12

Si fermarono per la notte in una locanda nei pressi della strada postale, un posto frequentato da viaggiatori di ogni rango.

Leonie era esausta e affamata, e non si sentiva molto in forma.

Mentre il marito parlava con il locandiere per l'assegnazione delle camere e il noleggio di una vettura per il giorno seguente, lei rimase seduta su una panca a guardare la gente che andava e veniva attraverso la porta aperta di una grande sala comune in cui veniva servito da bere. Erano quasi tutte persone distinte, ma c'era anche un gruppo di soldati già ubriachi. Tracannavano boccali di birra e si passavano una bottiglia che lei si trovò a fissare.

Un disagio crescente la invase. Durante il viaggio in carrozza aveva notato il lieve tremito delle mani, che adesso si ripeteva. Le ripiegò in grembo. Non le pareva che Roman se ne fosse accorto. Forse il tremito sarebbe cessato se avesse preso un sorso dalla bottiglia che i soldati si passavano.

La bottiglia si era fermata. Leonie fissò il soldato che la teneva in mano.

Lui se ne accorse. Era un tipo rozzo e grassoccio, con la barba di qualche giorno. Quando ridacchiò, mise in mostra i denti giallastri.

Tutta la tavolata si girò a fissarla con sguardi lascivi. Leonie arrossì e abbassò lo sguardo sulle mani. Era stata indiscreta.

«Ehi, bellezza, vieni qui con noi!» la chiamò un soldato dall'accento irlandese.

Leonie studiò la panca come se potesse far apparire un muro tra lei e i soldati. Dov'era Roman? Doveva essere uscito con il locandiere.

«Non farti pregare! C'è posto anche per te, a questa tavola.» Tutti concordarono con rauche risate, fino a quando gli stivali di Roman non apparvero nel campo visivo di Leonie. Era tornato, e si era messo davanti a lei.

Nella sala calò il silenzio.

Leonie temeva di soccombere all'umiliazione. Non avrebbe dovuto prestare attenzione ai soldati. Per qualche ragione la vanità maschile aveva preso il suo sguardo per un invito. Come se lei potesse apprezzare gente simile!

In ogni modo la solida presenza di Roman li zittì. Leonie si sentiva allo stesso tempo sollevata e furiosa.

Roman le porse la mano. «Il locandiere ci metterà a disposizione una stanza privata per cenare.»

«Oh, sì, grazie» mormorò Leonie prendendo la sua mano. Non guardò i soldati mentre Roman la conduceva attraverso la sala e pregò che se ne andassero prima della fine della loro cena.

La saletta privata era piuttosto ampia e dava su un giardino con un piccolo stagno. Fra i giunchi sulla riva si vedevano diverse anatre. Consapevole della forte presenza di Roman, Leonie le osservò mentre una cameriera apparecchiava la tavola con piatti di peltro.

Bussarono alla porta, e la moglie del locandiere, che si presentò come Mrs. Stoddard, portò un enorme vassoio carico di vivande. «Mi auguro che apprezzerete il vostro soggiorno qui, milord» disse mentre la cameriera disponeva sul tavolo i piatti di portata. «Se voi o la vostra signora avete bisogno di qualcosa, basterà dire una parola a me o a Michael, e noi arriveremo subito.»

«Grazie. Apprezziamo il vostro servizio.» Roman le mise in mano delle monete.

Leonie attese che la porta si richiudesse per togliersi il cappellino. Pur avendo rinunciato al vino, notò che non c'era una bottiglia sul tavolo, e neanche una caraffa di birra. Solo due teiere.

Detestò la delusione che l'assalì in quel momento e si vergognò di se stessa.

«Ho fame» dichiarò in tono vivace. I Charnock sapevano cambiare argomento con abilità. Posò il cappellino su un tavolo addossato alla parete e si sbottonò la mantellina. «E voi?»

Roman sorrise con aria cauta, come se l'avesse osservata per indovinare il suo umore. «Anch'io» ammise.

«È difficile a credersi, quando non abbiamo fatto altro che restare seduti in una carrozza.» Leonie mantenne un tono leggero, amichevole e caldo. Sapeva cosa ci si aspettava da lei, ed era sempre pronta a recitare la propria parte.

Roman era seduto davanti a sua moglie per il primo pasto che consumavano insieme. Era stata una lunga giornata, eppure il viaggio gli aveva tolto un gran peso dalle spalle.

Quando aveva incontrato il padre di Leonie alla banca, aveva pensato di accennare al problema di sua figlia con l'alcol, ma in quel momento Charnock, che era uscito la notte prima e non era ancora tornato a casa, era palesemente ubriaco. Il banchiere non aveva battuto ciglio davanti al suo stato. Charnock aveva proclamato con voce impastata la propria gioia all'idea di avere un conte in famiglia, ma non si era scusato con Roman per lo svenimento della figlia durante la cerimonia di nozze. Non si era neppure informato sulle sue condizioni.

Roman non era uno sciocco. O l'uomo sapeva che Leonie beveva di nascosto e non se ne curava, oppure ignorava la verità, visto che, come la moglie, aveva lo stesso vizio.

Durante il viaggio comunque tutto era filato liscio tra lui e Leonie. A tavola lei lo servì, riempiendo le loro tazze di tè forte e scuro e mettendogli nel piatto varie fette di prosciutto, a cui aggiunse diverse cucchiaiate di piselli e carote.

Roman notò che si serviva con generosità. Bene. Gli piacevano le donne dotate di un sano appetito. Ricordò che una delle cose che l'avevano attirato in lei era la mancanza di finzione. Tra tutte le giovani donne che avevano partecipato ai balli della colonia, era stata quella meno pretenziosa.

A tavola Leonie scoppiò spesso a ridere e gli fece domande sulle cose che gli piacevano e quelle che detestava. Gli pareva di sognare. Nel pomeriggio lo aveva ascoltato con interesse mentre parlava di Bonhomie e della sua famiglia.

E adesso stavano dividendo un pasto come marito e moglie.

Certo, Roman percepiva il suo disagio quando la toccava. Il loro era un matrimonio di convenienza, ma lui voleva trasformarlo in qualcosa di più. Il suo atteggiamento rilassato, la disponibilità a servirlo a tavola e l'interesse per argomenti che per lui erano importanti costituivano tutto ciò che aveva sperato.

Anni prima era stato infatuato di lei. Adesso sentiva un legame più forte, ed era ansioso di ricevere la sua approvazione e i suoi sorrisi. Parlarono ancora della tenuta di Bonhomie, poi la cena finì e sulla tavola cadde il silenzio. Roman la osservò in cerca di qualche segnale che fosse pronta ad andare a letto.

Da quando aveva pagato la camera era ansioso di ritirarsi lì, e non perché fosse stanco.

Desiderava sua moglie in tutti i modi possibili, ma era anche consapevole del tumulto emotivo che aveva percepito nella sua confessione riguardo allo stupro subito da Arthur Paccard.

Come poteva, un altro uomo, liberarla dal terrore provato quella notte?

Roman si considerava un amante esperto e capace, ma Leonie aveva sofferto molto, più per il senso di colpa dovuto ai suoi segreti che per la violenza che le aveva inflitto Paccard. Forse Roman non le aveva fatto un favore assumendosi la responsabilità della sua morte. Aveva ucciso degli uomini in combattimento e, anche quando le loro morti erano giustificate, non era mai stato facile. Solo chi era privo di coscienza, o non aveva mai sparato a nessuno, poteva uscirne indenne.

Non c'era da stupirsi che Leonie fosse ricorsa al brandy. Quel giorno però non aveva bevuto niente, e la sera non aveva creato problemi, dunque forse le sue sbronze erano un'anomalia. Non si conoscevano bene, e magari lei aveva cercato di lenire in quel modo la paura del talamo nuziale e dei doveri che comportava.

Roman sperava di aver attenuato i suoi timori.

Leonie sbadigliò con grazia.

«Vogliamo andare in camera nostra?» propose Roman in tono neutro.

«Sì, credo di sì.»

Avrebbe dovuto gridare di gioia, ma poi vide una ruga formarsi sulla fronte di lei. Aveva imparato a riconoscerla come un segno di dubbio. «C'è qualche problema?» le chiese quindi. Era un invito a confessare le sue paure, ma Leonie lo guardò con aria innocente e scosse il capo.

Significava che non aveva dubbi sul fatto di condividere il suo letto, oppure – l'idea stava lentamente prendendo forma nella sua mente – era una di quelle persone abituate a indossare una maschera? C'erano stati momenti in cui aveva rivelato la sua vera natura, come la notte prima, per esempio. Quella donna era diversissima dalla creatura educata che al momento sedeva a tavola e che rappresentava la moglie che ogni uomo avrebbe voluto al proprio fianco.

Qualcuno forse avrebbe preferito quella versione più docile, ma Roman no. Decise comunque di fare una prova. A tavola e durante il viaggio in carrozza Leonie era parsa circondata da una barriera invisibile. Roman si sporse verso di lei e le coprì una mano con la propria.

Leonie sussultò. Fu un gesto quasi impercettibile, e lo nascose subito.

«Voglio che sappiate che vi apprezzo» dichiarò lui scegliendo con cura le parole.

«Lo so.»

«Siete al sicuro, con me» ribadì Roman.

«Lo davo per scontato.»

Le sue risposte erano un po' troppo meccaniche. Roman decise che era venuto il momento di un approccio diretto. «Voglio fare l'amore con voi.»

Leonie sgranò gli occhi, quindi distolse lo sguardo per fissare la teiera più vicina. Sperava che si trasformasse in qualcos'altro? Roman non poté fare a meno di chiederselo.

Poi Leonie riprese un contegno e sorrise da vera signora. «Lo immaginavo.»

Nelle sue parole non c'era alcun calore. Roman voleva calore e passione, e non intendeva arrendersi.

«Venite» la invitò aiutandola ad alzarsi. «I nostri bagagli sono già in camera. La locanda è dotata di nuovi servizi. Ci fermeremo lì prima di salire al piano di sopra.»

Aprì la porta, e Leonie lo superò docilmente. Il locandiere li aveva tenuti d'occhio e accorse con solerzia. «Com'era la cena, milord?» si informò.

«Ottima, Mr. Stoddard.»

«Questa è la chiave della vostra stanza. È la prima porta in cima alle scale. Ho acceso io stesso il fuoco nel camino. Sarà anche primavera, ma la notte fa ancora freddo.»

Roman lo ringraziò, posò la mano sotto il gomito di Leonie e la guidò verso il retro della locanda, dove le scale conducevano gli ospiti nelle loro camere. La sala comune era affollata e rumorosa, e i soldati erano ancora là. Fissarono Leonie con occhi avidi, e Roman l'attirò più vicina. Gli apparteneva, e un uomo saggio si faceva i fatti suoi.

I servizi erano all'interno di una stanza aggiunta alla locanda, dove un tempo c'era stato un ingresso. Quando l'aveva portato a vedere la camera Stoddard aveva spiegato a Roman che quella nuova comodità non era solo riservata agli ospiti, ma serviva anche a rendere le stanze più confortevoli. Non c'era niente di più fastidioso di un vaso da notte lasciato scoperto per tutta la notte.

Roman lasciò che Leonie usasse i servizi per prima e fece la guardia davanti alla porta, nel caso qualcuno arrivasse dalla sala comune. L'accompagnò quindi in camera, gli stivali che rimbombavano sul pavimento di legno. La locanda gli era stata raccomandata, ed era contento della scelta. Il letto matrimoniale nel centro della stanza aveva le lenzuola ripiegate, sul comodino era accesa una candela, e il fuoco diffondeva un alone allegro e caldo.

In ogni caso lui e Leonie avrebbero prodotto da soli un bel calore. Guardò sua moglie. «La stanza è di vostro gradimento?» si informò.

Lei annuì, ma Roman ebbe l'impressione che non l'avesse neppure udito. Stava studiando il letto come se non ne avesse mai visto uno.

Non era un buon segno, e non faceva presagire nulla di positivo per quella notte.

«Tornerò tra un minuto» annunciò Roman. «Ecco la chiave.» Gliela fece oscillare davanti agli occhi. «Chiudete a chiave la porta quando sarò uscito.» Attese il suo cenno di assenso e uscì, per poi fermarsi in corridoio. «Chiudete, Leonie.»

Sentì girare la chiave. Ora restava da vedere se l'avrebbe fatto rientrare.

Si chiese se avrebbe dovuto controllarla, poi decise che lo avrebbe scoperto presto. Scese le scale diretto ai servizi, e quei momenti da solo lo aiutarono a schiarirsi le idee.

Si trovava proprio in un bel pasticcio. Era sposato con una donna che gli incendiava il sangue con un'intensità che non faceva certo bene alla sua sanità mentale, soprattutto perché era anche preoccupato per lei.

Leonie era stata ferita e danneggiata, e aveva bisogno che lui fosse la roccia cui aggrapparsi.

Già, una roccia insensibile, immutabile e salda, ecco ciò di cui Leonie sembrava aver bisogno. Sua moglie non sembrava consapevole di quanto lui fosse ansioso di compiacerla, o di quanto il suo benessere costituisse per lui una priorità.

Roman risalì le scale, si fermò davanti alla porta e si preparò a quello che lo attendeva... perché non era una roccia. Era un uomo che voleva amare pienamente sua moglie e che voleva dei figli da lei.

Bussò piano. «Leonie, fatemi entrare.»

Con suo grande sollievo lei aprì la porta.

La vide ferma accanto al letto con addosso la camicia da notte più leggera e vaporosa che un uomo potesse desiderare. Era di un bianco virginale, eppure i pensieri che gli balzarono nella mente non avevano niente di pio.

Il pizzo ondeggiava intorno a lei, mettendo in risalto le spalle esili e il bordo da cui spuntavano i piedi nudi, ma erano le parti senza pizzo a interessarlo di più. Due chiazze scure premevano contro il corpetto. La vita alta era ornata di nastri e decorazioni, ma la stoffa leggera lasciava parecchio spazio all'immaginazione.

Le sue forme erano perfette, soprattutto la curva dei fianchi e le gambe lunghe e snelle. Gambe che avrebbero avvinto un uomo, tenendolo stretto e vicino al suo centro.

Roman chiuse la porta e gettò la chiave sul comodino senza guardarla, poi si fece avanti con reverenza. Leonie lo guardò con una certa apprensione, ma non indietreggiò.

Era quello che si era aspettato la notte prima. Era quello che avrebbe voluto accadesse.

Ormai erano vicinissimi. Roman si chinò, chiuse gli occhi e le coprì la bocca con la sua.

Il loro primo bacio. Le labbra di Leonie erano chiuse, ma arrendevoli. Non oppose resistenza, aveva solo bisogno di un po' di persuasione. Roman passò la lingua sul suo labbro inferiore, e lei sussultò. Allora ne approfittò per rendere il bacio più profondo, tenendo le mani sulla sua vita. Dio, che buon sapore aveva!

Ebbe la sensazione che Leonie avesse ancora gli occhi aperti, quindi aprì i propri, ed entrambi fecero un balzo all'indietro, come se l'impatto li avesse scossi.

«Mi dispiace» si scusò lei in fretta. Sembrava convinta di aver fatto qualcosa di sbagliato.

Roman le posò una mano rassicurante sul braccio per evitare che ricadesse sul letto. «Non è niente. Mi avete solo colto di sorpresa. Tenete sempre gli occhi aperti quando baciate qualcuno?»

Leonie arrossì. «È sbagliato?»

«No. Non esiste un modo sbagliato di farlo» le assicurò lui. «Io in genere li chiudo» aggiunse dopo una breve pausa.

«Oh.» Lei scosse il capo, come se avesse dovuto saperlo. «Mi sentivo un po' strana a guardarvi così da vicino» si giustificò. «Ho dovuto fissare il soffitto.»

Roman non sapeva bene come prendere quella dichiarazione, ma lei lo salvò dalla necessità di rispondere. «Vogliamo riprovare?» propose.

«Oh, sì, certo! Prima, però, lasciate che mi tolga la giacca.»

«Sì, ha senso.»

Dio santo, si era accorta di quanto fossero tesi i suoi pantaloni? Si sentiva sul punto di scoppiare e non voleva spaventarla prima ancora di cominciare.

Roman iniziava a pensare che Leonie fosse più ingenua di quanto avesse creduto. Era forse per quello che non si rendeva conto dell'effetto che faceva agli uomini? Possibile che non ne avesse la minima idea?

No, era assurdo. Perfino a diciassette anni le attenzioni maschili non le erano mai mancate. Era intelligente, dunque doveva saperlo.

In ogni caso, quando si tolse la giacca e slacciò la cravatta, Roman spense anche la candela. Ora l'unica luce nella stanza veniva dal bagliore del fuoco. I suoi movimenti formavano delle ombre sul muro.

Leonie osservò il gioco delle ombre e poi puntò lo sguardo tra le sue cosce. Sapeva che lui era eccitato.

«Avete paura?» chiese Roman.

«Non credo che mi farete del male.»

«No, ve lo assicuro.» Allungò una mano per lisciarle i capelli d'oro brunito. «E comunque questa non è una cosa che io farò a voi. La faremo insieme, e sarà piacevole.»

Leonie pareva incerta. «Starò bene» sussurrò.

Roman voleva qualcosa di più. Quell'espressione si adattava a situazioni più banali, come tenere le scarpe asciutte quando pioveva, o bere una tazza di tè tiepido.

Quella stanza illuminata dai riflessi del fuoco era fatta per la seduzione. La sua seduzione. Non ricordava quasi l'ultima volta che era stato con una donna, e anche allora era stato un momento privo di soddisfazione e significato al di là dell'atto fisico.

Adesso era diverso. Desiderava Leonie, ma si sentiva anche sopraffatto e onorato all'idea che quella splendida creatura fosse sua moglie. Si sarebbe preso cura di lei, l'avrebbe protetta e portata a letto.

Leonie chiuse gli occhi, e Roman fu sul punto di crollare. Cercò le sue labbra di slancio, ma si era mosso un po' troppo in fretta e lei sussultò. Soltanto la mano che le teneva sul fianco le impedì di ritrarsi.

Roman rimase fermo con uno sforzo immenso.

Per un attimo parvero respirare insieme, poi le labbra di Leonie si ammorbidirono. Roman passò la lingua su di esse e con sua grande gioia lei le dischiuse. Si stavano baciando davvero, nel senso migliore del termine. Avrebbe potuto approfondire quel bacio, ma poi ricordò a se stesso che doveva andarci piano.

Le cinse la vita con un braccio. Moriva dalla voglia di attirarla a sé e premere la sua erezione contro i fianchi, ma si trattenne.

Se Leonie fosse stata una donna più esperta, a quell'ora Roman sarebbe già stato dentro di lei. Invece si controllò: voleva che la loro esperienza di amanti fosse perfetta, il che richiedeva pazienza fin dall'inizio.

Inoltre avevano tutta la vita per fare l'amore. C'erano tante cose che desiderava mostrarle, tante cose da condividere. L'avrebbe amata in tutti i modi possibili.

Interruppe il bacio e tracciò un percorso di piccoli morsi fino all'orecchio. «Aiutami a spogliarmi» la invitò, passando a un tono più intimo.

Dopo un attimo di esitazione Leonie gli sfilò la camicia dai pantaloni.

«Ecco, così, brava» la incoraggiò. Pareva che il modo in cui le stuzzicava l'orecchio le piacesse. Quando le sollevò il braccio perché gli cingesse il collo, si premette contro di lui, e il seno si appiattì contro il suo petto.

Di bene in meglio.

Roman le passò una mano sulle natiche. Era nuda sotto la camicia da notte. Una vera delizia. Se non si fosse tolto in fretta i pantaloni, avrebbe fatto saltare tutti i bottoni.

Cominciò ad armeggiare con il primo con mani tremanti. Leonie strofinò la guancia contro la sua. Era piuttosto ispida, e lui temette di graffiarle la pelle delicata. Avrebbe dovuto radersi. Poi ricominciarono a baciarsi, e Roman dimenticò la barba lunga.

Stavolta Leonie partecipò al bacio e mosse le labbra contro le sue. Gli cingeva ancora il collo con un braccio e allungò l'altro per posargli la mano sulla spalla.

Roman non attese altri permessi e la prese in braccio per portarla fino al letto. L'adagiò sul materasso senza che le loro labbra si staccassero e la sfiorò con la lingua. Lei non si tirò indietro, ma trasalì appena, e lui si fermò subito.

Roman interruppe il bacio e sedette sul letto accanto a lei. «Ho bisogno di spogliarmi.» Leonie assentì, e lui si sfilò la camicia dalla testa, per poi gettarla da parte. Quindi si tolse prima uno stivale e poi l'altro.

Gli occhi di Leonie erano più scuri che mai e riflettevano il bagliore del fuoco, quasi fosse una creatura di un altro mondo, giunta sulla terra per donargli la sua presenza. «Mi devo spogliare completamente anch'io?»

Roman pensò che il suo cuore si sarebbe fermato. Aveva la bocca secca e dovette deglutire prima di rispondere. «Sarebbe bello.»

L'eufemismo più grande del mondo.

«Mi fido di te, Roman» sussurrò Leonie imitando il suo tono intimo.

«Non permetterò che ti accada niente di male.»

Lei annuì. Gli credeva, era chiaro.

Poi si alzò, afferrò l'orlo della camicia da notte e se la sfilò dalla testa.

Roman cadde quasi in ginocchio per la meraviglia.