Roman si svegliò e scoprì che Leonie non era a letto. Si mise a sedere, confuso. Il suo vestito non era più appeso al gancio sul muro. Forse era uscita per soddisfare un bisogno naturale?
Avrebbe dovuto farsi accompagnare da lui.
Si sentiva a disagio all'idea che fosse riuscita a lasciare la stanza senza che se ne accorgesse. Colpa del suo passo leggero, ma soprattutto del fatto che l'aveva prosciugato. Era un'amante vibrante ed esigente, e darle piacere era stato un vero onore. Leonie rappresentava tutto ciò che aveva sempre sperato, e anche di più.
Aveva sentito diversi uomini lamentarsi perché le mogli consideravano ciò che avveniva nel talamo nuziale come una sorta di sgradevole dovere. Essendo un tipo circospetto, Roman aveva sperato che sua moglie non fosse così. Il senso del dovere gli impediva di rinnegare i voti nuziali.
E invece Leonie si era dimostrata un'amante ideale. Si sentiva benedetto. I fremiti provati anni prima non erano dettati solo dal desiderio fisico. Il suo amore per lei ne usciva confermato. Come si poteva fare a meno di adorare una donna del genere? Non poteva chiedere di più. In effetti avrebbe anche ricominciato, ma Leonie aveva bisogno di riposare.
Si alzò dal letto, infilò i pantaloni e uscì in cerca della moglie. Quando l'avesse trovata, le avrebbe assicurato che non doveva avere paura di svegliarlo. Aggirarsi da sola in una locanda non era sicuro per una donna come lei. Ormai aveva compreso che Leonie non capiva fino in fondo l'impatto che aveva sugli istinti più bestiali di un uomo. Quell'innocenza faceva parte del suo fascino, ma poteva anche essere pericolosa.
Non aveva perso tempo a infilarsi gli stivali e così si inoltrò a piedi nudi nel corridoio. Era arrivato in cima alle scale quando sentì l'urlo di Leonie.
Si precipitò giù, sentì un trambusto da basso e vide un uomo che tentava di trascinarla fuori tirandola con brutalità per il vestito e i capelli. Lei puntava i piedi per terra, cercando di impedirgli di rapirla.
Roman si piazzò davanti all'uomo, lo afferrò con entrambe le mani con una forza sovrumana, lo sollevò e lo riportò nella locanda.
Quel bastardo lasciò andare Leonie con una sorta di guaito e lo fissò a occhi sgranati. Il suo viso sarebbe stato l'ultimo ricordo di quell'uomo, decise Roman scagliandolo contro il muro. L'altro atterrò con un tonfo e sollevò le mani, stordito. Roman lo riconobbe: era uno dei soldati che avevano guardato Leonie con occhi lascivi.
«Lei era... d'accordo» bofonchiò. «L'ha fatto in cambio della bottiglia...»
Il pugno di Roman lo zittì. Leonie era pronta a cedere a quella canaglia? Impossibile.
Gli sferrò un altro pugno, stavolta nello stomaco. Non stava picchiando solo il soldato, ma anche Arthur Paccard, l'uomo che l'aveva deflorata. Lo colpì al fianco, al viso e poi ancora e ancora...
La voce di Leonie che gridava il suo nome gli giunse come da una grande distanza.
Diverse braccia forti cercarono di impedirgli di continuare a picchiare il soldato. «Lo ucciderete, milord!» gridò il locandiere. «Dovete fermarvi.»
«Roman, per favore! Per favore.»
Finalmente le loro parole attraversarono la nebbia che gli offuscava la mente.
Roman fece un passo indietro, scuotendo la testa come un ossesso. Leonie era in ginocchio, scossa dai singhiozzi, e pareva provare un dolore tremendo.
Il soldato cadde a terra gemendo. Roman avrebbe voluto colpirlo di nuovo, ma Stoddard si frappose tra loro.
«Milord, basta. Fermatevi!» gli intimò il locandiere.
Basta? Roman avrebbe voluto farlo a pezzi. Erano circondati da una folla di curiosi: l'urlo di Leonie non li aveva svegliati, la rissa sì. Qualcuno aveva acceso le candele e portato una lampada.
Roman alzò le mani per segnalare che aveva finito. Avrebbe lasciato l'uomo ai suoi commilitoni, che lo fissavano cauti e non accennavano ad aiutare l'amico. Roman aveva le nocche indolenzite e coperte di sangue, non del suo. Il locandiere gli tese una pezzuola umida. Lui si pulì le mani e si avvicinò alla moglie. «Leonie?»
Lei era a testa china e teneva assieme il corpetto che l'aggressore le aveva strappato.
Roman si inginocchiò e le posò una mano sulla spalla. «È tutto a posto. Andrà tutto bene.»
Lei sollevò la testa.
I segni lasciati dalla lotta con il soldato lo spinsero quasi ad assalirlo di nuovo. Invece sollevò la pezzuola e la passò con delicatezza sul taglio vicino all'angolo della bocca di lei.
Leonie trasalì, e Roman la tranquillizzò con parole gentili. Il labbro inferiore tremava, ma i singhiozzi si erano calmati. «Ti porto di sopra» mormorò.
Lei annuì, lasciò che l'aiutasse ad alzarsi in piedi e spinse indietro la pesante treccia. Il locandiere si stava scusando, ma Roman non lo udì quasi. Notò invece che il soldato era ancora rannicchiato sul pavimento. «Legatelo per portarlo dal magistrato.»
«Sì, milord, certamente.»
«Vieni» la esortò Roman con gentilezza. «Torniamo in camera nostra.»
Leonie annuì e, mentre si avviavano insieme, lui urtò con il piede nudo una bottiglia, che rotolò sul pavimento. Gli tornò in mente la protesta del soldato: L'ha fatto in cambio della bottiglia...
Una rabbia furiosa lo invase, insieme a una crudele comprensione: Leonie era scesa per farsi un goccetto? Si era esposta a un simile pericolo per un cicchetto?
Roman guardò il locandiere. Dovette far ricorso a tutto il proprio controllo per parlare in tono cortese. «Avete del brandy?» domandò.
Accanto a lui Leonie emise un suono di protesta. Pareva quasi star male, ma Roman la ignorò.
«Sì, milord.» Stoddard corse via a prendere la bottiglia di liquore.
«Roman, no. Non è necessario.»
«Sì, invece» ribatté lui senza guardarla.
La moglie del locandiere si era alzata e, vedendo Leonie, lanciò un'esclamazione sorpresa. Lei cercò di nascondere la testa contro la spalla di Roman.
Stoddard tornò di corsa da loro. «Ecco qua, milord. E anche due bicchieri.»
Roman prese la bottiglia. «I bicchieri non sono necessari.» Condusse Leonie verso le scale, superando gli sguardi curiosi degli ospiti che dormivano nella sala comune.
Mrs. Stoddard li seguì. «Avete bisogno di qualcosa per le vostre mani? O... per vostra moglie?»
«No, grazie. Siamo a posto.» Roman le rivolse un sorriso tirato, sebbene quell'affermazione fosse ben lontana dalla verità.
Leonie salì le scale davanti a lui. Zoppicava appena, come se si fosse ferita al piede durante la zuffa. Avrebbe fatto meglio a mettersi le scarpe, si disse Roman, poi notò che aveva una sola scarpa. Con ogni probabilità l'altra era rimasta al piano di sotto.
Roman tolse il tappo alla bottiglia e prese un lungo sorso di brandy. Lei si voltò e lo vide. La piccola ruga che le solcava la fronte quando si sentiva incerta o preoccupata era lì. Com'era giusto che fosse.
Leonie raggiunse la porta per prima.
«È aperta» l'avvertì lui.
Lei entrò.
Roman si fermò a guardare la porta aperta: in che razza di inferno era finito?
Meno di un'ora prima si era considerato l'uomo più fortunato del mondo, adesso temeva che la moglie costituisse un peso terribile per la sua vita. Le aveva aperto il proprio cuore. Lei aveva il potere di trascinarlo giù e distruggerlo... Come aveva già quasi fatto una volta. Non poteva permetterlo.
Entrò nella stanza e chiuse la porta a chiave.
Leonie era inorridita all'idea di essere stata quasi stuprata un'altra volta. E si vergognava. Si vergognava da morire.
Tutto sarebbe finito bene, però. Roman l'aveva salvata, e lei avrebbe tenuto a mente quella lezione. Il gin non le piaceva e non avrebbe dovuto lasciare la loro stanza, ma adesso si sarebbe scusata e lo avrebbe elogiato, per poi promettere di non allontanarsi mai più in quel modo.
Puntò diritta alla bacinella per lavarsi. Era rimasta un po' d'acqua da quando si era preparata ad andare a letto. Non riuscì a guardarsi allo specchio appeso al muro: doveva avere un aspetto spaventoso, con il naso colante e il viso pieno di lividi. Le radici dei capelli le facevano male nei punti in cui quel mostro glieli aveva tirati, cercando di trascinarla fuori dalla locanda. Avrebbe tanto voluto infilarsi a letto e fingere che non fosse accaduto nulla, ma doveva a Roman delle scuse e una spiegazione. Sono scesa giù solo per stare un momento da sola...
Era vero. Avrebbe detto proprio così.
Roman accese una candela chinandosi sulle braci morenti, e la luce riempì la stanza.
Leonie abbozzò un sorriso forzato senza guardarsi allo specchio. Il taglio al labbro le faceva male, e un fiotto di lacrime minacciava di travolgerla. Lottò per trattenerle, certa che Roman non avrebbe apprezzato il suo piagnucolio. Fece per girarsi...
«Ti ho creduta quando hai detto che avevi bevuto troppo prima della cerimonia di matrimonio perché temevi la notte di nozze!» proruppe lui. «Sostenevi di voler cancellare il ricordo di quello che ti aveva fatto Paccard, ma non era vero. Ti piace bere, punto e basta.»
Leonie dimenticò le scuse e affrontò il marito, lasciando ricadere la mano che stringeva la pezzuola.
«Ho davvero dei brutti ricordi di Arthur.» Non capiva quale influenza aveva avuto sulla sua vita? Avrebbe dovuto saperlo, visto che quella notte era venuto a salvarla... proprio come adesso...
Il senso di colpa la ridusse al silenzio.
Roman sollevò la bottiglia che teneva in mano. Lei avvertì una zaffata di quell'odore dolce e speziato, e provò un desiderio familiare.
Il marito la fissava. Sapeva come stavano le cose.
«Prima le tue mani erano scosse da un lieve tremito» spiegò, come se sapesse ciò che stava pensando. «Mi sono detto che eri in ansia per stanotte. Non volevo credere che ci fosse un'altra ragione.»
«Ero in ansia.» Leonie aveva la bocca secca, e parlare le faceva male. O era colpa della stretta al petto? Andrà tutto bene. Basta che tu sorrida, si disse.
Non sarebbe andata così, però. Lo sapevano sia lei che Roman.
«Cosa vuoi fare?» si azzardò a chiedergli.
«Con questa?» Lui sollevò la bottiglia. «La lascerò qui.» La posò sul comodino.
«No, riguardo a...» cominciò Leonie. Poi si fermò. Forse non voleva una risposta.
«Riguardo a questo matrimonio?» terminò lui.
Riguardo a noi. Leonie non osò pronunciare quelle parole, incerta sul suo umore. Roman sembrava fin troppo calmo, dunque forse era meglio restare in silenzio. Era arrabbiato, lo sapeva, ma c'era anche un'altra emozione, più profonda, che non riusciva a definire. Poi la riconobbe: delusione.
«Siamo sposati» proseguì lui. «E ho bisogno dei tuoi soldi.»
Era la verità, eppure Leonie rimase sorpresa dal dolore che provò, a quelle parole. E perché, poi? Non gli doveva niente. In fondo non si conoscevano quasi. Roman aveva dichiarato di amarla, ma se fosse stato vero non si sarebbe comportato con tanta freddezza.
Leonie cercò di far ricorso all'orgoglio e all'audacia, ma era difficile mantenere un atteggiamento di sfida quando era fin troppo consapevole della bottiglia di brandy vicina alla sua mano.
Roman pareva in attesa di una risposta. Quando lei rimase in silenzio, una maschera cadde sul suo viso. «Pensavo avessimo una possibilità.» Le girò le spalle. «Per me i voti nuziali, quelli che tu non riesci neppure a ricordare, erano una cosa seria.»
Meritava anche quello. Che razza di donna non riusciva a ricordare le sue nozze?
«Neanch'io sono senza peccato, Leonie. Non sono perfetto e non mi aspetto che tu lo sia, ma questo... il vizio del bere... non posso accettarlo, e non lo farò. Ho visto che cosa provoca nella gente, uomini e donne. Ho visto tua madre...»
«Io non sono mia madre!» scattò Leonie sollevando la testa.
«O tuo padre?» Roman scosse il capo. «Siamo tutti il prodotto dei nostri genitori. Volevo fingere che non fosse vero, ma sono stato cieco e sciocco.»
Non era vero... Eppure una vocina l'ammoniva che non poteva essere altrimenti.
Lui però non aveva ancora finito. «Devi capire una cosa, Leonie: la tua vergogna non viene dal fatto che sei stata violentata e che hai ucciso il tuo stupratore per legittima difesa, ma dal fatto che non riesci a guardarti allo specchio.» Si passò le dita nei capelli e strinse le labbra, come se avesse parlato troppo.
Poi parve prendere una decisione.
Scrollò le spalle, gli occhi accesi di una luce rabbiosa. «Puoi tornare a Londra e condurre la vita che vuoi, ma non con il denaro per cui ho venduto l'anima. Quello servirà a creare una buona vita per me e per la mia famiglia. Tieniti pure la bottiglia, e goditi la notte.» Raccolse gli stivali, la camicia e la giacca e, prima che lei capisse le sue intenzioni, girò la chiave nella toppa, aprì la porta e uscì.
Leonie rimase a fissare la porta che si chiudeva dietro di lui. L'aveva lasciata? Cosa significava?
Pensò di seguirlo e di ordinargli di tornare, ma poi si rese conto che era un'idea stupida: l'uomo che l'aveva affrontata non era in vena di riconciliazioni.
Anzi, aveva già espresso il proprio giudizio: lei era irrecuperabile, identica ai suoi genitori.
Be', molta gente ammirava i Charnock...
Leonie intravide la propria immagine nello specchio. Non riuscì a riconoscersi nemmeno nella penombra della stanza.
Si portò la pezzuola al viso, e l'immagine riflessa fece la stessa cosa. Dunque era proprio lei.
Lo specchio mostrava anche la bottiglia di brandy aperta sul comodino.
Se avesse preso un sorso si sarebbe sentita meglio. Il dolore alla guancia e al labbro si sarebbe attenuato, e il mondo, il suo mondo, sarebbe diventato un po' più sopportabile.
Puoi tornare a Londra e condurre la vita che vuoi. Non era quello che desiderava?
Quell'ultimatum, però, non la riempiva di gioia e non le offriva la libertà.
Indugiò con lo sguardo sulla maledetta bottiglia. «E pensare che il gin non mi piace neanche!» si lamentò con voce tremula e petulante.
Quella non era la donna che pensava di essere. Se voleva essere quella donna, non poteva bere neanche un sorso... eppure lo desiderava tanto.
Allo stesso tempo sapeva che il brandy non avrebbe migliorato le cose. Lo sapeva con la stessa certezza con cui conosceva il proprio nome.
Fece il giro del letto, evitando la bottiglia, si sedette dandole le spalle e allungò una mano verso le coperte. Si rannicchiò e si coprì la testa con le lenzuola. Sapevano di Roman. Il suo odore la circondava.
Strinse le braccia intorno al corpo e pregò di scomparire, o di salvarsi. Oh, sì, di salvarsi.
Poi cadde in un sonno inquieto.
Un forte bussare alla porta la svegliò. «Milady? Milady?»
Le palpebre di Leonie sembravano sigillate e non avevano nessuna voglia di aprirsi. Strofinò il naso nelle lenzuola, ma c'era qualcosa che non andava. Poi ricordò dov'era e cosa aveva fatto.
Ancora stordita, costrinse gli occhi ad aprirsi e lanciò uno sguardo al lato vuoto del letto. Roman aveva mantenuto la parola e non era tornato.
«Milady?» Qualcuno continuava a bussare.
Leonie si mise a sedere. I capelli erano arruffati e indossava il vestito del giorno prima.
La bottiglia di brandy era ancora sul comodino. Non l'aveva toccata. Non aveva ceduto alla tentazione. In fondo era una piccola vittoria.
«Milady?»
Leonie fissò la porta. «Sì?»
Il sollievo che trapelava dalla voce dall'altro lato era inconfondibile. «Milady, sono Mrs. Stoddard, la moglie del locandiere. Avete passato una nottataccia, e non vi disturberei se non fosse che il conte mi ha chiesto di dirvi che è pronto a partire. Vorrebbe sapere se pensate di accompagnarlo, o se preferite prendere una carrozza a nolo e tornare a Londra.» La donna non era sicura di aver capito bene: il suo tono incerto lo rivelava con chiarezza.
Leonie invece sapeva come stavano le cose: Roman sarebbe stato ben felice di rimandarla a casa.
Lanciò un altro sguardo alla bottiglia intatta. Avvertiva il suo richiamo, ma l'orgoglio le impediva di rispondere. Si aspettava che tornasse di corsa a Londra, ma poi come si sarebbe mantenuta? L'uomo che amava gli ultimatum non avrebbe certo provveduto alle necessità di una moglie che si era allontanata dalla retta via. L'aveva messa da parte, ma lei non intendeva dargliela vinta.
«Riferitegli...» Dovette schiarirsi la voce. Era difficile assumere un tono fiero con la gola secca. «Riferitegli che scenderò tra poco per continuare il nostro viaggio per Bonhomie. E prima vorrei far colazione.»
«Sì, milady.» Leonie sentì un rumore di passi allontanarsi in direzione delle scale.
Roman era di certo impaziente. Non voleva più saperne di lei, e se non faceva in fretta sarebbe partito. Allo stesso tempo non poteva lasciarsi trattare come una domestica, o poco più. Era sua moglie e aveva il suo orgoglio, anche se, ora che Roman aveva messo le mani sulla sua dote, l'orgoglio era l'unica cosa a cui poteva ancora aggrapparsi.
Tirò fuori un abito da viaggio che Minnie aveva riposto con cura nella valigia. Era di un bel turchese intenso, con le maniche ad aletta e il corpetto pieghettato, e lei si era sempre sentita molto femminile indossandolo. Lo infilò in fretta, aggiungendo delle calze pulite.
Sciolse con la spazzola i nodi nei capelli e li raccolse sulla nuca, usando delle forcine per tenerli a posto. La spruzzata d'acqua fredda sul viso le fece bene e le ricordò anche che ormai non poteva più rimandare l'inevitabile.
Guardò la propria immagine riflessa nello specchio: un livido violaceo le deturpava lo zigomo e un altro circondava il taglio al labbro inferiore. Non le faceva più male. Per fortuna le gomitate in faccia del soldato non le avevano rotto il naso.
Sollevò il mento. Ai lati della trachea si vedevano con chiarezza i segni lasciati dalle sue dita. Quei lividi sarebbero svaniti in fretta, ma quelli sul viso avrebbero impiegato più tempo.
Si allontanò dallo specchio, ripetendosi che non aveva niente di cui vergognarsi. Era lei l'aggredita.
Dal suo posto sul comodino, la bottiglia di brandy sembrava prenderla in giro.
Leonie infilò in fretta i suoi vestiti, compresa la camicia da notte, nella borsa da viaggio e la chiuse. Roman avrebbe mandato qualcuno a prenderla. Ora doveva scendere al piano di sotto. Mise la mantellina e prese cappellino e guanti.
Raddrizzò le spalle, aprì la porta, camminò decisa verso le scale e scese al pianterreno, facendo una sosta al gabinetto.
I rumori della sala comune arrivavano fin là. Era sicura che il soldato non ci fosse più. Al suo posto se la sarebbe data a gambe per sfuggire alla furia di Roman. Non sapeva però quanta gente avesse assistito all'aggressione. Aveva un vago ricordo di una folla radunata intorno a loro, ed era certa che alcuni non avessero ancora lasciato la locanda.
Dovette fare appello a tutto il proprio coraggio per uscire dal gabinetto ed entrare nella sala comune. Quando comparve sulla porta scese il silenzio.
Mrs. Stoddard girellava con aria ansiosa intorno a un tavolino apparecchiato con quello che era chiaramente il servizio d'argento migliore della locanda. «Qui, milady» la chiamò scostando la sedia.
Decine di occhi la guardarono mentre si sedeva.
Leonie era abituata agli sguardi gelosi delle madri che la consideravano una rivale delle figlie e a quelli lascivi degli uomini di ogni età e taglia, ma quella situazione era diversa. Era stata l'argomento principale delle conversazioni, ne era consapevole, e non in senso lusinghiero.
Si posò in grembo un tovagliolo. Quel gesto le permise di tenere la testa bassa e di nascondere lividi e ferite ai curiosi.
Mrs. Stoddard si affrettò a servirle un piatto di uova e carne. Leonie non aveva molto appetito, ma non intendeva lasciarsi intimidire da quella gente.
Avvertì la presenza di Roman ancora prima di vederlo. L'atmosfera della stanza cambiò in un attimo: chi era rimasto a osservarla tornò a occuparsi degli affari propri, e il brusio delle conversazioni riprese.
Leonie possedeva ormai una specie di sesto senso nei suoi confronti: non aveva dovuto sollevare lo sguardo per sapere che lui era lì.
Roman rimase a osservare la stanza dalla porta. Dopo una rapida occhiata, Leonie cercò di concentrarsi sul compito di tagliare la carne, ma non era facile. Temeva che Roman fosse venuto a dirle che aveva cambiato idea e che intendeva rimandarla a Londra, che le piacesse o meno.
La sedia davanti a lei venne scostata. Suo marito si sedette e posò il cappello sul tavolo. Ordinò una birra al locandiere e poi guardò Leonie. «Ne volete una anche voi?» chiese, tornando a un tono formale.
Voleva metterla alla prova, come con il brandy? «Preferisco il tè.»
«Tè per la mia signora.»
Quel titolo la rincuorò, ma poi ricordò il suo atteggiamento distante. Posò coltello e forchetta. «Vengo con voi» annunciò, imitando il suo tono.
Roman si guardò intorno, come per verificare se qualcuno avesse ancora l'audacia di osservarli, e molti distolsero in fretta lo sguardo. Poi tornò a fissare Leonie. «Sì, Mrs. Stoddard me l'ha detto.»
Non c'era traccia di gentilezza nella sua voce.
Qualsiasi intenzione di scusarsi le morì sulle labbra. Leonie si concentrò sul cibo, e stavolta mangiare divenne più facile. Roman non l'avrebbe abbandonata, né rimandata a Londra. Certo, era arrabbiato, ma il tempo lo avrebbe placato, insieme ai suoi sforzi onesti per diventare la moglie che desiderava.
Il tè aveva un ottimo sapore.
«Ho chiesto a Mrs. Stoddard di prepararci un cestino per il pranzo» la informò Roman.
Un picnic da consumare insieme. Era un buon segno. «Mi sembra un'ottima idea» mormorò.
«Siete pronta a partire?» le domandò Roman, notando che aveva finito la colazione.
«Sì.» Leonie prese il cappellino. «Quando arriveremo a Bonhomie?»
«Nel tardo pomeriggio.» Roman si alzò, raccolse il suo cappello e lo usò per indicare la porta.
Leonie era fin troppo felice di lasciare la sala comune, ma si trattenne un momento per ringraziare i locandieri della loro accoglienza. «Ci dispiace tanto, milady» continuava a ripetere Mrs. Stoddard con le lacrime agli occhi.
«Non è stata colpa vostra» li rassicurò Leonie. Le spalle rigide di Roman trasmettevano un messaggio preciso: la colpa era sua. In fondo aveva ragione.
In effetti poteva prendersela solo con se stessa. Una volta soli in carrozza si sarebbe scusata. Le tornarono in mente le parole che aveva pronunciato la notte prima: Voglio amarti, proteggerti e creare una bella vita per noi. Gliele avrebbe ricordate, sfidandolo a lasciarle dimostrare che erano vere.
Uscì dalla locanda con un passo più leggero. Era una bella mattina di inizio primavera: il sole splendeva nel cielo azzurro, l'erba stava ricrescendo e gli alberi erano pieni di germogli. In una giornata come quella tutto era possibile.
Il postiglione le tenne aperta la portiera, e Leonie salì in carrozza. Nonostante l'enorme cestino occupasse molto spazio, lei sedette in un angolo e lasciò il resto del sedile al marito. Invece di aspettare Roman, però, il postiglione richiuse la portiera. Leonie aggrottò la fronte, sconcertata, e scivolò fino al finestrino per guardare fuori.
Roman teneva un cavallo per le briglie e parlava con Stoddard. Gli mise in mano una mancia e montò in sella.
Leonie lo chiamò. Lui si avvicinò, accigliato.
«Non viaggiate con me?»
«Sono stanco di sentirmi confinato» rispose lui in tono piatto. Non c'era calore, né umorismo, nella sua voce.
«Dunque è così che saranno le cose?»
«Vi riferite al nostro matrimonio?» sbuffò lui. «Avevo bisogno di soldi, Leonie, e ora ce li ho.» Spronò il cavallo senza aspettare la sua risposta, e si misero in viaggio.
Leonie si lasciò ricadere contro lo schienale del sedile. Sarebbe impazzita a passare tutto il giorno da sola, e Roman lo sapeva.
Guardò fuori del finestrino: il marito cavalcava più lontano possibile dalla carrozza.
Non si fermarono per il pranzo. Roman prese pane e formaggio dal cestino per sé e il postiglione, e lasciò sola Leonie.
Be', almeno non l'aveva rimandata a Londra.
Una volta arrivati a Bonhomie non sarebbe riuscito a evitarla. Lei avrebbe trovato il modo di scusarsi, e lui avrebbe dovuto ascoltarla. Gli piaceva, ne era sicura. La sua ammirazione era durata anni. Un'unica notte non poteva farla sparire... o almeno lo sperava.
Sola nella carrozza, Leonie ebbe ore e ore per riflettere. Rivisse i momenti passati a letto la notte prima. Roman l'aveva trattata con gentilezza e si era comportato come un uomo che teneva molto a una donna. Non poteva credere che fosse pronto a tagliarla fuori dalla sua vita così in fretta.
Lo avrebbe riconquistato. Era disposta a fare tutto il possibile per riuscirci. Le dispiaceva terribilmente per quello che era successo, ed era decisa a convincerlo del suo rimorso.
Naturalmente non doveva bere, nemmeno un bicchierino di sherry. L'offerta della birra, quella mattina, era stato un trucco per vedere se era decisa a diventare la moglie che Roman desiderava. E lei lo era.
Certo, passare almeno un'ora insieme l'avrebbe aiutata.
Alla fine tutte quelle preoccupazioni la stancarono. Leonie non era una persona incline all'ansia. La sua natura era più esuberante e ottimista.
Cercò di distrarsi ricordando tutto ciò che Roman le aveva raccontato di Bonhomie. Aveva dipinto un quadro vivido, e le pareva quasi di vedere i campi che sarebbero stati presto arati e seminati. Le aiuole, in particolare, la incantavano. Si stendevano per miglia e miglia, aveva detto lui. Leonie adorava i fiori recisi.
Che altro aveva raccontato? In casa c'erano sette camere da letto e un salone da ballo più grande di quelli di Londra. Non era una cosa da poco.
Immaginò l'ampio viale d'accesso circondato da siepi ben potate e alberi maestosi descritto da Roman. C'erano anche delle scuderie, così che gli ospiti potessero uscire a cavallo ogni mattina.
Sarebbe stata la padrona di casa. Cominciò a progettare il suo primo evento. Un ballo, naturalmente. Lei e Roman avrebbero aperto le danze.
All'improvviso ritrovarsi abbandonata in carrozza non la infastidì più. In fondo aveva passato tutta l'infanzia a intrattenersi da sola. Aveva molti piani da fare. Immaginò i fiori presi dal giardino in occasione del cotillon estivo che avrebbe organizzato e la sua entrata trionfale, mentre scendeva le scale dove si aprivano le tre finestre dalle cornici di pietra.
Sarebbe stata una padrona di casa generosa e tutti, in Inghilterra, avrebbero cantato la sue lodi.
Era talmente assorta in quelle fantasie che impiegò un momento a rendersi conto che la carrozza stava svoltando. Guardò fuori trepidante e vide un sentiero di campagna stretto e invaso dalla vegetazione. Ispidi cespugli di biancospino e agrifoglio si contendevano lo spazio lungo la strada. Ai cavalli quei rovi spinosi non piacevano, e il postiglione riusciva a fatica a tenerli sotto controllo.
Leonie si sporse fuori dal finestrino, cercando di evitare i rami bassi, e lo chiamò. «Dov'è Lord Rochdale?» chiese.
«È andato avanti» rispose il ragazzo. «Ha detto che avremmo visto subito il bivio.» Lanciò un grido quando un ramo basso gli sferzò il volto.
Leonie tornò ad appoggiarsi allo schienale. Quel sentiero era una farsa. Non vedeva l'ora di raggiungere Bonhomie con il suo imponente viale d'accesso. Sarebbe stato molto più piacevole da percorrere in carrozza.
La vettura svoltò ancora, ma invece di un viale ben tenuto, le buche erano così profonde che Leonie si ritrovò sballottata di continuo. Il lato del sentiero, poi, era invaso da una vegetazione ancor più folta di prima, e i cavalli facevano fatica ad avanzare.
Infine raggiunsero uno spazio aperto. La strada era ancora accidentata, ma almeno i rami avevano smesso di sferzare la carrozza.
Guardando fuori, Leonie si aspettava di vedere un prato ben tenuto, e invece si ritrovò davanti quello che sembrava poco più di un pascolo per pecore. In fondo si scorgeva la casa, ma c'era qualcosa di sbagliato in quella vista.
Man mano che la carrozza si avvicinava, si rese conto che uno dei muri era crollato. Inoltre non si riusciva a distinguere il colore, perché l'edificio era avvolto da un'edera foltissima. In genere l'edera rampicante era incantevole, ma in quel caso aveva un che di inquietante.
E i corvi! Uccelli grossi e neri erano appollaiati su quello che con un po' di generosità si sarebbe potuto definire un cornicione e sugli alberi tutt'intorno, e saltellavano sull'edera. Leonie pregò che ci fosse un tetto e non un buco, perché in quel caso tutti quelli uccelli radunati avrebbero rovinato l'interno della casa ancora più dell'esterno.
Roman era smontato da cavallo e abbracciava persone che potevano essere solo i suoi parenti. Lo stavano aspettando, era chiaro. Disse qualcosa, e tutti guardarono con aria d'attesa la carrozza in arrivo. All'improvviso Leonie temette di sentirsi male.
Come poteva guardare quella casa in rovina e incontrare la sua famiglia con una certa grazia?
In quel momento si rese conto che suo marito, tanto pronto a sentirsi superiore, l'aveva ingannata dipingendo un quadro roseo della sua tenuta.
Si era rimproverata per la propria mancanza di sincerità, ma lui era stato altrettanto disonesto.
Leonie non era una stupida. Non c'era denaro al mondo sufficiente per riparare ai danni subiti da quella casa. Cinquantamila sterline non avrebbero avuto il minimo effetto su un simile disastro, e lei era sposata con quella follia.
Una rabbia senza precedenti cominciò a crescerle dentro, diventando più forte a ogni curva della strada che la portava più vicina al marito.