Non aveva accettato.
Leonie era tentata di correre in strada, inseguire Roman, prenderlo per la manica per farlo girare verso di lei ed esigere che arrivassero a un accordo.
D'altra parte era consapevole dello sguardo attento di Yarrow, così inghiottì la delusione, rimase dov'era e sorrise al maggiordomo. Avrebbe messo più tardi Roman con le spalle al muro.
«Ancora congratulazioni, Miss Leonie. Penso che abbiate fatto una buona scelta» dichiarò Yarrow.
«È proprio un figurino, vero?» commentò lei. Il maggiordomo sarebbe rimasto sconvolto, se gli avesse confessato ciò che pensava in realtà.
Si scusò con un sorriso e un cenno del capo, e si rifugiò in fretta nella stanza accanto. Sedette alla scrivania di ciliegio e scrisse un messaggio a Willa e a Cassandra. Il testo era lo stesso: Vieni subito. Ho bisogno di te.
Erano amiche leali e lo fecero, anche se Cassandra aveva i biglietti per visitare una mostra con la matrigna e le sorellastre.
Una volta che tutt'e tre furono al sicuro in camera da letto, Leonie non perse tempo in preamboli. «Il Conte di Rochdale mi ha chiesto di sposarlo e io ho accettato» annunciò.
Le amiche fecero per esprimere la loro felicità, poi si fermarono di botto, sconcertate.
«Chi è Rochdale?» chiese Willa.
«Me l'hai presentato al ballo di ieri sera?» domandò Cassandra.
«Sì» rispose Leonie. «È appena diventato conte. Si tratta di un titolo antico e rispettato» aggiunse, rivolta a Willa.
«Ah, lui!» esclamò Cassandra. «Ho avuto l'impressione che tra voi ci fosse qualcosa.»
«L'hai conosciuto ieri sera?» si informò Willa, perplessa. «Non è una proposta di matrimonio un po' prematura?»
«Già» le fece eco Cassandra. «Ieri sera non sembrava che lo apprezzassi molto.»
«La mia famiglia lo ha conosciuto in India.» Era una spiegazione semplice, molto più facile di quelle complicate che Leonie aveva passato in rassegna mentre attendeva agitata l'arrivo delle amiche. Fu sufficiente: le amiche non erano interessate a quel tipo di retroscena. Con il suo amore per le storie drammatiche, Cassandra cominciò subito a immaginare ogni tipo di vicenda legato al passato di Leonie e Roman.
Anche Willa pareva entusiasta all'idea di due giovani innamorati che si ritrovavano dopo anni. Leonie si limitò ad assentire e a sorridere. L'immaginazione delle amiche fece il resto.
Quando le aveva convocate aveva avuto in mente di chiedere il loro aiuto per sottrarsi a quel matrimonio. Intendeva spiegare che era pronta a raggiungere un accordo con Roman, in base al quale lui riceveva la sua dote e lei la libertà di vivere come preferiva, ma adesso comprese che non poteva farlo.
Willa e Cassandra non vedevano l'ora di sposarsi. Non avrebbero mai capito perché lei non desiderava un marito. Per loro la gara per ottenere più punti era una cosa seria, mentre per Leonie era solo un modo per non morire di noia.
«Raccontaci com'è stata la proposta del conte» la incalzò Willa.
«Sì, vogliamo tutti i particolari» l'assecondò Cassandra. «Sei rimasta sorpresa, vero? Lui ti ha detto di averti sempre amata?»
Leonie non riusciva a immaginarsi Roman che faceva una dichiarazione simile. Mise insieme una storia alla meglio. «Be', oggi è venuto a trovarmi...» Omise il particolare che era stata lei a chiederglielo. «... e in un batter d'occhio mi sono ritrovata ad accettare la sua proposta.» Era una descrizione più o meno accurata dell'accaduto.
«E ieri sera?» insistette Willa. «Io non l'ho conosciuto. Sei rimasta sorpresa di vederlo al ballo?»
Leonie fece ricorso alla propria immaginazione. Le amiche non avrebbero apprezzato i suoi scatti d'ira, o la villania di Roman. Se lo avessero saputo, avrebbero pensato che sposarlo era una follia.
«Ha detto di non avermi mai dimenticata. Quando è arrivato al ballo io gli davo le spalle.» Si alzò per mostrare la scena. «Mi ha salutato, e io l'ho riconosciuto subito. Mi sono voltata e...»
La voce le si spezzò, come se stesse davvero rivivendo quel momento.
In realtà poteva vederlo com'era stato la sera prima: un tipo vigoroso e anomalo, nonostante i vestiti eleganti. Rochdale era competente, una qualità che per lei era apprezzabile, dopo aver sopportato per anni la trascuratezza del padre. Forse era un po' insensibile, ma comunque l'aveva cercata.
Era venuto per lei.
«Ha detto che mi avrebbe sposato.»
«Proprio così?» chiese Cassandra.
Leonie assentì.
«Che tipo deciso!» esclamò Willa, estasiata.
«Sì, davvero» concordò Cassandra in tono solenne.
Le sue amiche avevano ragione: Roman non aveva usato mezzi termini.
«Allora, com'è?» la incitò Willa.
Anni prima Leonie aveva preferito Arthur a Roman a causa del suo aspetto: Arthur era alto, snello e con profondi occhi azzurri, ma Roman possedeva qualcosa che Arthur non aveva mai avuto e che nessun uomo di sua conoscenza poteva sfoggiare nella stessa misura: una personalità forte.
Quando entrava in una stanza, era impossibile ignorare la sua presenza. «È bello» rispose Cassandra. «Non spettacolare come il duca, ma se la cava bene.»
«Io voglio sentire il parere di Leonie» la rimproverò Willa.
Leonie abbozzò un sorriso forzato. «È alto, con i capelli scuri e il viso sottile.»
Willa attese che aggiungesse qualcos'altro e quando lei non lo fece mise il broncio, palesemente insoddisfatta. «Che descrizione esauriente!» esclamò, ironica. «Lo riconosceremo senz'altro perché ha i capelli scuri come centinaia di altri uomini, a Londra.»
Leonie fece spallucce. «Lo incontrerai presto e potrai formarti la tua opinione.»
«Lo so, e lo farò» sbottò Willa, impaziente. «Adesso dimmi cosa ti piace di più di lui.»
«Buona domanda» approvò Cassandra.
«È leale» rispose Leonie.
«Leale?» ripeté Cassandra. Arricciò il naso con aria disgustata e lanciò uno sguardo a Willa, la quale si strinse nelle spalle.
Per loro la lealtà non significava granché, ma per Leonie era tutto. Roman non l'aveva mai tradita.
L'immaginazione di Willa fornì le parole che Leonie non aveva pronunciato. «Il conte è innamorato di te, è chiaro. Ha viaggiato fin qui per ritrovarti, e tu devi provare qualcosa per lui, altrimenti non avresti accettato così in fretta la sua proposta di matrimonio» sentenziò. «Nessuno riesce a indurti a fare qualcosa che non vuoi, Leonie. Sei troppo forte. Noi ci lasciamo intimidire, tu no.»
Cassandra annuì con convinzione.
Leonie avrebbe tanto desiderato che avessero ragione. In realtà era una gran vigliacca, ma non osava ammetterlo. No, era il suo segreto... insieme a molti altri. Se li avesse rivelati, le amiche sarebbero scappate di corsa per evitare la sua presenza.
Per fortuna, però, non sapevano niente. Era al sicuro.
Solo lei e Roman conoscevano la verità.
Roman non perse tempo ad annunciare il fidanzamento sui giornali. Leonie aveva immaginato che lo avrebbe fatto appena uscito da casa sua.
Sempre un po' cinica riguardo al ton, rimase colpita dalla velocità con cui le idee che aveva messo in testa a Willa e Cassandra si erano diffuse tra i pettegoli. Pareva che ormai tutti fossero convinti che Leonie e Rochdale si fossero già conosciuti in passato.
«L'ha conquistata in un batter d'occhio» commentava qualcuno.
«Un amore perduto e ritrovato» sussurravano altri.
Erano destinati a stare insieme, era il verdetto generale.
Se Roman era al corrente del fatto che il ton lo riteneva innamorato cotto, non ne diede segno con Leonie. Doveva ammettere però che recitava bene la parte dello spasimante premuroso, soprattutto davanti agli altri. E comunque non erano mai soli.
Non appena l'annuncio del fidanzamento comparve sui giornali, cominciarono le visite. Le amiche della madre le offrirono consigli sul matrimonio, le madri portarono le figlie debuttanti a compiacersi della fortuna di Leonie e a raccogliere nuove informazioni. I pettegolezzi aprirono loro varie porte nell'alta società. Perfino i soci d'affari del padre si presentarono a fargli gli auguri.
Nessun argomento era troppo personale. Leonie si ritrovò ad ascoltare prolisse storie di natura decisamente intima. Quando ne parlò alla madre, lei le assicurò che quando una donna era incinta la situazione diventava ancora peggiore. «Scapperai via di casa inorridita» le assicurò.
Leonie si trattenne dal rispondere che non sarebbe scappata da nessuna parte perché non voleva figli. Non era una conversazione da intavolare con la madre e tanto meno con il padre, il quale non faceva mistero del proprio desiderio di avere presto un nipotino. Praticamente non parlava d'altro.
Leonie cominciò a pensare che il padre le piaceva di più quando la ignorava.
Roman veniva a trovarla ogni giorno alle tre e mezza in punto. I Charnock erano sempre presenti per accoglierlo. Pareva quasi che avessero deciso di diventare dei genitori modello.
Il padre non si era mai interessato di politica, ma adesso discuteva con il futuro genero di qualsiasi tema venisse affrontato dal Parlamento. Leonie notò che Roman aveva delle buone idee e che prendeva sul serio le responsabilità legate al suo titolo.
La madre descriveva a Roman i suoi piani per l'elaborato banchetto di nozze che avrebbe seguito la cerimonia privata in chiesa. I genitori volevano trasformarlo in un grande evento mondano. Leonie si chiedeva se la casa sarebbe riuscita a contenere tutte le persone che avevano invitato.
Roman l'accompagnava a balli e ricevimenti, e i Charnock erano sempre presenti. La madre non si dileguava subito per incontrarsi con un amante. I suoi genitori si comportavano come se fossero felici di sbarazzarsi della figlia, affidandola a Roman.
Leonie recitava il ruolo della fidanzata timida e docile. Quando aspettava la visita di Roman, si accertava sempre che il suo alito non sapesse di brandy. Sorrideva e si comportava come gli altri si aspettavano da lei, una cosa che aveva sempre fatto, ma quando si ritrovava da sola con lui, che fosse in mezzo a una danza o mentre l'aiutava a salire in carrozza, gli chiedeva in un sussurro: «Accettate le mie condizioni per il matrimonio?».
Lui riusciva sempre a eludere la domanda, pur continuando a recitare il ruolo del corteggiatore premuroso.
Alcuni segnali, però, le resero chiaro che il suo futuro sposo non le avrebbe consentito di vivere come voleva. La guardava di rado negli occhi. Quando si ritrovavano in fila per salutare i padroni di casa, erano vicini, eppure separati come estranei. Perfino quando ballavano, Roman riusciva a fissare un punto lontano dando comunque l'impressione di prestarle attenzione.
Willa e Cassandra lo reputavano molto affascinante. Nella loro voce c'era una nota di invidia, soprattutto perché nessuno aveva visto il Duca di Camberly, agli ultimi eventi mondani. Sembrava sparito da Londra, e Cassandra era più abbattuta che mai.
Leonie non era preoccupata per il duca, era troppo occupata a chiedersi a quale gioco stesse giocando Roman. Sapeva quando un uomo la trovava attraente. Avrebbe scommesso il servizio d'argento che la desiderava. Aveva visto i segni la prima sera, al ballo del marchese, ma da allora lui aveva assunto un atteggiamento disinteressato.
Certo, era cortese, e si comportava da vero gentiluomo. Leonie aveva colto gli sguardi gelosi delle altre donne davanti al modo in cui Roman teneva conto della sua opinione e la includeva nelle conversazioni. Probabilmente la madre era la più invidiosa di tutte.
Ciò che altri non capivano, ma che Leonie sapeva, era che lei e Roman erano molto abili a mostrare solo ciò che volevano far vedere. Pareva avessero già vissuto così per secoli. Il matrimonio segnava solo un'altra tappa del patto con il diavolo che avevano stretto la notte della sua fuga con Arthur.
La sera prima delle nozze, durante una cena familiare con cinquanta invitati, tra cui parenti arrivati da lontano per assistere ai festeggiamenti, la zia di Leonie, Ida, chiese a Roman quali piani avesse per il loro futuro.
«Andremo a vivere a Bonhomie, la residenza di campagna della mia famiglia» rispose lui senza guardare la promessa sposa. Sapeva che Leonie non ne sarebbe stata felice, e in effetti era così.
Non avrebbe accettato la sua richiesta di condurre vite separate. Doveva essere una vera moglie, per lui, e per giunta sepolta in campagna, dove nessuno avrebbe più sentito parlare di lei.
Leonie si guardò intorno. Tutti i commensali si comportavano come se fosse un'idea eccellente, e lei lo odiava quasi per averla manovrata in quel modo. Sorrise e si finse contenta, ma era furiosa.
O Roman temeva la sua reazione a quei piani, o non si curava della sua opinione.
L'unica consolazione era che, adesso che stava per sposarsi, le era consentito bere vino a cena. Leonie ne approfittò per calmare la sua collera silenziosa nei confronti del futuro marito.
Con grande sollievo di Leonie, Roman se ne andò presto. Dopotutto era la notte prima delle nozze. Passò il resto della serata nello studio al primo piano con le cugine. Una di loro aveva portato una bottiglia di vino, e Leonie fu ben felice di affogare la rabbia nell'alcol. Si disse che ne aveva bisogno per sopportare l'inganno di Roman. Di sicuro sapeva fin dall'inizio che l'avrebbe condotta nella tenuta di campagna, dovunque essa fosse. Arrabbiarsi con lui l'aiutava anche a tenere a bada l'ansia per la notte di nozze. Roman si aspettava che fosse una moglie in tutti i sensi, era chiaro.
E così avrebbe saputo tutta la verità sul terribile incidente con Arthur.
Leonie tese il bicchiere perché glielo riempissero ancora. Qualcuno affermò che avevano bisogno di un'altra bottiglia.
Non sapeva neanche lei come fosse riuscita ad arrivare al letto.
La mattina delle nozze pioveva a dirotto.
Minnie era fin troppo allegra. «Svegliatevi, Miss Leonie!» la spronò. «Oggi diventerete contessa.»
Leonie si sentiva le braccia e le gambe pesanti come piombo, aveva uno strano sapore in bocca e non voleva aprire gli occhi.
E soprattutto non voleva sposarsi.
Minnie aprì le tende, e Leonie riuscì a sollevare una palpebra. La luce del sole non entrava a illuminare la camera da letto.
«Vi porto il vassoio con la colazione, signorina» annunciò Minnie. «Vostra madre ha ordinato di prepararvi il bagno. I domestici dovrebbero portare la vasca da un momento all'altro.»
Per tutta risposta Leonie si coprì la testa con il cuscino. Bussarono alla porta. Sentì che la vasca veniva sistemata e riempita con secchi d'acqua, ma rimase dov'era. Dopo un po' la porta si richiuse.
«Se ne sono andati, Miss Leonie. Ora dovete fare il bagno» la sollecitò Minnie. «Vi ho portato la colazione. Dobbiamo affrettarci. L'ora delle nozze arriverà in un batter d'occhio.»
Leonie si mise a sedere con un gemito. Fu un errore. Probabilmente si era mossa troppo in fretta, e ora aveva l'impressione di avere duecento mattoni sulla testa.
«Avete bisogno di una tazza di tè» sentenziò Minnie. Si affrettò a prepararlo come piaceva a Leonie e glielo portò a letto.
Lei ne prese un sorso e fece una smorfia. Si sentiva la lingua spessa e gonfia.
«L'acqua è della temperatura giusta» affermò Minnie dopo averla controllata.
«Va bene, ora la provo.» L'eccitazione della cameriera era molto irritante. «Il vestito è pronto?»
«Sì. L'ho stirato stamattina.»
«Grazie, Minnie.» Leonie provò un altro sorso di tè. Non l'avrebbe aiutata di certo, così come il canticchiare della cameriera affaccendata intorno alla vasca da bagno.
«Minnie, ho bisogno di stare un po' da sola. Sarà una giornata importante.»
«Sì, certo, signorina, ma mi raccomando, fate colazione. Vostra madre mi ha chiesto di accertarmi che mangiate tutto.»
«La farò. Dov'è mia madre?»
«Nella saletta della colazione da basso, con gli ospiti» rispose la cameriera.
Leonie posò tazza e piattino sul comodino, e si costrinse a sorridere. «Vai, Minnie.»
«Sì, signorina.» Minnie lasciò la stanza riluttante, e Leonie si abbandonò contro i cuscini. Non ce l'avrebbe mai fatta ad arrivare alla fine della giornata.
Non avrebbe dovuto bere così tanto. Ora aveva un mal di testa terribile.
E si sentiva malissimo, soprattutto quando ricordava l'annuncio di Roman: avrebbero lasciato Londra. La vita che aveva conosciuto fino a quel momento era finita. La testa e le ossa le facevano male. Il vino non le piaceva.
Leonie si alzò dal letto e impiegò un momento a riacquistare l'equilibrio. Si diresse barcollando verso il vassoio della colazione, ma lo stomaco si rivoltò. Sedette sul bordo della vasca e vi cascò quasi dentro.
Si rimise in piedi e si chiese cosa fare. Il brandy non le aveva mai fatto quell'effetto.
Le venne un'idea: dopo una notte di stravizi, la mattina seguente i genitori bevevano un goccetto. Forse aveva bisogno proprio di quello. La sola idea le risollevò l'umore.
Indossò la vestaglia e aprì la porta. Il corridoio era vuoto. Si diresse verso lo studio, ma vide lo zio che leggeva il giornale del mattino. Si girò e si avviò verso la stanza della madre. Bussò alla porta. Non rispose nessuno, neanche la cameriera.
Leonie dischiuse la porta e guardò dentro. La camera era vuota. Corse alla toletta e aprì il cassetto. La fiaschetta era lì, e lei ne prese un sorso.
Il brandy dissipò lo stordimento. Aveva un sapore delizioso. Leonie si portò la fiaschetta in camera. Stavolta riuscì a controllare meglio l'andatura.
Non osava tenersela. La madre avrebbe potuto notare la sua scomparsa, così prese la teiera dal vassoio della colazione, sollevò il saliscendi della finestra e ne gettò fuori il contenuto. Poi la riempì di brandy.
Ecco fatto. Nessuno se ne sarebbe accorto. La madre avrebbe pensato di avere svuotato la fiaschetta.
Leonie non ebbe alcun problema a riportarla al suo posto.
Il mal di testa scomparve. Riuscì perfino a far colazione, innaffiandola con una tazza di brandy. Un tonico eccezionale.
Fece un lungo bagno caldo e si vestì. Al momento di uscire di casa diretta in chiesa, si sentiva così distesa e in pace che avrebbe potuto sposare un bandito senza batter ciglio.
Masticò delle foglioline di menta per mascherare l'alito che sapeva di alcol, e nessuno si accorse di niente.
Il giorno delle nozze Roman si sentiva stranamente nervoso. Nell'ultima settimana e mezzo l'idea di sposare Leonie Charnock non gli era sembrata del tutto reale. Aveva seguito tutta la trafila, spesso accanto a lei, sopportando la sua silenziosa disapprovazione, l'eccessiva gentilezza e la domanda sempre ripetuta con impazienza ogni volta che si ritrovavano da soli, fino a quando avrebbe voluto mettersi a urlare di rabbia.
Eppure, nonostante tutto aveva mantenuto l'apparenza del corteggiatore solerte... o forse l'aveva fatto proprio per come stavano le cose.
Sapeva di essere l'uomo giusto per Leonie. Lo era sempre stato. Ora gliel'avrebbe dimostrato con i fatti: sarebbe stato il marito che si meritava.
La porta in fondo alla cappella si aprì, e Roman si alzò. Era solo. Niente amici, né familiari. Il reverendo Davis aspettava sul banco dall'altro lato della navata. Si alzò anche lui.
Roman non aveva ancora informato i genitori e le sorelle del suo matrimonio. Avrebbero disapprovato che si sposasse per denaro, lo sapeva. I Gilchrist erano alquanto intransigenti, e lui preferiva ascoltare le loro critiche il più tardi possibile. La lettera con l'annuncio del matrimonio con Leonie era per strada, spedita due giorni prima.
Inoltre non avrebbe potuto sopportare nello stesso tempo la famiglia e l'evidente riluttanza della moglie. Le sue sorelle Dora e Beth avrebbero preso le parti di Leonie, ne era sicuro.
I Charnock non erano persone tranquille. William Charnock si stava lamentando di qualcosa con la moglie, ma si interruppe non appena vide Roman e il parroco, e avanzò con la mano tesa.
«Mi dispiace di essere un po' in ritardo, milord» pronunciò sorridendo e bloccandogli la vista della sposa, «ma sapete come sono le donne.»
«William, siamo arrivati con largo anticipo» lo rimproverò la moglie nel consueto tono annoiato.
In realtà erano in ritardo di mezz'ora, un'altra delle ragioni per cui Roman era contento che la sua famiglia non fosse lì. Sua madre era puntualissima.
Strinse la mano di Charnock, poi tutti si mossero e lui poté vedere la sposa.
Gli mancò il fiato, e il cuore prese a martellargli nel petto. Venere sarebbe stata invidiosa di lei.
Leonie aveva i capelli sciolti, proprio come piaceva a lui. Una coroncina di rose di diamanti tratteneva un velo di pizzo e garza che pareva fluttuare nell'aria alle sue spalle.
L'abito da sposa era una meravigliosa creazione di pizzo delicato e strati di mussola bianca con fili d'argento. Il seno sodo era messo in risalto dal corpetto e intorno al collo portava un filo di perle chiaro come la sua pelle. Nessuna donna gli era mai parsa più affascinante.
Roman lasciò andare la mano di Charnock, fece un passo verso Leonie e capì la verità: non la sposava per denaro, ma perché la desiderava. In effetti l'aveva sempre desiderata.
Leonie si era fermata all'altezza della prima fila di sedie. Gli rivolse un sorriso incerto. Roman sarebbe potuto cadere in ginocchio e strisciare fino a lei.
Fu lei ad avvicinarsi, camminando come se fosse in un sogno. Le gonne mettevano in risalto le gambe lunghe e forti.
Roman era felicissimo che quella donna diventasse sua moglie.
William Charnock stava blaterando qualcosa, rivolto al parroco, ma lui non gli prestò attenzione. Aveva occhi solo per Leonie.
Si fermò accanto a lui e gli offrì la mano infilata nel guanto. Lui la portò alle labbra e le baciò le dita.
Il sorriso suscitato da quel piccolo gesto galante fu lieve, come se anche lei fosse piena di dubbi e preoccupazioni.
«Staremo bene insieme» le promise Roman.
Leonie assentì, come se fosse troppo nervosa per parlare.
«Bene, cominciamo?» intervenne Charnock battendo le mani.
«Sì» approvò la moglie. «I primi invitati arriveranno alle dodici e mezza.»
A Roman non importavano i desideri di Charnock, né l'ora di arrivo degli ospiti. «Siete pronta?» chiese a Leonie. Era ansioso di sapere che aveva accettato il loro matrimonio.
Lei annuì.
«Venite da questa parte.» Il reverendo Davis indicò loro l'altare.
Roman prese la sua mano e se la posò sul braccio. Nell'ultima settimana e mezzo erano stati vicini senza mai toccarsi, ma in quel momento Leonie si inclinò lievemente verso di lui, con un movimento quasi impercettibile, che tuttavia gli trasmise il calore del suo corpo.
Sì, sarebbero stati bene insieme.
Il parroco aprì il suo libro e cominciò a leggere. «Amati confratelli, siamo tutti qui riuniti alla presenza di Dio per testimoniare e benedire l'unione di quest'uomo e questa donna nel sacro vincolo del matrimonio...»
Una parola in particolare colpì Roman. Unione.
Leonie se n'era accorta? Non ne aveva dato segno. Non reagì nemmeno quando il parroco proseguì con la cerimonia. «L'unione di marito e moglie nel cuore, nel corpo e nella mente è intesa da Dio per la loro reciproca gioia e, quando sarà la sua volontà, per la procreazione dei figli.»
Unione del corpo. Procreazione dei figli.
Roman stava per avere una moglie che gli avrebbe dato sollievo con il proprio corpo e che sarebbe stata una compagna e un'amante.
Voleva dei figli. Bonhomie sarebbe passata al suo erede. In quel momento, in piedi davanti all'altare, pregò che Dio gli concedesse molti figli e figlie sani. Voleva che i muri della casa risuonassero delle loro risate e voleva che anche Leonie lo desiderasse.
Sebbene non l'avesse mai ammesso a parole, Roman sapeva che Arthur Paccard aveva abusato di lei. Lo aveva capito dal suo sguardo e dal modo in cui la mano che stringeva la pistola aveva tremato per la rabbia e la paura.
Ora toccava a lui trattarla con gentilezza e riparare al danno inflitto dal rivale.
Ripeté i voti nuziali con voce ferma, per farle capire che li prendeva sul serio. Sarebbe sempre stato al suo fianco. L'avrebbe adorata e trattata come un tesoro prezioso. Era già convinto di amarla.
Leonie ripeté i propri voti con voce sommessa e aria pensierosa, come se soppesasse ogni parola prima di pronunciarla. Roman colse un profumo di menta nel suo alito, e la cosa gli fece piacere. Segno che la sua sposa stava già pensando ai baci. Di certo lui ci pensava.
«Avete l'anello, milord?» chiese il parroco.
Roman si frugò in tasca e lo tirò fuori, orgoglioso: era uno zaffiro stellato che aveva comprato in India anni prima. La montatura era semplice, perché non aveva potuto permettersi altro, ma la gemma era meravigliosa. Era piuttosto insolita, a Londra. Solo chi era stato in India l'avrebbe apprezzata. Osservò Leonie, in attesa di una reazione, o di un riconoscimento del tipo di pietra preziosa... e rimase deluso.
Leonie la guardò senza il minimo interesse.
La madre si sporse verso di lei. «Devi toglierti il guanto» sussurrò.
Leonie obbedì, ma sembrava confusa. O forse era solo agitata?
La madre l'aiutò, e Roman le infilò al dito l'anello di zaffiro. Gli piaceva vederlo lì. Era l'unica cosa di valore che poteva offrirle, oltre al proprio cuore.
Gli sarebbe piaciuto che la sposa si mostrasse impressionata dalla gemma, ma lei fece un sospiro profondo e guardò il reverendo Davis, come se si stesse chiedendo cosa sarebbe successo a quel punto.
Il parroco prese le loro mani nelle sue. «Con l'unione delle mani e lo scambio dell'anello vi dichiaro marito e moglie.» Li benedisse e poi passò all'annuncio finale. «Ciò che Dio ha unito, nessun uomo osi separare.»
Era fatta.
Roman era sposato con Leonie Charnock. No, ora lei era Lady Rochdale. Sua moglie. La sua contessa.
Le sorrise. Leonie stava osservando l'anello con grande concentrazione. Finalmente lo notava. «È davvero molto bello, milord» pronunciò con un sorriso lento e pigro.
Con quell'ultima parola Roman colse una zaffata di menta... e di brandy. Sua moglie si era di nuovo attaccata alla bottiglia.
Come per confermare i suoi sospetti, Leonie cominciò a piegarsi verso di lui, come se stesse per cadere. Roman la prese al volo.
«Grazie» sussurrò lei con una risatina e un lieve sospiro, per poi svenire tra le sue braccia.