Capitolo 25

Quando arriviamo in campagna la nonna non accelera. Se scendessi a spingere saremmo più veloci.

«Non potremmo andare un po’ più in fretta?»

La nonna preme sull’acceleratore. Puntiamo verso il ciglio della strada.

«Nonna!» le urlo indicando la strada.

Ci riporta in carreggiata e proseguiamo, non esattamente di volo, ma comunque abbastanza veloci per qualcuno che non abbia fretta. E invece noi ne abbiamo.

Superiamo il bivio per il ponte. “Credete che l’uccello di merda sappia volare?”

Ci accodiamo a un trattore che traina un carico di zucche. La nonna rallenta. In breve dietro di noi si forma una fila.

«Nonna, aspettano tutti che lo superiamo.»

«E tu lasciali aspettare.»

«Ma dall’altra parte non arriva nessuno, puoi farcela.»

La macchina dietro si sposta sulla sinistra. Anche la nonna. La macchina dietro rallenta. La nonna ondeggia tra la nostra corsia e quella di sorpasso. Suonano i clacson. La nonna si sposta completamente sulla corsia di sinistra. Le altre macchine la seguono. Solo che lei quasi non accelera. Proseguiamo lentamente affiancati al trattore. Davanti a noi c’è una salita. La linea tratteggiata finisce.

«Nonna! Accelera!»

«Sto andando più in fretta che posso.»

Una macchina sulla salita. Il trattore rallenta per far passare la nonna… ma rallenta anche lei!

«NONNA! COSÌ CI AMMAZZIAMO!»

La nonna sbatte le palpebre, schiaccia il piede sull’acceleratore e voliamo oltre il trattore e di nuovo nella corsia di destra mentre la macchina che viene verso di noi sterza sulla ghiaia. Tutti picchiano i pugni sui clacson.

Siamo in cima alla salita. Dalla curva sbuca un poliziotto. Ha sentito il rumore? Sta rallentando?

«Nonna, la fattoria sulla nostra destra. Esci dalla carreggiata. Fa’ finta che siamo arrivati a casa.»

Obbedisce. Il trattore e le macchine proseguono come se niente fosse. Il poliziotto va avanti.

«Be’, per oggi ho guidato abbastanza» dice la nonna.

Dici? Però per arrivare a Woodstock mancano ancora dieci minuti.

«Nonna, chiederò alla fattoria se possono chiamarci un taxi, va bene?» Porto via le chiavi in modo che non riparta senza di me.

Mi apre la porta una donna con in mano uno straccio e un flacone di detersivo per i vetri. Ha i capelli stretti in un foulard.

Le indico la macchina della nonna. «Mi scusi se la disturbo, ma la nonna e io abbiamo dei problemi con l’auto e il mio telefonino ha la batteria scarica. Le dispiace se uso il suo? Ci serve un taxi per arrivare a Woodstock.»

Vede la nonna agitare le braccia. «Vieni, entra pure. Scusa il disordine.» Mi mostra il telefono fisso in cucina. Sul frigorifero c’è una calamita con il numero dei taxi di Woodstock.

Chiamo. «Le mandiamo una macchina tra dieci minuti» mi dice il tipo all’altro capo della linea. Bene. Aggiungiamoci altri dieci minuti per arrivare alla stazione e ce ne rimangono ancora dieci prima che parta il treno.

«Vi servirà un carro attrezzi?» mi chiede la donna.

«Dirò a papà di chiamarlo lui quando tornerà dalla funzione.»

«Buona idea. Te la terrò d’occhio io. Se tu e la nonna desiderate aspettare qui…»

«No, grazie, non ce n’è bisogno.»

Torno in strada e tolgo i bagagli dal baule. Passano delle macchine. Ne passano altre.

E se ci fosse qualcuno che conosciamo? E se chiamassero mamma e papà?

Controllo l’ora. Da quando ho chiamato sono passati dieci minuti. Undici minuti. Scalcio la ghiaia. Dodici minuti. Tredici. Quattordici. Dov’è questo taxi? Si sta facendo tardi!

Un camper sale su per la strada. Camper vuol dire una famiglia con bambini piccoli oppure una coppia di anziani, giusto? Si può chiedere un passaggio senza pericolo, giusto?!

«Nonna! Fai finta che siamo nei guai! Che poi è vero!»

La nonna agita le braccia come una majorette mentre io salgo sulla carreggiata con le mani in alto implorando: “Vi prego! Aiuto! Sono una povera ragazza con la sua nonna!”.

Il camper accosta. Ha la targa del Kentucky. Dentro c’è una coppia anziana. Lui ha una T-shirt con la scritta SONO STATO A DISNEY WORLD, lei un vestito a pois e un cappello di paglia.

«Avete qualche problema?» domanda l’uomo.

«Sì, infatti. Stavamo andando a Woodstock, ma ci si è guastata la macchina. I miei non rispondono al telefono e ci serve un passaggio.»

«Saltate su, basta che ci dici dove dovete andare.»

«Grazie. È la prima città, da qui saranno dieci minuti.»

La nonna e io ci sediamo dietro con le nostre cose.

«Noi siamo Hal e Bette Perkins» si presenta il marito. E oh, se a Hal e Bette Perkins piace parlare! Hanno tre figli e sette nipoti, e da quando due anni fa Hal è andato in pensione dal suo lavoro di ragioniere per una ditta di legname a Louisville, girano tutto il Nord America.

«Abbiamo sempre avuto una gran voglia di viaggiare, ma non ne avevamo il tempo» mi spiega il signor Perkins. «Ora non smetteremmo più. Oh, le storie che potrebbe raccontare questo camper! Una volta in un bagno nell’Oregon ho trovato una dentiera.»

«Davvero?» si illumina la nonna. «Una volta ho visto un uomo che si è spogliato.»

«Come dice?» chiede la signora Perkins come se non avesse sentito bene.

«Avrò avuto cinque o sei anni ed ero nella corsia dei dolciumi del supermercato.»

«Bontà divina! E i suoi genitori che cos’hanno detto?»

«Non credo di averglielo raccontato. Però ero rimasta impressionata. Era la prima volta che vedevo uno di quegli affari.»

«Immagino che ci sia una prima volta per tutto» commenta educatamente la signora Perkins.

«E anche un’ultima» ride la nonna. «Il che mi ricorda una storiella divertente.» Oh, no! «Perché nella nostra chiesa c’è un pianoforte?»

«Perché?»

«Perché il pastore Nolan tiene l’organo nei pantaloni!»

«Ecco» la interrompo, «stiamo entrando a Woodstock. Prosegua diritto lungo i binari.»

«Ne so un’altra!» La nonna ne sa un milione. Ha cominciato a raccontarle in chiesa, che è il motivo per cui papà e mamma hanno smesso di portarcela.

«Nonna, sto cercando di dare le indicazioni stradali al signor Perkins.»

«Be’, come barzelletta è strana, ma continua pure.»

«D’accordo, allora all’incrocio svolti a destra verso la stazione» dico al signor Perkins. «Da lì possiamo tranquillamente continuare a piedi.»

«Che sciocchezza» dice la signora Perkins subito dopo l’incrocio. «Vi lasceremo alla porta di casa.»

«Eccola» dico indicando l’abitazione all’angolo.

«Accipicchia, è davvero vicina» osserva il signor Perkins.

«Che sta succedendo?» chiede la nonna quando la faccio scendere dalla macchina.

«Stiamo salutando i signori Perkins.»

La nonna dà la mano alla signora Perkins attraverso il finestrino aperto. «È stato un piacere rivedervi.»

Ci salutano e ripartono. Il treno entra in stazione con un lungo fischio.

«Sbrigati, nonna.» Corriamo a perdifiato, spalanchiamo la porta della stazione e ci precipitiamo allo sportello. La nonna pesca dei soldi e me li dà. Afferro i biglietti. «Aspetti!» urlo al capotreno che sta per richiudere lo sportello della carrozza.

Saltiamo a bordo. Mentre ci sediamo, il treno esce dalla stazione.