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Nino restò ben dieci giorni. Niente di ciò che accadde in quel periodo ebbe a che fare con la smania di seduzione che avevo sperimentato anni prima. Non scherzai con lui; non feci vocine; non lo assillai con cortesie di ogni genere; non recitai la parte della donna liberata modellandomi su mia cognata; non provai la strada delle allusioni maliziose; non gli cercai lo sguardo intenerita; non feci in modo da sedergli accanto a tavola e sul divano, davanti alla televisione; non mi mostrai per casa discinta; non cercai di trovarmi sola con lui; non gli toccai il gomito col gomito, il braccio col braccio o col seno, la gamba con la gamba. Fui timida, composta, di poche secche parole, attenta sol­tanto a che mangiasse bene, le bambine non lo infastidissero, si sentisse a suo agio. E non fu una scelta, non sarei riusci­ta a comportarmi in altro modo. Lui scherzava molto con Pie­tro, con Dede, con El­sa, ma appena mi si rivolgeva diventava serio, pareva misurare le parole come se non ci fosse tra noi una vecchia amicizia. E a me veniva di fare lo stesso. Ero lietissima di averlo in casa e tuttavia non avvertivo alcun bisogno di toni e ge­sti confidenziali, anzi mi piaceva restare in margine ed evi­tare contatti tra noi. Mi sentivo come una goccia di pioggia su una ragnatela, e stavo attenta a non scivolare di sotto.

Avemmo un solo lungo scambio, e tutto concentrato sul mio scritto. Me ne parlò subito, al suo arrivo, con precisione e acutezza. Era rimasto colpito dal racconto di Ish e Isha’h, mi interrogò, chiese: per te la donna, nel racconto biblico, non è altro dall’uomo, è l’uomo stesso? Sì, dissi, Eva non può, non sa, non ha materia per essere Eva fuori di Adamo. Il suo male e il suo bene sono il male e il bene secondo Adamo. Eva è Adamo donna. E l’operazione divina è così ben riuscita che lei stessa, in sé, non sa cos’è, ha lineamenti cedevoli, non possiede una lingua sua, non ha un suo spirito e una sua logica, si sforma come niente. Con­dizione terribile, commentò Nino, e io, nervosa, lo spiai con la coda dell’occhio per capire se mi stava prendendo in giro. No, non lo stava facendo. Anzi mi lodò molto senza mai la minima ironia, citò qualche libro che non conoscevo su argomenti collaterali, ribadì che lui considerava il lavoro pronto per la pubblicazione. Ascoltai senza mostrare soddisfazione, dissi solo, alla fine: il testo è piaciuto anche a Mariarosa. A quel punto si in­for­mò su mia cognata, ne parlò bene sia come studiosa sia per la dedizione che mostrava con Franco, e filò in biblioteca.

Per il resto uscì ogni mattina insieme con Pietro e tornò ogni sera dopo di lui. In rarissime occasioni andammo fuori tutti insieme. Una volta, per esempio, volle portarci al cinema a vedere un film divertente scelto apposta per le bambine. Nino sedette accanto a Pietro, io tra le mie figlie. Quando mi accorsi che ridevo forte appena lui rideva, smisi del tutto di ridere. Lo rimpro­verai blandamente perché durante l’intervallo volle compra­re il gelato a Dede, a Elsa e naturalmente anche a noi adulti. Per me no, dissi, grazie. Scherzò un poco, disse che il gelato era buono e non sapevo cosa mi perdevo, mi offrì di assaggiarlo, lo assaggiai. Piccole cose, insomma. Un pomeriggio facemmo una passeggiata io, lui, Dede e Elsa. Parlammo pochissimo, Nino diede corda soprattutto alle bambine. Ma il percorso mi restò molto impresso, potrei indicare ogni strada, i posti dove sostammo, ogni angolo. Faceva caldo, la città era affollata. Lui salutava gente di continuo, qual­cuno lo chiamava per cognome, fui presentata a questo e a quello con elogi esagerati. Mi colpì la sua notorietà. Un tale, che era uno storico molto noto, si complimentò per le bambine e lo fece come se fossero figlie nostre. Non accadde nient’altro, a parte un improvviso, inspiegabile modificarsi dei rapporti tra lui e Pietro.