Le parole di Leonie catturarono l'attenzione di Lawrence. La condusse nella chiesa fresca e buia, dove il silenzio pareva dire che nessuna confessione sarebbe uscita da quelle mura.
Presero posto nell'ultima fila di sedie.
«Che cosa ti turba, Leonie?»
Lei gli raccontò tutto, senza tralasciare alcun particolare. Era stanca di segreti. Roman conosceva quasi tutta la storia, ma lei confessò a Lawrence anche la sensazione inebriante provata giocando con la gelosia dei due uomini. «Ho fatto credere a entrambi che erano importanti per me» ammise alla fine.
Se Lawrence era rimasto scandalizzato, non lo diede a vedere e l'ascoltò con attenzione. Non trasalì neppure quando gli descrisse tra le lacrime il brutale stupro subito da Arthur.
«Gli ho detto che avevo cambiato idea e che non intendevo più scappare con lui. Non pensavo che l'avremmo fatto davvero. Sono stata stupida. Lui mi ha risposto che non poteva lasciarmi andare, che ormai dovevo sposarlo, e quando mi sono rifiutata mi ha minacciata con la pistola.» Prima di riuscire a continuare dovette trarre un respiro profondo. «Gli ho lasciato fare ciò che voleva, altrimenti mi avrebbe uccisa. Mi ha picchiata e soffocata. Una volta finito, invece di rilassarsi voleva continuare. È stato allora che ho trovato la pistola.» Guardò Lawrence, pregandolo di capire. «Gli ho sparato prima di rendermi conto di ciò che stavo facendo. Poi è arrivato Roman e gli ho permesso di assumere il controllo. Mi ha riportata a casa.»
«E ha anche sostenuto di essere stato lui a uccidere questo Arthur?»
Leonie assentì. «Ne abbiamo parlato. Secondo Roman non devo preoccuparmi di questo, ma io non ci riesco. Vorrei che quella notte non fosse mai avvenuta, ed è tutta colpa mia. Che cosa devo fare? La gente crede che sia stato lui a uccidere Arthur.»
«Io credo che ormai Roman si sia messo l'anima in pace. Non ti avrebbe sposata, nemmeno per denaro, se ti avesse considerata un'assassina. Ne sono sicuro.»
«Non lo so. Era molto ansioso di ottenere la mia dote. Sostiene di amarmi» aggiunse Leonie dopo un momento di silenzio.
«Allora credigli.»
«È difficile. Ho commesso un errore così grande...»
Lawrence si sporse in avanti. «Leonie, la cosa più difficile è perdonare te stessa.»
Aveva ragione.
«Roman l'ha fatto» rimarcò Lawrence. «Ti ha portata nella nostra famiglia. Tiene molto a te.»
Lei assentì. «Però ha anche paura di me.»
«No, è preoccupato per il tuo bisogno di liquori forti, ma questo non ti rende una persona cattiva.»
«E cosa mi rende?»
«Umana.» Lawrence le prese la mano. «Non puoi cambiare il passato. Tutti noi abbiamo fatto qualcosa che ci tormenta. Sei responsabile per le decisioni che hai preso quella notte, ma non per quelle di questo Arthur. Credo abbia avuto ciò che si meritava e non sono sicuro che un tribunale ti avrebbe reso giustizia. Ora vorrei dirti qualcosa che ho imparato, in questi anni da uomo di chiesa: nessuno di noi è sempre nel giusto. Facciamo del nostro meglio e sbagliamo, ma abbiamo anche delle opportunità. Puoi continuare a portare questo peso, oppure puoi cominciare a concentrare l'attenzione su ciò che davvero ti interessa.»
Leonie annuì, anche se non era sicura di riuscire a lasciarsi alle spalle i rimpianti. Erano una parte importante della sua vita. Pregarono insieme, poi ringraziò Lawrence e si avviò verso casa.
Sì, casa. Bonhomie le era diventata molto cara, anche con il suo muro crollato, che stavano velocemente ricostruendo.
Roman non sapeva che era stata via. Aveva passato la giornata al mulino ed era molto soddisfatto delle riparazioni. «Secondo Briggs tra pochi giorni potremo provare la macina» le spiegò quando si ritrovarono a casa.
«È un'ottima notizia» commentò lei, sincera.
La cuoca aveva preparato carne di cervo per cena, ma Leonie non l'assaggiò quasi. La sua mente continuava a tornare al consiglio di Lawrence.
«Potremo macinare per ogni famiglia della parrocchia e anche per quelle vicine» pronosticò Roman, per poi fermarsi di colpo.
Leonie sollevò la testa e lo vide intento a fissarla. «C'è qualcosa che non va?» chiese.
«Stavo per farti la stessa domanda. Sembri preoccupata.»
La conosceva fin troppo bene.
«Ti amo» dichiarò Roman, prima che lei avesse il tempo di formulare una risposta. Poi le coprì la mano con la sua.
Anch'io.
Leonie non pronunciò le parole ad alta voce – non si fidava di se stessa – ma gli girò la mano e la strinse forte.
Roman guardò le loro mani unite. «Lo so, Leonie. Quando sarai pronta, io sarò qui.»
«Temo che non sarò mai quella che vuoi.»
Un'ombra gli passò sugli occhi, ma poi Roman si portò la sua mano alle labbra.
Quella notte Leonie appoggiò la testa al suo petto, ascoltò il battito del cuore e pregò di poter riparare a tutti gli errori commessi.
Il giorno dopo si teneva la caccia annuale organizzata da Jones, il principale possidente della zona, che terminava con un ballo al villaggio. Era l'evento più importante della società locale.
Naturalmente il Conte di Rochdale era stato invitato con la sua contessa e tutta la famiglia. Roman confessò a Leonie che sarebbe rimasto a casa volentieri, ma lei insistette per andare. «È il nostro primo appuntamento sociale. Dopo tutto l'aiuto che ci ha dato sarebbe villano rifiutare il suo invito.»
Aveva ragione.
Roman però aveva le sue riserve. Jones amava mangiare e bere, ed era orgoglioso della sua resistenza, quando si trattava di liquori forti. Leonie stava ancora lottando con la dipendenza dall'alcol, e lui non si fidava ancora del tutto di lei.
Una settimana prima si era sfogato con Lawrence e aveva confessato di volere sua moglie in tutti i sensi. Il cognato era cresciuto in mezzo a gente che alzava spesso il gomito e capiva i pericoli di quel vizio.
«Credo che lei ti ami» gli aveva detto. «Con il tempo avrai la risposta giusta per il tuo cuore.»
Con il tempo... Roman odiava quelle parole. Voleva la risposta subito. Non sapeva per quanto tempo ancora sarebbe riuscito a starle accanto vivendo come un monaco. Cominciava a stancarsi di quello che facevano a letto. Desiderava possederla, affondare in lei e sapere che portava in grembo suo figlio.
Quella mattina sul presto Roman, Lawrence e Briggs raggiunsero il campo più lontano di Jones con il carro per partecipare alla caccia al fagiano e a qualsiasi altro uccello riuscissero a scovare.
Il possidente li informò che quel giorno avrebbero mangiato la selvaggina abbattuta, così iniziò una gara per vedere quale cacciatore sarebbe riuscito ad acchiappare il maggior numero di uccelli. Roman aveva pensato di portarsi dietro Soldier, per poi decidere che quella caccia rischiava di essere troppo intensa per un cucciolo di segugio così vivace, e lo aveva lasciato nelle scuderie. Il suo uggiolio disperato era difficile da sopportare.
«Non lasciarlo libero, altrimenti cercherà di trovarmi» aveva raccomandato a Leonie.
Lei era d'accordo. Si sarebbe recata più tardi dal possidente insieme ai genitori e alle sorelle di Roman.
Era piacevole trovarsi all'aria aperta in quella giornata di inizio giugno, del genere che faceva sentire chiunque felice di essere vivo. La compagnia era varia e comprendeva diversi dei fittavoli e dei vicini di Roman. Alcuni avevano percorso anche venti miglia per partecipare agli eventi della giornata.
Roman se la cavò bene nella caccia. Non abbatté il maggior numero di uccelli, ma raggiunse comunque un numero rispettabile, così come Lawrence. «Vi siete guadagnato la cena per la vostra famiglia, milord» lo elogiò Jones.
«Cerco sempre di tenerli ben nutriti.»
Il possidente scoppiò a ridere. «Lo saranno, non temete.» Il suo naso aveva già assunto un intenso color ciliegia. L'alcol scorreva liberamente, una delle ragioni della scarsa mira di molti cacciatori. Parecchi uccelli erano immangiabili, crivellati com'erano di pallini.
Roman aveva rifiutato i liquori e si era limitato a un boccale di birra. Osservare la battaglia di Leonie lo aveva spinto a stare attento a ciò che consumava.
Poco prima di mezzogiorno gli uomini si avviarono verso la residenza del possidente, consegnarono gli uccelli in cucina e cominciarono a bere sul serio. Jones preparava da solo il suo punch, ed era fiero degli ingredienti utilizzati.
«Arrack?» indovinò Roman. Conosceva quel liquore. Era simile al rum e all'acquavite, ma ancora più forte.
«Solo un pochino» gli assicurò Jones. Poi svuotò tutta la bottiglia nel punch, assieme a una di brandy e una di chiaretto.
Roman decise di limitarsi alla birra.
In quel momento scorse la sua famiglia che arrivava sul carretto che aveva comprato per i giri nella parrocchia. Leonie cingeva con le braccia le spalle di Edward e Jane, e Beth guidava. Dora dava indicazioni, e i suoi genitori ridevano.
Con la chioma color oro brunito sotto il cappello a tesa larga ornato di nastri colorati che la riparava dal sole, Leonie sembrava un'affascinante pastorella. Il vestito ricordava il verde delle foglie appena spuntate. Lo stile era semplice, ma sua moglie poteva indossare un saio e incendiare comunque le fantasie maschili.
Roman sentì alle sue spalle il brusio ammirato degli altri ospiti.
«Siete un uomo fortunato, Rochdale» commentò Sir Charles Everett, uno dei suoi vicini. Aveva partecipato alla caccia e tenuto testa alle bevute di Jones, anche se non lo dimostrava.
Il carretto si fermò, e Roman si diresse verso la sua famiglia. Rimase sorpreso quando Jones lo mandò quasi a gambe all'aria nella fretta di avvicinarsi a Leonie e di aiutarla a scendere.
Roman però aveva le gambe più lunghe. Fu lui a cingere la vita della moglie e a posarla a terra, mentre il possidente aiutava Dora, e Lawrence e David si occupavano di Beth e Catherine.
La musica era già cominciata. Due violinisti locali attaccarono una melodia vivace.
Jones si inchinò sulla mano di Leonie ignorando sua moglie, che era accorsa a salutare la contessa. «È un onore avervi qui, milady. Siete una visione.»
Leonie lo ringraziò e lanciò un'occhiata eloquente a Roman: il possidente era già ubriaco, era chiaro. Cercò di liberare la mano, ma l'altro non voleva lasciarla andare. Leonie però si era già trovata in quella situazione e sapeva come sottrarsi alla sua stretta. Poi rivolse l'attenzione a Mrs. Jones e alle sue sciocche risatine.
Roman la condusse nella zona in cui le coppie stavano già ballando. Il possidente e sua moglie non erano tra loro, dunque c'era una certa tranquillità.
«Sei molto attraente, moglie mia. Adoro i tuoi capelli sciolti» dichiarò.
Leonie arrossì e si guardò intorno per vedere se qualcuno lo aveva sentito. Lui però non se ne curava; era pronto a gridare, se necessario. «Grazie» mormorò. «Anche tu hai un ottimo aspetto» aggiunse.
Roman scoppiò a ridere. Quando il ballo cominciò era così felice che gli pareva di volare.
Fu un pomeriggio piacevole. Il possidente aveva disposto vari tavoli sotto gli alberi, e la gente mangiò e bevve a sazietà. Non era difficile capire come mai tutti i parrocchiani adorassero quell'evento.
All'inizio Leonie rimase al suo fianco, ma con il passare del tempo si unì agli altri appassionati di rose. Sedettero in cerchio in compagnia di sua madre e di Dora, mentre Beth sorvegliava i bambini insieme alle altre giovani madri.
Roman venne chiamato da un gruppo di uomini per raccontare la caccia del mattino. L'atmosfera era amichevole, e la coppa del punch non restava mai vuota.
Leonie si tenne alla larga da quella tentazione. Si era organizzata in anticipo, chiedendo alla cuoca di Bonhomie di preparare un'enorme brocca di terracotta piena di limonata. Erano stati necessari gli sforzi congiunti di Briggs e Lawrence per tirarla giù dal carro. Roman notò che le sorelle, la madre e diverse giovani signore gustavano quella bevanda fresca.
Tutto sommato fu un pomeriggio piacevole. Il cielo era limpido, la compagnia simpatica, e Roman provava quella che si poteva solo descrivere come felicità. Era fiero della sua vita e vedeva davanti a sé un futuro prospero. Gli anni di avversità e frustrazioni erano ormai acqua passata.
Jones interruppe i suoi pensieri urtandogli un braccio. «Mi ringrazierete, milord.»
«Sono già in debito con voi, Jones» riconobbe Roman. «È davvero un evento ammirevole. Credo di aver conosciuto tutti i membri della parrocchia.»
«È così, milord.» Il possidente non era molto saldo sulle gambe e aveva un sorriso cospiratorio stampato in faccia. «Mia moglie e io siamo fieri di riunire tutti, ma non stavo parlando di questo.»
«Allora per quale altro motivo dovrei ringraziarvi?» si informò Roman, perplesso.
Jones si toccò il lato del naso. «Ho notato che vostra moglie non aveva provato il mio punch. Ne ho preparata un'altra dose. Dopo averlo assaggiato non mi reggevo quasi in piedi. Gliene ho offerto una coppa. Sarà una bella notte, per voi, milord. Quel punch la scioglierà, vedrete.»
Roman provò un misto di gelida paura e rabbia. «Le avete offerto una coppa?» domandò. «E lei l'ha accettata?»
«Ma certo. Ha detto che il brandy le piace. Nell'ultima dose ne ho versate due bottiglie.» Agitò la mano mentre parlava e finì quasi nelle braccia di un altro ospite. Questi cercò di raddrizzarlo, ma ormai era troppo tardi: Jones cadde a terra e con orrore di Roman si raggomitolò su se stesso e perse i sensi.
Tutti lo indicarono ridacchiando. «Fa così tutti gli anni. Questa volta ha retto più a lungo dell'anno scorso» commentò un invitato.
A Roman non importava nulla del possidente. Guardò il punto in cui aveva visto Leonie per l'ultima volta, insieme a Dora e ad altre giovani donne, ma lei non era più lì.
Si avvicinò alla madre. «Avete visto mia moglie?» chiese con calma, consapevole di tutta la gente che poteva sentirli.
Catherine si guardò intorno. «Pensavo fosse qui» rispose.
Neanche Dora sapeva dove fosse finita Leonie. «Posso aiutarti a cercarla» si offrì.
«No, è tutto a posto» mentì Roman. «Rimani qui a divertirti con le tue amiche.» Non attese la risposta della sorella e si mise in cerca della moglie.
Non riuscì a individuarla tra la folla che continuava a muoversi e a ballare. L'istinto però gli diceva che non si trovava in mezzo alla gente. Girò per la casa del possidente, ma Leonie non era neanche là.
Ormai disperato, uscì dalla porta d'ingresso e finalmente la vide. Vicino agli alberi che fiancheggiavano il prato c'era un pergolato di edera con una panchina. Leonie era seduta lì e teneva in mano una coppa di punch, studiandola come se dovesse risolvere un difficile enigma. Aveva sciolto i nastri del cappello, che ora le ricadeva sulla schiena.
Roman la guardò con un peso enorme che gli opprimeva il petto. Leonie non lo aveva notato. Sarebbe potuto tornare in casa, avrebbe potuto fingere di non averla vista con il punch.
Quella donna lo avrebbe distrutto. Il suo amore per l'alcol gli avrebbe spezzato il cuore. Non poteva fermarla e nemmeno lasciarla. L'amava troppo.
Poi Leonie si alzò, sollevò la coppa davanti a sé con un gesto solenne e ne versò il contenuto per terra.
Non aveva bevuto il punch! Aveva scelto di non farlo. Roman fu sul punto di cadere in ginocchio per il sollievo e la gratitudine. Invece gridò il suo nome e corse da lei.
Leonie sollevò lo sguardo, trasalendo. Non aveva idea di essere osservata, era chiaro.
Prima che potesse reagire, Roman la prese tra le braccia, la fece volteggiare e la baciò con la libertà e la passione di un uomo innamorato.
Alla fine si fermò, perché avevano bisogno entrambi di tirare il fiato, ma non la lasciò andare. Non l'avrebbe mai più lasciata andare. Leonie sollevò lo sguardo su di lui. «Come facevi a sapere che ero qui?» chiese.
«Jones mi ha detto che ti aveva dato una coppa del suo punch speciale.»
«E tu sei venuto a cercarmi? Temevi che lo bevessi?»
«Pregavo che non lo facessi.»
Lei lo scrutò con gli occhi scuri. «Volevo farlo, Roman» ammise con sincerità. «Sentivo l'odore del brandy. Non l'ho dimenticato.»
Quelle parole rispecchiavano la più grande paura di Roman nei suoi riguardi.
«Però poi ho pensato alle rose» riprese lei. «Quando non sono ancora sbocciate i petali sono tutti ripiegati l'uno sull'altro, e non sembrano niente di speciale. Quando sbocciano, però, rivelano i doni più incredibili. Il centro di ogni rosa è come il suo cuore.» Si sporse verso di lui. «Mi sono detta che ero come una di quelle rose, chiusa a qualsiasi cosa importante perché, se avessi pensato troppo, avrei visto quanto ero brutta...»
«Leonie, tu sei bellissima.»
«Lo sono adesso, Roman» ribatté lei arrossendo. «Non a causa del modo in cui mi vedono gli altri, ma grazie a te. Tu mi hai perdonata per quello che è successo con Arthur Paccard.»
«Non ti ho mai incolpata.»
«Sì, invece.»
Era vero. Quando l'aveva abbandonato al proprio destino, se l'era presa con lei per l'accaduto, ma ormai sembrava tutto lontano. «Se le cose non fossero andate in quel modo, oggi non saremmo qui insieme» le ricordò.
«È vero. Non potrei immaginare una vita senza di te. Sono tutt'altro che perfetta, e la mia bellezza svanirà con l'età...»
«Non per me.»
Lei scoppiò a ridere e gli prese il viso tra le mani. «Ti amo.»
Quella dichiarazione lo riempì di gioia.
«Ho lavorato sodo per diventare la donna che voglio essere» continuò Leonie, prima che lui potesse cominciare a tempestarla di baci appassionati. «Quella donna ha scelto la vita, non il liquido nella coppa.»
«Leonie, tu sei tutto ciò che desidero. Neanch'io sono perfetto.»
Lei scoppiò a ridere. «Lo so, ma sei perfetto per me.» Poi lo baciò. Gli gettò le braccia al collo, gli premette il seno contro il petto, incontrò le sue cosce con le proprie e lo baciò con un amore tale che Roman avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei.
Alla fine lui non riusciva quasi più a ricordare neppure come si chiamava. Leonie gli aveva fatto perdere completamente la testa.
Sua moglie, però, non aveva ancora finito di stupirlo. «Roman, non potremmo risposarci?» propose. «Mi piacerebbe ricordare il momento in cui ripeto i miei voti nuziali.»
Lui rispose prendendola tra le braccia e tornando a baciarla con foga.
Leonie aveva vinto.
Ci sarebbero stati demoni, nel futuro – demoni di entrambi – ma li avrebbero affrontati insieme, perché, miracolo dei miracoli, Leonie lo amava.
Leonie e Roman si misero subito alla ricerca di Lawrence. Lo trovarono intento a giocare a birilli con un gruppo di uomini e gli chiesero di sposarli quella sera stessa. Dopotutto una coppia già sposata non aveva bisogno di esporre le pubblicazioni, o di procurarsi una licenza speciale.
Naturalmente Lawrence acconsentì.
Radunarono la famiglia e si diressero verso la chiesa con il carro, lasciando a Briggs il compito di riportare il carretto a casa.
Ormai stava calando la sera, e la chiesa era buia e silenziosa. Edward e Jane accesero le candele, mentre Dora e Beth aiutavano Leonie a darsi una sistemata.
«Avreste dovuto sposarvi qui, la prima volta» borbottò Dora.
Beth la zittì.
Leonie si sfilò dal dito l'anello con lo zaffiro stellato e lo porse a Lawrence chiedendogli di benedirlo.
«Ma certo» acconsentì subito il cognato. Poi indossò i paramenti.
Leonie si sentiva nervosa e al tempo stesso provava un grande senso di pace. Non poteva immaginarsi sposata a un uomo che non fosse Roman. Nel breve tempo passato insieme aveva vissuto di più che in tutti gli anni precedenti.
Dora e Beth si misero accanto a Leonie, e David e Catherine accanto a Roman. Edward e Jane si sedettero in prima fila.
Lawrence aprì il breviario.
Le parole dei voti nuziali erano una novità per Leonie. Non se le ricordava proprio, e rimase colpita dalla carica di forza e certezza che contenevano.
Roman ripeté i suoi voti con calore, gentilezza e un'affettuosa generosità. Promise di amarla e onorarla fino a quando la morte non li avrebbe separati.
Leonie lo prese per mano e si assunse lo stesso impegno. Sì, era ciò che voleva. Quell'uomo, la sua famiglia, i suoi sogni, i propri sogni... Non poteva chiedere di più.
Lawrence benedisse l'anello e lo porse allo sposo. «Ti onoro con tutto quello che sono e con tutto quello che ho» dichiarò Roman prima di infilarglielo al dito. Leonie si rese conto di quanto l'anello fosse già diventato parte di lei soltanto quando ritornò al suo posto.
Poi si ritrovò tra le sue braccia.
Roman la tenne stretta mentre Lawrence li dichiarava marito e moglie.
Non ci fu una festa sontuosa dopo le nozze, Roman e Leonie non ne avevano alcun bisogno. Erano circondati dalla famiglia, ed era sufficiente. Avevano tutti gli occhi lucidi per la felicità, perfino Dora. Si abbracciarono di slancio, e Leonie si sentì davvero benedetta.
Leonie e Roman portarono con il carro i suoi genitori al loro cottage. «È stata una cerimonia perfetta» continuava a ripetere la madre.
Leonie era d'accordo. Seduta accanto al marito, notò che Catherine e David si tenevano per mano.
Era così che doveva essere un matrimonio. Certo, Roman aveva ricevuto la sua sostanziosa dote, ma Leonie non dubitava che l'amasse, per quanto imperfetta fosse.
Bastava guardare Catherine e David per sapere che in futuro avrebbero dovuto affrontare dure prove, ma Leonie era sicura che con Roman al suo fianco sarebbero riusciti a superarle.
Quando raggiunsero Bonhomie era ormai buio.
Whiby mandò un garzone di stalla con una lanterna a occuparsi del carro. Ormai la tenuta era piena di domestici, e Leonie era fiera della sua perfetta gestione. Yarrow diede loro il benvenuto aprendo la porta d'ingresso.
«Tenetela aperta» gli ordinò Roman. Poi prese in braccio Leonie e la portò attraverso la soglia. Lei gli si aggrappò ridendo per non cadere e poi rimase così, perché le piaceva sentire la forza delle sue braccia e stargli così vicina.
«Deduco che la festa è andata bene, milord» osservò Yarrow con l'ombra di un sorriso.
«Benissimo» confermò Roman. «Ora andiamo a letto. Non c'è bisogno che tu resti alzato» aggiunse portando Leonie su per le scale.
«Sì, milord» rispose Yarrow con un ampio sorriso. Sapeva dove stavano andando e cosa avrebbero fatto.
Mentre Roman raggiungeva il pianerottolo e cominciava a salire la seconda rampa di scale, Leonie abbassò lo sguardo sull'uomo che per lei era stato ben di più di un domestico, e Yarrow le strizzò l'occhio.
Lei arrossì, ma non di imbarazzo. Di felicità. Andava tutto molto, molto bene.
Roman aprì la porta della stanza con un calcio. Non aveva ancora sostituito Barr, e lei doveva ancora assumere una cameriera personale, dunque erano soli.
La portò fino all'enorme letto matrimoniale e l'adagiò sul materasso. «Ora festeggerò la notte di nozze che avrei dovuto avere a Londra.»
«Che avremmo dovuto avere» lo corresse Leonie. Roman scoppiò a ridere, felice quanto lei.
E in effetti la festeggiarono. Si spogliarono in fretta. Ormai erano a proprio agio l'uno con l'altra, e non vi fu alcuna esitazione.
Ancora meglio, Leonie sapeva ciò che gli piaceva, e Roman aveva sempre saputo ciò che lei voleva.
I giochi fatti nelle settimane precedenti erano stati piacevoli, ma niente rendeva Leonie più felice che accogliere di nuovo suo marito dentro di sé.
Gli occhi grigi di Roman cercarono i suoi. «Ti amo, moglie» sussurrò.
Lei sollevò una mano per scostargli i capelli dalla fronte. «Non quanto ti amo io, marito.»
Roman scoppiò a ridere come se niente potesse fargli più piacere e cominciò a muoversi dentro di lei. Leonie avvolse il corpo intorno al suo, sussurrando il suo nome e il suo amore per lui, e Roman accelerò il ritmo. Leonie cominciò a perdere il controllo e le sue parole divennero incomprensibili. Solo Roman sapeva darle tanto piacere. Le aveva insegnato cosa significava dare e ricevere liberamente.
Non si trattava solo di un atto fisico, la loro unione era la realizzazione dei voti nuziali. Ciò che Dio aveva unito niente avrebbe potuto separare.
Era sua: cuore, corpo e anima.
Roman raggiunse l'orgasmo per primo, e Leonie comprese all'improvviso come due persone potessero diventare una sola. Poi lo seguì, perdendosi nelle ondate travolgenti della gratificazione.
Una volta finito, nessuno dei due riusciva a muoversi.
«Sei talmente preziosa...» mormorò Roman sfiorandole la tempia con le labbra.
Lei gli accarezzò la schiena, le natiche e il fianco. Suo marito le apparteneva.
Più tardi, abbracciati sotto le coperte, parlarono dei piani per Bonhomie, per loro due e per le sue rose.
Avrebbero realizzato insieme i loro sogni.