Dunque Leonie aveva scelto di accompagnarlo, invece di tornare a Londra. Roman non poteva mentire con se stesso e fingere di non esserne contento.
Quando le aveva dato l'ultimatum era stato talmente furioso che non gli importava quale direzione lei avrebbe scelto. In effetti la sua vita sarebbe stata più semplice se Leonie fosse tornata in città.
Il fatto che lo avesse seguito di sua volontà a Bonhomie lo colmava di soddisfazione, oltre a risparmiargli la necessità di inventare delle scuse con i suoi familiari per giustificare l'assenza della moglie. Di certo erano turbati per l'improvviso annuncio del suo matrimonio e pronti a tempestarlo di domande. Naturalmente Leonie non aveva altra ragionevole scelta, se non seguirlo. Lui non intendeva certo pagare le sue spese, quando aveva necessità molto più urgenti nel Somerset.
Viaggiando da solo, però, aveva avuto molto tempo per riflettere. Le quarantamila sterline rimaste dopo aver pagato i debiti di gioco erano una fortuna colossale... fino a quando non si consideravano tutti i lavori necessari a Bonhomie. Doveva stare molto attento ai soldi e non lasciarsi andare all'impazienza. In quel momento i fittavoli rendevano duemila sterline all'anno, una somma che poteva aumentare, ma solo dopo aver riparato i cottage e ripristinato i campi.
Sì, c'era molto da fare, e Roman era ansioso di cominciare. Bonhomie era casa sua, il futuro dei suoi figli.
Tutto preso dai piani per utilizzare la dote della moglie, non si era quasi accorto delle pessime condizioni della strada e della vegetazione incolta. Vedeva tutto come sarebbe potuto diventare, e il suo petto si gonfiava di orgoglio.
Non appena la casa si era delineata in lontananza aveva spronato il cavallo. Qualcuno aveva annunciato il suo arrivo con un grido: sua sorella Dora e la madre lo avevano visto dalla finestra che si apriva sulla facciata ed erano corse alla porta per salutarlo. Roman aveva fermato il cavallo stanco, ed era balzato a terra in tempo perché le due donne lo stringessero in un abbraccio impetuoso e felice.
I Gilchrist avevano i capelli scuri, sebbene quelli della madre si stessero imbiancando. Dora era una bella donna di trent'anni dal carattere polemico e tenace. Lei e la madre erano di altezza media e avevano gli occhi azzurri, mentre Roman e sua sorella Beth avevano ereditato quelli grigi del padre.
«Abbiamo appena ricevuto la tua lettera...» cominciò la madre.
«Ti sei sposato?» la interruppe Dora.
«Chi è lei?» si informò la madre, preoccupata. «Viaggia con te? Abbiamo pulito la casa per prepararla al vostro arrivo.»
«Sì, viaggia con me» confermò Roman. «Sta arrivando in carrozza. Grazie di esservi occupate della casa.»
«Ti sei sposato...» ripeté Dora, quasi che non riuscisse ad afferrare l'idea. «Conoscevi questa donna, prima di sposarla? Sei stato via solo tre settimane e non hai mai accennato a un corteggiamento.»
«Dora» cercò di fermarla la madre. Era un tipo conciliante, e tutti loro conoscevano il carattere prepotente di Dora. Aveva un anno meno di Beth, ma nessuno lo avrebbe detto, visto il suo comportamento.
Per fortuna Roman era abituato a tener testa alle sorelle. «Sì, la conoscevo. Da anni» rispose disinvolto. La comparsa del patrigno David e di Lawrence, suo cognato, un uomo amabile con gli occhi e i capelli castani, lo salvò dalla necessità di fornire ulteriori informazioni. Sbucarono da un lato della casa. Lawrence teneva in mano una sega, erano entrambi in maniche di camicia e parevano reduci da un duro lavoro. David aveva i capelli bianchi, il viso sottile e gli occhi azzurri brillanti d'intelligenza. Pochi particolari gli sfuggivano.
«E così hai una sposa» lo accolse David tendendo un braccio. Roman notò che zoppicava più del solito e che si appoggiava al lato sinistro. Per fortuna era riuscito a tornare dall'India in tempo per aiutare i genitori.
Lo abbracciò e gli strinse la mano. «Sì» confermò. «Sta arrivando in carrozza. Ho comprato un nuovo aratro e una bella scorta di semi» aggiunse, rivolto a Lawrence.
«Non ci interessano gli aratri. Vogliamo sapere di tua moglie» intervenne Dora. «Siamo rimasti sorpresi che tu non abbia chiesto a Lawrence di officiare la cerimonia di nozze. Avremmo potuto partecipare tutti.»
«Dora...» l'ammonì ancora la madre.
«Lo avrei fatto, ma non c'è stato tempo» la rassicurò Roman. «Volevo che mia moglie potesse viaggiare con me.»
Suonava molto nobile, ma in verità Roman non era stato del tutto sincero con la famiglia riguardo alla disastrosa situazione finanziaria. Era il loro unico sostegno, e non voleva che si preoccupassero.
In quel momento, ascoltando i sospetti di Dora, si rese conto di essere stato un po' ingenuo. Aveva annunciato per lettera il loro matrimonio, ma si era tenuto sul vago di proposito e per ottime ragioni.
La famiglia sapeva che aveva combattuto un duello per una donna. Anni prima il patrigno gli aveva scritto lunghe lettere ammonendolo sul peso che l'uccisione di un uomo avrebbe avuto sulla sua anima. David considerava i duelli una sciocchezza: nessuna donna meritava un simile sacrificio. Aveva insegnato al figliastro a non lasciarsi dominare dalle emozioni, o almeno così pensava.
Se avessero saputo troppo, la verità non avrebbe aiutato nessuno, soprattutto Leonie... e lui.
«Sta arrivando la carrozza» annunciò Lawrence, accennando al punto in cui il viale d'accesso emergeva dagli alberi.
Tutti gli occhi si voltarono in quella direzione, compresi quelli di Roman.
La carrozza non era ben molleggiata, come succedeva spesso con le vetture prese a nolo, e sobbalzava sul viale accidentato, tirata dai cavalli esausti.
Leonie si era affacciata al finestrino, ma aveva dovuto tirarsi indietro per gli scossoni. Aveva comunque dato un'occhiata a Bonhomie. In quel momento Roman la vide come l'aveva vista lei.
Vide il prato dissestato e pieno di erbacce. Leonie aveva di certo notato che buona parte del lato sud della casa era crollata. Le aveva anche detto che il viale d'accesso era lastricato, e adesso lei sapeva che non era vero. Roman provò l'impulso di rifugiarsi in casa e sbarrare la porta.
Aveva fatto tanto il superiore, con lei, e ora si sentiva un po' in colpa per averle raccontato delle falsità.
Avrebbe dovuto essere più sincero, ma Bonhomie sarebbe diventata proprio come gliel'aveva descritta... A patto di aspettare qualche anno.
La carrozza si fermò. Il postiglione era smontato dal cavallo di sinistra. «Eccoci qui, milord. Temevo di perdere una ruota, sulla strada, ma per fortuna ce la siamo cavata.»
«Se avessi saputo del vostro arrivo, avrei sistemato la strada d'accesso, invece del sentiero per il villaggio» intervenne Lawrence.
Roman scosse il capo. «È tutto a posto» lo rassicurò. «Le scuderie sono sul retro della casa» aggiunse rivolto al postiglione. «Cerca un uomo di nome Whiby, ti aiuterà con i cavalli e ti troverà qualcosa da mangiare e un posto per dormire.» Per fortuna le scuderie e il granaio erano in condizioni molto migliori della casa.
Ci fu un momento di silenzio colmo di aspettativa, e Roman si rese conto che tutti, compreso il ragazzo, attendevano che aprisse la portiera della carrozza e presentasse sua moglie. In effetti era sorpreso che Leonie non si fosse ancora fatta viva, anche se nelle ultime ore era apparsa piuttosto avvilita. Forse si sentiva ancora indegna?
O magari aveva battuto la testa sul soffitto della carrozza per via di tutti quegli scossoni e giaceva priva di sensi... In quel caso la madre si sarebbe infuriata con lui.
Roman si decise a farsi avanti e aprì la portiera.
Leonie era nell'angolo più lontano, le mani sul sedile e l'aria scossa. Il cappellino alla moda era schiacciato, le forcine erano cadute, e i capelli erano sciolti e spettinati. Lo sguardo che gli scoccò era più affilato di un pugnale.
Roman le tese la mano. «Volete conoscere la mia famiglia?» domandò.
Il tono era ancora formale e distante, ma in fondo cos'altro poteva dire? Meglio darle una specie di ammonimento: se avesse perso le staffe, lo avrebbe fatto davanti a un pubblico importante.
Leonie si tolse le ultime forcine e le infilò in uno dei guanti, sistemò il cappellino schiacciato e scese dalla carrozza ignorando la sua mano protesa.
Roman si tirò indietro, teso. Temeva una scenata, ma dopotutto la meritava: non avrebbe dovuto dipingere Bonhomie a tinte così rosee.
Leonie si prese un momento per sistemare le gonne prima di affrontare la sua famiglia.
«Oddio, cos'è successo?» proruppe la madre. «Spero non sia colpa del viaggio in carrozza.»
Tutto preso dall'indignazione per il comportamento di Leonie, Roman si era dimenticato dei lividi lasciati dall'aggressione e dell'effetto che potevano avere sulla sua famiglia.
«No. Ieri notte c'è stato un incidente, ma ora va tutto bene» rispose Leonie senza dilungarsi in spiegazioni. «Siete la madre di Roman?» Le porse la mano. Roman notò che i suoi occhi non sfolgoravano più di rabbia. Quella era riservata a lui.
La madre le prese la mano e la coprì con la propria. «Povera bambina» mormorò, creando subito un legame con Leonie, com'era solita fare con qualsiasi creatura. Roman l'aveva vista curare topolini che avevano perso la madre e uccelli con un'ala rotta. Non doveva stupirsi che il suo animo gentile si fosse commosso per i lividi violacei che costellavano il viso della moglie.
«Ormai è acqua passata» le assicurò Leonie. Pareva una fata benefica pronta a offrire conforto alla popolazione.
David si fece avanti. «Sono il patrigno di Roman. Benvenuta nella nostra famiglia, milady.»
Roman avrebbe giurato di vedere una lacrima negli occhi di Leonie. Non era sicuro se fosse reale, o un'elaborata esibizione a suo beneficio. «Grazie» rispose. «E per favore, questo titolo è una cosa nuova per me, e non è adatto a una famiglia. Io sono semplicemente Leonie.»
«Mi farà piacere se mi chiamerai padre, o David, come preferisci» accettò subito lui.
Come seguendo un impulso, Leonie lo strinse in un rapido abbraccio.
«Ora io sono tua madre. Puoi chiamarmi così, oppure Catherine» rincarò la madre. «Ho un unguento che fa miracoli, con i lividi e i tagli. Vieni in casa con me. Prenderemo un bicchiere di vino di sambuco per scacciare i dolori del viaggio.»
Roman stava quasi per opporsi, ma sua madre aveva già preso per mano Leonie. Era pronta a trascinarla in casa, se non fosse stato per l'intervento di Dora.
«Sono la sorella di milord» si presentò, facendo una smorfia ironica in direzione di Roman.
«La maggiore o la minore?» si informò Leonie.
«La minore.»
Leonie sorrise e fu come se il sole fosse sbucato da dietro le nuvole. «Non ho mai avuto una sorella, ma a Londra ho delle ottime amiche. Spero che lo diventeremo anche noi.»
Roman non riusciva a immaginare un'amicizia con Dora. Sua sorella aveva una lingua troppo tagliente. Il discorso di Leonie però era stato molto cordiale, e lui si sentiva più confuso che mai.
Era arrabbiata con lui? Stava mentendo, in attesa che si ritrovassero da soli? Probabile.
«Forse» rispose Dora senza sbilanciarsi. Tipico da parte sua evitare sia un consenso che un rifiuto.
«Io sono Lawrence, il marito dell'altra sorella di Roman, Elizabeth.»
«Vivete qui anche voi?» si informò Leonie.
«No, milady...»
«Leonie» lo corresse lei con un sorriso amabile.
Perfino con il volto deturpato dai lividi esercitava un notevole potere sugli uomini. Era una dote innata. Roman notò meravigliato come quel semplice scambio avesse fatto arrossire Lawrence.
«Leonie» acconsentì lui. «Viviamo in un cottage al villaggio. Io sono il parroco» spiegò in tono fiero.
Roman sapeva quanto fosse importante per il cognato quella posizione. Prima la sua parrocchia si trovava in una zona povera e selvaggia della Scozia. Tornare in Inghilterra e far piacere alla moglie per lui era stata una vera benedizione.
Naturalmente, se avesse saputo com'era povero Roman quando gli aveva offerto quel posto, sarebbe rimasto sconvolto.
Ecco qual era il nocciolo della questione.
Quando aveva ereditato il titolo Roman si era assunto degli impegni. Voleva la famiglia riunita intorno a sé, e adesso doveva sistemare le cose.
«Anche noi viviamo in un cottage» spiegò Catherine a Leonie. «È un bel posto, caldo e accogliente.»
Era la sua immaginazione, si chiese Roman, o sua moglie aveva lanciato uno sguardo al muro crollato?
«E tu vivi nella casa padronale?» chiese lei a Dora.
«No, io abito con Lawrence, Beth e i bambini.»
«Ci sono camere da letto nella casa?» domandò Leonie con una calma ingannevole.
La madre scoppiò a ridere. «Ma certo. C'è quella di mio figlio... che ora è anche tua» spiegò ridacchiando, gli occhi brillanti di felicità. Roman sapeva cosa stava pensando: era una donna semplice e adorava i nipotini.
«Dunque non ci sono sette camere da letto, in questa...» Leonie si interruppe, fissando i muri coperti di edera di Bonhomie, come se non sapesse bene come definirla. «... villa» terminò infine.
«Ce n'è solo una» la informò Dora in tono piatto.
«Una abitabile» la corresse David. «In realtà ce ne sono sette, ma il tetto perde da quel lato dell'edificio. Avrai anche notato che il muro è indebolito.»
«Il muro che non c'è più?» chiese Leonie. Era fin troppo calma.
«In parte c'è ancora» replicò David.
La madre prese in mano la situazione. «Vieni, Leonie... Oh, è un bellissimo nome, e anche tu sei bellissima. Prendiamo un bicchiere del mio vino di sambuco e poi ti curerò con il mio unguento.»
«Ah, il vino di sambuco» ripeté Leonie. Lanciò un'occhiata a suo marito inarcando le sopracciglia, come per sottolineare le parole della madre, e si lasciò condurre in casa.
Roman fece per seguirle. Si sentiva spaventato, arrabbiato e incerto.
«È un'autentica bellezza, perfino con la faccia tutta pesta» commentò Dora. «Cosa le è successo, ieri notte?»
«Un incidente» rispose Roman.
«È caduta dalle scale? Ha sbattuto contro una porta? È inciampata su un sasso durante una passeggiata?» Quando ci si metteva, Dora poteva essere un vero tormento.
Roman aveva imparato da tempo che con la sorella la miglior difesa era l'attacco. «Stai dicendo che non ti piace?» la incalzò con una certa foga.
La sorella sollevò le mani per tenerlo a bada. «Sto dicendo che mi piace. Quando è scesa dalla carrozza ho pensato che poteva essere una vera strega, o un tipo melenso e zuccheroso.»
«E invece cos'è?» la interrogò Roman, curioso.
«C'è un tocco di sfacciataggine, in lei.»
«Dora, non provocarla» l'ammonì Roman. Conosceva bene sua sorella.
«Non lo farò» promise lei. «Leonie mi risponderebbe per le rime. Le mie battute taglienti le riservo a quelli come te, fratello, che sono troppo pedanti per essere sinceri.»
Roman la guardò, scosso e sorpreso: nessuno gli aveva mai mosso un'accusa del genere. Alcuni sostenevano che seguiva le regole alla lettera, ma lui l'aveva sempre preso come una sorta di complimento. «Che cosa vorresti dire?» ribatté in tono di sfida. Sua sorella, però, si stava già dirigendo verso la porta d'ingresso. «Adesso non c'è tempo per parlare» tagliò corto. «Anch'io ho voglia di un bicchiere di vino di sambuco.»
Roman fece per seguirla, ma Lawrence lo fermò. «David e io abbiamo parlato con il possidente locale del dragaggio del ruscello.»
Roman teneva molto a quel progetto. Un grazioso ruscello attraversava il vicino villaggio di Middle Pike. Si diceva che in passato i pesci abbondassero, ma nel corso degli anni detriti di vario tipo lo avevano bloccato. «E lui cos'ha detto?»
«Metterà al lavoro i suoi uomini, ma ti costerà. Non è il tipo da far beneficenza, se può guadagnare qualcosa.» Lawrence faceva da intendente a Roman, in attesa che potesse assumerne uno.
«Digli che va bene.» Era bello poter pronunciare quelle parole. «Dobbiamo anche dragare lo stagno nel campo a ovest. Ah, ho assunto un maggiordomo. Un tipo competente. Ci aiuterà a organizzare il lavoro da fare in casa. Poi troverò un amministratore, così potrai dedicarti a tempo pieno al tuo gregge.»
«Ottimo!» commentò il patrigno. «I cambiamenti saranno incredibili.»
«Me lo auguro.»
«Non vedo l'ora di raccontarlo a tua madre» riprese David, eccitato.
«Fatelo, allora» lo incoraggiò Roman.
«Tu non vieni?»
«Tra un momento. Devo portare il cavallo nelle scuderie.»
«D'accordo.» David si affrettò a rientrare in casa.
Roman si avviò lungo il sentiero che conduceva alle scuderie, e Lawrence gli si affiancò. «Questa improvvisa ricchezza ha qualcosa a che vedere con tua moglie, vero?»
Era la conversazione che Roman aveva temuto di affrontare. «Un po'» ammise.
Lawrence ci pensò su un momento. «Non mi sembravi il tipo pronto a sposarsi per denaro.»
«Perché lo dici?»
«Non è da te.» Il cognato riprese a camminare. «D'altra parte Leonie è una donna che non passa certo inosservata» aggiunse, arrivato sulla porta delle scuderie. Poi appese la sega a un gancio, vicino agli altri attrezzi.
«È vero» riconobbe Roman.
Whiby, un vecchietto un po' strambo che serviva i Conti di Rochdale da quando aveva sette anni, lo salutò e prese il cavallo a noleggio. «Andate, milord. Qui ci penso io.»
«Grazie, Whiby.» Il postiglione era occupato a ripulire i finimenti, accanto a una brocca che divideva con l'anziano stalliere.
Roman lo salutò con un cenno del capo e uscì dalle scuderie. Lawrence lo seguì fino al punto il cui il sentiero conduceva al villaggio. Si fermò, e Roman lo imitò. Pareva proprio che avesse qualcosa da dirgli, e in effetti il cognato non perse tempo.
«Nella mia famiglia c'è un detto che contiene una verità importante.»
«E sarebbe?»
«Puoi sposarti per denaro, ma non conviverci.»
Sarebbe potuta davvero andare così, ma Roman non voleva ammetterlo. «Come hai detto, Leonie è una vera bellezza» gli fece notare.
«Ma sarà abbastanza?»
Roman non aveva ancora deciso se parlare o meno alla famiglia della ricca dote della moglie. Come suo intendente, Lawrence si era certo fatto un'opinione sulle finanze della tenuta.
In effetti, però, il nocciolo della questione era proprio quello: la bellezza di Leonie sarebbe bastata come base per il loro matrimonio?
Pensò all'ultima notte, prima dell'aggressione, a come si era sentito bene dentro di lei, al suo atteggiamento accogliente e disponibile. «Dovrà esserlo» rispose. «Ci vediamo domani.» Salutò il cognato e tornò verso la casa.
Il primo piano di Bonhomie era pressoché intatto. Dopo anni di abbandono alcune stanze erano piene di muffa, ma altre erano rimaste asciutte. Insieme alla famiglia Roman aveva lavorato sodo per renderle abitabili. Avevano dovuto buttar via gran parte dei mobili, soprattutto quelli imbottiti, ma il resto era solido e in buono stato.
La pianta della casa era simile a quella di tutte le grandi residenze di campagna: un grande atrio e stanze laterali per i pasti e per ricevere visite. A causa dei danni al muro sud la sala da pranzo non veniva usata, ma Roman progettava di assumere una miriade di operai per sistemarla.
Sua moglie e la sua famiglia erano nella sala da ricevimento, seduti in circolo su sedie di legno dallo schienale alto.
Roman entrò nella stanza e cercò subito Leonie con lo sguardo: con suo grande sollievo, la moglie stava sorseggiando una tazza fumante di tisana, mentre la madre le spalmava l'unguento sui lividi.
Catherine sollevò lo sguardo. «Ti va un bicchiere di sambuco, Roman? L'ho offerto anche a tua moglie, ma ha detto che preferiva la mia tisana alla camomilla.»
Leonie aveva notato il suo sguardo puntato sulla tazza e la sollevò in un brindisi tacito e scherzoso.
«Prenderò una tazza di tè.» Prima era stato così arrabbiato che aveva cercato di attirare in trappola Leonie con l'offerta di una birra, ma ora era stanco e felice di essere a casa.
Era la sua prima, vera casa. Il patrigno era stato a lungo un precettore privato, e tutti loro avevano viaggiato con lui, vivendo in alloggi in affitto.
Dora gli versò una tazza di tè. La madre si tirò indietro e osservò fiera il lavoro fatto sul viso di Leonie. «L'unguento pizzica?»
«Un po'.»
«È per via della menta.»
«Mi stupisce che tu le abbia consentito di coprirti con uno dei suoi intrugli, Leonie» intervenne Dora. «Io ho passato l'infanzia cercando di evitarli.»
«Hai passato l'infanzia con tante sbucciature che dovevi fare il bagno in quell'unguento» osservò David. Tutti scoppiarono a ridere.
Era strano vedere Leonie così a proprio agio con la sua famiglia, considerò Roman tra sé. Si comportava come una di loro e manteneva fluida la conversazione. A un certo punto chiese alla madre come avesse scelto il suo nome.
«Roman Lancaster faceva parte del dipartimento di filosofia ed era il miglior amico di Alfred, il mio defunto marito» spiegò Catherine con un sorriso. «Il padre dei miei figli era più vecchio di me, ma il suo amico morì appena prima della nascita di Roman, e Alfred decise di rendergli omaggio dandogli il suo nome. Adesso il mio Roman onora tutti e due in molti sensi.»
Leonie pareva commossa da quel racconto sentimentale. Naturalmente Dora rovinò tutto osservando che anche lei aveva un nome latino.
«Greco» la corresse il patrigno in tono bonario.
«Solo Elizabeth è sfuggita a questa sorte.»
«Ho detto al mio defunto marito che, visto che ero io a portare in grembo i figli, dovevo anche avere la possibilità di decidere i loro nomi. Alla fine gli ho lasciato scegliere per Dora e anche per Roman, visto che volevo molto bene a Roman Lancaster. Era un vero amico» spiegò la madre con un sorriso. Per un attimo un ricordo parve sul punto di sopraffarla. Lanciò uno sguardo al marito, in uno di quei momenti di comunicazione silenziosa in cui parevano capirsi alla perfezione.
Roman ne restava sempre commosso. Sperava tanto di costruire la stessa, profonda affinità con sua moglie.
Avvertì lo sguardo di qualcuno e sollevando la testa vide Leonie che lo osservava con aria pensierosa. Anche lei desiderava sentirsi vicina a un'altra persona? Aveva notato il rispetto che i suoi genitori nutrivano l'uno per l'altro e si era commossa?
Impossibile capirlo, dalla sua espressione. Leonie poteva essere un vero mistero, o una specie di nido di vespe. Si era già dimostrata molto diversa da ciò che si era aspettato, il che faceva parte del fascino che esercitava su di lui.
Consumarono una cena semplice nel cottage dei genitori. La madre aveva cucinato uno stufato, accompagnato dal pane cotto il giorno prima. Elizabeth, Lawrence e i loro figli Edward e Jane li raggiunsero.
Leonie si dimostrò molto brava con i bambini. Beth rimase così impressionata da comunicare senza parole a Roman che la cognata le piaceva.
Ciò che più lo stupiva era il modo in cui sua moglie sapeva essere gentile con la dolce Beth e arguta con Dora, soprattutto se si parlava di lui. Era anche piuttosto colta. Non si era fermato a riflettere sulla sua educazione, come forse avrebbe dovuto fare, e scoprì così che Leonie era in grado di sostenere una conversazione con David. Faceva domande intelligenti e pareva davvero interessata alle risposte.
Era tutto un trucco? In fondo era un raffinato prodotto dei salotti londinesi e probabilmente era in grado di parlare con diplomatici e mercanti.
Il momento migliore arrivò quando la madre chiese di parlare dell'India. In genere la sua famiglia non mostrava grande curiosità per ciò che aveva visto, e gli era sempre andata bene così. Alcune delle cose che aveva fatto e dei posti in cui era stato non erano adatti a una rispettabile conversazione da fare a tavola, ma Leonie riuscì a tirargli fuori i ricordi migliori.
Parlarono dei pellegrini che facevano il bagno nei fiumi fangosi e delle scimmie che rubavano qualsiasi cosa brillasse. Leonie riuscì a evocare il caldo, la polvere e il verde lussureggiante dell'India.
Roman se n'era dimenticato. In quel momento ebbe l'impressione di sentire il caldo torrido e gli odori intensi di quella terra lontana. Riusciva a ricordare anche i colori vividi dei vestiti delle donne indiane, che parevano rendere il sole ancora più brillante.
«Altro sidro?» chiese Dora a tutti, mentre il pasto volgeva alla fine. Era un liquore dolce e potente fatto da gente del villaggio. A tavola lo avevano bevuto tutti, tranne Beth, Lawrence e i bambini.
Beth scosse il capo, poi notò l'espressione perplessa della cognata. «Siamo metodisti» spiegò.
«E...?» Leonie non aveva capito, era chiaro.
«Pratichiamo la moderazione» aggiunse Lawrence.
Leonie aggrottò la fronte. «Cosa significa?»
«Significa che non beviamo alcolici, birra o sidro» chiarì Lawrence.
«E nemmeno vino di sambuco» intervenne la madre.
«Per vostra libera scelta?» si informò Leonie.
Beth scoppiò a ridere. «Certo!»
«Anche mio padre era un membro della chiesa, almeno fino a quando non gli hanno chiesto di lasciarla perché si serviva un po' troppo liberamente del vino della comunione» spiegò Lawrence.
«Interessante» commentò Leonie. Sorrise a Roman, ma i suoi occhi scuri erano seri. Le avevano versato un bicchiere di sidro, ma lei non l'aveva toccato. Roman l'aveva tenuta d'occhio.
Beth si alzò. «Dobbiamo lasciarvi. È ora di andare a letto.»
«È lontano il villaggio?» chiese Leonie.
«No, non molto. Sono solo dieci minuti di cammino lungo il sentiero» rispose Lawrence.
Beth si chinò a dare un bacio sulla guancia a Leonie. Lei parve sorpresa da quel gesto affettuoso e anche dalle sue parole successive. «Venite, bambini. Date la buonanotte alla vostra nuova zia. Andiamo, Dora. Visto che non vuoi aiutarmi a insegnare, dammi almeno una mano a preparare le lezioni.»
Jane ed Edward baciarono docili Leonie sulla guancia, per poi passare ai nonni e quindi a Roman. Quella era la parte che preferiva quando si ritrovava circondato dalla famiglia.
«Credo che sia ora anche per noi» annunciò. Lanciò uno sguardo a Leonie. «Sei pronta a ritirarti?» chiese.
«È stata una lunga giornata. Lo stufato era squisito.» Leonie si alzò. Fece per tendere la mano, ma poi cambiò idea e baciò la suocera sulla guancia come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Poi fu David a baciare Leonie sulla guancia.
E Roman capì che, nonostante tutti i suoi timori, sua moglie era stata accettata in famiglia.
Lasciarono tutti insieme il cottage. La luna era alta nel cielo, ma lui e Lawrence portavano delle lanterne per illuminare la strada.
Dora aveva bevuto un po' troppo sidro, ed era lievemente brilla. Roman la sentiva ridere tra gli alberi. «Vinco io!» strillò. A quanto pareva stava sfidando in una corsa Edward e Jane.
«Cadrà e si romperà l'osso del collo» mugugnò.
Leonie non gli rispose.
Lanciò un'occhiata a sua moglie: camminava con la schiena dritta e la testa alta. La luce della luna metteva in risalto le linee delicate del viso sotto il cappellino, lo stesso che si era ammaccato per gli scossoni del viaggio. Era riuscita a ridargli una certa forma.
«Vuoi parlare della nostra discussione di stamattina?» le domandò tornando a un tono più confidenziale. Aveva bevuto diversi bicchieri di sidro e assaggiato il vino di sambuco della madre e si sentiva di umore conciliante e... voglioso.
In effetti, mentre la teneva d'occhio per vedere se avrebbe bevuto il sidro e si chiedeva preoccupato se la sua famiglia l'avrebbe accettata, Roman aveva ripensato a quanto gli fosse piaciuto fare l'amore con lei e a quanto gli sarebbe piaciuto rifarlo. In realtà l'argomento era sempre presente nella sua mente.
Certo, a giudicare dalla postura del mento, Leonie sembrava arrabbiata con lui, ma perché? Quella mattina aveva detto ciò che andava detto, mettendo le carte in tavola, e adesso non poteva certo rimangiarsi tutto. I suoi dubbi erano autentici, ma forse era meglio cambiare argomento.
«Whiby ha portato la tua valigia in camera da letto.»
Ancora silenzio.
«Yarrow e Duncan dovrebbero arrivare domani o dopodomani con il tuo baule.»
Avevano raggiunto le scuderie. Uno dei cavalli presi a nolo nitrì. Leonie le oltrepassò e si diresse verso la casa come se quel posto fosse suo.
Be', in un certo senso lo era.
Roman la raggiunse in pochi passi, e lei si fermò sul ciglio del sentiero. Bonhomie era avvolta in una luce argentea, con l'edera rampicante che creava zone scure sui muri. Sul lato sud, però, non si poteva ignorare il muro crollato e le stanze visibili su due piani. E loro erano rivolti proprio da quella parte.
Leonie parlò per la prima volta da quando avevano lasciato il cottage dei genitori. «L'architettura è davvero ammirevole.»
Ora toccò a Roman restare in silenzio. Non riusciva a capire bene di quale umore fosse.
«Pensi che i monaci dell'abbazia usassero quelle scale?» Lei accennò con il capo ai resti della scalinata, ben visibili nel gioco di luci e ombre creato dalla luna. «Magari l'abate dormiva nella stanza a destra, quella affacciata sui giardini che non esistono. Ogni mattina si sarà goduto i richiami dei corvi, visto che sembrano decisi ad appollaiarsi sugli alberi.»
«Non è colpa mia se ci sono i corvi» borbottò Roman. «E forse ho un po' esagerato le condizioni della casa.»
«Esagerato?» Leonie sollevò la testa di scatto. «Hai mentito.»
«Pensavo che l'arrabbiatura ti fosse passata» obiettò Roman. Aveva il sospetto che, se non si fosse mosso con cautela, quella notte non ci sarebbero stati giochi amorosi.
«No. Sto giusto cominciando» lo rimbeccò lei riprendendo a camminare verso la casa. Dopo qualche passo si girò di scatto. «Stavo andando verso il portone, ma in fondo potremmo entrare da qui.» Si fece largo tra le macerie, ma si storse una caviglia inciampando in un sasso, e fu sul punto di cadere.
«Attenta.» Roman la prese per la vita, la sollevò e la portò in braccio verso la porta d'ingresso.
Lei si liberò della sua stretta non appena toccò di nuovo terra con i piedi, gli batté un colpetto sulla mano come se lui fosse solo un fastidio e riprese a muoversi, per poi fermarsi di colpo ad affrontarlo.
«Mi hai fatto sentire una nullità!» lo accusò. «Ti sei presentato come un santo che si era accollato le mie debolezze e la mia mancanza di carattere. Quando mi sono vista attraverso i tuoi occhi ho provato disprezzo per me stessa e ora...» Agitò le braccia per indicare la casa e la tenuta. «... ora vengo a sapere che mi hai mentito!» concluse.
«Non è vero» negò Roman. Venir descritto come un signorotto severo e pronto a giudicare gli altri lo aveva ferito più delle critiche alla sua amata casa. «Un giorno Bonhomie sarà come te l'ho descritta.»
«La mia dote non è sufficiente a riparare tutti i danni della casa, e lo sai bene.» Lei strofinò le scarpe per terra per liberarsi della polvere. «Se quella è la tua idea di un prato ben tenuto, sei finito ancor prima di cominciare. Ma la cosa peggiore è che hai continuato a blaterare di onestà quando non sei stato sincero con me riguardo alle cose più basilari. Non mi hai neanche parlato della tua famiglia, e sono persone deliziose.»
Con quelle parole entrò in casa, lasciando la porta aperta. Peggio per lei, pensò Roman, visto che la casa era buia. Attese un momento, certo che non le sarebbe piaciuto aggirarsi in una dimora sconosciuta. In effetti non si sbagliava.
Leonie apparve sulla soglia. «Per favore, dammi la lanterna.» Aveva parlato in tono solenne, come se fosse la regina del mondo.
Lui però non intendeva assecondarla. La superò ed entrò in casa. «Non sai dov'è la camera da letto, vero?» chiese.
«No» ammise lei dopo una breve esitazione.
Roman sbuffò piano, ma in realtà la verità gli pesava, e non le era grato per avergliela sbattuta in faccia. Si avviò su per le scale. Come si era aspettato, Leonie chiuse il portone e lo seguì.
«Non hai mai fatto domande sulla mia famiglia prima che ci sposassimo» le ricordò quando raggiunsero il pianerottolo e la seconda rampa di scale che portava al primo piano. «E nemmeno su di me... Comunque, se proprio vuoi saperlo, non sentivo il bisogno di trascinarli a Londra. Come ti sarai accorta, il mio patrigno non sta molto bene.»
«Perché zoppica?»
«Le sue gambe sono sempre più deboli. Un giorno forse non riuscirà più a camminare.»
«Mi dispiace, Roman» mormorò Leonie dopo un breve silenzio.
Pareva sincera.
«La tua dote e il denaro che prendo dai fittavoli saranno sufficienti per permetterci di vivere bene, a Bonhomie» riprese lui.
«Intendi dire nel Rifugio dei corvi?»
Roman si fermò in cima alle scale e sollevò la lanterna, fissandola accigliato. «Rifugio dei corvi?» ripeté.
Leonie ne approfittò per superarlo. «Se i miei soldi servono a ricostruire questo posto, credo di avere il diritto di dargli un nome. Non ho mai visto tanti corvi in vita mia. Scommetto che scendono dai camini.»
«No, non è vero» negò Roman raggiungendola in fretta.
I corridoi di Bonhomie erano ampi. I suoi stivali echeggiarono sul pavimento di pietra, mentre la conduceva nella stanza a nord che fungeva da camera da letto.
«Che problemi hanno le altre stanze?» Leonie accennò con la testa alle porte che si aprivano lungo il corridoio.
«Alcune pareti hanno delle enormi crepe, altre camere sono senza finestre, e il soffitto perde.»
«Com'è possibile che questa casa sia caduta in uno stato così pietoso?»
«Buona domanda.» Roman aprì la porta. «I danni maggiori sono stati causati da un cannone dei seguaci del re, quando il Rochdale di allora rifiutò di arrendersi. Purtroppo i conti successivi hanno speso i loro soldi per altre cose, trascurando la casa. La struttura è solida, ma stai attenta a camminare dall'altro lato di questo piano.» Mentre parlava aveva posato la lanterna sulla scrivania vicino alla finestra. Voltandosi scoprì che Leonie era entrata nella stanza, e aveva l'aspetto che si era immaginato.
Si era tolta il cappellino, e i capelli le ricadevano sulle spalle. Non ci voleva un grande sforzo di immaginazione per raffigurarsela nuda e disponibile, proprio come la notte prima. «Leonie...» mormorò. Sulle sue labbra quel nome era come una benedizione.
Lei sorrise – aveva un sorriso celestiale – e guardò l'ampio letto matrimoniale, costruito per un uomo imponente. A Roman piaceva molto. Era assai comodo, visto che di recente aveva fatto sostituire le funi che sostenevano il materasso. Lei tornò a guardarlo. «Dove pensi di dormire? Non nel mio letto, ti avverto.»
Celestiale? Quella donna era un demonio.
«Non sono d'accordo, moglie. Se vuoi spostarti fallo pure, ma io sono deciso a dormire qui. È l'unico letto della casa, dunque, se preferisci rimanere in questa stanza, lo condivideremo.»