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Quella notizia ci assorbì totalmente per settimane e mi occupai – ammetto – più della vicenda del nostro amico che degli esami di Dede. Lila e io corremmo subito a casa di Carmen, ma sapeva già tutto, o almeno l’essenziale, e ci sembrò serena. Pasquale era stato arrestato sulle montagne del Serino, nell’Avellinese. I carabinieri avevano circondato il casolare dove si era rifugiato e lui si era comportato in modo ragionevole, non aveva reagito con violenza, non aveva cercato di scappare. Ora – disse Carmen –, devo solo sperare che non me lo facciano morire in carcere come è successo a papà. Con­ti­nuava a ritenere che suo fratello fosse una persona buona, anzi, sull’onda dell’emozione giunse a dire che noi tre – lei, io, Lila – ci portavamo dentro una dose di malvagità di gran lunga superiore alla sua. Siamo state capaci di farci solo i fatti nostri – mormorò scoppiando in lacrime –, Pasquale no, Pasquale è cresciuto come l’ha educato nostro padre.

Grazie alla sofferenza sincera di quelle sue parole, Carmen riuscì, forse per la prima volta da quando ci conoscevamo, ad avere la meglio su me e su Lila. Lila per esempio non le obiettò nulla e, quanto a me, di fronte a quei discorsi provai disagio. I due fratelli Peluso, con la loro pura e semplice esistenza sullo sfondo della mia vita, mi confondevano. Escludevo in assoluto che il padre falegname avesse insegnato loro, come aveva fatto Franco con Dede, a contestare l’apologo insulso di Menenio Agrippa, ma entrambi – Carmen di meno, Pasquale di più – avevano sempre saputo a istinto che le membra di un uomo non si nutrono quando si riempie la pancia di un altro e che chi te lo vuole far credere deve avere presto o tardi ciò che si merita. Pur essendo molto diversi in tutto, con la loro storia formavano un blocco che non volevo assimilare né a me né a Lila, e che tuttavia non riuscivo a distanziare. Perciò, forse, un giorno dicevo a Carmen: devi essere contenta, ora che Pasquale è nelle mani della legge possiamo capire meglio come aiutarlo; e un giorno dicevo a Lila, del tutto d’accordo con lei: leggi e garanzie non contano niente quando dovrebbero tutelare chi non ha potere, in carcere lo massacreranno. A volte, poi, arrivavo ad ammettere con tutt’e due che, anche se la violenza che avevamo sperimentato dalla nascita ormai mi disgustava, una quantità modica per fronteggiare il mondo feroce dentro cui vivevamo era necessaria. Su quella linea confusa m’impegnai a fare tutto il possibile a favore di Pasquale. Non volevo che si sentisse – a differenza della sua compagna Nadia, che era trattata con grande riguardo – un nessuno che non stava a cuore a nessuno.