Roman aveva sognato di dormire accanto a Leonie.
La sera prima a cena gli era parsa più rilassata di quanto l'avesse vista per giorni. Partecipava alle conversazioni della famiglia e pareva anche meno a disagio con lui.
Non sapeva bene come reagire a quel cambiamento. A dir la verità vederla a testa bassa non gli era dispiaciuto tanto: significava che teneva alla sua opinione e che anche lui era in grado di turbare la sua serenità.
Tornando dal cottage non lo aveva seguito, né aveva tentato di mettersi al suo fianco o di superarlo, ma si era mossa con grazia disinvolta.
Inoltre lo aveva tempestato di domande sui suoi piani per il campo che aveva arato insieme agli uomini appena assunti. Cosa pensava di piantare? Perché aveva scelto proprio il trifoglio?
Arrivato il momento di separarsi – lui per dirigersi con nobile rinuncia verso le scuderie e lei verso casa – Leonie gli aveva augurato la buona notte in tono allegro, come se qualcosa d'altro le occupasse la mente. Qualcosa che non era lui.
Stava pensando di lasciarlo e di tornare a Londra? Roman non riusciva a immaginare un altro motivo per quel comportamento. In fondo era stata una possibilità fin dall'inizio. Era quello l'accordo che Leonie gli aveva proposto. Non sarebbe stato meglio da solo, piuttosto che con lei, a preoccuparsi giorno e notte per il suo vizio del bere?
Peccato che l'idea non lo rendesse affatto felice.
Decise che non doveva tentare di fermarla, se proprio intendeva andarsene. Leonie aveva troppo potere su di lui e poteva fargli fare la figura dello stupido, come era già successo in India.
Certo, non era tutta colpa sua. I Charnock avevano giocato un ruolo importante, lasciandolo da solo ad affrontare la corte, e la decisione di mentire riguardo alla morte di Paccard era stata sua, non di Leonie, dunque non poteva prendersela con lei.
Il suggerimento di David sull'opportunità di lasciare che la giustizia facesse il suo corso lo tormentava. La sua decisione di assumersi la colpa per la morte di Paccard aveva forse contribuito al vizio del bere di Leonie e a quel muro tra di loro?
Alla fine Roman era andato nell'osteria del villaggio perché non aveva voglia di compagnia e perché provava la forte tentazione di strisciare sulle ginocchia dalla moglie e chiederle perdono per la propria villania. Non poteva farlo, però. No, non avrebbe ceduto.
Mezza bottiglia di whisky lo aveva convinto che faceva bene a restare inflessibile, ma ciò non le aveva impedito di invadere il suo sonno da ubriaco. E ora Leonie gli stava davanti e parlava di attaccare il cavallo all'aratro.
Forse stava ancora sognando?
A giudicare dal mal di testa martellante, pareva proprio di no.
Guardò la moglie raccogliere dei ferri da cavallo e gettarli in un secchio. Appariva riposata e felice, mentre lui avrebbe voluto staccarsi la testa dalle spalle. Ritrovò la voce. «Attaccare... il cavallo?» borbottò.
«Sì, all'aratro.» Leonie lasciò cadere l'ultimo ferro da cavallo nel secchio. Aveva i capelli sciolti sulle spalle, come gli piaceva tanto, e indossava un semplice abito azzurro. D'altra parte non aveva bisogno di pizzi, arricciature e bottoni per apparire graziosa. «Ho deciso dove dovrebbe sorgere il roseto. Naturalmente forse sarebbe meglio arare tutto il prato sul retro, così poi potrò ripiantarlo nel modo che mi sembra più giusto.»
Il dolore alla testa cominciava a scemare. «Tu vuoi usare l'aratro?» chiese Roman parlando lentamente.
«È molto faticoso? Non basta seguire il cavallo?»
«Bisogna anche tener giù l'aratro.» Non disse che non aveva mai visto una donna dedicarsi a quel compito. Se l'avesse fatto, Leonie avrebbe potuto prenderla come una sfida.
Lei rifletté un momento sulla sua risposta. «Forse avrò bisogno di aiuto» ammise poi.
«Credo proprio di sì.»
Leonie gli rivolse un sorriso talmente radioso da fargli male agli occhi iniettati di sangue.
Roman si sentiva spaesato. Nessuna donna aveva un sorriso potente come quello di Leonie. Certo, il suo aspetto avrebbe potuto scatenare la fantasia di qualunque uomo, ma quel sorriso aveva un che di incerto, quasi che attribuisse importanza all'opinione di suo marito.
«Vieni» lo invitò. «Lascia che ti mostri cosa voglio fare.»
Cominciò ad avviarsi fuori dallo scomparto.
«Aspetta!» la richiamò Roman. «Devo mettermi gli stivali.»
«Hai bisogno di aiuto?»
Era un'offerta! Roman batté le palpebre più volte per accertarsi che non stava sognando. No, era tutto vero. Leonie era in piedi accanto alla porta, più fresca e graziosa che mai.
Roman prese gli stivali e li infilò. Impiegò un momento per alzarsi in piedi. La brandina era il giaciglio più scomodo in cui avesse mai dormito. Si stirò, si orizzontò e le fece segno di precederlo. La seguì fuori dalle scuderie e batté le palpebre alla luce intensa del mattino.
«Quando mi sento come te, ho imparato che lavarmi la faccia e i denti mi è di aiuto» commentò Leonie, pensierosa.
Aveva ragione. «Torno subito.» Roman si diresse verso la cucina della casa. Quando aveva lasciato la loro stanza, aveva spostato là i suoi oggetti personali e l'occorrente per radersi.
«Ti aspetto alla porta del giardino.»
Roman si fermò di colpo. «La porta del giardino?» ripeté, sconcertato.
Leonie scoppiò a ridere. «La porta sul retro. Aspetta di conoscere i miei piani.»
Quella era davvero sua moglie? Incuriosito, Roman si affrettò a rimettersi in sesto. Mentre si spruzzava dell'acqua fredda sul viso, rifletté che Leonie si era comportata in modo molto generoso. Se l'avesse sorpresa in quello stato, lui sarebbe stato... crudele?
Le loro situazioni erano diverse, si disse. Lui aveva commesso un errore, mentre il vizio del bere era un problema collegato al carattere di Leonie.
O forse era lui ad avere un problema?
Si passò una mano sulla guancia ispida e si guardò nello specchio. Ciò che vide non gli piacque: appariva stanco, disilluso e prostrato dalla sbronza.
Non voleva essere così.
Si fece la barba, si lavò i denti e cominciò a sentirsi meglio. Poi indossò una camicia pulita e si diresse verso la porta sul retro.
Leonie era ferma sul prato e guardava la casa.
Roman indugiò un momento per assaporare quella visione. Durante la sua assenza si era raccolta i capelli in una crocchia sulla nuca. Avvertì la sua presenza e gli rivolse un sorriso di benvenuto che gli rubò il cuore.
«A cosa stai pensando?» le chiese. La voce pareva normale, ma dentro di lui si agitava un misto di desiderio fisico e meraviglia.
«Quando pensi di cominciare a ricostruire questo lato della casa?»
«Tra due giorni. Dei muratori mi hanno contattato per offrire i loro servizi.»
«Riuscirai a copiare i montanti di pietra delle finestre, in modo che siano uguali a quelli dall'altro lato della casa?»
«Non lo so.» Roman la raggiunse sul prato. «Forse dovremo accontentarci del legno. È una soluzione più semplice.»
«Con i motivi incurvati?» Si riferiva alle foglie di edera che comparivano sulle finestre originali.
«Forse no.»
«Sarebbe un peccato. D'altra parte il fatto che i due lati della casa non siano identici potrebbe fornire un motivo di interesse.»
Roman era d'accordo. «Stai dicendo che potresti abituarti al Rifugio dei corvi?» si informò, cauto.
La bocca generosa di lei assunse una piega mesta. «Lo chiamo così, ma stamattina non ci sono corvi.»
«Arriveranno più tardi.»
«Vedremo.» Leonie gli rivolse un altro rapido sorriso e poi riprese a parlare del roseto. Aveva molte idee. Sarebbe diventato un giardino degno di un palazzo reale. Voleva piantare delle rose intorno alla casa e attraverso il prato, e prevedeva perfino un pergolato di rose rampicanti, con delle panchine al di sotto. «L'ho visto nel giardino di Lady Fitzhugh, e mi è sembrato il posto ideale per godersi una giornata estiva. È possibile costruirlo?»
Il suo entusiasmo era contagioso. Quei piani gli piacevano. «Ma certo. Adams, al villaggio, è un abile falegname. Lui e i suoi figli realizzeranno qualsiasi cosa disegnerai.»
«Qualsiasi cosa disegnerò» ripeté Leonie. Poi lo guardò. «Mi piace. Sarà il segno che lascerò su Bonhomie.»
«Sì» confermò lui. Azzardò un passo avanti, ma poi un'espressione che le attraversò il viso lo indusse a fermarsi. Era un misto di desiderio e rimpianto.
Leonie si allontanò di un passo. Dunque non aveva frainteso.
Roman si fermò. Erano uno davanti all'altra e per chiunque li guardasse sembravano un marito e una moglie intenti a discutere del giardino, ma lui sapeva che c'era sotto molto di più. «Ti amo» proruppe. A parte tutti i dubbi, era ciò che sentiva.
Leonie incrociò le braccia al petto e cercò di sorridere, ma non ci riuscì del tutto. «Lo so.»
«Allora tutto andrà bene, tra noi.»
Lei aumentò la stretta delle braccia. «Sto cercando di essere forte.»
«Tu sei forte, forse più di quanto io...»
Leonie annullò lo spazio tra di loro e gli posò la punta delle dita sulle labbra. «Avevi ragione a essere arrabbiato» dichiarò.
«Leonie...»
«No, Roman. Non metterti a discutere» lo mise a tacere lei. «Non so se riuscirò mai a superare la mia debolezza, però so di tenere al tuo benessere più che al mio. È amore, questo? Non ne sono sicura, ma ho la certezza di desiderare qualcosa di più di quello che hanno i miei genitori.»
Lo voleva anche lui. Con la mente e con il cuore Roman sapeva che lei aveva ragione, eppure il corpo lo implorava di gridare il contrario. Usami. Lasciati amare. Farò qualsiasi cosa per tenerti al sicuro, per proteggerti.
Lei parve sentire le parole che non aveva pronunciato. «Non sei tu il punto. Sono io che devo salvarmi da sola. Devo trovare il modo di sopravvivere, e penso che le rose saranno la chiave. Hanno già preso possesso della mia immaginazione. So che può sembrare stupido, ma guarda...» Tese la mano. «Visto? Non trema.»
Roman la prese nella propria. Adorava il tepore della sua pelle. L'aveva perfino sognato.
Lanciò uno sguardo al prato che Leonie voleva trasformare in una distesa di aiuole. Trasformare...
Roman non nutriva molto interesse per i fiori. Voleva produrre cibo da mangiare, cereali da macinare e foraggio per gli animali. La sua passione erano le cose permanenti, come ricostruire Bonhomie. Le rose erano belle. Avevano un buon profumo, ma non si potevano mangiare, o tessere.
Se però erano in grado di nutrire l'anima di Leonie, era disposto a piantarne acri interi.
Per quell'unico motivo si mise a studiare il retro della casa. «Dunque vuoi piantare un roseto da quella parte. Così sarebbe abbastanza profondo?» chiese, tracciando una linea nell'aria.
«Sì. E poi vorrei piantare un orto con delle erbe aromatiche vicino alla porta della cucina. Tua madre mi aiuterà a progettarlo. Queste aiuole sono solo l'inizio.» Leonie abbassò lo sguardo sulle loro mani ancora unite e non tirò indietro la sua. «Vorrei anche poter dire la mia sull'assunzione dei nuovi domestici» aggiunse.
«Sono d'accordo. Da' pure i tuoi ordini a Yarrow, mentre io mi occuperò di arare la terra per le aiuole.»
Leonie gli regalò un sorriso raggiante. «Grazie, Roman.»
Cielo, con lei si sentiva davvero remissivo!
«Ti andrebbero una tazza di tè e del pane tostato?» gli propose. «Sono brava a preparare il tè, e Dora mi ha spiegato come tostare il pane. Voglio utilizzare il suo metodo, non sembra molto difficile. Lo ha appena sfornato tua madre, dunque, se brucerò la prima fetta puoi sempre mangiarlo fresco.»
«Chi avrebbe immaginato che l'elegante Miss Leonie Charnock di Londra si sarebbe messa a tostare il pane?»
Leonie arrossì. «Aspetta di assaggiarlo, prima di vantare le mie capacità.»
Fece per avviarsi verso la casa, ma Roman, che la teneva ancora per mano, la trattenne. Lei gli lanciò uno sguardo.
«Dormiremo insieme» dichiarò. Leonie dischiuse le labbra come per protestare, ma lui la bloccò. «Sì, dormiremo insieme» ripeté. «Non farò niente che tu non voglia.» Sarebbe stato molto difficile non toccarla, ma in qualche modo ci sarebbe riuscito. «Sono stufo di dormire su quella branda. Rivoglio il mio letto.»
Lei sollevò il mento, e un lampo ardente le accese lo sguardo. «Sei stato tu a lasciarlo, Roman, non io.»
«È vero. Sono un idiota.»
Leonie abbassò lo sguardo sulle loro mani, e il suo umore si addolcì. Gli sorrise, e Roman la ricambiò. C'era speranza, per loro. Ci sarebbe voluto tempo, lo sapeva. Lei era ancora fragile e si era data un compito enorme, che doveva svolgere da sola.
E lui poteva essere paziente? Non l'aveva aspettata abbastanza? La risposta era semplice: era disposto ad attenderla per sempre.
Leonie finì per bruciare la prima fetta di pane, e Roman la mangiò comunque, ricoprendola di lodi.
Roman mantenne la parola e mandò uno degli uomini ad arare il terreno sul retro della casa. Fu una vera impresa.
Leonie non ebbe l'opportunità di osservarlo perché era impegnata a parlare con Yarrow del personale da assumere.
Era tutto nuovo per lei. Non aveva mai mandato avanti una casa, e si rese conto che lo stesso valeva per sua madre. Elizabeth era troppo presa da altri interessi, e Leonie non aveva mai prestato attenzione a ciò che facevano le governanti. Inoltre in casa loro i domestici abbondavano, mentre a Bonhomie, nonostante la ricchezza portata dalla sua dote, dovevano fare economia, se volevano realizzare tutti i piani di Roman.
Yarrow capiva la sua inesperienza e con infinita gentilezza la istruì su tutte le questioni che la signora di una tenuta del genere doveva conoscere.
Leonie poteva anche contare sul sostegno e la saggezza della suocera e delle cognate. Se non fosse stato per Catherine, avrebbe assunto la prima cuoca che si era presentata.
«Non vuoi prima sapere come cucina?» le aveva chiesto la suocera.
Leonie aveva scrollato le spalle. «È una cuoca e ha buone referenze. Perché non dovrebbe cucinare bene?»
«Perché ci sono molte cose da sapere sull'arte di cucinare» aveva risposto Catherine.
«Io non so niente. Come posso giudicare il suo operato? Ho servito a Roman del pane bruciato.»
«Però mangi, no?» interloquì Dora con i suoi soliti modi diretti. «Questo è l'unico modo per capire se una cuoca è brava o no.»
Incoraggiata dalla suocera e dalla cognata, Leonie aveva chiesto alla donna che si era presentata di preparare un pasto. Il cibo era terribile, e il motivo era chiaro: non c'era sale, il sugo era insapore per la mancanza di grasso, e le verdure erano scotte. E così era cominciata l'educazione culinaria di Leonie.
«Perfino una contessa di tanto in tanto deve bollire un uovo» aveva sentenziato Dora.
Leonie cercò così di bollire le uova per accompagnare il pane tostato del marito. Le uova portarono alle galline, e il pollaio abbandonato venne ripulito. Roman comprò un gallo e diverse galline per riempirlo, e Leonie si occupò di raccogliere le uova fino a quando una ragazza del villaggio non venne assunta come sguattera.
Nel giro di due settimane Leonie assunse, con l'approvazione della famiglia, un'ottima cuoca che voleva spostarsi dallo Yorkshire al Somerset per essere più vicina alla famiglia. La donna aveva lavorato in una grande tenuta e non ebbe difficoltà a capire che non doveva solo cucinare per la famiglia estesa del Conte di Rochdale, ma anche per i lavoratori dei campi, i muratori, i falegnami, gli stallieri e il crescente numero di domestici. Leonie non sapeva come riuscisse a svolgere quell'enorme compito, ma tutti erano sazi e soddisfatti.
Roman assunse come intendente un certo Mr. Briggs, che aveva ottime referenze e sapeva come affrontare le foreste che circondavano Bonhomie. I campi cominciarono a prendere forma. Uno venne seminato a trifoglio: a Leonie era sembrato strano, ma Mr. Briggs e Roman lo ritenevano adatto al suolo, e utile per il futuro. Gli altri campi vennero riservati al granturco e al fieno. Un cugino di Briggs ricostruì un vecchio mulino caduto in rovina, in modo che la gente non dovesse più viaggiare fino a Ilminster per macinare i cereali. Roman e Briggs iniziarono anche a progettare una segheria. Ora che i ruscelli scorrevano liberi, l'acqua si poteva utilizzare in molti utili modi.
Duncan Barr, il valletto di Roman, scoprì che preferiva lavorare con gli animali piuttosto che lucidare stivali. Con il permesso di Roman prese a occuparsi degli agnelli che sarebbero diventati il gregge di Bonhomie. Leonie adorava guardarli giocare nei campi e divenne un po' triste quando crebbero abbastanza da non spassarsela più a saltellare tra i ranuncoli.
Roman aveva visitato un meleto dove le pecore brucavano sotto gli alberi, ed era deciso a fare la stessa cosa a Bonhomie. Gli pareva sensato utilizzare la terra per due scopi, anche se i suoi meli erano ancora minuscoli.
Un tratto di mezzo acro tra Bonhomie e il cottage di David e Catherine venne preparato per ospitare un orto, che venne affidato ai suoi genitori. Man mano che la primavera lasciava il passo all'estate, i due passavano là le prime ore del mattino. A volte Leonie li aiutava a strappare le erbacce, e spesso Edward e Jane si univano a loro. Leonie amava la loro compagnia: circondati da adulti affettuosi, vivevano un'infanzia molto diversa dalla sua. La loro curiosità veniva incoraggiata, e lei si ritrovò spesso a pensare a quanto fosse stata sola, da piccola.
Pur avendo giurato di evitare tutti i bambini tranne i nipoti, Dora cominciò a passare più tempo alla scuola del villaggio e a sostituire Beth come insegnante. La parrocchia stava crescendo, e Lawrence aveva bisogno dell'aiuto della moglie. Gli anni passati a fare l'istitutrice erano stati terribili per Dora, ma ora scoprì che le piaceva occuparsi di una classe e che i bambini non erano poi così tremendi, tanto più che ogni giorno dopo le lezioni tornavano a casa dai genitori.
Bonhomie brulicava di vita sotto ogni aspetto. Roman portò delle anatre per lo stagno e una mucca per il latte, comprò due enormi buoi per trainare l'aratro e assegnò altri compiti ai cavalli da tiro.
I conigli scoprirono il giardino. Roman aveva fatto costruire una recinzione per tenere lontani i cervi, ma i conigli trovavano sempre un modo per intrufolarsi. Fu allora che Chester e Soldier entrarono nelle loro vite.
Chester era un cane pastore che aiutava Barr con le pecore. Una volta completati i suoi compiti per la giornata, andava in perlustrazione in cerca di conigli insieme a Soldier, un vivace cucciolo di segugio che quando non fiutava ladri da giardino voleva seguire Roman dovunque andasse, compresa la casa.
All'inizio Leonie si rifiutò di lasciar entrare i cani. Chester era felice di dormire nelle scuderie con gli uomini, ma Soldier era più avvilito che mai. Gli bastò stare a uggiolare per un giorno sulla porta di casa perché Leonie cedesse.
Quando infine lo lasciò entrare, Soldier si mise a scodinzolare con tanta foga da rischiare di farsi male.
Leonie era ammaliata.
Un pomeriggio un macilento gatto soriano entrò nella tenuta. Aveva un occhio chiuso per una zuffa, e vedendolo così conciato Leonie si impietosì. Gli offrì del latte fresco, e lui lo bevve come se stesse per morire di fame, poi scomparve.
Leonie si preoccupò. Roman le spiegò che i gatti erano creature indipendenti e capaci di badare a se stessi. Se avesse voluto, sarebbe tornato.
Lei però non ne era così sicura. Una volta, da bambina, aveva trovato un micino. Avrebbe voluto tenerlo, ma il padre si era opposto, e aveva ordinato di cacciarlo. Il giorno dopo, mentre faceva una passeggiata con la governante, aveva visto il suo corpo per strada e aveva pianto, inconsolabile.
Stavolta però risultò che Roman aveva avuto ragione: la mattina dopo la cuoca rimase inorridita trovando sui gradini sul retro un grasso topo morto. Quando la sguattera arrivò con il latte, il gatto soriano la seguiva. Felice del suo ritorno, Leonie gli servì un piattino di crema e lo chiamò Visnù, in ricordo del dio hindu che dispensava protezione. Roman scoppiò a ridere sentendo quel nome, ma Visnù si rivelò all'altezza della sua fama, tenendo lontani i roditori dalle scuderie e dalla dispensa. La cuoca sosteneva di non aver mai visto un cacciatore di topi migliore di lui. La mattina e il pomeriggio, quando Leonie lavorava in giardino, il gatto dava la caccia alle farfalle o si sdraiava al sole, tenendo d'occhio lei e Soldier.
Il roseto si dimostrò più complicato del previsto. A Bonhomie nessuno era un grande esperto di rose. Roman chiese informazioni a Londra e comprò un libro dal suo amico Thaddeus Chalmers, pieno di illustrazioni deliziose ma con poche informazioni.
Così Leonie imparò da sola. I vicini che avevano delle rose le permisero di tagliare delle talee, e lei cercò di sistemarle nell'acqua, nel terreno umido e nella torba. Scoprì che alcune prosperavano nell'acqua, mentre altre preferivano la terra.
Si diffuse presto la voce che Lady Rochdale amava le rose, e Leonie si rese conto di non essere sola. Appassionati di rose le scrissero da tutto il Somerset, offrendole talee e consigli, e in quel modo il suo piccolo giardino cominciò a crescere.
Catherine l'aiutava con le altre aiuole, ma Leonie si occupava da sola delle rose. Ogni fogliolina la riempiva di orgoglio. Quando una nobile signora di Ilminster le offrì un intero cespuglio fu quasi sul punto di scoppiare a piangere di gioia. Forse quell'estate avrebbe già avuto delle fioriture.
Almeno una volta alla settimana Roman trovava il tempo di sedersi in giardino mentre lei lavorava. Gli piaceva vederla con il mento e le unghie sporchi di terra, o almeno così diceva. Non era vero, Leonie lo sapeva, ma in quei momenti avevano le loro migliori conversazioni. Le loro vite ormai erano così piene di impegni che avevano poco tempo per loro. Roman parlava dei cambiamenti che intendeva introdurre, e Leonie condivideva con lui le sue idee per la casa. La loro casa...
In momenti come quelli si sentiva in colpa perché pensava alla fiaschetta nascosta della madre o moriva dalla voglia di un goccetto di brandy. La tentazione di bere non era mai lontana dalla sua mente. Aveva una volontà debole, cosa di cui si vergognava. Era contenta che Roman avesse eliminato ogni tipo di bevanda alcolica da Bonhomie.
E naturalmente ora dormivano nello stesso letto.
Certo, Roman ne aveva il diritto, ma lei aveva costruito una barriera di lenzuola tra loro, così che ognuno aveva il suo lato.
Non appena aveva visto ciò che aveva fatto, Roman aveva buttato tutto per terra. Leonie aveva ricostruito quel muretto divisorio, e lui lo aveva di nuovo distrutto.
Leonie ne dedusse che Roman voleva fare l'amore con lei e che avrebbero continuato quella schermaglia tanto soddisfacente. Anche quando portava i pantaloni, il marito era un uomo imponente, e la sua eccitazione era difficile da nascondere. La sola vista era sufficiente a suscitarle un desiderio altrettanto intenso.
Non era quello, però, che Roman aveva in mente. «Ti desidero, certo. Puoi vederlo con i tuoi occhi» ammise una sera indicando la reazione del proprio corpo, «ma non siamo ancora pronti per un noi in quel senso, Leonie. Non è ancora il momento.»
Che cosa curiosa da dire! Comunque dimostrò che parlava sul serio piombando in un sonno profondo.
Leonie non era altrettanto rilassata, anzi, si sentiva un po' ferita. Roman la desiderava, lo sapeva, e lei anche, eppure si negava il piacere.
Roman aveva parlato di mandarla via, poi l'aveva tenuta con sé, ma senza andare a letto con lei e soddisfare l'avido desiderio che nutrivano entrambi...
Si arrovellò sulla questione per gran parte della notte e alla fine comprese: Roman non si fidava ancora completamente di lei, riguardo al bere, e lei non si fidava di se stessa.
Fino a quando non fosse stato sicuro, non avrebbe rischiato di mettere al mondo un figlio. Capiva le sue motivazioni come se le avesse espresse a voce alta. Suo marito dava una grande importanza alla responsabilità, e ciò significava che avrebbe potuto ancora decidere di lasciarla.
Leonie cercò di alimentare la rabbia nei confronti della sua sfiducia, ma in fondo al cuore sapeva che Roman si stava comportando con saggezza.
Naturalmente i loro corpi non riuscivano a stare lontano l'uno dall'altro. Erano attirati come calamite. La mattina dopo Leonie si svegliò con la testa sulla sua spalla e la sua mano tra le gambe.
«Cosa stai facendo? Non avevi detto che non dovevamo...?» cominciò. Poi sospirò mentre lui trovava ciò che stava cercando.
«Non ho mai detto che non potevamo giocare un po'...» le sussurrò all'orecchio. Poi le mostrò ciò che intendeva facendole cose incredibili con le mani e con la bocca.
Leonie scoprì che anche lei poteva giocare. Avere il vigoroso marito in suo potere si rivelò un'esperienza inebriante. Con il passare dei giorni, si sentì libera di esplorare ogni parte del suo corpo e si godette la possibilità di dargli piacere. Era gratificante quasi come ricevere il piacere da lui.
Era quello l'amore? Dare più di quanto si riceveva?
Scoprirono presto che non era incinta. Si era anche comportata bene e non aveva bevuto una goccia d'alcol. Era stata la sua guerra privata.
Eppure Roman continuava a mantenere un confine, tra loro.
Leonie non lo capiva del tutto. Cosa voleva da lei? Cosa lo avrebbe convinto a concederle la sua fiducia?
Lavorare in giardino le dava il tempo per rimuginare su quelle domande e su altre questioni irrisolte. Dormire con il marito le piaceva. Adorava ciò che lui riusciva a fare con il suo corpo, eppure avvertiva una mancanza di permanenza, la spiacevole sensazione di non meritare né Roman né la sua famiglia, di non essere degna di amore.
Era tutto così confuso.
O almeno così pensava... Fino a quando, in una giornata nuvolosa, mentre piantava con delicatezza una talea di rosa, un pensiero che aveva rinchiuso con cura in fondo alla mente tornò a emergere.
Aveva ucciso un uomo.
Ricordava il sangue sparso dappertutto, e di aver tenuto stretto Arthur implorandolo di non morire. Se non avesse agito in quel modo lui avrebbe continuato a farle del male, lo sapeva, ma tutto era avvenuto in fretta e poi l'aveva scacciato dalla mente. Per quanto fosse giustificata, non si era permessa di pensare a ciò che significava davvero uccidere qualcuno, soprattutto una persona conosciuta e fidata.
Guardò la fragile talea che sperava di veder diventare una pianta e non riuscì quasi a respirare. Pareva che la sua coscienza si fosse risvegliata e ora il peso era quasi insopportabile.
Visnù percepì il suo turbamento. Si strofinò contro di lei e poi le si rannicchiò in grembo. Soldier e Chester stavano dormicchiando nelle vicinanze. Si resero conto anche loro che qualcosa non andava e si avvicinarono. Chester si mise di guardia, e Soldier le diede una spintarella.
Poteva andare da Roman, lo sapeva. L'avrebbe tenuta stretta, dicendole tutte le parole giuste per metterle in pace la coscienza, ma poi ricordò di aver fatto del male anche a lui.
No, aveva bisogno di parlare con una persona di cui si fidava. Una persona che le avrebbe dato una risposta sincera.
Leonie lasciò il roseto ed entrò in casa. Si lavò le mani, si cambiò, mise un cappello a tesa larga ornato di nastri gialli e si avviò verso il villaggio.
Il cognato stava strappando le erbacce intorno alle tombe che circondavano la sua chiesa di pietra. Sorrise, vedendola, ma Leonie andò subito al sodo. «Hai un momento, Lawrence?»
«Certo. Gradisci un bicchiere d'acqua, o una tazza di tè?»
«No, grazie. Ho un peso sull'anima, e ho bisogno di un consiglio. Forse dovrei andare dal magistrato.»