometri di distanza dal lago Sammamish un gruppo di cacciatori trova i resti di tre cadaveri fatti a pezzi. Le perizie odontoiatriche consentono di accertare che si tratta di Janice Ott e Denise Naslund; le ossa della terza persona non saranno mai identificate. Un ritrovamento identico avviene il 12 ottobre nella Contea di Clark: le ossa appartengono a Carla Valenzuela, una studentessa di vent’anni sparita da Vancouver (Stato di Washington) due mesi prima; i resti di un’altra donna, invece, sono così maciullati che sarà impossibile stabilire a chi appartengono. Con tutto quel materiale a disposizione, gli inquirenti cominciano a pensare che il serial killer abbia i giorni contati. Ma evidentemente il serial killer deve pensarla in maniera diversa perché non sembra affatto preoccupato dei passi in avanti compiuti dagli indagini. Infatti nello Utah nel frattempo ha fatto sparire altre due ragazze: a Salt Lake City la sedicenne Nancy Wilcox non è più tornata a casa; a Midvale nessuno ha più saputo nulla di Melissa Smith, diciassette anni.
Il 27 ottobre Melissa viene ritrovata, ma è morta e sul corpo ci sono segni evidenti di violenza carnale e di percosse.
Identica la sorte di Laura Aimee: ha solo diciassette anni quando viene ritrovata cadavere in un bosco di Salt Lake City. L’unica che riesce a scamparla è Carole Da Ronch, abbordata in un centro commerciale: si dilegua in un istante dopo aver capito che l’uomo le avrebbe fatto fare una brutta fine. Non è altrettanto scaltra Debbie Kent, sequestrata mentre si intratteneva nell’auditorio di un liceo di Salt Lake City.
Dunque, la maggior parte dei casi è avvenuta negli Stati di Washington e Utah. E guardacaso c’è un solo uomo che nello stesso periodo si è trasferito dallo Stato di Washington allo Utah: quell’uomo è Ted Bundy. Va detto che la polizia non ha tutte le colpe; il soggetto che sequestra e uccide ragazze o le fa sparire dev’essere un maniaco folle, non certo un insospettabile come il docile Ted.
A quelli di Washington e Utah bisogna aggiungere un terzo Stato: il Colorado. Nel 1975 da quelle parti la prima a fare una brutta fine è Caryn Campbell, ventitré anni: è in vacanza sulla neve quando all’improvviso sparisce. La trovano quasi un mese dopo, morta, pure lei picchiata e violentata. Poi tocca a Julie Cunningham di cui si perdono per sempre le tracce il 15 marzo. Per qualche giorno sembra inghiottita nel nulla anche Melanie Cooley: la ritroveranno con il cranio fracassato e i jeans abbassati fino alle caviglie. Della ventiquattrenne Shelly Robertson, invece, saranno recuperati solo i resti del cadavere, gettati in un pozzo nei pressi di una miniera.
La carneficina sembra inarrestabile, ma prima o poi tutti i serial killer commettono un errore banale che li smaschera una volta e per sempre. E anche il furbissimo Ted Bundy scivola sulla sua personale buccia di banana:
Un poliziotto lo aveva fermato per strada alla guida del suo Maggiolino Volkswagen dal cui portabagagli era saltato fuori un “kit” contenente un piede di porco, manette, sacchi della spazzatura, una corda, un rompighiaccio e altri oggetti inizialmente considerati strumenti da scassinatore. A parte qualche piccolo furto in gioventù, Ted Bundy non era uno scassinatore, era un serial killer.
(Ibidem)
Indagando su quell’uomo all’apparenza al di sopra di ogni sospetto, la polizia collega i suoi movimenti alla sparizione delle ragazze. Non ci sono prove schiaccianti, ma indizi più che convincenti, questo sì. Gli elementi più forti li posseggono gli inquirenti del Colorado, dove Bundy ha assassinato Caryn Campbell. La storiaccia sembra arrivata al suo epilogo, ma non è così. Il boia di fanciulle dai capelli lunghi e neri evade due volte dal carcere: la prima volta viene acciuffato dopo una settimana, la seconda volta riesce a darsi alla fuga. Si trasferisce in Florida, ma invece di starsene tranquillo continua a fare ciò che ha sempre fatto: l’assassino. Nel 1978 uccide Lisa Levy, vent’anni, e Margaret Elizabeth Bowman, ventuno, entrambe massacrate a Tallahassee. Infine strazia il corpo di una dodicenne, Kimberly Leach, il cui corpo viene trovato martoriato solo due mesi dopo. La frenetica attività di Bundy finisce casualmente: la polizia lo arresta a Pensacola, in Florida, mentre è al volante di un’auto rubata ed è privo di documenti. Oramai è finita. Gli inquirenti indagano sul suo conto e lo accusano di due omicidi, ma quando si rende conto di non avere più vie d’uscita ne confessa una trentina, anche qualcuno per il quale non è sospettato, come quello di Lynette Calver, una dodicenne rapita in una scuola dell’Idaho. Nonostante il suo passato, Bundy riesce persino a trovare una moglie, tant’è che si sposa mentre è in corso il processo: la consorte si chiama Carole Anne Boone, l’aveva conosciuta a Washington, da lei avrà una figlia. La donna è convinta che la giustizia abbia preso una cantonata, è impossibile che il suo Ted possa aver compiuto una carneficina. Udienza dopo udienza, però, Carole capisce chi è veramente suo marito e scappa via con la bambina.
Per l’ex aitante giovanotto l’epilogo non può che essere uno solo: in Florida c’è la pena di morte e lui viene condannato alla sedia elettrica. Poco prima di essere giustiziato concede un’intervista nella quale sostiene che a rovinargli la vita è stata la pornografia:
Non mi è rimasto abbastanza tempo per spiegare e raccontare tutto. […] A dodici-tredici anni andando in giro per i negozi del quartiere ho scoperto le pubblicazioni pornografiche. […] Vorrei mettere in evidenza i gravi danni che questa pornografia può provocare. Sto parlando della mia esperienza personale, dura e reale, rovinata da questo tipo di pornografia che definirei violenta, nella quale il sesso diventa violenza e denigra il rapporto matrimoniale. Quando si hanno solo 12 anni questa influenza modifica il comportamento in senso negativo, è difficile da descrivere. Non sto accusando la pornografia e non affermo che sia la ragione per la quale ho fatto ciò che ho fatto. Mi assumo la piena responsabilità delle mie azioni e di tutti i miei misfatti. […] Questo tipo di pubblicazioni pornografiche può coinvolgere e ombreggiare il comportamento finale di una persona. La pornografia violenta mi ha coinvolto, ha preso possesso dei miei pensieri.
(www.youtube.com/watch?v=OGBzRGwlykE)
A emettere la sentenza è il giudice Edward Cowart, che entra nell’aula di giustizia e fissa l’imputato negli occhi. Poi pronuncia queste parole:
È stabilito che siate messo a morte per mezzo della corrente elettrica, che tale corrente sia passata attraverso il vostro corpo fino alla morte. Prendetevi cura di voi stesso. Ve lo dico sinceramente: prendetevi cura di voi stesso. È una tragedia per questa Corte vedere una tale assenza di umanità come quella che ho visto in questo tribunale. Siete un giovane brillante. Avreste potuto essere un buon avvocato e avrei voluto vedervi in azione davanti a me, ma voi siete venuto nel modo sbagliato. Prendetevi cura di voi stesso. Non ho nessun malanimo contro di voi. Voglio che lo sappiate. Prendetevi cura di voi stesso.
(thrillernord.it/un-estraneo-al-mio-fianco/)
L’esecuzione di Ted Bundy avviene il 24 gennaio 1989, a meno di dieci anni dall’arresto.
Fuori dal carcere molte persone brindano alla notizia della sua morte. C’è chi invece soffre non poco per la sua fine:
Secondo la sua biografa, Anne Rule, dopo la morte di Bundy decine di donne con le quali aveva intrattenuto una corrispondenza dal carcere (tutte erano convinte di essere l’unica), caddero in depressione o furono vittima di esaurimento nervoso. “L’unico modo per guarire per loro – disse Anne – fu realizzare che quell’uomo le aveva raggirate. Anche da morto Bundy manipolava le donne”.
(www.fanpage.it/attualita/di-giorno-politico-a-washington-di-notte-
stupratore-assassino-ted-bundy-ha-ammazzato-piu-di-30-ragazze/)