Tullio Brigida, che ammazzò tre figli per fare un dispetto all’ex moglie

La quasi totalità delle storie raccolte in questo libro contiene aspetti agghiaccianti, spesso si fa fatica persino ad accettare che certe vicende siano accadute per davvero.

Ma se si potesse stilare una classifica dell’orrore, nelle prime posizioni ci sarebbe senz’altro la straziante fine di tre bambini di tredici, sette e due anni sacrificati sull’altare di un’assurda vendetta familiare. Una storia carica di angosce e bugie, di lacrime e di finzione durata un anno e mezzo, uno struggimento progressivo per la madre e i nonni delle giovanissime vittime.

Il matrimonio tra Tullio Brigida e Stefania Adami non è stata una grande idea. La gestione quotidiana del rapporto è stata tormentata, priva di slanci affettivi ma zeppa di contrasti e violenze. Racconterà la donna:

Laura, la nostra prima figlia è nata quasi subito e noi, che non eravamo ancora sposati, avevamo già cominciato a litigare. Tullio è sempre stato così com’è ora: geloso, violento, irascibile. Brusco e autoritario anche con i bambini, che lo temono e che quando li ho portati da lui, nel dicembre scorso, avevano paura. Mi ha sempre picchiata. Una volta è finito anche in galera perché mi aveva ferito con un coltello.

(Ansa, 20 maggio 1994)

La Adami, però non dovrebbe sorprendersi. Il suo Tullio non è mai stato uno dalle maniere gentili. Ha avuto qualche grana con la legge, non ha mai avuto un lavoro fisso, probabilmente le ha dato più volte la sensazione che difficilmente diventerà un marito e un padre modello. Oltre a questa sensazione, le ha dato anche le botte e in una circostanza non ha esitato ad accoltellarla. Alla fine, ha deciso di lasciarlo. È l’autunno del 1993. L’unico frutto dolce di quel legame infelice sono i tre figli: Laura (tredici anni), Armando (sette) e Luciana (due). Laura e Armando hanno qualche non trascurabile problema di salute e vanno seguiti con grande attenzione.

Poco prima di Natale il babbo chiede e ottiene che i bambini trascorrano con lui il periodo delle feste in una casa a Santa Marinella. Dopo Capodanno torneranno dalla madre. Questo è l’accordo. Ma dopo Capodanno i tre bambini non tornano dalla madre. Però non stanno più neppure col padre. Non sono da nessuna parte. Sono spariti, risucchiati in un buco nero. Stefania Adami va dai carabinieri, la sua denuncia viene rubricata come “sottrazione di minori in seguito a lite fra coniugi”. Poi si rivolge al tribunale dei Minori, bussa a tutte le porte nella speranza che qualcuno le dia una mano per capire dove sono finiti i suoi tre figli. Tullio Brigida prova a tranquillizzarla, ma senza riuscirci. La donna – che lo ha sposato nonostante abbia sempre saputo di che pasta è fatto – non si fida, teme il peggio, vuole la verità. Difficile non comprendere il dolore di una madre. Ma la verità Tullio Brigida non la dice, non può dirla: Laura, Armando e Luciana non potranno mai più riabbracciare Stefania. Non potranno perché sono morti.

E pur di non dire la verità comincia a inventare delle fantasiose storie sostenendo che i bambini sono al sicuro e che lei non si deve preoccupare. Ma Brigida oltre che inaffidabile è pure violento, tant’è che compie un gesto che appare inspiegabile: con un ordigno rudimentale tenta di far saltare in aria l’abitazione dei suoceri. Il congegno è assai rozzo, per cui il progetto fallisce. La situazione per lui precipita e siccome dei bambini non c’è più traccia, viene arrestato con le accuse di sequestro di persona e tentato omicidio.

Di Laura, Armando e Luciana intanto non si hanno più notizie. È un tormento che annichilisce la mamma, soprattutto perché Brigida a un certo punto riparte con una stucchevole girandola di versioni tutte differenti tra loro e spesso assolutamente inverosimili. Intanto ai centralini di alcuni quotidiani arrivano delle telefonate strane: voci anonime raccontano che i bambini sono stati uccisi e poi seppelliti. Siamo in una fase in cui la speranza che Brigida li abbia nascosti è ancora viva, per cui le telefonate vengono bollate come una cinica iniziativa di qualche sciacallo. Dopo cinque mesi è disperato anche Armando Brigida, padre di Tullio e nonno dei bimbi:

Mio figlio deve rimanere in carcere, perché è lui che ha nascosto i bambini, portandoli via alla madre, forse per farle un dispetto, e ai nonni. E dalla prigione non lo devono fare uscire: almeno fino a quando non si convince a dire dove sono Laura, Armandino e la piccola. Di mio figlio e di mia nuora non me ne importa nulla. Quei bambini, figli di un matrimonio assurdo, li abbiamo cresciuti sempre io e mia moglie. Siamo noi che li abbiamo portati dai medici quando avevano problemi, noi che li abbiamo seguiti nei problemi scolastici, noi che gli abbiamo dato affetto. Ed ora, da cinque mesi, siamo impazziti dal dolore e dalla disperazione. Io sono disposto a tutto pur di ritrovarli. Anche a dare tutto quello che possiedo, 30 milioni, a chiunque sia in grado di riportarli a casa sani e salvi.

(Ansa, 20 maggio 1994)

Intanto Brigida cambia versione, dice di aver nascosto i figli in Umbria ma le ricerche non danno alcun esito. S’inventa persino una vendetta della ’ndrangheta che gli avrebbe portato via i figli: una punizione scattata perché aveva dato ospitalità alla moglie di un boss calabrese. Tutto falso. Si fa strada la sensazione che oramai non ci sia più niente da fare. Il 30 maggio del 1994 Tullio Brigida viene indagato per omicidio plurimo. Sembra deciso a dire la verità, ma non è così. Dice che i figli sono rimasti soffocati dai gas di scarico della sua auto, e aggiunge che è stato un incidente. Sostiene di averli seppelliti nelle campagne di Vetralla (Viterbo), ma gli scavi nel luogo da lui indicato si rivelano inutili. Il 13 luglio l’indagine potrebbe finalmente subire un’accelerazione: Vincenzo Bilotta, un amico di Brigida, viene intervistato dalla trasmissione televisiva Chi l’ha visto e dichiara:

È un segreto che ho da tanto tempo. È stato Tullio Brigida a uccidere i suoi figli. Lo ha fatto perché era disperato, aveva paura di perderli. […] Tullio mi ripeteva che non ce la faceva più da quando era stato abbandonato dalla moglie. […] Sono sicuro, li ha ammazzati lui. Stava troppo male per non essere sincero. […] Penso che i bambini siano sotto terra nella zona di Acilia, è lì che era stato con loro, è lì che si occupava della macchina, della casa. Io, dopo aver saputo tutto questo ho scritto lettere anonime a un quotidiano romano, ai giudici del Tribunale dei Minori… Ora dico a Tullio: “Devi parlare”.

(«la Repubblica», 13 luglio 1994)

Ma Tullio nega. E a fine luglio tira fuori un’altra panzana: Laura, Armando e Luciana sono all’estero, ma per motivi di sicurezza non può rivelare né dove né perché sono in pericolo. I mesi passano senza che si venga a capo della storia. Stefania Adami protesta davanti al Quirinale, inutilmente. A poco più di un anno dalla scomparsa, Tullio Brigida ha di nuovo un sussulto di memoria e in un interrogatorio rivela che i bambini li ha trovati morti sul letto della sua casa di Santa Marinella, forse erano stati avvelenati. È un’altra menzogna.

Nell’aprile del 1995 inizia il processo per il sequestro di persona, e alla prima udienza Tullio Brigida finalmente dice qualcosa di vero, di terribilmente vero: sostiene di aver seppellito i tre figli nelle campagne di Cerveteri. Sfortunatamente non è l’ennesimo, seppur lacerante, depistaggio. Gli inquirenti scavano nel luogo indicato dall’uomo e il 20 aprile vengono rinvenuti i resti di Laura, Armando e Luciana. Alla scena assiste pure la madre Stefania che lancia urla lancinanti:

[…] Mai davanti a uno spettacolo come quello dei tre piccoli corpi, distesi a strati, supini, il capo tutti dalla stessa parte, coperti da un giubbotto di velluto blu: il giubbotto del padre, che li aveva avvolti in una sorta di sudario appartenente a lui, come sue forse erano state le mani che ai bimbi avevano dato la morte. La pioggia si è infittita. Si lavora con i guanti e le mascherine davanti al viso. Ecco le tre paia di scarpe. Ecco brandelli di capelli attaccati al cranio. Ecco la maggiore dei figli: indossa il montgomery e il cappuccio le copre il capo. E i fratellini più piccoli: uno ha una maglia a righe bianche e rosse, uno la giacca.

(«La Stampa», 21 aprile 1995)

Le atrocità non sono finite. Perché dall’esame dei periti emergeranno elementi agghiaccianti. I tre bambini sono stati assassinati dalle esalazioni di ossido di carbonio, ma non è stato affatto un incidente: probabilmente Laura, Armando e Luciana erano stati chiusi nell’auto, e l’abitacolo era stato riempito dai gas di scarico attraverso un tubo collegato alla marmitta.

In questa vicenda già abbondantemente crudele, provoca sconcerto pure il movente: la decisione di sopprimerli sarebbe maturata all’interno di una vendetta contro la moglie che lo aveva abbandonato.

È stato lui a uccidere i figli. Per odio, contro la moglie. Gli ha somministrato dei sonniferi, li ha messi nella macchina, una Ford Fiesta, e poi ha acceso il motore. Un tubo di plastica collegato all’abitacolo, così i gas di scarico hanno avvelenato i bambini.

(Emanuele Boccianti e Sabrina Ramacci, Italia giallo nera,

Newton Compton, 2013)

Tullio Brigida sarà processato e condannato per triplice omicidio e occultamento di cadavere. Il 26 gennaio del 1998 la Cassazione confermerà la condanna all’ergastolo inflittagli in primi grado e in Appello.