Roman aveva tenuto a lungo tra le braccia Leonie dopo che si era addormentata. Era un tesoro prezioso, ma anche un pericolo.
Era così stanca e appagata che non si era nemmeno mossa, tranne che per strofinargli il naso contro il palmo quando l'aveva posato vicino alla sua guancia.
Per anni aveva occupato uno spazio enorme nella sua mente. Anche quando la malediceva, si sentiva comunque legato a lei. Ora poteva portare in grembo suo figlio, e quel legame sarebbe durato per sempre.
Ma se non fosse riuscita a liberarsi del suo terribile vizio del bere?
Ogni fibra del suo essere lo esortava a distendersi accanto a lei. Voleva svegliarsi la mattina tenendola stretta, ma per la sua stessa sanità mentale doveva mettere un po' di distanza tra di loro, almeno fino a quando non fosse riuscito a capire cosa voleva fare.
Non poteva prendere decisioni, fino a quando non fosse stato sicuro che Leonie non era incinta.
Si trasferì nelle scuderie. Si fece un giaciglio nel fieno, ma non dormì bene.
Si svegliò all'alba, quando Whiby e il postiglione cominciarono a muoversi. Li aiutò con i cavalli e rimandò indietro la carrozza a noleggio, con pane, formaggio e mele secche per il guidatore. Whiby e il ragazzo non avevano fatto commenti, dopo avere scoperto il padrone che lasciava la novella sposa per dormire nelle scuderie.
Fece colazione con pane e formaggio, e preparò una grossa teiera, pensando che Leonie avrebbe apprezzato una tazza di tè, al risveglio. Approfittò anche dell'occasione per frugare la cucina, in cerca di qualsiasi cosa in grado di alimentare il suo vizio. Dato che prima di partire per Londra aveva consumato quasi tutti i pasti nel cottage dei genitori, non trovò nulla. La madre doveva aver portato la bottiglia di vino di sambuco da casa sua, per festeggiare il loro arrivo. Riordinò anche la sala da ricevimento, eliminando le tracce dei danni causati in un accesso di rabbia.
Lo aspettava una giornata intensa. Sperava che Yarrow e Barr arrivassero presto con l'aratro e gli acquisti fatti a Londra. Voleva anche mettersi in contatto con il possidente locale per comprare alcuni dei suoi agnellini appena nati e fare una capatina al villaggio perché tutti sapessero del suo ritorno.
In quel momento però era preda di così tante emozioni confuse da essere di poca utilità per gli altri.
Aveva la tendenza a tormentarsi e sapeva per esperienza che l'unico modo di superare dubbi e incertezze consisteva nel dedicarsi a un duro lavoro manuale. Il patrigno gli aveva trasmesso quella lezione oltre quindici anni prima, e il suo insegnamento era ancora valido.
Cercò l'accetta, affilò la lama e poi si diresse verso il campo più lontano, dove c'era una pila di legna lasciata dal lavoro fatto da Lawrence per ripulire i sentieri. Roman decise di tagliarla in rametti e ceppi.
Nel giro di un'ora, nonostante la fredda mattinata primaverile, David lo trovò.
«Ho sentito il rumore e sono venuto a vedere chi si era messo al lavoro così presto per finire quello che io e Lawrence abbiamo cominciato.» Camminava meglio, ma il suo problema, di qualsiasi cosa si trattasse, andava e veniva. Notò l'aria preoccupata di Roman e scrollò le spalle. «Devo camminare finché mi è possibile.» Pareva quasi contento di una situazione che avrebbe ridotto in lacrime la maggior parte degli uomini.
«Dovreste comunque prendervela calma.»
«Sarò costretto a trascorrere le mie giornate seduto fin troppo presto.»
Tale consapevolezza rese ancora più pesante il fardello che Roman si sentiva già addosso. Purtroppo David aveva voglia di parlare.
«Tua madre e Dora sono uscite quindici minuti fa per portare un cestino alla famiglia Poole, che vive in fondo alla parrocchia» spiegò. «Hanno due bambini con la febbre.»
Roman borbottò una risposta, quindi sollevò l'accetta e la conficcò in un grosso ceppo. Non fu facile estrarla, però. Dovette far forza con lo stivale, e lo sforzo non lo rese più felice.
«Tutta questa legna è troppo verde perché tu possa spaccarla» osservò il patrigno.
«Be', io voglio farlo lo stesso.»
«Sarà un lavoro duro, su legna non stagionata. Meglio accatastarla e aspettare.»
Era vero, ma Roman non era dell'umore adatto ad ascoltare la voce della ragione. «Scusatemi, ma eravate un docente o un boscaiolo?»
«Perfino i docenti sanno che non conviene perdere tempo con la legna verde. Immagino lo sappiano anche i capitani dell'esercito. Vuoi risolvere il problema con le maniere forti.»
«A volte è il sistema migliore.»
«Problemi matrimoniali, eh?»
Roman lo guardò, colpito. «Perché dite questo?»
David sedette su un ceppo che poteva fungere da comodo sgabello e distese la gamba meno dolorante. «Perché ti sei appena sposato, eppure sei qui al mattino presto, invece di startene a letto con tua moglie.»
«Ho parecchie cose da fare.»
«Sì, e dovresti farle a lei. Quando ho sposato tua madre, siamo rimasti in camera da letto per un mese. Ci facevamo perfino portare i pasti lì.»
Quel commento fece infuriare Roman. «Mi dispiace, ma io prendo sul serio le mie responsabilità.» Aveva liberato l'accetta, e la conficcò con forza nello stesso pezzo di legno. La lama penetrò in profondità e rimase bloccata.
Roman imprecò e cercò di liberarla, ma il ceppo non cedette la sua presa. L'accetta non si muoveva quasi, e lui aveva voglia di scagliare tutto all'altro capo di Bonhomie. Invece fece qualche passo e affrontò il patrigno. «Credo che dovrei lasciare Leonie.»
David inarcò le sopracciglia. «Lasciare? Ieri sera sembravi felice con lei.»
Roman abbassò lo sguardo sull'accetta conficcata nel pezzo di legno e ripensò all'appassionata unione con la moglie. «Lo ero.»
«Sapevamo che non vi conoscevate bene» riprese il patrigno. «Quando abbiamo ricevuto la tua lettera, abbiamo temuto che la sposassi per denaro. Thaddeus ha accennato al suo suggerimento nell'ultima lettera che ci ha scritto. Tua madre e io speravamo che non lo avresti ascoltato» aggiunse dopo una breve pausa.
Dunque sapevano. «Il suo denaro mi permetterà di ricostruire la tenuta.»
Lo sguardo di David si perse per un momento in lontananza. «Siamo rimasti sorpresi dalla sua grazia e dalla sua gentilezza. Ho sempre pensato che le ereditiere che un uomo sposa in tutta fretta fossero brutte...» Riportò lo sguardo sul figliastro. «A meno che non ci sia qualcosa che mi sfugge.»
Roman tornò alla catasta di legna, raddrizzò un ceppo e si sedette. «Un tempo, in India, lei era molto importante per me.»
«Ah, questa sì che è un'informazione interessante!» esclamò David. «È stata lei la causa del duello? Era molto giovane, però.»
«Aveva diciassette anni.»
«Giovane, ma neanche troppo.»
«Leonie è più bella adesso di allora» ammise Roman. «C'è qualcosa, in lei, che attrae gli uomini. Di sicuro attrae me.» Poi rimase in silenzio, meditando su come aveva causato la propria disfatta, prendendo le parti di Leonie.
David interruppe le sue riflessioni. «Perché non vuoti il sacco? Racconta tutto, così forse capiremo perché sei qui e non a letto con tua moglie.»
Aveva ragione, la sua mente era una confusione totale. Così Roman raccontò la storia che non aveva mai rivelato a nessuno, compreso il fatto che era stata Leonie a uccidere Paccard.
«Dunque non c'è stato nessun duello?» David sembrava incredulo.
«No. Ho inventato quella storia per salvarle la reputazione.»
«Credi davvero che un tribunale l'avrebbe condannata per omicidio, se questo Paccard l'aveva davvero trattata come dici?»
«Se anche fosse andata così, la sua reputazione sarebbe finita a brandelli. Non so cosa ne sarebbe stato di lei.»
«E così ti sei sacrificato.»
«Ho corso un rischio, ma me la sono cavata.»
«Senza di lei.» David scosse il capo. «Forse, senza volerlo le hai scaricato addosso un peso che non è stata capace di reggere.»
«Dunque avrei dovuto permettere che venisse accusata di omicidio?»
«Non puoi sapere se si sarebbe arrivati a questo.»
Roman guardò al di là del campo, dove il tetto di Bonhomie emergeva dalla cima degli alberi. «Era troppo giovane.»
«Ma poi a Londra vi siete rivisti.»
«Thaddeus ha fatto il suo nome. Ha detto che il padre era ansioso di farle sposare un nobile in cambio di una dote generosa.»
«E così hai pensato di prenderti i suoi soldi?»
«In teoria.» Roman si alzò e cominciò a camminare avanti e indietro, infilando le dita nei capelli. Cos'aveva pensato quando si era ritrovato davanti Leonie?
«Provo una forte attrazione per lei» ammise. «È l'unica donna che abbia mai desiderato.» Era vero. Aveva cercato di corteggiare altre signore, ma da quei legami non era mai venuto fuori niente. «La notte in cui l'ho incontrata a un ballo ero arrabbiato, ma allo stesso tempo sapevo che ci saremmo rivisti.»
«Lei ha acconsentito a sposarti?» David era molto abile a individuare il nocciolo della questione.
«Mi ha detto che mi avrebbe sposato, se le avessi permesso di vivere separata da me.»
«E tu cos'hai risposto?»
«Di no.»
«Eccoci al punto!» esclamò il patrigno. «Questo deve essere importante. Ieri sera l'ho osservata. Ogni tanto ti guardava, come se avesse bisogno di rassicurazione, e tu non riuscivi a staccarle gli occhi di dosso.»
«Beve.»
David aggrottò la fronte. «Beve?»
Roman annuì. «Ha un problema con l'alcol. La stavo osservando per vedere se avrebbe toccato il suo bicchiere di sidro.» Finì per raccontare a David tutta la storia, compresa l'aggressione alla locanda.
Quando ebbe finito, il patrigno emise un lieve fischio. «È così giovane. Che peccato!»
«Non so cosa fare. Potrei rimandarla alla sua famiglia, ma il padre vuole dei nipoti e ha pagato una fortuna per averli.»
«E se la tenessi con te?»
«Non so se posso fidarmi di lei. Ieri sera ha rifiutato il sidro, ma poi quando siamo tornati a casa ha trovato qualcos'altro da bere. Non intendo vivere tormentato dai sospetti. Voglio la fiducia che esiste tra voi e mia madre.»
«Abbiamo impiegato anni per costruire ciò che abbiamo.»
«Sua madre beve, e suo padre anche. Non esiste al mondo un uomo più stupido ed egoista di William Charnock. Ha un sacco di soldi e un nome famoso, ma gli manca quello che più conta.»
David si sporse in avanti. «E la figlia?»
«Non lo so ancora. Voglio credere che non assomigli ai genitori, ma la ragione mi dice che mi sto illudendo.»
«Non hai ancora deciso, però. Giusto?»
«No. A volte ho l'impressione di reagire in modo esagerato» ammise Roman dopo una breve pausa. «Altre di essere pazzo, e altre ancora...» Si interruppe, incerto se continuare o meno.
«E altre ancora?» lo incalzò il patrigno.
«L'amo. Le perdonerei qualsiasi cosa. Dovrei detestarla, visto che ho già perso la mia reputazione a causa sua. Per fortuna ho ereditato questo titolo, così ho la possibilità di ricominciare daccapo, eppure eccola di nuovo qui, nella mia vita.»
«Due cose, figliolo.» Roman guardò trepidante il patrigno. Per rispetto al suo vero padre, David usava di rado quella parola, anche se l'aveva allevato fin da quando era piccolissimo. Roman aveva anche imparato che quando sentiva quel termine gli conveniva ascoltare. «La prima è che l'amore non segue la logica. Per questo i poeti sono bravi in questo campo e i filosofi sono un disastro. Dovrai prendere da solo la tua decisione.»
«Lo so.»
«Qualsiasi cosa sceglierai andrà bene.»
«Lo spero tanto.»
«La seconda è che nessun matrimonio, nessun amore, può sopravvivere nel risentimento e nella mancanza di onestà. Se decidi di tenerla con te, dovrai accettarla per quella che è, non per come la vorresti, altrimenti si sentirà costretta a mentirti. Se la situazione fosse diversa, saresti felice che ti restituisse il favore.»
Aveva ragione, ma... Era in grado di accettare Leonie così com'era? Roman non ne era sicuro e, fino a quando non lo avesse saputo con certezza, doveva proteggere il proprio cuore.
Quando rivide Roman, nella tarda mattinata, Leonie capì che aveva deciso di mantenere le distanze. Avrebbe potuto mettersi a discutere, ma erano arrivati Yarrow e il valletto, Duncan Barr. Era felice di rivedere il maggiordomo. Era una faccia familiare, e in quel momento ne aveva bisogno.
Non poté fare a meno di notare che Yarrow nutriva un grande rispetto per suo marito. Inoltre non sembrava considerare Bonhomie una casa in rovina. Anzi, pareva eccitato all'idea di partecipare alla sua ricostruzione.
Lui e Roman passarono diverse ore girando per la casa e discutendo sulle decisioni da prendere riguardo all'assunzione di nuovi domestici. Yarrow avanzò anche dei suggerimenti per la ristrutturazione di diverse stanze.
Leonie li seguì. Non aveva ancora visitato tutta la casa ed era interessata ai loro discorsi, sebbene Roman non avesse chiesto la sua opinione.
A quanto pareva, aver ceduto alla tentazione bevendo il vino di sambuco le aveva fatto varcare un limite immaginario, nella mente di suo marito. Tenendosi a distanza le stava dicendo che fare l'amore non bastava. Quando si degnava di parlare con lei, il tono carico di trepidazione e speranza era sparito.
Ciò che la feriva di più era il fatto che Yarrow non pareva notarlo.
Pranzarono nel cottage di Catherine e David. Non vennero serviti né sidro né birra, ma solo acqua fresca e tè caldo. Tutti la trattavano con rispetto, ma Leonie aveva la sensazione che i suoceri fossero al corrente della sua debolezza.
Nel pomeriggio Roman, David, Yarrow, Barr e perfino Whiby si recarono dal possidente locale per scegliere gli agnelli, e lei si ritrovò ossessionata dal bisogno di bere. In fondo suo marito pareva aver deciso che la sua anima era nera. Si godeva il suo corpo, ma continuava a disapprovarla.
Spaesata e incerta, si chiese se recarsi al villaggio. Magari là avrebbe trovato una bottiglia, ma se il marito lo avesse scoperto – cosa del tutto prevedibile – non sapeva cosa avrebbe fatto.
In realtà Leonie non lo sapeva comunque. Si sentiva male, tremante e nervosa, ma alla fine rimase a Bonhomie.
Fu comunque una dura prova. Benché esausta, quella notte dormì male, soprattutto dopo aver appreso che Roman aveva deciso di dormire nelle scuderie. Se qualcuno trovava bizzarro che il conte non condividesse il letto della moglie, non fece commenti.
La mattina dopo Leonie venne di nuovo lasciata sola. Yarrow e Roman erano andati nel capoluogo della contea per assumere nuovi domestici, un compito che le sarebbe piaciuto svolgere.
Desiderava avere un ruolo a Bonhomie, se solo Roman gliel'avesse permesso, ma suo marito era così deciso a occuparsi di tutto da solo da non lasciarle il minimo spazio.
Forse trovare qualcosa da bere l'avrebbe aiutata, facendola sentire più forte.
Leonie era convinta di non riuscire a superare quella giornata senza l'aiuto di un po' d'alcol. Si mise il cappellino e partì per il villaggio. Non c'era ancora stata, ma le avevano detto che bastava seguire il sentiero per trovarlo. Non aveva idea di come avrebbe fatto a procurarsi una bottiglia, visto che non aveva un soldo, ma avrebbe escogitato una scusa. Era brava in quel genere di cose.
Proprio come sua madre.
Quel pensiero la bloccò. Sentì salire le lacrime agli occhi, ma le ingoiò.
Doveva essere forte. Non poteva arrendersi. La forza di volontà doveva prevalere, perché altrimenti non sapeva cosa avrebbe fatto Roman.
«Leonie?»
Si girò di scatto e vide la suocera che le veniva incontro uscendo dai boschi. Abbozzò un sorriso, e Catherine la ricambiò.
Portava vestiti logori e un cappello a tesa larga, e aveva le mani e la fronte decisamente sporche. «Venivi a trovarmi?» chiese con aria speranzosa.
«Sì» mentì Leonie. Del resto, cos'altro poteva dire? «Come facevate a sapere che ero qui?»
«Lascia che te lo mostri.» Come se volesse condividere con lei un grande segreto, Catherine le fece cenno di seguirla e la condusse nei boschi ai lati del sentiero che portava al giardino sul retro del cottage. In effetti la casetta non era molto lontana dalla strada.
«Ti andrebbe una tazza di tè?» offrì Catherine.
Leonie avrebbe preferito il vino di sambuco. Non ne poteva più di bere tè. «No, grazie. Sto bene così.»
«Non mi pesa preparartela.»
«Grazie, ma davvero non ho sete.» Doveva aggrapparsi all'orgoglio.
«Allora ti va di aiutarmi?» le propose Catherine.
«A far cosa?»
«Be', nel giardino.» La suocera scoppiò in una risata gioiosa lontana mille miglia da come si sentiva Leonie. «Pensi che sarei così sporca, altrimenti?»
Lei non la conosceva abbastanza da rispondere a quella domanda. In effetti Catherine era un enigma. Preparava il vino di sambuco, creava un unguento che aveva fatto miracoli per i suoi lividi e cuoceva il pane. Svolgere quei compiti in genere riservati ai domestici non le pesava, anzi, pareva che le piacesse.
«Non mi sono mai occupata di giardinaggio.» Leonie era convinta che non le sarebbe piaciuto e fece un passo indietro, ma Catherine tenne duro.
Mostrandosi tenace come il figlio, la prese a braccetto. «Vieni. Ho bisogno di compagnia» insistette. «Non è divertente occuparsi del giardino da sola. Se poi non ti piacerà, non sarà successo niente di male.»
«Non sono vestita per lavorare in mezzo alla terra» obiettò Leonie.
«È vero» riconobbe Catherine. «Posso prestarti un grembiule.» La condusse nel giardino sul retro del cottage. In mezzo il terriccio era stato rovesciato.
«Dora è qui?»
«No, oggi aiuta Beth a scuola. Sapevi che ha fatto l'istitutrice? Lo odiava, ma è brava ad aiutare i bambini a imparare. Beth e Lawrence cercano da tempo di convincerla a lavorare con loro nella scuola, ma lei si impunta ogni volta che la sorella chiede il suo appoggio. David e io pensavamo che avesse l'insegnamento nel sangue, come suo padre, ma forse ci siamo sbagliati.»
«E allora cosa pensa di fare?»
«Buona domanda. Mi piacerebbe vederla sposata, ma ha una personalità forte, e non so se esiste un uomo capace di andare d'accordo con lei. Resta qui un momento, vado in casa a prendere il grembiule.»
Non attese la risposta di Leonie, ma si diresse rapida verso la porta sul retro del cottage.
Leonie si avvicinò al solco aperto nel terreno. Un secchio conteneva alcune piante con le radici esposte. Non avevano un'aria molto attraente, e nemmeno viva.
Catherine arrivò con un enorme grembiule, che le avrebbe coperto tutto il vestito. «Ti piace?» domandò scuotendolo.
Leonie accettò l'idea che per compiacere la suocera avrebbe dovuto lavorare in giardino. Che cos'altro faceva quella donna?
Poi si rese conto che da quando Catherine l'aveva chiamata, non aveva più pensato al bisogno di bere.
«Ho portato anche questi guanti» continuò la suocera. «Sono di David. Sarà contento che tu mi aiuti. Gli piace avere un bel giardino, ma non il lavoro necessario per ottenere un buon risultato.»
Leonie lanciò uno sguardo dubbioso alla terra appena rivoltata, si legò il grembiule in vita e sostituì i suoi bei guanti con quelli di David. Erano logori e troppo grandi, ma per il momento potevano andare. «Cosa devo fare?»
Raggiante, Catherine le tese un rastrello. «Bisogna continuare a spianare le zolle di terra fino a quando non saranno grandi come piselli.»
Le parve subito un compito impossibile.
Catherine prese una zappa e cominciò a spezzare le zolle. Leonie decise di fare almeno un tentativo.
Il lavoro non era poi così impegnativo e dopo un paio d'ore erano riuscite a creare una zona abbastanza liscia. Non era un compito difficile, e la compagnia di Catherine era piacevole, sebbene fossero state così occupate che non era rimasto molto tempo per parlare.
«Bene» approvò Catherine alla fine.
«E adesso cosa facciamo?» chiese Leonie.
«Rivoltiamo di nuovo la terra e poi la spianiamo con il rastrello.»
«Ma l'abbiamo appena fatto!» Leonie si appoggiò al rastrello. «A me sembra a posto.»
«Sì, ma il segreto di un buon giardino sta nel terreno. Ha bisogno di aria e di una bella scrollata, proprio come le persone.»
Leonie non aveva mai pensato che una scrollata le sarebbe servita, ma le era piaciuto avere qualcosa da fare. Così quando Catherine le diede la vanga e le ordinò di sollevare la terra, lei lo fece.
«La parte più dura è stata aprirsi un varco nelle zolle, ma per fortuna se ne è occupato Lawrence» spiegò Catherine.
«Quanti vermi!» strillò Leonie, allarmata. «La terra ne è piena.» Aggrottò la fronte, disgustata, ma sua suocera pareva contenta.
«Non sono grassi e belli? Sapevo che era un buon posto per un giardino. Riceverà molto sole, e tutto crescerà bene, compresi i lombrichi. Dovremmo dirlo a Roman.»
«Perché dovrebbero interessargli quei vermi?»
«Adora pescare, e i lombrichi sono un'ottima esca.»
«Gli piace pescare?» Leonie non lo aveva mai sentito accennare a quello sport, ma in fondo non era strano, visto che non le rivolgeva la parola.
«Da ragazzo lo faceva ogni volta che poteva. Dicono che un tempo c'erano molti pesci nei ruscelli che attraversano il villaggio. Roman sta usando gli uomini del possidente locale per dragare le vie d'acqua, nella speranza che le trote ritornino.»
Pareva un progetto ambizioso, così come il giardino, eppure avevano fatto progressi. «Che tipo di orto sarà?» chiese Leonie.
«Ci coltiverò erbe aromatiche e verdure.»
«Una scelta pratica.»
«Se uno ama mangiare» replicò Catherine con un sorriso.
«Se mai dovessi avere un giardino, pianterei dei fiori» dichiarò Leonie. «Anche se non è molto pratico.» Il braccio le faceva un po' male dopo tanto lavoro, ma non si fermò. Era bello stare all'aria aperta e fare qualcosa di costruttivo.
«I fiori sono sempre pratici» osservò la suocera. «La gente ha bisogno della bellezza. Quali sceglieresti per Bonhomie?»
Leonie non ci pensò su a lungo. «Rose. Mi piacciono anche le margherite e quella pianta alta e sottile, con tanti fiori. Non conosco il suo nome.»
«Speronella?»
«Forse. Comunque pianterei soprattutto rose. Lady Bedford ha un roseto, a Londra, che ha creato seguendo le descrizioni di quello dell'Imperatrice Giuseppina. La primavera scorsa ha tenuto una festa là. Non ero mai stata in un posto così bello e profumato.»
«Mi sembra un'idea splendida. Devi chiedere a Roman di prepararti un'aiuola e accertarti che sia in un punto molto soleggiato.»
«E pieno di lombrichi.»
Catherine scoppiò a ridere. «Sì, di quelli belli grassi.»
Si fermarono un momento per bere un bicchiere d'acqua di sorgente, buona e fresca. Leonie lo tracannò, avida. Avevano lavorato per due ore ed era piuttosto fiera del risultato ottenuto. Si era perfino tolta i guanti troppo grandi e aveva spezzato le zolle erbose con le dita, come faceva Catherine.
«E ora?» domandò alla suocera.
«Ora piantiamo» rispose lei con un sorriso. «È la parte migliore.»
Era vero. Catherine aveva ricevuto le piantine da diverse donne del villaggio. Spiegò a Leonie cos'erano e le mostrò come metterle nel terreno. Era semplice e molto soddisfacente. Piantarono rosmarino, timo e menta per gli unguenti. Misero quest'ultima in fondo all'orto, perché tendeva a diffondersi e aggiunsero una pianta chiamata echinacea. «Attira le api» spiegò Catherine. «David vuole avere un alveare.»
Leonie non era sicura che fosse una buona idea. «Chi vuole ritrovarsi circondato dalle api?»
Catherine scoppiò a ridere. «Mi piace sentire il loro ronzio. Piacerà anche a te, vedrai.»
Leonie temeva di venir punta da un insetto, ma dovette ammettere che si stava divertendo. La figlia di William Charnock, nel suo elegante vestito da giorno, era coperta di terriccio, ammirava i lombrichi e si sentiva felice!
Sì, felice.
Fu una scoperta sconcertante.
Nelle ultime ore non aveva pensato ai suoi problemi, né si era chiesta dove la suocera tenesse il sidro, o il vino di sambuco.
Catherine le stava raccontando i suoi piani per le verdure da piantare accanto alle erbe aromatiche quando Leonie provò l'improvviso impulso di confidarsi con quella donna tanto gentile. «Ho un problema con l'alcol.»
La suocera si interruppe a metà di una frase. Abbassò il braccio che aveva teso per descrivere un'altra aiuola vicino alla porta sul retro del cottage. «Lo so.»
«Pensate male di me?»
Catherine rifletté un momento. «Credo che tutti, nella vita, dobbiamo affrontare delle sfide» rispose infine. «David sta perdendo forza nelle gambe. Non so cosa succederà, ma il dottore teme il peggio. Sono contenta che noi due possiamo stare qui con Roman e le mie figlie.»
«Intendete dire che non riuscirà più a camminare?»
«No, Leonie. Peggio.»
«Potrebbe morire?»
Catherine si chinò a strofinare una foglia di menta tra le dita. «Sì» confermò. «Secondo il medico soffre di una forma di deperimento organico.»
Era una notizia sconvolgente. «Avete paura?»
La suocera lottò per un momento con emozioni che Leonie poteva solo immaginare. «Mia cara ragazza, la cosa più importante non è come moriremo, ma come viviamo. Ora David sta bene. Siamo felici, ed è questo che conta. Inoltre spero sempre che il dottore si sbagli.» Si interruppe un attimo, poi riprese a parlare. «In questo momento ti senti bene?»
«Riguardo al bere?» Leonie era stata così presa dalla storia di David da aver dimenticato il proprio problema. «Oggi pomeriggio stavo andando al villaggio a cercare qualcosa da bere... qualsiasi cosa. Se l'avessi trovata, non so come sarebbe andata, tra me e Roman.»
«Tu cosa vorresti?» Catherine aveva un tono cauto, come se sapesse di muoversi su un terreno pericoloso.
«Vorrei che mi perdonasse di nuovo, ma lui non lo farà. Anzi, potrebbe decidere di averne abbastanza.»
«E questo ti peserebbe?»
Leonie fissò la terra che aveva spezzato con le dita. «Sì» ammise con voce sommessa. In realtà aveva parlato più a se stessa che a Catherine.
La suocera, però, l'aveva sentita. Si chinò in avanti e le coprì la mano con la propria. «Ho conosciuto persone con la tua inclinazione. Hanno dovuto imparare a stare alla larga dall'alcol.»
«E come hanno fatto?» Era quello il punto cruciale.
«Non gliel'ho mai chiesto. Mi sembrava una domanda indiscreta.» Catherine rifletté un momento, poi riprese a parlare. «Hanno trovato qualcosa che amavano più dell'alcol, penso.»
«Qualcosa che amavano di più» ripeté Leonie guardando le pianticelle. «Mi è piaciuto fare questo. Non ho mai pensato un attimo al bere.»
«È un buon inizio. E mio figlio?» domandò Catherine dopo un'altra pausa.
Leonie la guardò confusa.
«Lo ami abbastanza per cambiare?»
Amava Roman? «Lui ha detto che mi ama» ammise. «O che mi amava. Però è chiaro che non ha più voglia di passare molto tempo con me. È furibondo.»
«Non ti ho chiesto cosa pensa Roman di te, ma cosa pensi tu di lui, Leonie.»
«Non sono sicura di capire cos'è l'amore, soprattutto se penso al modo in cui ne parla la vostra famiglia. Il mio matrimonio non assomiglia affatto a quello dei miei genitori.» Leonie studiò le foglie dell'echinacea, poi riprese a parlare. «Penso che sia l'uomo più onesto, audace e premuroso che abbia mai conosciuto. L'idea di averlo deluso mi devasta. Dispiacermi per questo è amore? Sentire la sua mancanza è amore? Non parliamo, e questa è la cosa che odio di più. Mi sembra di aver intravisto come potrebbero essere le cose tra noi, e poi ogni volta finisco per deluderlo.»
Catherine si sporse in avanti. «Io credo che mio figlio tenga molto a te, ma ora voglio spiegarti una lezione che ho imparato: se non avessi amato me stessa, non avrei mai capito il mio valore per David o per i miei figli. Dovevo cominciare da me. Devi amare te stessa abbastanza da salvarti, Leonie.» Le scostò i capelli dalla tempia. «Solo allora imparerai ad amare gli altri. Ti do un suggerimento: non si esaurisce tutto in camera da letto. Il punto riguarda più come ci onoriamo a vicenda.»
«Ossia dovrei smettere di bere e fare ciò che vuole lui?»
«Forse Roman è più spaventato che furioso, ma in ogni caso non può aver più paura di quanta ne abbia tu per te stessa. Lo squilibrio vi distruggerebbe.»
Leonie strinse la suocera in un abbraccio impetuoso. Non avrebbe mai fatto una cosa simile con sua madre, e lei non le avrebbe mai dato dei consigli così saggi, motivati e personali. «Grazie» sussurrò.
«Desidero che tu e Roman siate felici. Mi piacerebbe tanto avere dei nipotini, da voi, ma so che questo non è nelle mie mani» dichiarò Catherine con semplicità.
Leonie annuì e si tirò indietro. Aveva bisogno di un po' di tempo per assimilare ciò che era accaduto nel giardino della suocera. «Sarà meglio che torni a Bonhomie. Ci vediamo stasera.»
«Ho già in pentola uno stufato di pollo.»
«Dev'essere ottimo.» Leonie si tolse il grembiule, lo ripiegò e vi posò sopra i guanti. Nonostante la protezione del grembiule, il vestito si era sporcato, le scarpe avevano bisogno di una bella lucidata e le unghie erano orlate di terra, ma non se ne curava. Erano tutti problemi facili da risolvere. «Mi è piaciuto molto lavorare in giardino.»
«Torna quando vuoi. David e io amiamo questo cottage, e io desidero molte aiuole.»
«Grazie. Lo farò.»
Leonie tornò a Bonhomie prendendo la scorciatoia per i boschi. Rifletté su ciò che Catherine le aveva detto: aveva sempre pensato di avere un'ottima opinione di sé, ma ora non ne era più così sicura.
La sensazione che le cose andassero bene continuò per tutta la serata. A cena si sentì rilassata, e la notte andò a letto, sempre senza Roman. Stavolta, però, era talmente stanca per il lavoro all'aria aperta che dormì come un sasso.
Si svegliò un'ora prima dell'alba con le spalle un po' indolenzite e quelli che sembravano nuovi muscoli nel braccio. Si rese conto che il suo primo pensiero non riguardava il desiderio di bere, ma le rose. Rose rigogliose e profumate, piantate e curate da lei. Rose come quelle del giardino di Lady Bedford e dell'Imperatrice di Francia.
L'ora mattutina non la fermò. Leonie indossò l'abito più vecchio che trovò nel baule, infilò le scarpe comode che aveva usato il giorno prima e si diresse verso le scuderie.
Trovò il marito che dormiva su una branda in uno degli scomparti vuoti. Yarrow, Barr, Whiby e i due uomini assunti per lavorare nei campi dormivano nel sottotetto. Leonie li sentì russare.
Tutti sapevano che il marito disertava il suo letto, e Leonie aveva esitato a farsi valere, ma in quel momento l'opinione altrui non le interessava. Aveva una missione. Voleva un roseto.
Il corpo del marito riempiva tutta la branda scomoda e stretta. Fece per scuoterlo per le spalle, ma poi si fermò con la mano sospesa su di lui e annusò l'aria.
Sapeva di un liquore forte. Leonie lo riconobbe subito, perché aveva bramato quell'odore per gli ultimi due giorni, anche se in quel momento non le pareva affatto gradevole.
Roman aveva bevuto al punto che gli era rimasta addosso la puzza?
Al senso di colpa subentrò l'indignazione. Nemmeno suo marito era perfetto. La cosa non l'avrebbe offesa, non fosse stato per la punizione che le aveva imposto come un cilicio. Be', ora se ne sarebbe liberata.
Diede un colpetto sulla spalla a Roman, e lui la scacciò come avrebbe fatto con una mosca.
Lo chiamò piano per non farsi sentire fino al sottotetto.
Lui gemette e si girò, dandole le spalle, una vera impresa in quella branda stretta, scomoda e instabile.
Leonie rimase un momento indecisa. Fuori dalle scuderie il sole stava sorgendo e gli uccelli cominciavano ad annunciare il nuovo giorno, il giorno in cui avrebbe dato inizio al suo roseto.
Vicino alla brandina di Roman c'era un'incudine appoggiata al muro. Leonie aveva notato un secchio pieno di ferri da cavallo nel passaggio centrale delle scuderie. Pensò agli altri uomini che dormivano sereni. Le dispiaceva disturbare il loro sonno, ma la stessa cosa non valeva per Roman.
Oh, sì, sarebbe stato divertente, dopo che aveva fatto tanto il superiore con lei.
Il secchio era pesante, ma era decisa, e riuscì a trascinarlo fino all'incudine. Cercò di sollevarlo per rovesciare i ferri da cavallo, ma capì che non ce l'avrebbe fatta. Così ne afferrò diversi, li tenne sospesi sopra l'incudine e poi li lasciò cadere.
Il rumore prodotto dall'urto del metallo contro il metallo non fu fragoroso come sperava, ma ottenne comunque il risultato voluto.
Roman cadde praticamente giù dalla branda e balzò in piedi stringendo i pugni, pronto a respingere un attacco. E come avrebbe potuto? Aveva gli occhi semichiusi e ondeggiava lievemente.
Riconoscendo Leonie aggrottò la fronte e abbassò i pugni. «Va tutto bene?»
«Sì, ma ho bisogno del tuo aiuto» rispose lei in tono vivace. «Come si fa ad attaccare il cavallo all'aratro?»
Roman scosse la testa come se non riuscisse a credere alle proprie orecchie. «Vuoi usare... l'aratro? E per quale motivo?»
«Ho intenzione di piantare delle aiuole. Comincerò con le rose, come l'Imperatrice Giuseppina.»