Leonie si svegliò di colpo quando qualcuno la scosse per una spalla. Si sentiva infreddolita e scomoda. Si guardò intorno senza capire dove si trovava. Aveva dormito profondamente, e non era pronta ad abbandonare il sonno.
«Torna in camera tua» le suggerì la voce sommessa della madre. Era davanti a lei e reggeva una lampada. Era ancora vestita da sera, ma i capelli biondi erano sciolti e le ricadevano su una spalla.
Leonie ricordò dove si trovava e perché. Strinse gli occhi per ripararsi dalla luce della lampada. «Che ore sono?» chiese.
«Quasi l'alba.»
Poche donne erano belle come Elizabeth Charnock. Era figlia di un vescovo. Una volta, quando era ubriaco, il padre aveva confessato a Leonie di aver visto in chiesa la splendida Elizabeth Snavely e di essersene innamorato all'istante.
Visto che non metteva quasi mai piede in chiesa, Leonie stentava a credere che la storia fosse vera.
Pensava invece che il padre l'avesse desiderata a prima vista. Gli uomini lo facevano sempre, anche quelli più giovani. Ogni volta che usciva con la madre, gli occhi maschili si posavano prima di tutto su di lei.
Elizabeth possedeva una grazia naturale che Leonie avrebbe tanto desiderato avere. I suoi movimenti erano sempre deliberati e misurati, anche se era rimasta alzata tutta la notte.
Gli occhi di Elizabeth erano azzurri come fiordalisi e la pelle perfetta e chiara. Anche le labbra erano diverse da quelle della figlia. La bocca di Leonie era grande, piena e generosa, quella della madre faceva pensare all'arco di Cupido, ed era spesso imbronciata. Leonie l'aveva vista molte volte in quell'atteggiamento. Il cofanetto dei gioielli della madre traboccava dei regali degli ammiratori che cercavano di strapparle un sorriso.
Le due cose che avevano in comune erano la figura snella e i folti capelli biondi. Quelli di Elizabeth erano lisci, mentre la chioma ondulata di Leonie faceva pensare alla criniera di un leone.
Leonie si raddrizzò e posò i piedi per terra. «Devo parlarvi» annunciò.
«Lo immaginavo.» La madre si avvicinò alla toletta e cominciò a togliersi i gioielli. «Le visite di cortesia non sono la tua specialità.»
«Voi non avete quasi mai tempo.»
Elizabeth scrollò le spalle. «Hai ragione» riconobbe. Sedette sulla panca davanti alla toletta e la guardò. «Allora, spiegami cosa c'è di tanto importante da tenerti lontana dal tuo letto.» Sbadigliò, prese la spazzola d'argento e cominciò a passarla sui capelli.
Leonie cercò di mettere ordine nei pensieri. Le parole che prima di addormentarsi le erano sembrate chiare adesso erano tutte ingarbugliate. Alla fine cominciò dalla sua preoccupazione principale. «È possibile sposarsi e condurre vite separate?»
«Certo. È quello che facciamo tuo padre e io.»
«Intendo proprio separate» sottolineò Leonie.
La madre incrociò i suoi occhi nello specchio, si bloccò e posò la spazzola sul tavolino. «Intendi qualcosa di più di avere camere diverse e case diverse?» chiese.
«Sì. Residenze diverse. E niente consumazione del matrimonio. Mai.»
La madre scoppiò a ridere, poi si rese conto che Leonie era seria e tornò seria. «Come siamo diverse!» mormorò. «Be', no. Non permetterei a mia figlia di sposare un gentiluomo che si rifiuti di consumare il matrimonio. So che come madre posso essere considerata colpevole di una certa benevola negligenza, ma c'è un limite a tutto.»
«Allora non voglio sposarmi.»
«E cosa farai con la tua vita?»
Era proprio quello il punto. Leonie si aggrappò alla prima risposta che attraversò la sua mente insonnolita. «Mi dedicherò alle opere buone.»
La madre inarcò un sopracciglio. «Molto nobile. E per il resto del tempo?»
«Leggerò, e magari aiuterò Cassandra Holwell a tenere il suo salotto letterario.»
«Sembra molto francese.» Il tono della madre conteneva una nota ironica.
«È vero. E se non funzionerà, visto che per ora non ha avuto molto successo, troverò qualche altra occupazione interessante. Ci sono opere teatrali e liriche, musei, mostre. Londra ha parecchio da offrire.»
«Sì, gli svaghi abbondano... Oppure, mia cara, potresti trovare un marito disposto a lasciarti fare quello che vuoi.»
«Mio padre vi concede una libertà totale?»
La madre rimase a fissare in silenzio un punto nella stanza, poi si girò verso la figlia. «Sono quella che sono, Leonie, e non mi scuso per questo, ma non ho mai detto di no a tuo padre. È lui che non viene più nel mio letto, fin dalla tua nascita. Oh, vedo che ti ho sconvolta! Non era questa la mia intenzione, ma d'altra parte, vista la tua età, dovremmo poter parlare liberamente, no?»
Leonie non sapeva cosa rispondere.
La madre si sporse verso di lei. «Non sono il tipo di donna pronta ad accettare che la sua vita è finita. Sono da condannare per questo? Naturalmente so cosa dicono i pettegoli, ma non me ne curo. Tutti i matrimoni sono soggetti ai capricci delle persone coinvolte, e possono essere soffocanti come una cripta.»
«Allora perché mi spingete a sposarmi?»
«Perché le donne nubili hanno pochi diritti e nessuna protezione. Saresti una stranezza, e non credo che ti piacerebbe. So cosa pensate, tu e le tue amiche. Vi ho sentite parlottare. Sento più di quello che la gente immagina. Puoi sognare una vita in cui poter fare le tue scelte, ma non ci riuscirai, a meno di non sposarti, si spera con un marito generoso che ti conceda una certa libertà. E dovrai essergli fedele, almeno fino a che non gli avrai dato un erede. Dopo potrai prenderti tutti gli amanti che vorrai.»
«Voi non avete dato un erede a mio padre.»
Un'espressione che Leonie non riuscì a interpretare attraversò il volto della madre. Era compiaciuta, o rammaricata? «Per lui non aveva importanza. Era contento di avere una figlia da vendere.»
In effetti era proprio quello che suo padre stava facendo: venderla per un titolo nobiliare da trasmettere ai suoi eredi.
«È proprio questo il problema.» Leonie scelse con cura le parole. «Non voglio la cosa degli uomini vicino a me.»
La madre aggrottò la fronte e poi scoppiò a ridere. «Leonie, si chiama membro. Se avrai la fortuna di sposare un uomo capace di usare il proprio, sarai una donna felice. Una cosa!» ripeté. Scosse la testa ridendo, poi sollevò lo sguardo, come colpita da un nuovo pensiero. «Tutto questo ha qualcosa a che fare con quella storia spiacevole avvenuta in India?»
Non attese la risposta di Leonie.
«Lo temevo» proseguì. «Tuo padre si rifiutava di ammetterlo, ma io lo sapevo. Paccard ti ha presa, vero? Non sei più vergine.»
Leonie esitò. «Perché me lo chiedete, soprattutto dopo tutto questo tempo? Avreste dovuto preoccuparvi quando sono tornata.»
«In quel momento temevo la tua risposta. Dopo la morte di Paccard eri praticamente isterica. Bastava una parola sbagliata per farti scoppiare in lacrime.»
Era vero. Leonie era stata inorridita da quanto era successo e da ciò che aveva fatto.
«Quel bastardo ti ha presa, vero?» La madre aprì un cassetto della toletta e ne tirò fuori una fiaschetta d'argento. La offrì a Leonie, ma lei scosse il capo. Era una questione d'onore: sebbene avesse assaggiato il contenuto di quasi tutte le numerose caraffe sparse per la casa, non aveva mai toccato la fiaschetta della madre.
Tranne una volta, quando Roman l'aveva riportata dai genitori dopo la sua fuga. Era stata spaventata e inconsolabile, non riusciva a mangiare né a dormire. Mentre Roman stava parlando con suo padre, la madre aveva tirato fuori la fiaschetta.
«Bevi» le aveva ordinato, e Leonie aveva obbedito. Era così che aveva fatto conoscenza con il brandy, e in effetti le era piaciuto. Nel giro di pochi minuti un calore delizioso l'aveva pervasa, permettendole di riprendere il controllo di se stessa. Aveva preso perfino un secondo sorso.
A dir la verità la prima volta il sapore non le era piaciuto molto, ma la sensazione data dal brandy sì. Quando si sentiva ansiosa, o tormentata dai ricordi e dal senso di colpa per quella notte, un goccetto l'aiutava sempre. Alcuni giorni non riusciva ad andare avanti senza berne due o tre.
Dopo quella notte, però, non aveva mai più toccato la fiaschetta della madre.
Elizabeth prese un altro, lungo sorso e poi avvitò il tappo. «Be', almeno non ci sono state conseguenze spiacevoli» commentò. Poi aprì il cassetto per riporre la fiaschetta.
«Conseguenze?» chiese Leonie, confusa.
«Non sei rimasta incinta» chiarì la madre richiudendo il cassetto.
«La mia cameriera indiana, Adya, mi diede da bere una tisana.» Ricordava ancora il suo sapore orribile. «Diceva che mi avrebbe impedito di avere un bambino.»
«Adya? Non me la ricordo.»
«Già, lo immagino.» La madre non aveva mai prestato molta attenzione ai domestici.
Elizabeth rifletté un momento, poi rivolse un lieve sorriso a Leonie. «Be', è finito tutto bene.» Il brandy aveva un effetto tranquillizzante anche su di lei. Poi cambiò argomento. «Hai visto il tenente Gilchrist, di recente? È stato lui a riportarti a casa, e ha dovuto quasi subire una corte marziale per quel duello. Stasera ho sentito dire che qualcuno l'ha visto in città.»
Leonie rimase sorpresa. Non si aspettava che la madre tirasse in ballo Roman. «Era al ballo del marchese» rispose.
«Oh.» La madre arricciò una ciocca di capelli intorno alla mano. «Il mondo è piccolo. Chi avrebbe mai pensato di rivederlo?» Le labbra si incurvarono in un sorriso sornione. «Lo ricordo come un uomo alto e muscoloso, con dei limpidi occhi grigi e i capelli scuri. Interessante, soprattutto dopo che ha sparato al suo miglior amico per te. Potrei cercarlo con la scusa di esprimergli la mia gratitudine per ciò che ha fatto anni fa.»
Leonie non voleva pensare a ciò che avrebbe potuto significare. Si alzò di colpo. Era troppo tardi per sentire la madre che si struggeva per Roman. Aveva ricevuto la risposta alle domande che la interessavano: i genitori non avrebbero sostenuto il suo progetto di vivere da sola e con ogni probabilità non sarebbe riuscita a sfuggire al matrimonio.
«Vi ho rubato abbastanza tempo, madre.» Si chinò per darle un bacio sulla guancia. «Grazie per aver parlato con me.»
«Mi è piaciuto.» Elizabeth si alzò e si diresse verso il letto. Leonie era quasi arrivata alla porta quando Elizabeth riprese a parlare. «Ricordati, figlia mia, che il potere di una donna risiede tra le sue gambe. Non aver paura di usarlo.»
Leonie rivide Arthur che incombeva su di lei, la mano che sapeva di cavalli e cuoio che le tappava la bocca per soffocare le sue grida e il suo membro – visto? Riusciva a usare parole da adulti – che la squarciava.
Era quello il potere di cui parlava la madre?
Il sorriso le si gelò sulle labbra. «Buonanotte, madre.»
«Buonanotte, agnellino.»
Prima di raggiungere la sua stanza, Leonie entrò nello studio. Un bicchierino l'avrebbe aiutata a calmarsi.
Poco dopo si infilava a letto, tra le lenzuola di lino finissimo. Fissò il baldacchino, sperando che la mente smettesse di lavorare frenetica.
Il potere di una donna risiede tra le sue gambe.
Dopo quello che le aveva fatto Arthur si era sentita abusata e impotente. Aveva trovato a tentoni la pistola che gli era caduta dalla tasca della giacca e solo allora aveva provato un senso di potere.
Non avrebbe dovuto sparargli, lo sapeva, ma se non l'avesse fatto, che ne sarebbe stato di lei?
Stavolta il brandy non riuscì a scacciare dubbi e domande.
Se proprio doveva sposare qualcuno, preferiva che fosse Roman. Aveva ragione: era in debito con lui, ma a quali condizioni?
Leonie strinse il cuscino e all'improvviso la mente si riempì di possibilità. Veniva da generazioni di mercanti e commercianti, e le era stato insegnato che il denaro significava potere... se si sapeva come usarlo.
Un piano cominciò a formarsi nella sua mente.
Roman colpì con un pugno il cuscino sotto la sua testa. L'alba era ormai passata e aveva trascorso una notte quasi insonne, una cosa che odiava. Ormai gli accadeva spesso: le preoccupazioni economiche e i pensieri su Leonie minacciavano la sua serenità.
Rivisse le scene avvenute la notte prima. Era rimasto qualcosa in sospeso, tra loro, e non avrebbe avuto pace fino a quando non si fossero rivisti.
Sarebbe stato difficile, dato che Leonie aveva respinto con decisione la sua proposta di matrimonio. Probabilmente voleva ciò che tutte le donne sembravano desiderare, in quei tempi: l'amore.
Roman però non aveva tempo per l'amore. Varie persone dipendevano da lui. Aveva una tenuta da ricostruire e tanti sogni che non gli lasciavano il tempo di dedicarsi a corteggiare una donna.
Quando il suo valletto, Duncan Barr, bussò alla porta con la colazione, Roman era di pessimo umore. Peccato che Erzy e Malcolm avessero richiesto il pagamento dei debiti il giorno prima, quando Roman era ancora intimidito dal peso del suo nuovo posto alla Camera dei Lord. Quel giorno invece era pronto a sfogare la propria frustrazione.
Duncan era stato l'attendente di Roman al suo arrivo in India e gli era rimasto fedele in tutti gli alti e bassi della sua carriera. Ora gli faceva da valletto e segretario. Era uno scozzese burbero di vent'anni più vecchio di Roman e pronto come lui a tornare a Bonhomie e a costruirsi una vita tranquilla. Era più un amico che un domestico, e non si lasciava scalfire dai suoi malumori. In quel momento teneva in mano un vassoio con dei piatti coperti e un tè fortissimo.
«Brutta nottata, milord?» Barr posò il vassoio sulla scrivania, nello spazio che Roman aveva creato spostando dei documenti non ancora letti.
Roman rispose con un grugnito, si strofinò gli occhi e si alzò dal letto. Prese la tazza di tè: era bollente. La prima sorsata lo svegliò, la secondo lo fortificò. Sapeva che una volta finito sarebbe stato pronto ad affrontare qualunque sfida.
Sorrise compiaciuto e solo allora notò una busta chiusa accanto alle posate d'argento.
«È arrivata stamattina» spiegò Barr notando il suo sguardo. «L'ha consegnata un domestico. Ha detto che non era richiesta una risposta.»
Roman prese la busta mentre Barr girava per la stanza, preparandosi ad aiutarlo a vestirsi. La scrittura era decisamente femminile, e il sigillo non mostrava il segno di un anello. Roman l'aprì e fece un passo indietro per la sorpresa.
«Notizie buone o cattive?» si informò l'imperturbabile valletto mentre tirava fuori gli stivali lucidi del padrone.
«Non lo so.» Roman rilesse le parole scritte con una calligrafia matura che lo sorprese. Aveva sempre immaginato che quella di Leonie fosse ricercata e sinuosa. «Miss Charnock mi chiede di andarla a trovare per parlare di una questione che interessa entrambi.»
L'altro si bloccò mentre stava disponendo l'occorrente per radersi. «Miss Charnock?»
«Sì, proprio lei. Non te ne ho parlato, stanotte, perché pensavo che non volesse più saperne di me.» Roman abbassò lo sguardo sul biglietto. «È evidente che mi sbagliavo.»
«Pensavo vi sareste tenuto alla larga da quella creatura. Anche senza tener conto del suo passato, scrivere una lettera a un gentiluomo scapolo è una mossa sfacciata.» Barr non era il tipo da nascondere le proprie opinioni.
«Se fossi saggio seguirei il tuo consiglio» convenne Roman. Poco prima era stato stanco e irascibile, e ora invece si sentiva pieno di energia.
Sedette alla scrivania, tirò fuori un foglio di carta e scrisse la risposta: Vi chiedo il permesso di venire a trovarvi alle quattro. Cosparse la lettera di sabbia per asciugare l'inchiostro, vi soffiò sopra e la sigillò. Poi la tese a Barr, il quale non accennò a prenderla.
«Volete incontrare quella creatura, milord?» domandò, stupito.
«Si chiama Miss Charnock. E sì, voglio incontrarla.»
«Avete perso la testa? L'ultima volta che l'avete aiutata vi ha rovinato.»
«Consegnala, Barr. Può essere la nostra unica speranza... Sempre che tu non preferisca venire a trovarmi nella prigione dei debitori.»
Il valletto prese la lettera.