11

Lasciare la casa dei genitori fu più facile di quanto Leonie si sarebbe aspettata. Mentre si dirigeva in camera sua, decise di annunciare la partenza alla madre. Bussò alla porta della sua stanza, ma Anna, la cameriera personale, dischiuse il battente e le sussurrò che la padrona era indisposta.

Leonie capì subito la verità: al banchetto di nozze la madre aveva esagerato con il vino, o con qualche altro liquore, proprio come aveva fatto lei con il brandy. «Sa che sto partendo?»

«Sì. L'ha informata Lord Rochdale.»

«Ah, va bene. Dille che le scriverò.»

«Sì, milady.» La porta si richiuse.

Leonie rimase un momento a fissarla, poi si girò e lanciò uno sguardo lungo il corridoio verso la camera del padre. Non era ancora tornato. Per un momento pensò di informare il valletto della sua partenza, ma poi ci rinunciò.

«Gli ho già parlato» pronunciò Roman alle sue spalle. «Sa che stiamo partendo.»

Leonie si girò lentamente verso di lui. «Chissà dove siete dovuto andare per trovarlo. Anni fa sono partita dall'India senza guardarmi indietro. Pensavo non gliene importasse. In effetti pensavo non importasse a nessuno.»

«Sono sicuro che erano preoccupati quando siete fuggita con Arthur.»

«Mio padre era preoccupato soltanto di proteggere il suo investimento. Spero abbiate ricevuto la mia dote.»

Roman esitò, come se non si fidasse del suo umore, e in fondo come dargli torto? Nelle ultime due settimane non si era comportata molto bene. «Sì, l'ho ricevuta.»

«Bene. Vado a fare i bagagli.»

Leonie entrò in camera sua. Mettersi in azione le fece bene. Si rese conto che in fondo lasciare Londra non sarebbe stato poi così brutto. Come Willa e Cassandra, anche le malelingue si sarebbero chieste la ragione della sua assenza dalla festa di nozze. Alcuni si sarebbero eccitati, altri scandalizzati, ma a lei non importava. Tutti i dubbi erano svaniti nel momento in cui aveva deciso di seguire suo marito in campagna.

Minnie aveva già cominciato a fare i bagagli. Leonie la guardò passare in rassegna i suoi vestiti. «Verrai con me, Minnie?» le chiese.

La cameriera sgranò gli occhi, poi sospirò. «Mi piacerebbe tanto, milady, ma...»

«... ma non vuoi lasciare il tuo Charles?» completò Leonie per lei. Charles era l'apprendista del macellaio. Lui e Minnie erano innamorati fin da bambini.

«Ci sposeremo presto.»

«Avvertimi quando lo farete. Voglio saperlo.»

«Sì, milady.»

Leonie si guardò intorno: le sue cose erano sparse per tutta la stanza. «Va bene, mi farò da cameriera personale.»

«Vostro marito può aiutarvi» osservò Minnie.

«Che cosa?» Leonie impiegò un momento a comprendere l'affermazione della sua cameriera, e quando lo fece arrossì. «È vero.» Poi si mise all'opera insieme a lei per finire i bagagli.

«Non preoccuparti di queste boccette di profumo» disse mentre Minnie raccoglieva i pesanti contenitori di vetro. «Anzi, prendile tu.» Sapeva che ogni tanto la cameriera provava uno dei suoi profumi. Probabilmente li usava più di lei.

«Dovreste tenerne almeno una» protestò Minnie.

«Non saprei quale» tagliò corto Leonie.

Le saponette cremose erano un'altra storia. Leonie voleva tenersi le tre che possedeva. Avrebbe voluto che fossero di più, ma di certo avrebbe potuto comprarne delle altre ovunque stessero andando.

Già, dove stavano andando?

Con stupore si rese conto di non avere idea di dove si trovasse la residenza di campagna di suo marito. E come si chiamava? Se l'era dimenticato di nuovo. Qualcosa come Bonne Chance?

Leonie scosse il capo. No, non era quello il nome della tenuta. Quale inglese avrebbe scelto un titolo francese per la sua casa? Un tipo pretenzioso... e Roman non lo era di certo. Bonhomie, ecco il nome! Avrebbe dovuto imparare la storia che c'era dietro.

Con l'aiuto di Minnie, tutto ciò che le sembrava necessario portarsi dietro venne riposto in un baule. Prepararono anche una valigia per le sue esigenze durante il viaggio. «Manderò a prendere il resto» annunciò Leonie alla cameriera.

«Sì, milady. Lo terrò pronto. Grazie per avermi chiesto di accompagnarvi.»

«Mi dispiace perderti» ammise Leonie. Poi le venne un altro pensiero. «Ora ti scrivo una lettera di referenze. Non so se in questa casa ci sarà più bisogno di una cameriera personale.» Sua madre non avrebbe certo pensato a un particolare del genere. Ne avrebbe parlato con Mrs. Denbright, la governante. «E farò in modo che tu abbia un po' di denaro.»

«Ci ha già pensato Lord Rochdale» le assicurò Minnie.

«Davvero? E quando?»

«Un'ora fa circa.» Mentre Leonie era con Willa e Cassandra. «È stato molto generoso.»

«Sì, lo immagino.» Leonie era divisa tra il risentimento per il suo intervento autoritario e il sollievo all'idea che si fosse occupato di Minnie. Mascherò l'incertezza scrivendo un'eccellente lettera di referenze per la cameriera.

Qualcuno bussò alla porta. «Sì?» rispose Leonie.

«Lord Rochdale vorrebbe sapere se siete pronta a partire» risuonò la voce di un domestico dall'altro lato del battente di legno.

Leonie guardò Minnie. «C'è tutto?»

«Tutto quello che avete detto di volervi portare, milady» rispose la cameriera.

«Molto bene.» Leonie aprì la porta e si rivolse al domestico. «Oltre al baule, nello spogliatoio c'è una borsa da viaggio. Per favore, fai portare giù tutto.»

«Sì, milady. Me ne occupo subito.»

«Grazie.» Leonie infilò una mantellina di seta verde sopra il vestito, prese lo scialle, il cappellino e i guanti che Minnie le porgeva e si guardò intorno per l'ultima volta. Aveva vissuto in quella stanza, in quella casa, per quasi cinque anni, eppure non se ne sentiva parte.

Mentre percorreva il corridoio passò davanti allo studio. Un rapido sguardo all'interno le confermò che la caraffa di brandy era al suo solito posto.

Un goccetto le avrebbe fatto bene, e la sola idea la infastidì: non era il momento di pensarci. Inoltre, dopo quello che aveva combinato alle nozze, avrebbe dovuto bandire del tutto gli alcolici.

Così superò la stanza. I giorni delle bevute erano finiti. Si sentì alquanto nobile mentre prendeva quella decisione.

Di sotto non l'aspettava solo Roman, c'era anche Yarrow. Un domestico stava trasportando fuori il baule del maggiordomo.

«Lasciate il servizio a casa di mio padre?» domandò Leonie, sgomenta.

«Sì, milady.» Yarrow lanciò un'occhiata a Roman. «Farò parte del personale di Sua Signoria» aggiunse.

«Non ho molto personale, Yarrow» lo avvertì Roman. «A Bonhomie la servitù è ridotta all'osso.»

«Sarà una bella sfida» dichiarò Yarrow.

La prima reazione di Leonie fu il sollievo. Almeno avrebbe avuto vicino qualcuno che la conosceva. Lanciò uno sguardo a Roman, chiedendosi se avesse indovinato che avrebbe apprezzato una faccia familiare. «Sono contenta che veniate con noi» ammise con sincerità.

Dovettero farsi da parte mentre i domestici portavano fuori dalla porta il baule di Leonie. «Yarrow viaggerà nel carro coperto che porta il vostro baule e altri acquisti che ho fatto.»

Leonie si girò verso le scale, chiedendosi se tutto quel trambusto avesse svegliato la madre, ma pareva proprio di no. Si mise il cappellino in testa, infilò i guanti e ripiegò lo scialle su un braccio. «Vogliamo andare?» domandò.

E fu tutto.

«A proposito, Roman, dove stiamo andando?» si azzardò a chiedere mentre uscivano. «Dov'è Bonhomie?»

«Nel Somerset» rispose lui. A giudicare dal suo ampio sorriso, la prospettiva gli dava un grande piacere. Per lei non significava nulla, perché si era spinta di rado al di fuori di Londra, ma il suono le piaceva.

Una carrozza noleggiata con il suo cocchiere li attendeva nell'elegante strada in cui abitavano i Charnock. Dietro di essa c'era un carro trainato da due cavalli da tiro, coperto da un telone e piuttosto carico. Roman non aveva perso tempo a spendere il denaro della dote.

Il diluvio del giorno prima aveva lasciato il posto a una giornata coperta. Leonie sperava che non piovesse più. Non aveva la benché minima voglia di farsi sorprendere da un temporale primaverile.

Lanciò uno sguardo incuriosito al fondo del carro. «Attrezzi» spiegò Roman. «Abbiamo bisogno di un nuovo aratro e di altre cose che a Londra sono di una qualità migliore di quella che si trova in campagna. Ci sono anche dei sacchi di sementi.»

«Per coltivare cosa?»

«Grano, orzo, ogni possibile verdura e fiori.»

«Fiori?» La borsa da viaggio di Leonie venne sistemata nella carrozza.

«Mia madre vuole un giardino pieno di fiori.»

Sua madre. Naturalmente. Aveva delle sorelle, e anche una madre.

I bauli vennero collocati sotto il telone dietro istruzioni di un tipo zelante dai capelli rossi che Roman le presentò come Duncan Barr, il suo valletto.

Barr le rivolse un cenno del capo e un inchino, ma Leonie percepì il suo atteggiamento protettivo nei confronti del padrone. Forse conosceva anche tutta la sua storia con Roman, dopotutto gli uomini si confidavano spesso con i loro valletti. Si sentì un po' a disagio, e Duncan Barr parve percepirlo. Sembrava che la cosa gli facesse piacere.

Per fortuna avrebbe viaggiato nel carro con Yarrow. Lei e Roman sarebbero stati da soli in carrozza.

Suo marito impartì gli ultimi ordini, l'aiutò a salire, la seguì e chiuse la portiera. Fece un cenno al postiglione, e i cavalli si misero in moto.

Leonie si girò sul duro sedile di pelle per dare un'ultima occhiata alla sua casa. Yarrow e il carro non erano ancora partiti, e il maggiordomo stava parlando con i domestici, impegnato nel suo discorso di commiato. Mrs. Denbright era sulla porta accanto a Minnie, ma non c'era nessun altro.

Eppure Leonie continuò a guardare fino a quando non svoltarono l'angolo.

Poi si ritrovò da sola con suo marito.

Si sfilò i guanti e ripiegò le mani in grembo, con l'impressione che lui occupasse uno spazio sproporzionato. Il suo cappello era posato sul sedile tra di loro. Si rese conto di portare ancora il cappellino e prese a slacciarlo, per poi fermarsi di colpo.

«Qualcosa non va?» chiese Roman. Era consapevole di ogni sua mossa, come del resto lo era anche lei.

«Non c'è abbastanza posto per riporre il mio cappellino» spiegò Leonie.

«Possiamo metterlo vicino a me» suggerì Roman spostando il cappello dal proprio lato. Ora però erano più vicini.

Leonie avvertì una stretta al petto. Poteva immaginare Cassandra che si sdilinquiva alla sola idea. L'amica non avrebbe mai capito le sue incertezze.

«Oppure possiamo sistemare entrambi i cappelli tra di noi» continuò Roman.

Leonie lo guardò. La sua espressione era neutrale e per nulla minacciosa. Si tolse il cappellino e glielo porse, affidandogli la decisione.

Era la sua immaginazione, o Roman si avvicinò come per annusarle l'alito?

«Non ho bevuto niente» chiarì.

«Non ve l'ho chiesto.»

«Non era necessario.» Leonie si agitò sul sedile. «Non posso biasimarvi» aggiunse. «Ieri non mi sono certo comportata bene.»

«Ormai è acqua passata.»

«Davvero?» lo sfidò lei.

«Sì» confermò Roman con gentilezza, guardandola negli occhi. «Siamo sposati. Abbiamo tutta la vita davanti a noi. È questa l'unica cosa che conta.»

Lei abbassò lo sguardo sull'anello. «È bellissimo. Perfetto. Grazie.»

«Speravo che la donna a cui l'avrei dato lo avrebbe apprezzato.»

«È così» ammise Leonie e venne ricompensata da uno dei suoi rari sorrisi.

Si rese conto solo in quel momento che Roman non sorrideva spesso. L'espressione lo trasformava. Era un bell'uomo, e il sorriso addolciva i suoi tratti marcati. Ricordò com'era stato quando erano entrambi più giovani, prima che succedesse tutto.

«Vostra madre vive a...»? Si interruppe. Si era dimenticata un'altra volta il nome della tenuta.

«Bonhomie.»

Leonie ripeté il nome. «Me lo ricorderò.»

«Spero che vi affezionerete a Bonhomie, così come siete legata a Londra.»

Stavano uscendo dalla città. Le case erano meno fitte, e il traffico era diminuito.

«In realtà non sono poi così legata a Londra» confessò Leonie.

«Eppure volevate restare qui.»

«È vero, ma solo perché non ho un altro posto in cui andare.» Si girò verso di lui. «Parlatemi della vostra casa.»

«La nostra casa.»

Leonie non era così certa che fosse proprio così. Per sentirla come sua, avrebbe dovuto trovarla gradevole, e invece lei non era nemmeno sicura di lui, figurarsi di un luogo che non aveva mai visto. «La nostra casa» ripeté comunque, docile.

L'espressione di Roman mostrava che aveva capito il suo tentativo di rabbonirlo, ma si lanciò comunque in un'entusiastica descrizione della tenuta. Parlò del prato ben tenuto, del parco dei cervi e dei campi che avrebbero beneficiato del nuovo aratro. Era stata un'antica abbazia fino a quando la casa e le terre circostanti non erano state donate a Lord Rochdale durante la Riforma.

«Vi ci vedo, come un puritano» osservò Leonie.

Lui scoppiò a ridere. «Anch'io, purtroppo. La casa ha sette camere da letto.»

«Vostra madre e le vostre sorelle vivono là?»

Qualcosa nella sua voce attirò l'attenzione di Roman. «Sì. E anche il mio patrigno.»

«Non so niente della vostra famiglia» spiegò Leonie. Da un lato era curiosa, visto che quelle persone sarebbero presto diventate importanti, per lei, dall'altro provava una strana agitazione. Se fosse stata a casa si sarebbe fatta un goccetto, ma... poteva essere quella la ragione della sua ansia? «Nessuno di loro è venuto al matrimonio.»

«No. Sono rimasti tutti a Bonhomie» confermò Roman dopo una breve pausa.

Leonie avvertì la sua esitazione e vi si aggrappò, nel tentativo di non pensare al proprio disagio. Poi un'intuizione improvvisa la indusse a porre una domanda. «Sanno che ci siamo sposati?»

Roman si chiese se fosse il caso di mentire e decise di non farlo. «Ho spedito loro una lettera diversi giorni fa» rispose.

«Oh» mormorò Leonie.

Lui non capì se si trattava di una reazione positiva o negativa. «Saranno felici per noi.»

«O forse si sentiranno feriti.»

Roman avrebbe potuto parlarle del suo patrigno, David, ma la notizia non avrebbe avuto significato per lei, e David non lo avrebbe ringraziato per la sua sincerità, preferendo che lei si facesse da sola un'impressione.

Leonie lo fissò con i solenni occhi scuri. «Non pensate che saranno felici?»

«Sanno che anni fa ho combattuto un duello per una donna e sono... protettivi. Desideravo che vi conoscessero, prima di ricostruire la storia del nostro incontro.»

«Oh» ripeté lei, stavolta con maggior consapevolezza. «Credo di capire.»

Tanto valeva ammettere tutto, decise Roman. Era probabile che qualcuno ne accennasse. «Sanno che a causa del duello sono stato degradato.»

Leonie rimase in silenzio, come se stesse assorbendo le sue parole. Una lieve ruga di preoccupazione le solcò la fronte. «Non sapevo della degradazione.»

«Dopo che siete partita non vi siete chiesta cosa ne era stato di me?» Cercò di mantenere un tono leggero, ma non ci riuscì del tutto.

Lei si rifugiò nell'angolo della carrozza. «Ho dato per scontato che mio padre avrebbe sistemato le cose.»

«Schioccando semplicemente le dita?»

«No. Mettendo mano al portafoglio.» Leonie si girò e prese a guardare fuori del finestrino come se lui non ci fosse. Roman avrebbe voluto scoppiare a ridere per quello scherzo crudele.

L'aveva sposata perché la desiderava, ecco la verità. Il patrigno lo aveva sempre ammonito a non pensare con ciò che aveva tra le gambe. Solo uno sciocco si comportava così.

Be', Roman Gilchrist era uno sciocco, ma almeno adesso era uno sciocco ricco. Non accennò al fatto che la sua famiglia non avrebbe gradito l'idea che si fosse sposato per denaro. Credevano nell'amore. Sua madre si era sposata due volte per amore, e lo stesso avevano fatto Beth e suo marito Lawrence. Dora stava ancora cercando l'uomo giusto.

L'amore, però, non avrebbe potuto pagare i debiti di gioco con Erzy e Malcolm, né eseguire le riparazioni per fare di Bonhomie la tenuta che aveva appena descritto a Leonie.

Inoltre adesso aveva la donna che da tempo tormentava i suoi sogni. Gli sedeva accanto in quello spazio ristretto, e il lieve aroma del suo profumo sulla pelle rischiava di farlo impazzire... perché era sua moglie. La donna per cui aveva sacrificato tanto finalmente gli apparteneva.

Poi Leonie lo sorprese. «Non avrei dovuto permettervi di assumervi la colpa di ciò che ho fatto» dichiarò con gli occhi lucidi di lacrime. «Credo che dovremo dire la verità.» Ora il suo viso era pallidissimo.

«Dire la verità?» Roman non capiva fino in fondo cosa intendeva.

«Sì. Dovremmo dire a tutti che non siete stato voi a uccidere Arthur. Dovremmo andare dal vostro ufficiale superiore, o dai funzionari della Compagnia delle Indie Orientali e spiegare che l'ho ucciso io.»

«Non faremo niente del genere» rifiutò Roman, stupefatto dalla sua offerta.

«Perché no? È sbagliato che credano a una menzogna.» Leonie abbassò lo sguardo sulle proprie mani. Erano scosse da un lieve tremito, e le strinse.

Roman posò la mano sulle sue. Non se lo era immaginato: tremavano davvero. Lei però reagì al suo tocco come se volesse ritrarsi.

Avrebbe potuto tirarsi indietro, ma non lo fece. Invece pronunciò parole che durante la rovina della sua carriera militare non avrebbe mai creduto di poter dire. «Non importa. Quella notte tutti e due abbiamo compiuto delle scelte. Ciò che è fatto è fatto, e in fondo ce la siamo cavata bene, no?»

Leonie aggrottò la fronte. «Potrete mai perdonarmi per quello che vi è successo?»

«L'ho già fatto» mentì Roman con un sorriso forzato. Si rese conto solo in quel momento di quanto fosse stato risentito con lei. Credeva che fosse al corrente del suo destino, che sapesse ciò che aveva fatto per lei e non se ne curasse.

«Non so se io potrò mai perdonarmi» mormorò Leonie. «Non so perché sono scappata con Arthur. Era così insistente...» aggiunse, come se fosse una spiegazione.

Roman era fin troppo consapevole delle motivazioni di Arthur: lo considerava un rivale ed era convinto che da quando era arrivato nella brigata lei avesse perso interesse nei suoi confronti. La gelosia poteva spingere un uomo alla follia. Avrebbe voluto chiederle se era vero, ma non lo fece: era sua moglie, eppure erano ancora due perfetti sconosciuti.

«Parlatemi della vostra famiglia» lo esortò Leonie, decisa a cambiare argomento.

«Il mio patrigno insegnava a Oxford. Mia madre è una specie di galletto.»

Leonie sgranò gli occhi e poi scoppiò a ridere. «Non è possibile.»

«Un pavone, allora. Catherine Gilchrist è una donna orgogliosa, che non ama essere contraddetta.» Non aggiunse che era anche molto ansiosa.

«Lo terrò a mente.»

«Le mie sorelle le assomigliano.»

«Terrò a mente anche questo. Avete dei fratelli?»

«No. Sono l'unico maschio e il minore, dunque sono abituato a essere angariato dalle mie sorelle.»

Lei scoppiò in una risata dolce e leggera. Roman avrebbe voluto baciarla. Era come se lo stesse invitando a farlo. Se avessero celebrato il matrimonio con una notte di nozze normale, o se le circostanze fossero state diverse, non avrebbe esitato a fare l'amore con lei nella carrozza.

Non era mai stato timido, con le donne, e in genere sapeva ciò che volevano da lui, ma Leonie era diversa.

No, la posta in gioco era diversa. Era innamorato. Si era fatto incantare dal suo fascino anche se non la conosceva quasi, ma ciò che andava apprendendo su di lei gli piaceva molto. Inoltre aveva un cuore tenero per le persone vulnerabili.

Il punto era se lei poteva ricambiare il suo amore, e quella era una domanda in grado di torturare l'anima di un uomo.

Non le aveva dato scelta riguardo al matrimonio. Pensava di conoscere i suoi segreti e invece andava scoprendo le sue cicatrici. Roman voleva fare tutto il possibile per renderla felice nel loro matrimonio.

Bonhomie era il fulcro dei suoi progetti. Sarebbe stato un terreno sicuro, così gliela descrisse come la vedeva. Parlò dei campi, del bestiame, del mulino con il suo ruscello impetuoso, e lei lo ascoltò come se le stesse raccontando la storia più bella del mondo.

Ed era così.

Cosa avrebbe pensato, al loro arrivo? Avrebbe dovuto convincerla a vedere la tenuta con i suoi occhi.