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Le cose a Galway vanno meglio da quando Chastity è tornata nella mia vita. Sono tornato a concentrarmi e a dormire più sereno, mi ritaglio qualche ora alla settimana per ascoltare musica e parlare con lei e questo stempera il disagio della lontananza. Sono riuscito persino a studiare un piano per scovare la talpa, l’ho formulato e aspetto il momento giusto per metterne a conoscenza mio zio, che ormai si è accorto del mio cambio d’umore e cerca ogni scusa per integrarmi nelle sue serate alcoliche.

Alla fine ho ceduto e gli ho spiegato che non mi vedrà flirtare con le donne che continua a sbattermi in faccia. Ho una ragazza e non vedo l’ora di tornare da lei, di averla di nuovo tra le mie braccia, di trovare un posto tutto nostro dove cominciare una vita insieme. Le cose a quel punto sono degenerate e Dimma ha buttato la conversazione sull’aspetto sessuale della mia relazione con Chastity. Per non perdere del tutto la mia credibilità ai suoi occhi, l’ho lasciato ipotizzare i numeri da circo che faremo una volta insieme, ho riso con lui e ho trattenuto la voglia di spaccargli la faccia per tutta la sera. Non è un uomo cattivo, o almeno non credo, non ho prove in merito, è solo che per lui la vita è tutta lì: sesso, droga, armi, club. Pamela lo tiene a bada, ma lascia le briglie lasche in modo che non impazzisca e rimanga comunque in grado di portare avanti gli affari del club.

Ed è proprio lei a bussare alla porta della mia camera, mentre sto per scrivere a Chastity. Lo scopro quando apro e la invito a entrare. Lascio il telefono sul comodino e rimando tutte le cose che vorrei dire a mia moglie a quando sarò solo.

«Quindi il problema è che hai una ragazza. Dimma pensava che fossi dell’altra sponda, io che fossi un asessuato. Il che sarebbe stato davvero un peccato per il genere femminile e anche per quello maschile.»

Mi siedo sul letto e le rivolgo uno sguardo perplesso. Da quando sono qui avremo parlato tre volte, quindi non capisco ora cosa voglia da me. Si accomoda sulla poltrona e la prende alla larga.

«Sai, sei davvero un bel ragazzo. Uno di quelli per cui perdere la testa, uno di quelli con la faccia da stronzo e il cuore di burro. Ma non sono qui per farti delle avance, hai l’età che potrebbe avere un mio ipotetico figlio, e sinceramente io sono più attratta dagli uomini con il potere e la pancia.»

«Cosa posso fare per te, Pam?»

«Non mi fido di Anthony. Ultimamente ha alzato la cresta, espone le sue opinioni senza prima consultarsi con Dimma e ho paura che ci sia lui dietro alle soffiate.»

«Il fatto che non sappia tacere, o decida di non farlo, non fa di lui un infame. È un’accusa grave, lanciata senza prove. Perché, poi, lo dici a me e non allo zio?»

Pamela passa le dita sotto gli occhi, come a tentare di ridurre le borse e spianare le rughe. Ripete il movimento più volte, forse sta pensando a come rispondere. Mi ha sempre fatto pensare a Shania Twain che canta Man! I feel like a woman , con gli occhi truccati e il suo atteggiamento aggressivo. È una bella donna di quarant’anni, porta bene la sua età, ma oggi il suo viso risulta più tirato del solito.

«Dimma non ammetterebbe mai di aver sbagliato a riporre la sua fiducia. A meno che non avesse prove schiaccianti e inconfutabili davanti agli occhi, ma anche allora per lui sarebbe un dilemma incredibile. È un buono, crede nelle persone, nonostante la vita l’abbia tradito più volte. Ho provato a fargli capire che Anthony è la talpa più probabile, ma non mi vuole ascoltare, ripete che Tony è nel club da più tempo di chiunque altro, che ha sempre voluto farlo prosperare, che condividono lo stesso obiettivo, anche se ultimamente non hanno la stessa idea sul come raggiungerlo.»

Si riferisce all’opposizione netta che Anthony ha mosso contro la decisione di mio zio di uccidere Malone. Si scontrano su due fronti da quando Dimma ha dichiarato le sue intenzioni, tre settimane fa. Da quel momento il loro sodalizio si è rotto e i sospetti di molti si sono orientati nei confronti di Anthony, che rifiuta categoricamente un’azione violenta nei confronti del tenente.

«Perché sei così convinta della sua malafede? Le sue obiezioni non ti sembrano ragionevoli?»

«Lui non vuole uccidere Malone perché così perderebbe la sua via d’uscita. Non so cosa gli abbia promesso e in che modo ci stia guadagnando ma, morto Malone, muoiono di sicuro anche gli attacchi nei confronti del club. Aiutami a trovare le prove, aiutami ad aprire gli occhi di tuo zio, ti prego, non riesco neanche a pensare alla mia vita senza di lui. Se dovesse succedere qualcosa a Dimma, io sarei persa.»

Scoppia a piangere. Odio quando le donne piangono, mi fanno sentire a disagio. Tranne Chas, con lei mi sento una merda, visto che spesso sono la causa dei suoi pianti. Ma ora non più, da tre settimane sono solo l’origine della sua felicità e dei suoi orgasmi, anche se continua a dimagrire e a farmi preoccupare.

«Ci penserò, Pam. Ma tu dovresti essere sincera con il tuo uomo. Almeno esprimergli la tua preoccupazione. Non mi piace essere messo in mezzo in questo modo.»

Lei alza i suoi occhi scuri, contornati di lentiggini, e annuisce.

«Giurami che quando scoprirai chi sta tradendo il club lo farai fuori. E aiutami a convincere tuo zio a uccidere Malone.»

E perché dovrei farlo io? Non voglio ammazzare un uomo, non voglio avere la vita di qualcuno sulla mia coscienza. Ci pensasse il club. Ci pensasse mio padre.

Tuttavia, non è necessario che Pamela – o chiunque altro – sappia che non ho intenzione di sporcarmi le mani, per cui la tranquillizzo, la invito ad alzarsi e l’accompagno verso la porta, evitando di formulare una promessa che non ho alcuna intenzione di onorare.

La osservo percorrere il corridoio, poi quando scende le scale torno nel mio buco. È mezzogiorno passato da poco qui, Chastity dovrebbe essere già sveglia. Prendo il telefono, lo sblocco e trovo il suo saluto. Un sorriso inevitabile mi stravolge l’espressione seria fino a quel momento. L’amore è davvero subdolo, confonde le tue cellule, cambia l’ordine di importanza delle cose e rende poche parole scritte su una chat quelle perfette per farti svoltare la giornata.

Chas: Ti ho sognato stanotte. Eravamo di nuovo in chiesa, nella nostra. E cantavamo. E ci sposavamo di nuovo e mi facevi tua. Mi manchi.

Mi manchi anche tu, Chas. Ora che so che mi stai aspettando, la necessità di concludere il mio compito e tornare da te si fa ancora più impellente.

Sto per risponderle, quando qualcuno bussa alla porta della mia stanza.

È Anthony, ed è la prima volta che mi cerca al di fuori del consiglio.

«Mi fai entrare?»

Mi sposto e gli lascio campo. Va a sedersi dove pochi minuti fa c’era Pamela. Aspetta che il legno solido si richiuda alle mie spalle e va subito al dunque.

«Devi aiutarmi.»

Lo dice secco, guardandomi fisso con quel suo modo inquietante, quasi rettile. Ha occhi grandi e chiari, con un taglio obliquo e liquido. I capelli grigi sono legati in un codino sulla nuca che gli arriva a metà schiena. Ma la sua chioma sottile parte da metà della testa, rivelando la pelle sudata della sommità del cranio.

Ha sempre avuto un’aria malaticcia, ma ultimamente lo stress ha fatto scempio della sua cute, macchiandola di segni rosa in rilievo. Da quando la musica è tornata nella mia vita insieme alla voce di mia moglie, ho preso l’insana abitudine di associare le persone a delle canzoni. E Anthony risuona come Crawling dei Linkin Park, senza alcun dubbio.

«Perché sei qui, Tony?»

«Non possiamo far fuori Malone, tu lo capisci, vero?»

Si agita sulla poltrona e io raggiungo placido il letto, l’unico altro appoggio rimasto qui dentro. A dire la verità lo capisco. Penso che intraprendere una campagna contro la polizia non ci possa portare niente di buono. Ci attireremmo l’odio delle forze dell’ordine, più ancora di quanto non ne provino per noi ora.

D’altra parte, c’è da dire che i sequestri sono frutto di un accordo interno, perché una parte delle armi e della droga che ci vengono confiscati finiscono sul mercato. Con Malone fuori dai giochi, come minimo si interromperebbe il flusso verso i giapponesi, dando respiro a mio padre, a Boston.

Ma quello che cerco di capire, scrutando l’ansia di Anthony, è perché lui tenga così tanto a proteggere Malone. Vuole proteggere il tenente o i propri interessi?

«So come la pensi, quello che non capisco è tutta la veemenza con cui ti opponi. Non sei l’unico ad avere questa opinione, eppure nessun altro la sostiene così strenuamente, con tutta la propria forza.»

«Tu non capisci… tu… Stiamo rischiando di perdere tutto. Di finire in galera, e io in quel posto non ci torno. Non posso, ne va della mia vita. Ho dei nemici in carcere, stanno solo aspettando un mio passo falso.»

«Sei cosciente che le tue parole sanno di ultima spiaggia? Sembrano quelle di un uomo pronto a tutto, persino a vendere il suo club.»

Mi guarda allibito, poi scoppia a ridere.

«Pensi davvero che sarei così stupido da fare un accordo con un uomo spietato come il tenente? Credi che Ricky Malone sia il tipo di persona che manterrebbe le sue promesse del cazzo? Sei davvero così ingenuo?»

Si alza, fa due passi, mi raggiunge, mi fissa, poi comincia a camminare per la stanza e a parlare da solo, borbottando. Sembra davvero sotto pressione, in panico.

«Pensavo potessi aiutarmi. Ma sei solo un ragazzino, vero? Sei anche tu in qualcosa più grande di te.»

«Non è così» mi difendo. Lo raggiungo, lo prendo dalle spalle e gli faccio una promessa che in realtà ho già fatto a me stesso quando ho scoperto che Chas mi aspetta. «Scoprirò chi è la talpa. E lo esporrò al giudizio del consiglio. Il club deciderà la sua sorte ed emetterà la sua condanna. Se sei implicato in questa cosa, scappa, perché sono sicuro che non avranno alcuna pietà.»

«Non lasciare che uccidano Malone. Giuramelo.»

«Non posso fare questo giuramento, non dipende da me. Lo sai perfettamente.»

Si agita, si scrolla dalla mia presa e scuote la testa. «Sei un maledettissimo Kelly. Puoi fare tutto. Questo posto è tuo di diritto. Di nascita.»

E come è entrato se ne va, lasciandomi da solo a chiedermi perché tutti pensino che io abbia qualche potere. Sto fingendo così bene? Perché sento appena di avere la situazione sotto controllo, non sono così saldo come pensano tutti, escluso mio padre, che passa dal complimentarsi per come gestisco una cosa al darmi del buono a nulla perché non ho ancora risolto “il problema Galway”.

Forse sarebbe più semplice se gli raccontassi tutto, ma c’è una piccola parte di me che vuole davvero scoprire chi sta tradendo la propria famiglia. Perché non è questione di Kelly o non Kelly. La fratellanza che ci si giura quando si viene accolti nel club è qualcosa di sacro. Lo vedo nelle relazioni che intercorrono tra i vari membri: ci si aiuta, ci si sostiene, si diventa parte della vita altrui, si lasciano perdere i propri problemi per risolvere quelli degli altri.

Chiunque stia tradendo il club, merita di essere scoperto. E punito.

Chiudo la porta che Anthony ha lasciato aperta e torno da Chas. Se la conosco un minimo si starà chiedendo perché ho letto il suo messaggio e non ho risposto. Forse si è persino preoccupata.

Digito alcune parole, ma la mia stanza oggi dev’essere stata presa per un confessionale, perché di nuovo qualcuno bussa alla mia porta.

Chas dovrà aspettare ancora qualche minuto.

Quando apro, mio zio appare ai miei occhi. È stanco, provato, ma ha l’evidente intenzione di parlare con me. Una volta dentro, controllo che in corridoio non ci sia altra gente in coda e chiudo.

«So che sei contrario all’azione contro Malone. E nel consiglio non si riesce a prendere una decisione univoca. Pensi che dovrei fregarmene delle opposizioni e fare di testa mia?»

«Perché lo chiedi a me?»

«Perché non sei d’accordo con me e questo eviterà che tu fomenti il mio odio. Ho bisogno di sapere se è più importante l’unità del consiglio o dimostrare la mia forza come leader. Sei abbastanza fuori dalle nostre dinamiche da potermi dare un consiglio spassionato.»

Si siede nella stessa poltrona che ha accolto chi l’ha preceduto. Loro ci stavano comodi e larghi, soprattutto Anthony che è magro da far paura. Dimma, invece, si sistema in punta, perché la sua stazza non entra tra i due braccioli imbottiti.

«Tu cosa ne pensi, zio?»

«Sono qui per sentire la tua opinione, Damian.»

«Ne sei sicuro? O vuoi solo che qualcuno ti esponga il suo punto di vista per convincerti a scegliere la strada opposta?»

Glielo chiedo perché vedo che è sul filo di un rasoio. Ragione o sentimento. A un soffio di vento dal cadere da una parte o dall’altra. Nella mia testa risuona Power is a lonely place dei Thea and the Wild: mio zio non ha la freddezza di mio padre, sul suo trono sta scomodo, quando c’è da confrontarsi con le persone. Per questo non mi stupisco troppo delle sue parole.

«Anthony mi spinge ad aspettare, a non iniziare la guerra con la polizia. Pamela, invece, è convinta che l’unica opzione possibile sia quella di eliminare Malone. Le due persone più importanti della mia vita si danno battaglia nella mia mente. Ho bisogno di qualcuno di esterno. Coinvolto quanto me nel fulcro di questo club. Un Kelly.»

«Eppure, entrambi, sia io che tu, siamo ormai lontani dalla famiglia originaria.»

«Il fatto che tra me e tuo padre ci siano stati dissidi in passato, non significa che non ci tenga a lui. O a te.»

«Eppure, tu potresti guadagnare parecchio da una collaborazione con la polizia. Potresti ottenere sempre più soldi, più potere, più legami con i giapponesi. Ed estromettere mio padre dalla Irish Mob.»

«Pensi questo di me?»

Si alza e con due falcate mi raggiunge e mi inchioda alla porta. La mano premuta sulla mia gola che mi toglie il respiro. Non riesco a pronunciare bene le parole, ma lui capisce subito dove voglio andare a parare.

«Il… so…spet…to.»

Mi molla all’improvviso e mi abbraccia.

Mi sento infame, perché lui non è fuori dalla mia lista dei possibili colpevoli.

«Dobbiamo concentrarci all’interno, eliminare ogni sospetto su chiunque di noi. Se togliamo a Malone il suo informatore, rompiamo la sua catena di vittorie. Non è Malone il nemico. Il nemico è la talpa. E io ho un’idea.»

Gliela spiego accuratamente, evitando di dirgli che lui stesso ne fa parte, che tutti saranno sotto scacco nello stesso momento, in modo da risolvere questa situazione una volta per tutte e chiudere questa storia. Non sarà una cosa semplice e veloce, ma, se tutto va come penso, avrò le prove necessarie per consegnare il colpevole al club e a mio padre, così da poter tornare da Chastity.

Il piano a cui ho pensato in questi giorni è composto da vari passaggi, ha diversi livelli di complessità e si basa sulla speranza che ognuna delle persone coinvolte segua la sua natura. Il ruolo di Dimma è cruciale. Sarà mio zio a portarlo avanti, senza rendersi conto che finirà lui stesso nel mio mirino. Ognuno reciterà la sua parte, si muoverà sulla mia scacchiera e il colpevole finirà nella trappola che ho preparato.

Dimma mi ascolta a lungo, concentrato, muove qualche obiezione sensata, insieme affiniamo il piano, e alla fine, quando se ne va dalla mia stanza, sono passate due ore.

La prima cosa che faccio è verificare se Chastity mi ha cercato ancora. Ci sono alcuni messaggi, i primi da semplice conversazione, i seguenti più preoccupati.

Mad: Tra mezz’ora sei libera se ti chiamo? Sei da sola? Ho in mente una cosa speciale.

Non fa passare che pochi istanti prima di rispondermi che Jeremy è fuori casa e che posso telefonarle quando voglio. Perfetto. Ho bisogno di uscire da questa stanza e di respirare aria fresca. Scendo nella sala comune, mi preparo un panino e recupero un paio di lattine di birra. Le infilo nel mio zaino nero, esco dal club, mi infilo il casco e accendo l’auricolare. Appunto il telefono sul petto, in modo che stia fermo, e faccio partire la videochiamata proprio mentre parto con la mia Harley Softail, nera e oscura come l’anima della mia famiglia, scintillante sotto il sole gelido della terra che mi ha accolto con familiarità e che non vedo l’ora di lasciarmi alle spalle.

«Mad!»

«Chas, oggi ho un programma speciale per noi. Sei pronta?»

«Non ti vedo…»

«Ti porto a fare un giro per la città e poi ti mostro un posto spettacolare, qui vicino.»

Chas emette uno strillo di felicità. È quasi come se fosse un appuntamento, il nostro, un appuntamento che mi voglio vivere senza lasciare spazio al pensiero che lei non sia davvero qui. Ci faremo bastare ciò che abbiamo.

Percorro le strade di Galway con calma, inclino il telefono in modo che possa vedere bene il mezzo di trasporto che ho scelto, lo trova eccitante, mi sussurra languida all’orecchio, mi chiede se la porterò mai a fare un giro in moto.

«Non durerei cinque minuti, Chas. Se ti avessi sul sellino dietro, cercherei un posto in cui poterti scopare senza essere visto.»

«Pensi solo a quello» ridacchia, ma so che anche per lei è lo stesso.

«Ti stai eccitando?»

«È colpa tua. Vedo le tue mani nell’inquadratura e il modo saldo in cui le muovi sul manubrio. Si percepisce che sai dominare la moto, che la guidi con esperienza. Sono gelosa.»

Sorrido mentre le mostro le facciate colorate delle case del centro di Galway e continuiamo questo gioco di seduzione. Costeggio i moli, attraverso uno dei ponti e le indico da lontano il Róisín Dubh, uno storico locale della città in cui ogni tanto vengo a bere una pinta in solitudine – meno spesso di quanto vorrei.

«Ci sono molte ragazze» mi dice, con un tono timido.

«È una città universitaria, è piena di giovani» concordo.

«E di ragazze» insiste.

Esco dalla città e do gas, finalmente libero di prendere velocità sulla statale che affianca la costa e l’accompagna lungo tutti i confini di questa terra libera.

«Lo senti il rombo del motore?» le chiedo, ed è la prima volta che le rispondo da quando ha velatamente insinuato che io possa essere attratto da qualcuna di quelle molte ragazze .

«Sì» dice sottotono.

È arrabbiata con me.

E io ora la faccio innamorare di nuovo.

Giro la manopola dell’acceleratore e faccio cantare le due marmitte che ho sotto il culo, fino a stordirmi. «Questo è il suono che fa il mio cuore quando penso a te, Chas. Pensi che ci possa essere qualcosa di più forte? Lo pensi davvero?»

Glielo urlo nell’auricolare e scoppio in una risata ebbra di potere e felicità, mentre alla mia sinistra l’oceano scintilla, frustato dai raggi solari.

«Sei un cretino!» ride anche lei. «Pensavo stessi ignorando la mia gelosia.»

«Non ignoro niente di te, niente. E ora goditi il tour. I colori in Irlanda sono più accesi che in qualsiasi altro luogo.»

Inclino il telefono in modo che possa vedere ogni dettaglio della costa che si dipana mentre macino miglia su miglia. Qui si dice chilometri, ma non mi sono ancora abituato. Le chiedo di cantarmi una canzone, di farmi compagnia e lei mi accontenta. Lo fa sempre. Sceglie Animal Instinct dei Cranberries e mi sembra perfetta per questo viaggio che stiamo facendo insieme da quando l’ho vista alla BMB.

La sua voce mi riporta alla nostra chiesa, a quando abbiamo cantato insieme prima di pronunciare i voti più assurdi della storia, prima di diventare un’anima sola e un corpo solo. Le faccio le seconde voci, gioco con lei e lascio che l’Irlanda mi resti un po’ dentro per la prima volta, perché in questo istante il mio cuore è insieme al mio corpo, e mentre i miei occhi bevono il verde dei prati illuminati dal sole, le mie orecchie assorbono il timbro armonico e incredibile della voce di Chastity. Ed è un equilibrio perfetto quello che sto vivendo. Così perfetto che tolgo le mani dal manubrio e allargo le braccia per accogliere l’aria sferzante che mi raggiunge a sessanta miglia orarie.

Quando Chas nota che nessuno sta guidando caccia un urlo che mi fa ridere. Ormai ho ripreso confidenza con le moto, posso percorrere mezzo miglio senza tenere saldo il mezzo, in un pezzo di strada che mi vede stranamente da solo.

«Non preoccuparti, la domino anche senza le mani» le dico in modo che arrivi il doppio senso.

«Oh, sì, lo so bene» mi risponde, e già ansima.

«Il giorno che arriverò a Boston…» Non finisco la frase. Sa che si deve preparare a non dormire e a urlare tutta la notte per me, senza mai smettere.

Chastity ridacchia e mi spiazza. «Per allora sarò tornata vergine.»

Mi passo le mani sulla faccia per recuperare lucidità. Perché se penso al momento in cui è diventata donna sopra di me e alla possibilità di rifarlo, cambio strada e vado in aeroporto, famiglia Kelly o no.

«Fai la brava, Chas.»

«Se no?»

«La pagherai cara, quando saremo insieme, lo sai?»

«Lo spero.»

Non la vedo, ma la sua voce mi riporta il suo sorriso gioioso.

«Allora, cosa te ne pare del panorama?»

«Lo adoro. Vorrei essere lì con te.»

«In quel caso non vedresti niente di tutto ciò.»

«Vero, ma almeno potrei guardare te» sussurra e la sento appena nell’auricolare, tra il rumore del vento e quello del motore. «Dove mi stai portando?»

«Lo vedrai tra pochissimo, siamo arrivati.»

Parcheggio la moto, mi tolgo il casco, prendo il telefono e mi inquadro la faccia, mentre mi smuovo i capelli per spettinarli a dovere.

«Ciao, moglie.» Le sorrido e lei arrossisce. Sarà così per tutta la vita? Le sue reazioni continueranno a sconvolgermi i pensieri, le emozioni e le parti basse? Perché io ora guardo il rossore delle sue guance e penso a lei che mi dichiara il suo amore ansimando sotto le mie spinte vigorose.

«Ciao, marito. Sei bellissimo anche oggi.»

Lo dice a me, ma non sa quanto sia vero il contrario. Lei, sdraiata sul letto, con i capelli disordinati sul cuscino e il seno che sbuca dalla maglietta scollata, è una meraviglia per i miei occhi, e niente può competere con la sua incredibile bellezza, neppure il luogo magico in cui l’ho portata.

«Eccoci qui, Chas, siamo… alle scogliere di Moher.»

Giro la fotocamera e di fronte ai suoi occhi compare, in tutto il suo fascino, una distesa d’erba verde brillante, posta sul limitare di uno strapiombo che muore nell’oceano. La pietra grigia, simbolo della forza di questo popolo, viene inghiottita dai flutti, in un percorso che sa di vita quanto di morte. Cammino e le spiego che sotto ai miei piedi, proprio dove il blu si scontra con la roccia, ci sono numerose grotte, raggiungibili solo tramite le barche.

Mi siedo ai piedi della O’Brien’s Tower e, grazie alla giornata limpida e tersa e alla congiuntura astrale che mi vede quasi da solo in un luogo così tanto turistico, riesco a indicarle in direzione nord le Twelve Bens.

«Vedi? Quelle sono le dodici cime del Connemara, un angolo di Irlanda pazzesco, proprio al di là della baia di Galway. Ci sono stato da solo un giorno in cui stavo impazzendo, tu non mi rispondevi e al club… be’, a volte stare lì è davvero faticoso. Ho guidato lungo tutta la costa settentrionale sotto un temporale incredibile. Sono tornato in stanza che ero bagnato fradicio, ma avevo gli occhi pieni di bellezza ed ero abbastanza stanco da addormentarmi di botto, senza sognare.»

«Sei mancato anche a me.»

«Ora lo so, ma un mese fa no. Pensavo che qui ci sarei morto e che se proprio avessi dovuto decidere dove essere sepolto, avrei scelto il Connemara.»

«Non dirlo neanche per scherzo, non dirlo mai!»

Si agita, mia moglie, e io la capisco bene, perché la sua incolumità ha mosso i miei passi fino a qui. La distraggo, è inutile pensare alla possibilità che mi succeda qualcosa. È un’eventualità che non possiamo cancellare, ma non dobbiamo farci rovinare la giornata per questo motivo.

«Guarda, quelle invece sono le isole Aran,» indico tre formazioni rocciose poco lontano, «Inishmore, Inishmaan e Inisheer. Lì si parla ancora gaelico, sai? E usano metodi antichi sia per coltivare che per sopravvivere. Credo siano posti in cui ci si può perdere, a volte penso che vivano molto meglio di noi che siamo immersi nella nostra stupida modernità.»

«Ci sei già stato?»

«No, non ne ho avuto il tempo. Magari ci andiamo insieme un giorno… intendo con il telefono, come oggi.»

«Perché non dal vivo?»

È ora che capisca quali piani ho per il futuro, se ce ne sarà uno? O lascio che si crogioli in un immaginario irreale? Alla fine l’importante è che saremo insieme, giusto?

Giro la videocamera e siamo di nuovo io e lei. Alle mie spalle le pietre che compongono questa specie di rettangolo senza tetto che è la torre di O’Brien.

«Non ci sarà Boston. Non ci sarà l’Irlanda.»

«In che senso?»

«Io e te, una volta finita questa storia, dovremo cambiare vita, se vogliamo stare insieme. Lasciarci alle spalle le nostre famiglie, tagliare i cordoni ombelicali con loro e ricominciare, da soli, altrove. Sto mettendo da parte dei soldi, e altri ne ho a Boston. Chiederò parte dell’eredità di mia madre, non la voglio tutta, solo quello che ci basterà per trovare un posto tutto nostro.»

Aspetto che lei assorba il colpo, che rifiuti ciò che le ho presentato come progetto, che si ribelli, perché non può e non vuole vivere lontana da suo fratello, dalla sua migliore amica, dal cimitero in cui può andare a trovare i suoi genitori.

«E dove pensavi di portarmi, Damian Kelly?»

«Nel mio letto. Non importa in quale città sarà, l’importante è che tu sia sotto di me, o sopra, o di fianco…»

«Vuoi farmi eccitare?»

«Lo sei già.»

«Come…?»

«Se non metti il reggiseno e tieni solo una maglietta leggera è facile capire cosa ti succede quando parli con me.»

Abbassa la testa e vede le due punte che tirano la stoffa, le stesse punte che vorrei succhiare fino a staccarmi la mandibola e che hanno reso la situazione nei miei jeans piuttosto indecente.

«Dici per questi?»

Sfiora i capezzoli con le unghie e mugola, Cristo, mugola come se la stessi leccando tra le cosce. E l’anello che ho fatto creare per lei scintilla al suo dito, rendendomi duro come l’acciaio di cui è forgiato, simbolo del fatto che Chastity Nedley appartiene solo a me. «Fai la brava, Chas» ringhio.

Ma la mia mogliettina gioca sporco e, rassicurata dal fatto che alle mie spalle ci sia solo un edificio vecchio di duecento anni, solleva la t-shirt e mi mostra il seno, su cui si accanisce. Strizza, gioca, avvicina le sue tette come se io potessi sprofondarci in mezzo, lecca l’indice e lo passa intorno all’areola, stuzzicando se stessa e me.

«Fai la brava, cazzo! Non posso fare niente qui.»

«Hai materiale a cui ripensare quando sarai da solo, no?»

«No!»

Rifiuto la sua provocazione, perché non dovrei essere messo così male da volermi toccare sulle scogliere più famose del mondo. All’aperto. Rischiando di essere visto da chiunque. Volto di nuovo il telefono.

«Ora copriti o chiunque passerà di qui potrà vederti mentre ti masturbi.»

Mi alzo in piedi, aggiusto il cavallo dei miei pantaloni e mi avvicino al bordo della scogliera. Le indico la Brenan Mór, una formazione rocciosa che spunta nel mezzo dell’oceano.

«C’è una leggenda di queste parti che parla di una sirena e del suo marinaio. La vuoi sentire?»

«Solo se mi fai vedere il tuo viso, mentre me la racconti.»

«E tu farai la brava?»

«Lo giuro.»

Lo giura, ma non basta. Perché non importa che sia nuda, vestita, che faccia la porca o mi guardi innocente. Chastity è la donna più eccitante che esista al mondo.

«Okay, ma se mi provochi ancora chiudo la chiamata e te ne faccio pentire con le richieste più sporche che tu possa immaginare. Soprattutto con quelle che neanche riesci a immaginare.»

Aspetto il suo assenso e riporto la fotocamera su di me.

«Un giorno, una nave di pescatori fu spinta troppo lontana dal vento. La paura dei marinai divenne ancora più forte quando, su uno scoglio nel mezzo dell’oceano, proprio davanti alle temibili scogliere di Moher, videro una sirena. La sirena cantava, disperata, una canzone d’amore. Più lei cantava, più la tempesta frustava la barca dei pescatori.»

«Ma è una storia triste?»

«Come tutte le leggende irlandesi, Chas. Qui c’è un animo combattivo, ma malinconico, duale, come le nature della terra, colorata e piovosa.»

«Come noi.»

«Come noi, amore mio.»

«È la prima volta che mi chiami così.» Arrossisce ed è deliziosa. «Vai avanti.»

«La sirena era triste, perché si era innamorata di un marinaio, ma nessuno dei pescatori aveva idea di quale di loro potesse essere. Così il capitano decise di sorteggiare, per scegliere chi sarebbe stato consegnato alla sirena. L’estrazione diede il nome di Sean, un giovane con i capelli rossi, uno dei navigatori più esperti e talentuosi. Nessuno dell’equipaggio voleva lasciarlo andare, il suo supporto era troppo importante per poter tornare a riva sani e salvi. Così decisero di ritentare un nuovo sorteggio. E poi ancora un altro. E un altro e un altro ancora.»

«Ma continuava a uscire il suo nome. Quello di Sean, vero?»

Si è appassionata a questa storia, pende dalle mie labbra, vuole sapere la sorte della sirena e del marinaio.

Guardami sempre così, Chas, non smettere mai di ascoltare le mie parole, di donarmi il tuo entusiasmo. Amami, come io amo te. Senza fine.

«Continuava a uscire il nome di Sean, e il mare continuava a ingrossarsi e i venti a soffiare, finché fu proprio Sean a mettere fine alla situazione. “Vado io,” disse, “così voi potrete tornare dalle vostre famiglie.” A quel punto uscì sul ponte, percorse tutta la nave fino ad arrivare a prua, nel punto più vicino allo scoglio su cui era seduta la sirena piangente. Una volta di fronte a lei, cominciò a cantare una canzone della sua infanzia e la sirena smise di piangere, lo guardò e cantò con lui. Le loro voci si sfiorarono e diventarono una sola, come se le loro anime si stessero fondendo, e il vento si placò e il mare si quietò. La sirena a quel punto capì. E lo lasciò libero. Il sole fece capolino dalle nubi e l’equipaggio poté allontanarsi dagli scogli e dalla morte.»

«E cosa fu del loro amore?»

«Sean divenne capitano e continuò a navigare per tutta la sua vita, senza mai scendere da una barca, legato al mare e alla sirena. Ma non cantò mai più.»

«Damian! È una storia tristissima, sembra un presagio orrendo. Giurami che noi canteremo insieme per tutta la vita.»

«Te lo giuro, Chas.»

«Non ce la faccio più senza di te. Quando rientri in camera voglio fare l’amore.»

«Sarebbe bello, ma…»

«Niente ma. Non sarà come dal vivo ma ho bisogno di vederti nudo, di sentire come se fossimo insieme.»

«Tu sei matta» rido, ma sono dannatamente eccitato. E felice. Il bisogno che ha di me è lo stesso che arde nelle mie vene e non ho alcun problema ad accontentare i suoi desideri. «Dammi il tempo di tornare a casa e sono tutto tuo.»

«Sbrigati.»