117.

Enzo e Lila si trasferirono a San Giovanni a Teduccio su una Seicento usata che lui aveva comprato da poco. Per tutto il percorso non si dissero niente, ma combatterono il silenzio parlando entrambi col bambino, Lila come se si rivolgesse a un adulto, ed Enzo con monosillabi tipo be’, che, sì. Lei conosceva pochissimo San Giovanni. Una volta c’era andata con Stefano, si erano fermati in centro per un caffè e ne aveva avuto una buona impressione. Ma Pasquale, che ci veniva spesso sia a lavorare come muratore sia per la militanza comunista, una volta gliene aveva parlato molto scontento, scontento in quanto lavoratore e scontento in quanto militante. «È una monnezza» aveva detto, «una chiavica: più si produce ricchezza, più cresce la miseria, e non riusciamo a cambiare niente, anche se siamo forti». Però Pasquale era sempre molto critico su tutto e perciò poco affidabile. Lila, mentre la Seicento procedeva per strade dissestate, edifici malconci e palazzoni di costruzione recente, preferì convincersi che stava portando il bambino in un grazioso paesino vicino al mare e pensò solo al discorso che, per chiarezza, per onestà, voleva fare a Enzo subito.

Ma a forza di pensarci non glielo fece. “Più tardi” si disse. Così arrivarono nell’appartamento che Enzo aveva preso in affitto, al secondo piano di un palazzo nuovo e tuttavia già miserabile. Le stanze erano semivuote, lui disse che aveva comprato l’indispensabile, ma che a partire dall’indomani si sarebbe procurato tutto quello che serviva. Lila lo rassicurò, aveva fatto fin troppo. Solo quando si trovò davanti il letto matrimoniale decise che era tempo di parlare. Gli disse con tono affettuoso:

«Io ti stimo molto, Enzo, fin da quando eravamo piccoli. Hai fatto una cosa per cui ti ammiro: ti sei messo a studiare da solo, hai preso una licenza, e la so la costanza che ci vuole, io non ce l’ho mai avuta. Sei anche la persona più generosa che conosco, quello che stai facendo per Rinuccio e per me non l’avrebbe fatto nessuno. Però non posso dormire con te. Non è perché ci siamo visti da soli al massimo due o tre volte. E non è nemmeno perché non mi piaci. È che non ho sensibilità, sono come questa parete o questo tavolino. Per cui se riesci a vivere nella stessa casa con me senza toccarmi, bene; se invece non ci riesci, ti capisco e domani mattina mi cerco un altro posto. Tieni conto che ti sarò sempre grata per quello che hai fatto per me».

Enzo stette a sentire senza mai interromperla. Alla fine disse indicando il letto matrimoniale:

«Mettiti tu qui, io mi sistemo sulla brandina».

«Preferisco la brandina».

«E Rinuccio?».

«Ho visto che c’è un’altra branda».

«Dorme da solo?».

«Sì».

«Puoi restare quanto ti pare».

«Sei sicuro?».

«Sicurissimo».

«Non voglio brutte cose che ci rovinino il rapporto».

«Non ti preoccupare».

«Scusami».

«Va bene così. Se per caso ti torna la sensibilità, sai dove sto».