Fu un pomeriggio disastroso a cui seguì una serata ancora più disastrosa. Trovai che Pinuccia stava davvero facendo i bagagli e Nunzia non riusciva ad acquietarla.
«Non ti devi preoccupare» le stava dicendo con calma, «Rino si sa lavare le mutande, si sa cucinare, e poi c’è il padre, ci sono gli amici. Lui mica pensa che tu stai qui per divertirti, capisce che stai qui per riposarti e fare un bambino bello e sano. Su, t’aiuto a rimettere tutto a posto. Io non ho mai fatto la villeggiatura, ma oggi i soldi ci sono, grazie a Dio, e seppure non bisogna sciuparli, un po’ d’agiatezza non è peccato, ve la potete permettere. Perciò Pinù, per favore, figlia mia: Rino ha lavorato tutta la settimana, è stanco, sta per arrivare. Non farti trovare così, ché lo conosci, quello si preoccupa, e appena si preoccupa si incazza, e se si incazza qual è il risultato? Il risultato è che tu vuoi partire per stare vicino a lui, lui è partito per stare vicino a te, e adesso che vi incontrate e dovreste stare contenti, invece vi scannate. Ti pare bello?».
Ma Pinuccia era impermeabile alle ragioni che le sciorinava Nunzia. Allora cominciai a elencargliele anche io, sicché arrivammo al punto che noi le toglievamo le sue molte cose dalle valigie e lei ce le rimetteva, gridava, si calmava, ricominciava.
A un certo punto tornò anche Lila. Si appoggiò allo stipite della porta e stette a guardare accigliata, con la ruga lunga, orizzontale, sulla fronte, quell’immagine scomposta di Pinuccia.
«Tutto a posto?» le chiesi.
Fece cenno di sì.
«Ormai sei proprio brava a nuotare».
Non disse nulla.
Aveva l’espressione di chi è costretta a reprimere contemporaneamente gioia e spavento. Si vedeva che la chiassata di Pinuccia le risultava sempre più intollerabile. La cognata stava di nuovo mettendo in scena propositi di partenza, addii, rammarico perché aveva dimenticato quell’oggetto e quell’altro, sospiri per Rinuccio suo, il tutto attraversato contraddittoriamente dal rimpianto per il mare, gli odori dei giardini, la spiaggia. Eppure Lila non diceva niente, non una delle sue frasi cattive e nemmeno una battuta sarcastica. Infine, come se si trattasse non di un richiamo all’ordine, ma dell’annuncio di un evento imminente che ci minacciava tutte, le uscì di bocca solo:
«Stanno per arrivare».
A quel punto Pinuccia crollò affranta sul letto, accanto alle valigie chiuse. Lila ebbe una smorfia, si ritirò per mettersi in ordine. Ritornò poco dopo con un abito rosso molto aderente e i capelli nerissimi raccolti. Fu la prima a riconoscere il rumore delle Lambrette, si affacciò alla finestra, fece cenni entusiastici di saluto. Poi si volse seria a Pinuccia e con la sua voce più sprezzante sibilò:
«Va’ a sciacquarti la faccia e lèvati quel costume bagnato».
Pinuccia la guardò senza reazioni. Tra le due ragazze passò qualcosa di velocissimo, un saettare invisibile dei loro sentimenti segreti, un crivellarsi con particelle infinitesimali sparate dal fondo di se stesse, uno scossone e un tremolio che durarono un lungo secondo e che io captai perplessa, ma che non seppi capire; mentre loro sì, si capirono, in qualcosa si riconobbero, e Pinuccia seppe che Lila sapeva, comprendeva e voleva aiutarla persino col disprezzo. Perciò le obbedì.