9

Leonie non voleva aprire gli occhi. La mente si stava risvegliando, il corpo no. Poi si rese conto di non riuscire a sollevare le palpebre. Sembravano sigillate, o troppo pesanti per muoversi.

Trasse un respiro profondo, lo liberò... e si rese conto di essere a letto.

Si stirò contro il cuscino, pronta a mettersi più comoda e a tornare a dormire, ma il sonno era agitato e ansioso. Ogni minimo movimento le dava la sensazione che qualcuno le stesse prendendo a martellate il cervello. Perfino la testa appoggiata al cuscino le faceva male.

Spostò il peso, e le gambe le parvero intrappolate in una camicia da notte pesantissima. Una bava secca le colava dall'angolo della bocca. Leonie scoprì inorridita di aver dormito tenendola aperta. Aveva la gola secca e moriva di sete.

Strofinò via la bava e si costrinse ad aprire gli occhi, per poi richiuderli subito con un gemito. Le tende erano tirate e la stanza buia, a parte l'alone di una lampada all'altro capo della stanza. Perfino quel bagliore tremolante era eccessivo.

«Buonasera» la salutò una voce maschile.

Leonie si sentì gelare. Non era sola. Roman era lì con lei.

Che ora era? Perché non si trovava nella sua camera da letto?

Le tornò la memoria. Era andata alla chiesa di St. Anne per sposarsi... e aveva bevuto un'intera teiera di brandy. A quell'ultimo pensiero lo stomaco si ribellò.

Una mano forte la tirò fino al bordo del letto. Voleva avvertirlo che stava male, ma lui sembrava saperlo. Le scostò i capelli senza tante cerimonie. «Usate questo» le ordinò.

Leonie non era sicura di ciò che intendeva, ma ormai non riusciva più a controllare il suo corpo. Rigettò in modo assai poco signorile in quello che doveva essere un vaso da notte.

Adesso il sapore dolce e speziato del brandy non era così piacevole. Vomitò più e più volte, fino a quando non rimase più niente nello stomaco, eppure i conati continuarono.

Aveva le guance rigate di lacrime per la fatica. Non sarebbe mai sopravvissuta a un simile imbarazzo. Roman le tenne i capelli scostati dal viso, ma lei riuscì comunque a combinare un disastro.

Alla fine, debole ed esausta, sollevò la testa, e lui la lasciò andare. Il materasso si sollevò mentre Roman si rialzava. Mentre si metteva a sedere nel letto, Leonie lo sentì camminare fino alla porta. L'aprì e consegnò il vaso da notte a qualcuno... Un'altra persona adesso era al corrente della sua umiliazione!

Leonie si ripulì la bocca con il bordo del lenzuolo. Indossava ancora lo splendido abito da sposa e aveva ancora la coroncina di diamanti nei capelli, anche se era di traverso, e i bordi le facevano male. Se la tolse e cercò di posarla sul comodino, ma il braccio non possedeva la minima grazia. Alla fine gettò via quell'ornamento delicato con una forza imprevista.

Roman era fermo vicino alla porta. Era in maniche di camicia e si era tolto gli stivali. Ricordava bene il suo aspetto distinto, in chiesa. Portava la stessa camicia e gli stessi pantaloni, ma era il tipo d'uomo che poteva far apparire eleganti i vestiti semplici di un carrettiere.

In quel momento la stava fissando come un tutore bello e colmo di disapprovazione.

Fu lei a rompere il silenzio. «Sembra che mi vediate sempre nei miei momenti peggiori.» Parlare le faceva male alla gola.

«Ho bisogno di sapere di non avere sposato un'ubriacona.»

Che parola orribile!

«Non è così» lo rassicurò Leonie, nel suo stesso tono secco.

Era tutta colpa del vino. Giurò che non l'avrebbe toccato mai più. Cercando di recuperare un po' di dignità, si guardò intorno nella stanza. La sua stanza. «Cosa fate qui?» chiese.

«Invece di essere al Pulteney, intendete dire?»

Leonie annuì. Ricordava vagamente che Roman voleva prendere una camera in quell'albergo alla moda per la loro notte di nozze. E poi quali erano i piani?

Non se lo ricordava, o non lo sapeva, il che la irritava. «Che cosa faremo domani? E dopodomani?» Sollevò lo sguardo su di lui. «Ne abbiamo discusso?»

Notò con piacere che le sue domande parevano coglierlo di sorpresa. Si sentiva un tale disastro che il pensiero di innervosirlo le dava un certo sollievo.

«Andremo a Bonhomie» rispose lui.

«Bonhomie?» Assaporò la parola e non le piacque, anche se in quel momento non avrebbe apprezzato niente. Poi ricordò. Oh, sì, Roman intendeva seppellirla viva in campagna.

Leonie si rese conto che le gonne si erano sollevate, mostrando gran parte delle gambe, e le abbassò in fretta. Probabilmente mentre dormiva si era resa più ridicola che mai. «Siete stato qui tutto il tempo?»

«Sembrava l'unica soluzione. Nel caso non ve ne siate accorta, o non ve lo ricordiate...» Ogni sillaba grondava disprezzo, «... al piano di sotto c'è un ricevimento di nozze.»

Leonie tese l'orecchio e si rese conto che aveva ragione. Colse l'eco lontana di voci chiassose e le note dell'arpista che la madre aveva voluto ingaggiare.

«Sapevo che c'era un ricevimento di nozze» ritorse. Visto? Non era del tutto ignara. «Tuttavia non me la sentivo di partecipare.»

«Lo credo bene.»

Leonie ignorò il suo tono acido. Roman era furioso con lei, e lei con lui. Benvenuti nella vita matrimoniale! I suoi genitori si comportavano sempre così l'uno con l'altra.

Poi pose la domanda su cui si arrovellava di più. «Cos'è successo?»

Se era rimasto sorpreso, Roman non lo diede a vedere. «Siete arrivata in chiesa ubriaca.»

Il brandy. Ne aveva bevuto molto più del solito e molto più in fretta. Non le aveva dato fastidio fino a quando... be', non ricordava quando aveva iniziato a star male, ma non poteva certo confessarglielo.

«Ubriaca?» lo sfidò con la massima faccia tosta. «È un'accusa oltraggiosa! Mi sono sentita male, ecco tutto.»

«Sì.» Roman si staccò dalla porta per avvicinarsi a un tavolo con vari piatti coperti. «Siete stata colpita da un malore chiamato sbornia.» Prese una teiera. «Volete una tazza di tè?»

Lo stomaco di Leonie si ribellò a quella vista. Roman sapeva cosa aveva fatto. Il senso di colpa si trasformò in panico, soprattutto quando il ricordo della teiera riempita di brandy minacciò il suo stomaco fragile. Non volendo cadere ancora di più in disgrazia, si guardò intorno frenetica, in cerca di qualcosa da usare, ma non vide niente. Lui interpretò correttamente il suo disagio, allungò una mano accanto a una sedia vicino al letto, sollevò un vaso da notte e glielo porse. Leonie notò che ce n'erano molti.

Ormai il corpo non aveva più niente da perdere. Aveva già rimesso tutto. Ebbe un conato o due, e poi si raddrizzò. Roman si rese conto che l'avrebbe lasciato in piedi, con un vaso da notte in mano, e lo mise giù con disgusto. Un disgusto che provava anche per lei, era chiaro.

Ferita nell'orgoglio, Leonie ritrovò la sua energia. Spinse via lenzuola e gonne, e scese dal letto dall'altro lato. Mettersi in piedi fu quasi difficile come restare seduta. Barcollò per un attimo, poi spinse i capelli arruffati sulla spalla e parlò nel suo tono più fiero. «Vi disgusto, vedo. Dunque sono sollevata che non ci sia stato un matrimonio.»

Roman la guardò con aria interrogativa. «C'è stato» la corresse. «Non vi ho appena detto che al piano di sotto è in corso un banchetto di nozze?»

Quella domanda le tolse il fiato. «Ah, sì? Non ricordo di aver pronunciato i voti nuziali.»

«Lo avete fatto.»

«No, non è vero.»

Roman fece spallucce. «Sì, invece.»

Leonie avrebbe voluto prendersela con lui. Avrebbe saputo se l'aveva sposato. O forse no?

Aveva un sapore terribile in bocca, lo stomaco era ancora sottosopra, e il dolore ai muscoli e alle articolazioni non voleva saperne di scomparire.

«Mi sono espressa con chiarezza?» chiese.

«La vostra pronuncia era perfetta.»

Il tono noncurante di quella risposta la irritò. «Dunque siamo stati dichiarati marito e moglie?» chiese.

«Sì. Il reverendo Davis lo ha detto forte e chiaro, e poi voi siete quasi caduta a terra.»

«Sono caduta a terra?» Si sarebbe di certo ricordata di una cosa simile. Inoltre avrebbe dovuto avere almeno un bernoccolo, o un livido.

«No. Vi ho presa al volo, prima che poteste farvi male» rispose Roman.

«Che galante!» borbottò Leonie per nascondere l'orrore per il proprio comportamento. Aveva pronunciato i voti nuziali durante una cerimonia di cui non ricordava niente, nonostante venisse considerata il momento più importante della vita di una donna. «Sono uscita dalla chiesa con le mie gambe?»

«No.» Roman si versò una tazza di tè. Pareva proprio che fosse quello, il contenuto. Stavolta il fatto che la teiera non le facesse una particolare impressione le parve una piccola vittoria. «Ecco perché vi abbiamo portata qui e non in albergo. Non avevo nessuna voglia di farmi vedere mentre portavo su per le scale la mia sposa priva di sensi, e vostro padre ha pensato che fosse meglio venire qui. Ho attraversato la soglia portandovi in braccio come il marito più devoto. Voi tenevate la testa nascosta contro la mia spalla. Tutti ci sono cascati, ma io temevo che vi sareste messa a vomitare.»

Leonie non ricordava niente, ma non dubitava che fosse davvero successo, soprattutto quando si rese conto che c'era qualcosa di diverso nella sua mano. Abbassò lo sguardo e vide l'anello al dito. Era uno zaffiro stellato. «Non ne vedevo uno da quando siamo tornati dall'India.»

«In effetti è là che l'ho comprato.» Roman non la guardò mentre parlava, ma si concentrò sulla tazza che teneva in mano. Il tè non doveva essere troppo caldo, perché la svuotò in un sorso solo.

Leonie sollevò la mano per poter vedere l'anello alla luce della lampada. Era la sua fede nuziale. La montatura era semplice ma elegante, e la gemma era bellissima. La stella all'interno degli zaffiri l'aveva sempre affascinata.

Roman l'aveva scelta per lei, come se conoscesse i suoi gusti. Leonie invece non sapeva nulla di lui. Nelle ultime settimane era stata tutta presa dalle sue preoccupazioni.

La stava osservando. Non c'era allegria nei suoi occhi grigi, né calore nella piega della bocca, ma in fondo meritava il suo disprezzo.

«Non mi ricordo niente della cerimonia» ammise, umile. Guardò di nuovo l'anello e poi chiuse le dita, sentendo il metallo che le circondava l'anulare. L'idea di essersi comportata in quel modo le dava la nausea. «Non avete mai risposto alla mia domanda sul nostro futuro» gli ricordò comunque. «Il nostro sarà un matrimonio solo di nome, vero? Ora lo desiderate di sicuro.»

Roman posò la tazza di tè sul vassoio. Un muscolo vibrava rabbioso nella mascella, e lei capì le sue intenzioni. «Non lo farò» rispose.

«Che cosa?» La sua voce era sommessa.

Leonie capì benissimo di cosa stava parlando, il luccichio dei suoi occhi era inequivocabile. Non gli piacevano le sfide, ma per lei quella era una questione importante, che a quel punto avrebbe già dovuto essere risolta.

Abbassò lo sguardo sull'anello, raddrizzò le spalle e incontrò i suoi occhi. «Non ho alcun desiderio di condividere il letto coniugale.» La propria audacia la spaventò. Era stata audace, con Arthur, e non era finita bene, ma stavolta non era sola. Se avesse gridato, almeno una decina di invitati, oltre all'arpista, sarebbero accorsi in suo aiuto.

«Questo non fa parte dei nostri accordi» dichiarò Roman.

«Ve ne ho parlato fin da quando avete fatto la vostra proposta. In effetti, non l'ho mai accettata. Mi avete trascinata in questo matrimonio perché tutto quello che vi interessa è la mia dote.»

«E per questo vi è sembrato necessario arrivare in chiesa ubriaca?»

«Forse.» Resistere alla tentazione di distogliere lo sguardo richiedeva tutto il coraggio di Leonie.

«Perché volete vivere separata da vostro marito?» volle sapere lui.

«Non è poi così raro. Il nostro non è certo un matrimonio d'amore. Molte coppie vivono così.»

A quelle parole un'ombra rabbiosa gli oscurò il viso, e Leonie ricordò la prima volta che lo aveva visto, quando era entrato nel salone durante il ballo della colonia. Le era parso così giovane... Gli anni lo avevano cambiato.

Quella notte aveva fatto emergere il lato peggiore di Arthur e segnato l'inizio della sua gelosia.

«Apprezzo tutto quello che avete fatto per me» si affrettò ad aggiungere. «In realtà voi non c'entrate.»

«Quello che ho fatto per voi, Leonie?» ripeté Roman. «Vi riferite alla notte in cui siete scappata con Paccard? La notte in cui gli avete sparato e io ho raccontato a tutti che era stata opera mia? Sapete cosa vi sarebbe successo, se fosse venuta fuori la verità?»

La sua colpevolezza la riempì di vergogna. «Non vi ho chiesto io di assumervi la responsabilità della morte di Arthur.»

«No, è vero, ho fatto tutto da solo. Adesso ascoltatemi, Leonie. Nel momento del bisogno io vi ho aiutata, adesso voglio che vi assumiate le vostre responsabilità. Ho dei sogni, dei grandi sogni, e perché si avverino ho bisogno di voi.»

«Avete bisogno della mia dote» lo corresse lei.

«È vero. Voglio fare qualcosa non solo per me, ma anche per la mia famiglia, e non intendo perdere questa occasione. Non intendo neanche mantenere una moglie che non sia disposta a onorare i voti nuziali, anche se non si ricorda di averli pronunciati.»

«E questo cosa significa?»

«Lo sapete.»

Intendeva dire che avrebbe annullato il matrimonio? Che l'avrebbe piantata in asso?

Sarebbe stato un vero disastro, soprattutto dopo che l'anno prima il Duca di Baynton l'aveva lasciata. Lo scandalo l'avrebbe marchiata a vita. Suo padre si sarebbe potuto infuriare al punto da diseredarla, soprattutto perché non avrebbe più potuto trovarle un altro marito. Leonie non si faceva illusioni sul valore che aveva, ai suoi occhi.

Roman sapeva che lei non aveva altra scelta, se non restare sposata con lui. Come suo marito ora la controllava legalmente. Era sua. Un peso scese a opprimerle il petto. «Non sono un'ubriacona.»

Lui inarcò un sopracciglio con aria scettica.

«Non lo sono» insistette Leonie. Quella difesa sembrava sciocca perfino alle sue orecchie. «Ogni tanto mi faccio un goccetto» ammise, spinta dalla sua innata onestà. «Stamattina ho commesso un errore. Non stavo cercando di disonorarvi, o di tirarmi indietro dalle nozze.» Sentì un nodo alla gola. Le emozioni che cercava di tenere a bada minacciavano di soffocarla.

E adesso Roman la giudicava, convinto che avesse abusato di lui e che fosse in debito nei suoi confronti. Pensava di aver fatto un cattivo affare con quel matrimonio, ma non aveva idea di quanto lei fosse danneggiata e disgustosa. Guardava il suo viso e il suo corpo, e credeva di conoscerla, come tutti.

E invece non sapevano niente di lei. Lui non sapeva niente di lei.

Scoppiò in una risata aspra. Sembrava pazza, lo sapeva, e in effetti forse stava impazzendo.

«Mi ha violentata.»

Le parole che non aveva mai pronunciato prima, a cui non si era mai permessa di pensare, presero forma all'improvviso.

Sgranò gli occhi, stupita dalla propria audacia e poi scoprì che dopo aver cominciato non era in grado di fermarsi. «Mi ha violentata» ribadì. «Gli ho detto che avevo cambiato idea, che mi sarei presa la colpa della fuga. Volevo tornare a casa, ma lui non me l'ha permesso.» Leonie agitò le mani per sottolineare quelle parole e creare uno spazio per loro e per se stessa. Per proteggersi.

«Leonie.» Roman fece un passo verso di lei.

Sollevò un braccio per fermarlo, o forse era Arthur? Arthur che l'aveva picchiata, le aveva tirato i capelli e intimato di chiudere la bocca e di smettere di urlare?

Roman si fermò e sollevò le mani, come per mostrarle che non voleva farle niente. «Leonie, so che vi ha violentata.»

Lei inclinò la testa, incerta se credergli o meno.

«Quella notte l'ho capito subito.» La sua voce era sommessa, come se cercasse di calmare un animale spaventato. «Arthur è stato brutale. Non si è comportato da gentiluomo. Non è stata colpa vostra. Avete solo cercato di proteggervi.»

Era così? All'improvviso Leonie non riuscì a ricordarlo.

Non ricordava molto neanche dei giorni seguenti. Cercò di non pensarci. Era stata riconoscente ai genitori, quando l'avevano fatta partire dall'India. Non riusciva a dormire, e la madre aveva cominciato a darle da bere un po' di brandy.

Adesso non ci sarebbe più stato brandy. Non con Roman.

«Mi avete preso la pistola.»

«Sì.»

Per un attimo Leonie si concesse di sperimentare tutto l'orrore che aveva compresso dentro di sé. Le salirono le lacrime agli occhi, ma le scacciò battendo le palpebre e si sforzò di essere forte. Non avrebbe pianto. Né per Arthur, né per se stessa.

Poi, all'improvviso, perse la battaglia. Le lacrime sbaragliarono le sue difese. Non erano lievi e gentili, ma calde e rabbiose. Esprimevano tradimento e gioia per quella liberazione.

Due braccia forti la cinsero, proprio come avevano fatto quella notte. Se n'era dimenticata.

Leonie ricordava che Roman era entrato nella stanza e le aveva preso la pistola e, proprio come aveva fatto quella notte tremenda, nascose il viso contro il suo petto, scossa dai singhiozzi.

Aveva esagerato.

Roman si era infuriato all'idea che Leonie lo rispettasse così poco da arrivare ubriaca alla cerimonia di nozze, e da allora non era riuscito a pensare ad altro.

Be', aveva avuto anche altri pensieri mentre aspettava che lei si riprendesse, ed erano stati pensieri cupi.

Quale uomo voleva un'ubriacona per moglie?

Considerato il comportamento della madre di Leonie, si rimproverava di non essere stato più cauto. Certo, aveva bisogno del denaro della dote, ma adesso era legato a Leonie vita natural durante, e a quale prezzo?

Si rimproverava anche per aver permesso a un bel visino di privarlo del buonsenso.

In India Leonie era considerata una ragazzina capricciosa i cui occhi a mandorla erano capaci di confondere qualsiasi uomo. Roman si era considerato immune al suo fascino, ma non era così. Come tutti gli altri, si era lasciato guidare da ciò che aveva tra le gambe.

Leonie lo aveva preso in giro due volte: la prima quando tutta la sua famiglia era partita dall'India, lasciandolo da solo ad affrontare le conseguenze della morte di Paccard, e la seconda il giorno delle nozze.

La verità era che Charnock lo aveva pagato perché sposasse sua figlia. Adesso Roman capiva il motivo.

Il fatto che, anche ubriaca, Leonie fosse più attraente che mai non lo aiutava di certo. Che razza di depravato era?

Quando lei aveva ripreso i sensi, Roman avrebbe voluto che si mostrasse pentita per ciò che gli aveva fatto passare. Portandola in braccio in casa aveva inscenato uno spettacolo per gli invitati e i domestici, come se non vedesse l'ora di portarla a letto. Chiunque l'avrebbe ritenuto un libertino di prima categoria, e anche quel pensiero lo infastidiva.

Gli invitati erano convinti che se la stesse spassando con la sua novella sposa. Aveva trascorso gran parte della giornata a compiangersi, e adesso si vergognava.

I singhiozzi di Leonie spezzavano il cuore. Non era strano che fosse ricorsa al brandy per non pensare a un matrimonio che le riusciva sgradito. Forse lo avrebbe fatto anche lui.

Soprattutto se il matrimonio le riportava il ricordo della brutalità di Paccard. Quella notte Roman si era infuriato vedendo i lividi sulle braccia, sul collo e sul viso di Leonie. Per fortuna Arthur era già morto, perché altrimenti lo avrebbe ucciso lui.

Adesso come allora si ritrovò a tenerla stretta, lasciandola piangere fino a esaurirsi. Rimasero avvinti a lungo, in un silenzio benefico.

Leonie si mosse, segno che stava meglio.

Roman la lasciò andare, anche se gli sarebbe piaciuto continuare a tenerla tra le braccia.

«Penso che ora mi stenderò un po'» mormorò Leonie. «E dovrei lavarmi i denti. Posso restare sola per un momento?»

«Naturalmente.» Roman uscì dalla stanza. Per fortuna il corridoio era vuoto.

Dopo un po' bussò alla porta, ma non ci fu risposta.

L'aprì, allarmato, poi si rilassò: Leonie era tornata a letto ancora vestita, e adesso dormiva. Il suo sonno però sembrava più calmo e sereno, come quello di una bambina stanca dopo una giornata impegnativa.

Roman voleva che stesse più comoda e si chiese se fosse il caso di chiamare la sua cameriera per toglierle il vestito da sposa. Poi però decise di no. Non voleva coinvolgere i domestici in ciò che succedeva in quella stanza. Una parola incauta sarebbe bastata a mettere in moto voci incontrollate. E così fece tutto da solo.

Non fu un compito facile. Per una settimana e mezzo – anzi, di più – aveva immaginato il momento in cui l'avrebbe spogliata, ma ora doveva mettere da parte il desiderio. Voleva che Leonie si sentisse comoda e al sicuro. Durante la cerimonia di nozze aveva giurato a se stesso di proteggerla.

Il che non gli impediva di ammirare sua moglie. Era perfetta in ogni senso, compresa la sua umana fragilità, e costituiva il sogno di ogni uomo. Non si svegliò mentre le toglieva l'abito da sposa, facendolo scivolare dalle spalle e lungo le gambe. Una volta rimasta in camiciola e sottoveste, Leonie si rannicchiò sul fianco con un lieve sospiro.

Roman non cercò di slacciarle le calze. Un uomo aveva dei limiti, e lui aveva raggiunto i propri.

Le lanciò un ultimo sguardo colmo di rimpianto e la coprì con le lenzuola, poi ripiegò l'abito da sposa e lo posò sulla panca davanti alla toletta.

Uno scoppio di risa rauche e chiassose lo raggiunse. Non sarebbe sceso per unirsi ai festeggiamenti. Gli invitati lo avrebbero considerato uno strano marito, se avesse lasciato la novella sposa da sola al piano di sopra.

Si tolse la camicia, fece il giro del letto e si distese accanto a lei.

Leonie non si mosse mentre il suo peso faceva inclinare il materasso. Roman cercò di mettersi comodo, mentre la donna dei suoi sogni dormiva al suo fianco.

Allungò una mano reverente e accarezzò uno dei riccioli sparsi sul cuscino. «Mi avete chiesto perché vi ho inseguita la notte in cui siete scappata con Paccard» sussurrò.

Leonie non rispose. Lui non avrebbe parlato, se fosse stata sveglia.

Roman si girò su un fianco, rivolto verso di lei, ma tenendo una rispettosa distanza. La luce della lampada conferiva un bagliore dorato alla sua carnagione. Ammirò la forma perfetta del naso e la curva delle labbra. Perfino le ciglia gli sembravano sacre.

«L'ho fatto perché dopo la nostra conversazione, la notte prima della fuga, non credevo che sareste scappata così presto con Paccard. Ricordate cosa mi diceste? Che anche voi sentivate una connessione con me? Ero sicuro che vi avesse costretta, ed ero geloso, Leonie. Il tribunale aveva ragione: ero geloso.» Tirò piano la ciocca che teneva in mano. «Vi amavo, Leonie, e volevo che mi ricambiaste.» Le posò una mano sulla spalla. «Ora non so se questo sarà mai possibile.»