Poscritto

Agli insegnanti e ai genitori

COME insegnante e come madre sono stata impegnata in prima persona nella ricerca di nuovi metodi di insegnamento, e come la maggior parte degli insegnanti e dei genitori mi sono spesso resa conto – talvolta con notevole disagio – di quanto il processo dell’insegnamento/apprendimento sia approssimativo, nella maggior parte dei casi del tutto empirico. Capita che gli studenti non imparino ciò che crediamo di insegnare loro, o che quello che in effetti apprendono non sia affatto ciò che intendevamo trasmettere.

Ricordo un episodio molto significativo, che mi fece riflettere su questo problema della comunicazione e dell’apprendimento. Forse qualcosa di simile sarà capitato anche a voi, con un vostro allievo o con vostro figlio, oppure avrete sentito parlare di episodi simili. Anni fa, mi trovavo in visita da una mia amica, quando suo figlio rincasò da scuola molto eccitato perché aveva imparato una cosa nuova. Frequentava allora la prima elementare e la maestra aveva appena cominciato a insegnare ai bambini a leggere. Gary annunciò che aveva imparato una parola nuova. «Magnifico, Gary», disse sua madre. «Che parola è ?» Il bambino rifletté per un momento, poi rispose: «Aspetta, te la scrivo». Prese una lavagnetta e con grande cura scrisse CASA. «Ottimo, Gary», disse la madre. «Come si legge?» Il bambino guardò la parola, poi guardò sua madre e con l’aria più tranquilla del mondo disse: «Non lo so».

A quanto pare, il bambino aveva imparato che aspetto aveva la parola, cioè ne conosceva perfettamente la forma. Ma la maestra stava insegnando un altro aspetto della lettura: la sua intenzione era che i bambini imparassero ciò che le parole significavano, che cosa simboleggiavano. Come spesso accade, ciò che la maestra aveva insegnato e ciò che Gary aveva imparato erano due cose del tutto diverse.

Scoprii poi che il figlio della mia amica di solito imparava più rapidamente e meglio tutto ciò che comportava un processo di percezione visiva: un sistema di apprendimento che molte persone trovano più consono alla propria personalità. Purtroppo, il mondo scolastico è soprattutto un mondo verbale e simbolico, e i bambini come Gary devono adeguarvisi, devono cioè rinunciare ad apprendere nel modo a loro più consono e accettare invece il modo imposto dalla scuola. Gary, per sua fortuna, riuscì a compiere questo passo; ma quanti altri ragazzi vengono lasciati indietro?

Questo passaggio forzato da un sistema di apprendimento a un altro è in certa misura paragonabile all’imposizione dell’uso della mano destra. In altri tempi si usava costringere chi era costituzionalmente mancino a diventare destrimano. Forse, in futuro, giungeremo a considerare l’imposizione di un sistema di apprendimento diverso da quello connaturato all’individuo con lo stesso sconcerto con cui oggi consideriamo l’uso imposto della mano destra. Un giorno non lontano potremo forse stabilire, con prove apposite, qual è il sistema di apprendimento che ogni bambino trova più naturale e potremo scegliere, da un repertorio di metodi didattici, quelli più adatti, in modo che i bambini possano apprendere sia visivamente sia verbalmente.

Gli insegnanti hanno sempre saputo che i bambini apprendono in diversi modi, e chi è responsabile dell’educazione dei ragazzi ha sperato a lungo che le nuove scoperte sul cervello umano potessero contribuire alla formulazione di metodi didattici che garantissero a tutti i ragazzi un uguale livello di apprendimento. Fino a circa cinquant’anni fa, le ricerche sul cervello sembravano giovare soprattutto alla scienza, ma oggi quelle scoperte trovano applicazione anche in altri campi e le recenti ricerche cui ho accennato in questo libro promettono di fornire basi solide per cambiamenti di fondamentale importanza nelle tecniche educative.

David Galin, tra altri ricercatori, ha fatto presente che gli insegnanti hanno tre compiti fondamentali: anzitutto, educare entrambi gli emisferi, non solo quello sinistro (verbale, simbolico e logico) che da sempre riceve un’educazione nella scuola tradizionale, ma anche l’emisfero destro (con le sue funzioni spaziali, relazionali e globali), che la scuola odierna per lo più ignora; in secondo luogo, insegnare ai ragazzi a usare il sistema cognitivo più indicato al tipo di lavoro da svolgere; infine, dare ai ragazzi la possibilità di abbinare i due sistemi cognitivi – che fanno capo ai due emisferi – in modo da affrontare i vari problemi con un metodo integrato.

Quando gli insegnanti saranno in grado di unire i due sistemi complementari o di utilizzare quello dei due che meglio si presta al compito da svolgere, l’insegnamento e l’apprendimento cesseranno di essere processi approssimativi. In ultima istanza, l’obiettivo sarà di sviluppare entrambe le metà del cervello, poiché entrambe sono necessarie al funzionamento pieno del sistema-uomo, ed entrambe sono necessarie per ogni e qualsiasi attività creativa, che si tratti di scrivere o di dipingere, di inventare una nuova teoria della fisica o di affrontare problemi ambientali.

Non è facile proporre questo obiettivo agli insegnanti, soprattutto oggi che il sistema educativo viene attaccato da molte parti. Ma la nostra società sta cambiando rapidamente e diventa sempre più difficile prevedere quali capacità saranno necessarie alle generazioni future. Fino a oggi ci siamo affidati quasi completamente alla parte razionale del cervello per pianificare il futuro dei nostri ragazzi e risolvere i problemi che avrebbero potuto trovare sul loro cammino, ma ora dobbiamo fare i conti con mutamenti profondi che scuotono la nostra fiducia nel pensiero tecnologico e nei vecchi sistemi educativi. Ecco perché certi insegnanti particolarmente consapevoli, senza abbandonare l’insegnamento delle materie verbali e computistiche, cercano nuovi metodi didattici che aiutino i ragazzi a sviluppare le loro facoltà intuitive e creative, preparando così le giovani generazioni ad affrontare i nuovi compiti con flessibilità, inventiva e immaginazione, e rendendole capaci di comprendere insiemi complessi di idee o di fatti tra loro interrelati, di percepire l’intima trama degli eventi e di guardare ai vecchi problemi in modi nuovi.

Che cosa, dunque, potete proporvi nell’immediato futuro, come genitori e insegnanti, per quanto riguarda l’educazione di entrambe le parti del cervello dei vostri ragazzi? Anzitutto, è importante che siate informati sulle particolari funzioni e sullo stile di lavoro dei due emisferi. Libri come questo possono fornirvi una conoscenza di base sia della teoria sia di esperienze concrete di passaggi da un processo cognitivo all’altro, e io credo che sia importante, se non essenziale, conoscere esperienze specifiche di questo tipo, prima di trasmettere i concetti ad altri.

Oltre a questo, dovrete stare all’erta e cercare di capire quali attività coinvolgono l’uno o l’altro emisfero; pian piano potreste cercare di determinare quale parte del cervello i ragazzi dovranno usare, creando le condizioni e predisponendo le attività atte a provocare il passaggio da un processo cognitivo all’altro. Per esempio: chiedete ai vostri alunni di leggere un certo brano cercando di individuare i fatti in esso contenuti, e di esprimere oralmente o in forma scritta le loro reazioni e i loro commenti. Lo stesso brano potrà poi essere sottoposto a un tipo diverso di lettura: si cercherà questa volta di coglierne il significato e il contenuto più profondo, accessibile attraverso il pensiero metaforico e per immagini. Per questo tipo di interpretazione potreste chiedere ai ragazzi di esprimersi attraverso una poesia, un dipinto, una danza, un indovinello, un gioco di parole, una fiaba o una canzone. Un altro esempio: certi problemi di aritmetica e di matematica richiedono il pensiero lineare e logico; altri, invece, comportano immaginarie rotazioni di forme nello spazio o manipolazioni di numeri, che riescono meglio se visualizzate mediante schemi prodotti mentalmente. Cercate di scoprire – prendendo nota del vostro stesso processo di pensiero od osservando i vostri alunni – quali attività utilizzano le funzioni dell’emisfero destro, quali quelle dell’emisfero sinistro e quali richiedono le funzioni di entrambi gli emisferi simultaneamente o in modo complementare.

In terzo luogo, provate a intervenire sulle condizioni della classe – almeno su quelle che potete controllare – modificandole. Per esempio, il parlare a lungo, da parte sia dell’insegnante sia dei ragazzi, crea una dipendenza piuttosto rigida dalle funzioni dell’emisfero sinistro. Se riuscite a provocare un passaggio sufficientemente radicale da questa condizione verbale alla funzione D, potrete ottenere una situazione oggi molto rara nelle aule scolastiche: il silenzio. Ma, cosa più importante, i ragazzi saranno occupati in quella che è l’attività del momento, saranno attenti e vigili, si sentiranno sicuri e soddisfatti. In questo modo, imparare diventa un piacere, e questo è di per sé un risultato che merita anche molta fatica. Quando fate questo tipo di esperimento, badate di essere voi i primi a promuovere e a mantenere il silenzio.

Un altro suggerimento: provate a cambiare la sistemazione dei banchi e delle luci; il movimento fisico, soprattutto se segue uno schema come nella danza, può favorire il passaggio da un processo cognitivo all’altro. La musica comporta il passaggio alla funzione D, e il disegno e la pittura, come abbiamo visto in questo libro, lo favoriscono fortemente. Potreste sviluppare forme personali di linguaggio, inventando magari un tipo di comunicazione pittografica che i vostri alunni possono usare in classe. Vi consiglio di fare il più ampio uso possibile della lavagna, non solo per scrivervi parole, ma anche per disegnarvi immagini, diagrammi, illustrazioni, schemi. L’ideale sarebbe comunicare tutte le informazioni in almeno due forme: quella verbale e quella pittografica. Potreste provare a ridurre il contenuto verbale del vostro insegnamento, sostituendovi, ogniqualvolta è possibile, un tipo di comunicazione non verbale.

Un’ultima osservazione: spero che farete un uso consapevole delle vostre facoltà intuitive per elaborare dei metodi di insegnamento che comunicherete anche ad altri insegnanti nei vostri incontri di lavoro o sulle vostre pubblicazioni. Forse usate già da tempo, intuitivamente o consapevolmente, delle tecniche che facilitano il passaggio alla funzione D. Come insegnanti abbiamo bisogno di comunicarci le nostre esperienze, poiché abbiamo un obiettivo comune: assicurare ai nostri ragazzi un futuro in cui si farà un uso equilibrato, integrato, completo dei due emisferi cerebrali.

Come genitori, possiamo fare molto per facilitare il raggiungimento di tale obiettivo: possiamo aiutare i nostri figli ad accostarsi al mondo esterno alternando i due processi cognitivi, quello verbale/analitico e quello visivo/ spaziale. Negli anni determinanti della prima infanzia, i genitori possono aiutare i loro figli a plasmare la propria vita, evitando che le parole soffochino altri tipi di realtà; la mia più calda raccomandazione ai genitori riguarda, infatti, l’uso – o, meglio, il non-uso – delle parole.

Molti di noi, in presenza di bambini piccoli, sono troppo pronti a indicare gli oggetti con il loro nome. Quando un bambino ci chiede: «Che cos’è questo?» noi, accontentandoci di rispondere semplicemente con un nome, gli comunichiamo che è il nome che conta, l’etichetta, che chiamare le cose per nome è sufficiente. Etichettando e classificando le cose del mondo fisico, noi priviamo i bambini del loro senso di meraviglia e dell’esperienza della scoperta. Fate questo esperimento: anziché limitarvi a rispondere: «Quello è un albero», provate a guidare il vostro bambino in un’esplorazione fisica e mentale dell’albero. Ciò può significare toccarlo, sentirne l’odore, guardarlo da diverse posizioni, confrontarlo con un altro albero, immaginarne l’interno e le parti sotto terra, ascoltare il fruscio delle foglie, osservarlo in diverse ore del giorno o in diverse stagioni, seminarne i semi, guardare come se ne servono altre creature quali gli uccelli, le farfalle notturne, gli insetti, e così via. Quando scopre che ogni oggetto è affascinante e complesso, il bambino comincia a comprendere che l’etichetta non è che una piccola parte del tutto; in questo modo egli manterrà intatto il suo senso di stupore, nonostante la valanga di parole che il nostro mondo gli riverserà addosso.

Quanto a incoraggiare lo sviluppo artistico del vostro bambino, il mio consiglio è di mettergli a disposizione molto materiale da disegno e di guidarlo nel tipo di esperienza percettiva che ho descritto a proposito dell’albero. Il bambino percorrerà, in maniera abbastanza prevedibile, le varie tappe dello sviluppo infantile nel campo dell’arte come in ogni altro campo. Quando chiederà il vostro aiuto per fare un disegno, dovrete dirgli:

«Andiamo a guardare insieme la cosa che vuoi disegnare». Allora le sue rappresentazioni simboliche si arricchiranno di nuove esperienze percettive.

Per quanto riguarda i problemi artistici dell’adolescente, di cui si è trattato in un capitolo di questo libro, sia gli insegnanti sia i genitori possono essere d’aiuto. Come ho già detto, i bambini hanno bisogno di passare per la fase del disegno realistico, e ciò avviene verso i dieci anni. A quell’età essi cercano di imparare a vedere, e meritano tutto l’aiuto di cui siamo capaci. Gli esercizi di questo libro, così come la descrizione alquanto semplificata delle funzioni degli emisferi cerebrali, possono essere tranquillamente usati con un bambino di dieci anni. Inoltre, si possono utilizzare i soggetti preferiti dagli adolescenti (eroi ed eroine di certi fumetti ben disegnati e realistici, in pose dinamiche) per il disegno di immagini capovolte. Anche il disegno di spazi negativi e quello di contorno sono adatti ai ragazzi di questa età, che imparano rapidamente le tecniche citate e le applicano nei loro disegni. (Guardate l’esempio riportato a margine, che illustra i progressi compiuti da un ragazzo di dieci anni in quattro giorni di tirocinio.) Il ritratto, poi, è particolarmente amato dai ragazzi nella prima adolescenza, che possono arrivare a disegnare piuttosto bene gli amici e i familiari. Una volta superato il timore di non riuscire nel disegno, i bambini saranno disposti a impegnarsi per perfezionare la loro tecnica, poiché i buoni risultati migliorano il concetto che essi hanno di se stessi e aumentano la loro sicurezza.

Ma ciò che più conta in una prospettiva futura è che il disegno, come avete imparato svolgendo gli esercizi di questo libro, è un mezzo efficace per attivare e controllare le funzioni dell’emisfero destro. Imparare a vedere attraverso il disegno può aiutare i bambini a sfruttare, quando saranno adulti, tutte le potenzialità di un cervello completo.

Disegni eseguiti da un bambino di dieci anni nel corso di tre lezioni, dal 15 al 19 aprile 1977 (periodo di tirocinio: quattro giorni).

A chi studia in una scuola d’arte

Molti artisti contemporanei di successo ritengono che non sia affatto importante saper disegnare in maniera realistica. È vero, in linea generale, che nell’arte contemporanea non è indispensabile saper disegnare, e che persino la grande arte moderna è stata prodotta da artisti che non hanno questa capacità. Però la mia impressione è che essi siano in grado di realizzare opere di valore solo perché la loro sensibilità estetica è stata coltivata con mezzi diversi dai tradizionali metodi d’insegnamento delle scuole d’arte: pittura e disegno di figura dal vero, nature morte, paesaggi.

Dato che gli artisti contemporanei spesso liquidano la capacità di disegnare come non necessaria, chi comincia a studiare arte si trova di fronte a un dilemma. Sono pochissimi i ragazzi che si sentono tanto sicuri delle proprie capacità creative e delle loro probabilità di successo nel mondo dell’arte al punto di poter fare a meno di un’istruzione artistica; eppure, quando si trovano di fronte al tipo di arte moderna che vediamo nelle gallerie e nei musei, per la quale non sembra affatto necessario acquisire le vecchie tecniche, i giovani hanno l’impressione che i metodi tradizionali di educazione artistica non facciano al caso loro. Per uscire dal dilemma, molti studenti evitano di imparare a disegnare in maniera realistica e si inoltrano il più presto possibile in angusti stili concettuali, imitando artisti contemporanei, spesso alla ricerca di uno stile che sia una «firma» unica, riconoscibile e ripetibile.

L’artista inglese David Hockney definisce questa limitazione delle proprie scelte una trappola per artisti (vedi la citazione a margine). È sicuramente una trappola pericolosa per gli studenti d’arte, che spesso si impongono di attenersi a motivi ripetitivi e che tendono a fare affermazioni sull’arte prima di sapere.

«Per me, avvicinarmi di più al naturalismo è stata una forma di libertà. Pensavo: se voglio, posso dipingere un ritratto; questo è ciò che intendo per libertà. Domani, se volessi, potrei alzarmi e fare un disegno di qualcuno, potrei disegnare mia madre affidandomi alla memoria, oppure potrei fare uno strano quadretto astratto. Tutto questo coinciderebbe con il mio concetto di pittura come arte. Molti pittori non sono in grado di fare questo: il loro concetto è completamente diverso. È troppo angusto; lo rendono estremamente angusto. Molti di loro, come Frank Stella (me lo ha detto lui stesso), non sanno disegnare affatto. Ma probabilmente i pittori delle generazioni precedenti, i pittori astrattisti inglesi, avevano imparato a disegnare. Chiunque abbia frequentato l’accademia d’arte prima di me avrà dovuto fare molti disegni.

Parecchi pittori, secondo me, si mettevano in trappola: sceglievano degli aspetti limitati della pittura e in quelli si specializzavano. Ed è una trappola. Certo, una trappola non è di per sé un male, se si ha il coraggio di uscirne; ma ci vuole molto coraggio.»

DAVID HOCKNEY

In base alla mia esperienza con studenti d’arte di ogni livello, vorrei dare qualche suggerimento a chi frequenta una scuola artistica, soprattutto a chi è agli inizi. Anzitutto, non dovete avere riserve sull’imparare il disegno realistico: le fonti della creatività non sono mai state bloccate dall’acquisizione delle tecniche del disegno, che costituiscono la base di ogni forma d’arte. Picasso, che sapeva disegnare magnificamente, ne è l’esempio più clamoroso, e con lui molti altri che sono entrati nella storia dell’arte. Chi impara a disegnare bene non fa necessariamente dei disegni realistici noiosi e pedanti, e chi li fa certamente avrebbe prodotto opere noiose e pedanti anche se si fosse occupato di arte non figurativa o astratta. Saper disegnare non costituirà mai un ostacolo al vostro lavoro, ma caso mai un incentivo. Inoltre, dovete avere le idee chiare sul perché è importante saper disegnare bene. Disegnare vi consente di vedere nel modo particolare e rivelatore in cui vedono gli artisti, indipendentemente dallo stile che sceglierete per esprimere la vostra intima comprensione delle cose. Il vostro obiettivo dovrebbe essere quello di penetrare la realtà, di vedere sempre più chiaramente e sempre più in profondità. È vero che potrete sviluppare la vostra sensibilità estetica in altri modi, per esempio con la meditazione, con la lettura e con i viaggi, ma sono convinta che per un artista questi mezzi siano più incerti e meno efficaci. Come cultori delle belle arti, è più probabile che userete mezzi di espressione visivi, e il disegno favorisce appunto lo sviluppo dei sensi legati alla percezione.

Per concludere, vi consiglio di dedicare quotidianamente un po’ di tempo al disegno; disegnate qualsiasi cosa vi capiti sotto mano: un posacenere, un torsolo di mela, una persona, un ramoscello. Questo consiglio, che ho già espresso nell’ultimo capitolo di questo libro, vale soprattutto per chi studia arte, perché in un certo senso l’arte è come l’atletica: se non la si esercita, si indebolisce in poco tempo la capacità di percezione, così come si afflosciano i muscoli e si perde la forma. Lo scopo di chi disegna non è di mettere delle linee sulla carta, così come lo scopo di chi pratica il jogging non è di raggiungere un luogo piuttosto che un altro. Dovete esercitare la vostra percezione senza preoccuparvi troppo dei prodotti del vostro lavoro; ogni tanto potrete selezionare i disegni migliori, buttando via gli altri o anche buttandoli via tutti. Lo scopo delle vostre sedute quotidiane di disegno dovrebbe essere quello di riuscire a percepire le cose sempre più profondamente.