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Guardando sua moglie, Nick capì subito che qualcosa non andava. Ma andava tutto storto quel giorno? A giudicare dalla sua postura rigida e dalle mani puntate sui fianchi, era evidente che stava ribollendo di rabbia.

«Che succede, piccola?» le chiese. Anche se prima avevano discusso, Sam era sempre la sua piccola, era sempre la persona più importante della sua vita. Be', ora si contendeva il primo posto con Scotty, ma questo Sam lo capiva. Scotty veniva al primo posto per entrambi. Nick le posò le mani sulle spalle. I muscoli irrigiditi erano un altro segnale che qualcosa non andava.

«Ho appena detto a mio padre una cosa che non avrei dovuto dire. Ora è in collera con me, e a ragione.»

«Sai che non resterà arrabbiato a lungo.»

«Non so... è proprio furibondo. Scotty lo ha accompagnato a casa.»

Nick l'abbracciò con cautela da dietro. Il dolore alle costole era ancora molto forte, ma dovendo guidare per accompagnare Scotty all'allenamento di hockey, non aveva preso altri antidolorifici.

Sam mise le mani sulle sue. «Devo dirti una cosa che farà arrabbiare anche te.»

Nick s'irrigidì in attesa di sentire quel che aveva da dirgli.

«Mi recherò alla scuola di Brooke con Hill. È riuscito a ottenere un mandato. Andremo a prendere il suo computer portatile e cercheremo di scoprire cos'è successo ieri sera.»

Nick avrebbe potuto dire tante cose, ma per non peggiorare la situazione tra loro, le tenne per sé.

Sam si voltò verso di lui. «Di' qualcosa.»

«Cosa c'è da dire? Se ti dicessi di non andare, lo faresti lo stesso. Se ti dicessi che non devi occuparti di questo caso, che stai rischiando tutto per una ragazza che ha dimostrato di non meritarselo, lo faresti lo stesso.»

«Lo faccio per Brooke, anche se non se lo merita ma, soprattutto, lo faccio per Tracy, che, invece, se lo merita eccome!»

«Se ti dicessi che Hill è un opportunista che farebbe qualsiasi cosa per stare solo con te, mi diresti che non è vero. Quindi, cosa vuoi che dica esattamente?»

Sam si scostò di un passo, incrociando le braccia e scuotendo la testa. «Non capisci...»

«No, non capisco, ma, evidentemente, che io capisca oppure no non ha importanza.»

Scotty rientrò in casa. «Sei pronto, Nick?»

«Sì, sono pronto.» Senza dire altro a Sam, prese il cellulare, le chiavi e il cappotto e si diresse verso la porta.

«A dopo» disse Scotty a Sam, seguendo Nick.

«Buon allenamento.»

«Grazie.»

Nell'anno che avevano passato insieme, Nick non era mai stato in collera con lei come in quel momento. Sam stava sfidando l'ordine esplicito del suo capo di restare fuori da quel caso e si stava giocando la carriera guadagnata con tanta fatica per una ragazza che aveva ampiamente dimostrato di pensare solo a se stessa.

Questo aveva voluto intendere Nick, dicendole che Brooke non se lo meritava. Forse lo aveva espresso un po' bruscamente, ma il senso era quello. Da anni Brooke creava problemi alla loro famiglia e, anche se non avrebbe mai augurato a nessuno quel che era successo - men che meno a Tracy e Mike, che sicuramente non lo meritavano -, non poteva dirsi sorpreso di quanto era avvenuto. Se Sam fosse stata sincera con se stessa, lo avrebbe riconosciuto anche lei.

«Qualcosa non va?» gli chiese Scotty, mentre si dirigevano insolitamente in silenzio al palazzetto del ghiaccio.

«No, non è niente, scusa. È che sono successe tante cose oggi.»

«Sei arrabbiato con Sam, si vede.»

Nick non si era ancora abituato a quel ragazzino perspicace. «Non siamo d'accordo su come sta gestendo questa situazione con Brooke.»

«Cosa intendi dire?»

«Lei vuole scoprire cos'è successo ieri notte, mentre io vorrei che ne restasse fuori.»

«Ma non può farlo, lei non ne è capace, è fatta così.»

Nick guardò Scotty, che, in effetti, era straordinariamente perspicace. «No, infatti» ammise con un sospiro, «ma stavolta vorrei che si comportasse in modo diverso.»

«Perché potrebbe mettersi nei guai aiutando Brooke?»

«Per prima cosa.»

«E perché la vostra vacanza è saltata?»

«Anche. Non che incolpi Brooke di questo. Be', non proprio. È... complicato. Questa avrebbe dovuto essere una settimana di relax.»

«Anche Sam era ansiosa di stare a casa.»

«Lo so.» Nick entrò nel parcheggio del palazzetto del ghiaccio e, dopo aver girato un po', trovò un posto libero. Come sempre, quel posto era molto affollato. Spense il motore e si voltò verso Scotty. «Tutte le coppie sposate litigano di tanto in tanto. Ci saranno sempre delle cose su cui non siamo d'accordo e io e Sam stiamo cercando di capire come fare con un'altra persona in casa... una persona che non vogliamo rattristare.»

«Va tutto bene, lo capisco... Se litigate, almeno non continuerete a baciarvi come fate di solito!» Scotty tossicchiò imbarazzato, facendo ridere Nick.

«Mi fai morire!»

Quando scese dall'auto e seguì Scotty e la sua borsa gigantesca all'interno del palazzetto, Nick si rese conto di sentirsi un po' meglio. Era ancora contrariato per tutto quello che era successo, ma nelle ore a venire si sarebbe concentrato esclusivamente su suo figlio. A sua moglie avrebbe pensato dopo.

Turbata dal fatto che Nick se ne fosse andato ancora una volta senza finire il discorso e senza salutarla come faceva di solito, Sam rimase a fissare la porta chiusa per cinque minuti. Era quasi sempre convinta di avere ragione, ma questa volta non ne era così sicura.

Nick aveva detto la verità. Brooke si era messa in una situazione molto pericolosa, fuggendo da scuola per partecipare a una specie di orgia. In qualsiasi caso, nessuno meritava di essere violentato. Con questo pensiero in testa, Sam si preparò a raggiungere Middleburg, in Virginia.

Prima di uscire, telefonò a Tracy, la quale rispose al primo squillo.

«Come sta?» le chiese Sam.

«Sempre uguale, sta ancora dormendo.»

«Meglio così, avrà dolore quando si sveglierà.»

«Lo so, i medici ci hanno avvisati.»

«Vado a scuola per vedere cosa riesco a scoprire. Starò via per circa cinque ore. Ho lasciato detto che nessuno dovrà parlare con lei in mia assenza, quindi presumo che non si farà vivo nessuno della polizia.»

«Freddie è passato poco fa per sapere come stava, ma è stata una visita personale, non professionale.»

Sam se lo aspettava dal suo fedele amico, che conosceva tutta la sua famiglia. «Molto gentile da parte sua.»

«Arrivava da MacArthur Boulevard ed era sconvolto.»

«È sempre peggio quando sono coinvolti dei ragazzi.»

«Posso immaginarlo. Non so come fai.»

«Tu stai bene, Tracy?»

Lei sospirò. «Sono scioccata e inorridita e...» La voce le si spezzò. «Forse non dovrei essere così scioccata dal fatto che alla fine sia successa una cosa del genere. Era un po', ormai, che Brooke aveva preso questa strada. Mike la pensa come me, anche se non l'ha mai detto a voce alta.»

«Anch'io non sono così sorpresa che abbia trovato il modo di scappare da scuola per partecipare a un festino, o che si sia ubriacata e drogata. Ma quello che le hanno fatto non è colpa sua.»

«Se non avesse fatto quel che ha fatto, non le sarebbe successo niente» osservò Tracy.

«Forse no, ma questo non li giustifica. Inoltre, dopo che l'hanno violentata, qualcuno li ha uccisi tutti. Brooke era sporca di sangue e questo significa che lei e altri erano lì quando c'è stata la mattanza. O c'era più di un assassino, oppure gli altri sono riusciti a fuggire.»

«Non penserai che lei...»

«No, non penso che abbia a che fare con gli omicidi, Tracy. Non era in sé e il video ne è la prova.»

«Dio mio, come può aver fatto una cosa simile a se stessa... e a noi?»

«Le ci vorrà parecchio tempo per riprendersi da quello che è successo. Per fortuna, non ricorderà molto. Adesso devo andare, ma tienimi aggiornata. Quando torno, passo di lì.»

«Grazie per tutto quello che stai facendo per noi.»

«Brooke è viva, e questa è l'unica cosa importante. Cerca di non preoccuparti del resto.»

«Ci sto provando.»

«Ci vediamo dopo.» Sam si sentiva impotente e ribolliva di rabbia. Proprio lei, uno degli agenti più stimati del dipartimento di polizia, relegata in panchina durante una delle indagini più scottanti. Sua nipote era in terapia intensiva, sua sorella era distrutta e tormentata dai sensi di colpa, e suo padre e suo marito erano in collera con lei.

A quel punto le cose potevano andare solo meglio, no? Sbagliato! Aprì la porta e trovò Darren Tabor del Washington Star ancora di vedetta sul marciapiede. «Cosa vuoi, Darren?»

«Mi chiedevo cosa ci fai a casa quando una strage ha sconvolto la nostra città.»

Sam alzò le spalle. L'ultima cosa di cui aveva bisogno era che un giornalista curioso intuisse che sua nipote si trovava sulla scena del crimine al momento degli omicidi.

«Perché avete chiamato un'ambulanza ieri sera? Ho cercato il rapporto della polizia, ma stranamente non esiste.» Il suo tono era sarcastico e Sam non poteva che dargli ragione. Dopotutto, Darren era molto perspicace e sicuramente ben informato.

«Questioni private.»

«E la visita del senatore al pronto soccorso?»

Sam lo fulminò con un'occhiata. «Un infortunio durante una partita di hockey. Adesso sta bene.» Guardò lungo Ninth Street, con la speranza che Hill non arrivasse prima che lei fosse riuscita a sbarazzarsi di Darren. «Vattene, Darren, non c'è niente di interessante qui.»

«Oh, Sam» disse lui ridendo, «c'è sempre qualcosa di interessante quando ci sei di mezzo tu! Vedo che oggi non sei in vena di generosità, quindi ti lascerò in pace. Per il momento. Spero solo che tu non nasconda qualcosa.»

«Guardi troppa televisione.»

«Prima di lasciarti, volevo dirti che ho sentito un'altra notizia interessante... Sembra che Nelson voglia rimpiazzare Gooding e che tuo marito sia la sua prima scelta.»

Sam lo fissò.

«Ah» proseguì Darren con un sorrisetto perfido, «vedo che è stata una sorpresa anche per te. E così il senatore non ti ha detto niente? Sembra che Gooding sia malato e che si tratti di una cosa seria. Darà le dimissioni dopo il giorno del Ringraziamento. La mia fonte mi ha riferito che anche se il senatore Cappuano ha rifiutato l'offerta del Presidente, resta comunque la sua prima... e unica scelta.»

Sam era basita. Nelson aveva offerto a Nick il posto di vicepresidente e lui non gliel'aveva detto? «Te lo sei inventato di sana pianta, vero, Darren?»

«Non mi sono inventato niente, l'ho saputo direttamente dal nostro inviato alla Casa Bianca. L'ha saputo da un membro dello staff dell'Ala Ovest. Se non mi credi, chiedilo a tuo marito.»

«Devo andare. Buon Ringraziamento.»

«Anche a te, ma sono sicuro che ci rivedremo prima.»

«Io, invece, sono sicura di no.» Incamminandosi, inviò a Hill un SMS chiedendogli di aspettarla all'isolato successivo. Sam si guardò alle spalle per assicurarsi che il giornalista non la stesse seguendo, ma di lui non c'era più traccia.

Continuava a ripensare a ciò che Darren le aveva detto. Era la verità? Nelson aveva chiesto a Nick di diventare vicepresidente? Se era così, perché Nick non gliel'aveva detto? Dopo aver tanto predicato perché fossero sinceri l'uno con l'altra! Lei aveva cambiato comportamento proprio per assecondare la sua esigenza di sapere tutto. Evidentemente, lui non rispettava la stessa regola.

Quando arrivò Hill, lei era ormai furibonda. Salì sull'auto e sbatté la portiera.

«Ehi, vacci piano con la mia macchina!»

«Scusa.»

«Tutto okay?»

«Sì, sì, tutto perfetto. È il giorno più bello della mia vita.» Sam notò che Hill indossava un giubbotto nero con un paio di jeans sbiaditi. L'aveva sempre visto con indosso completi classici da tremila dollari e rimase colpita ancora una volta dal suo aspetto avvenente. I capelli castano dorati erano dello stesso colore degli occhi.

Gli zigomi pronunciati e quell'accento affascinante completavano il quadro. Ma dal momento che lei era sposata con l'uomo più bello che avesse mai conosciuto, non degnò di un secondo sguardo quel ragazzo prodigio. Il fatto che lui avesse ammesso di essersi preso una cotta per lei era un motivo in più per tenere gli occhi a posto.

«Come sta tua nipote?»

«Sempre uguale, ancora sedata e ancora in terapia intensiva.»

«Mi sono rivolto a uno dei nostri migliori tecnici informatici per risalire alla fonte delle fotografie e del video.»

«Ci riuscirà?»

«L'obiettivo è quello.»

«Grazie, lo apprezzo molto.»

«Devi essere proprio disperata per chiamare me.» Nel suo sensuale accento del Sud era chiaramente distinguibile un pizzico d'ironia.

«Disperata è l'aggettivo adatto per definire come mi sento. Brooke, mia nipote... ci ha dato parecchio filo da torcere in questi ultimi anni. Questa scuola era l'ultima spiaggia, e adesso...» Sam sospirò, esausta e incapace di immaginare le conseguenze che sarebbero ricadute su Brooke... e la sua famiglia.

«Adesso i problemi ti sembrano insormontabili, ma sono sicuro che saprai cosa fare per proteggere Brooke.»

«Spero di avere ancora il mio lavoro quando arriverà quel momento.» Sam appoggiò la testa allo schienale, con l'intenzione di chiudere gli occhi per qualche minuto. Quando riaprì le palpebre e si trovò davanti Avery, rimase disorientata e non capì subito dove si trovava. «Scusa. Non ho dormito per tutta la notte.»

«Nessun problema.»

«Non ho russato, vero?»

«Non te lo dirò mai.»

Sam arrossì, con suo enorme disagio. Cosa le importava se Avery l'aveva sentita russare? «E così questa è la famosa scuola femminile Remington» disse, cercando di farsi venire in mente qualcosa - qualsiasi cosa - per distrarre la sua attenzione.

«Sì, questo imponente edificio di pietra, ricoperto di edera.»

«Hai il mandato?»

Avery si diede un colpetto sul petto. Evidentemente, aveva il mandato in tasca.

«Coraggio, andiamo.» Non del tutto rinfrancata dal sonnellino di due ore, Sam si preparò ad affrontare con decisione il preside, sebbene fosse ancora un po' stordita e assonnata. Preferiva essere in forma quando doveva fare la voce grossa, ma quel torpore non le avrebbe impedito di fare ciò che andava fatto.

Varcò con passo deciso l'entrata principale. Nell'atrio trovò la segretaria, che si comportò come se non sapesse assolutamente perché lei si trovava lì.

«Chiami il preside» disse Sam, mostrando il distintivo. «Immediatamente.»

La donna anziana e dalla corporatura pesante si alzò e scomparve in un ufficio, chiudendosi la porta alle spalle.

«Mi piace vederti all'opera, tenente.»

«Detesto le persone stupide che fingono di non sapere cosa sta succedendo quando da questa mattina qui dentro non si sarà parlato d'altro che della fuga di Brooke.»

La donna tornò in compagnia di un uomo alto, magro e calvo. Con indosso un completo con gilè e un paio di occhiali dalla montatura d'oro, Gideon Young camminava rigido, come se avesse ingoiato un bastone. Il suo incedere le fece già capire cosa poteva aspettarsi da lui. Sam gli mostrò il distintivo e Hill fece lo stesso.

«Tenente Holland, polizia di Washington.»

«Agente speciale Hill, FBI.»

Udendo la parola FBI, Young si fece un po' meno baldanzoso. «Cosa c'entra l'FBI?»

«Nove adolescenti sono stati assassinati e una è ricoverata in terapia intensiva. Ecco cosa c'entra l'FBI» rispose Hill.

Il preside impallidì. «Assassinati? Chi è stato assassinato?»

«Questo non la riguarda» disse Sam. «Vogliamo sapere come Brooke Hogan è riuscita a uscire da qui con un documento falso. Vogliamo sapere perché una minorenne ha lasciato la scuola senza che siano stati avvisati i suoi genitori, e affidata alla custodia di una sorella che non ha.»

Hill le posò una mano sul braccio per farle capire che stava per perdere il controllo. Sam inspirò a fondo e si divincolò.

«Voglio delle risposte, signor Young, e le voglio adesso.»

La donna anziana, che aveva seguito il loro scambio di battute con espressione terrorizzata, scoppiò improvvisamente in lacrime. «È tutta colpa mia. Ha detto di essere la sorella di Brooke e mi ha mostrato un foglio con cui la madre di Brooke l'autorizzava a ritirare la sorella. Avrei dovuto telefonare ai genitori. È colpa mia. Se dovete arrestare qualcuno, arrestate me.»

Oh, cazzo!, pensò Sam.

«Su, su Linda» la rassicurò Young, «nessuno ti sta accusando.»

«Ehm... io sì» disse Sam. «E anche mia sorella e suo marito. Tutti noi l'accusiamo di essersi lasciata ingannare da un'adolescente bugiarda.»

«Le sembra il modo di trattarla?» protestò Young, mentre Linda piagnucolava affranta.

«Signor Young, come lei sa - perché immagino si sia affrettato a consultare il suo legale dopo che ci siamo parlati -, mia sorella e suo marito dispongono di elementi sufficienti per intentare una causa contro la sua scuola. La situazione è talmente grave che potrebbe essere costretto a chiudere l'istituto. Per questo motivo, consiglio a lei - e al suo staff - di collaborare nelle indagini.»

Alle parole intentare una causa, Young curvò le spalle e assunse un'aria rassegnata. «Cosa possiamo fare per voi?»

«Innanzitutto, ho bisogno di sapere a che ora Brooke ha lasciato la scuola.»

Linda si tamponò il viso bagnato di lacrime. «Erano circa le cinque e mezzo.»

Sam prese nota sul taccuino che aveva estratto dalla tasca posteriore dei jeans. «Vorrei anche una descrizione della sedicente sorella di Brooke.»

«Linda, sei in grado di descrivere la ragazza?» le chiese Young in tono cortese. Sam lo avrebbe volentieri preso a schiaffi.

Hill le diede un colpetto con il gomito. «Guarda» le disse e indicò una telecamera in un angolo dell'atrio.

«Non importa, Linda. Voglio il video» disse Sam al preside.

«Glielo invio subito.»

«Come può ben vedere, non sono al computer, quindi me lo mandi dove posso vederlo immediatamente.»

Young prese il telefono e digitò un numero. «Per favore, vieni subito da me» disse.

«In passato era già successo qualcosa del genere?» chiese Sam mentre aspettavano.

«Assolutamente no!» rispose Young. «Negli anni ci siamo guadagnati la reputazione di aiutare le ragazze a rischio a dare una svolta alla loro vita. Una cosa del genere... be', potrebbe rovinarci.»

A quelle parole, Linda riprese a singhiozzare.

Sam fissò Young, sperando che lui recepisse il messaggio.

«Ehm... Linda, perché non vai un po' nel mio ufficio e cerchi di calmarti?»

«Sì, signor Young» disse lei tra i singhiozzi, «ci vado subito. Sono terribilmente dispiaciuta.»

«Lo so, Linda.»

Un ragazzo emerse da una porta in fondo al corridoio. Alto e atletico, aveva i capelli scuri e ricci e uno sguardo profondo e intenso. Il primo pensiero di Sam fu che fosse il sogno proibito di tutte le studentesse del collegio femminile.

«Lui è Sebastian Ryder, il nostro direttore della sicurezza» lo presentò Young.

Sam soffocò una risatina di fronte a quel nome da telenovela. «Lei è il direttore della sicurezza?»

Ryder socchiuse con disappunto gli occhi da poeta dall'espressione sognante. «Lei chi è?»

Sam gli mostrò il distintivo con grande soddisfazione. «Tenente Holland, squadra omicidi.» Poi indicò Hill con il pollice. «Il mio collega, l'agente speciale dell'FBI, Hill.»

Ryder spostò lo sguardo dall'una all'altro, prima di concentrarsi di nuovo su Sam. «Cosa possiamo fare per voi?»

«Il signor Young l'ha informata del fatto che ieri sera una persona che si è spacciata per la sorella maggiore è venuta a prelevare mia nipote minorenne?»

«Sono appena arrivato. Di solito, non lavoro il sabato.»

«Perché si trova qui, visto che è il suo giorno di riposo?»

«Il signor Young mi ha telefonato, dicendomi che era necessaria la mia presenza, ma sono appena arrivato. Non ho ancora avuto modo di parlare con lui.»

Sam trovò molto strano che Young avesse telefonato al direttore della sicurezza, ma non avesse ritenuto opportuno dirgli perché. «Vorremmo dare un'occhiata al video della sorveglianza. Abbiamo un mandato.»

Avery prese il mandato e glielo porse.

Ryder guardò Young, il quale annuì. «Certo, per di qua.» Ryder fece loro cenno di superare il banco della reception e di varcare la stessa porta da cui lui era uscito. Percorsero un lungo corridoio che sembrava ospitare uffici, e finirono in una grande stanza piena di monitor che mostravano numerose vedute del campus. Due altri ragazzi giovani e attraenti stavano seguendo le immagini di quella tranquilla giornata. In giro si vedeva solo una manciata di studenti.

«È sempre così tranquillo qui?» chiese Hill.

«No» rispose Ryder, «la maggior parte degli studenti è già andata a casa per le vacanze. Ieri, al termine delle lezioni, c'è stato un fuggi fuggi generale.»

Questo, pensò Sam, poteva spiegare come Brooke fosse riuscita a svignarsela in mezzo alla confusione, senza che Linda prestasse particolare attenzione. Conoscendo Brooke, doveva aver studiato con cura il momento della sua fuga.

«Il collegio chiude questa sera alle sei e riapre tra una settimana a mezzogiorno» proseguì Ryder. «Trent, dammi la registrazione di ieri sera dell'area della reception.»

«Ci interessa vedere cosa è successo intorno alle cinque e mezzo» disse Sam.

«Certo» rispose Trent, mettendosi al computer. Poco dopo, su un grande schermo comparvero le immagini.

Trent le fece scorrere velocemente. «Aspetti. Fermo! Eccola, è lei» disse Sam. Brooke entrava nella segreteria con uno zaino in spalla e i capelli scuri raccolti in una coda, diceva qualcosa a Linda e poi si voltava verso la porta, mentre compariva un'altra ragazza. Sam si avvicinò allo schermo per vedere meglio quest'ultima, ma era stata ripresa di schiena.

Brooke l'abbracciava e poi la presentava a Linda. Le mostravano un foglio, che Linda leggeva, continuando a chiacchierare con Brooke. La segretaria restituiva poi il foglio all'amica di Brooke, e le due ragazze si voltavano per andarsene, rendendo così possibile vedere in viso la seconda ragazza.

«Ecco! Blocchi l'immagine. Può spedircela via e-mail?»

«Sì» rispose Trent. «Dove?»

«Dagli il tuo indirizzo» disse Sam ad Avery. «Io non possiedo uno smartphone.»

Avery diede il suo indirizzo e-mail.

Quando disse fbi.gov, Trent si bloccò e lo osservò incuriosito. «Ha detto FBI?»

«Sì» rispose Avery, senza fornire ulteriori informazioni.

«Okay, l'ho inviata.»

Avery prese il telefono e quando un suono indicò l'arrivo dell'e-mail, si rivolse a Sam. «Dove vuoi che la mandi?»

«A mia sorella per l'identificazione.»

«Il suo numero?»

Sam lo ricordava a memoria. «Scrivile che gliela stai inviando da parte mia e che ho bisogno di sapere chi è questa ragazza.»

«Fatto» disse lui un attimo dopo.

«Dobbiamo perquisire la stanza di Brooke» disse Sam.

«Per di qua» disse Young alle loro spalle. La sua voce la fece trasalire, ma Sam non era del tutto sorpresa che lui li avesse seguiti. Young e Ryder li scortarono fuori dall'edificio che ospitava gli uffici amministrativi. Dopo aver attraversato un grande spiazzo erboso dalla forma quadrata, raggiunsero il dormitorio in mattoni chiamato Aldrich Hall. Insieme salirono i tre piani di scale fino alla stanza 301.

«È entrato qualcuno?» chiese Sam.

«No» rispose Young. «La compagna di stanza di Brooke se n'è andata prima di lei, quindi nessuno ci ha messo piede da quando Brooke è uscita.»

Era la prima buona notizia di quella giornata, pensò Sam, mentre Ryder usava il passe-partout per aprire la porta. La prima cosa che Sam notò fu il profumo di sua nipote e subito le salirono le lacrime agli occhi. Ricacciandole indietro, entrò nella stanza e guardò le fotografie attaccate alla parete. Non era necessario che il preside le dicesse qual era la parte della stanza di Brooke. Per sua nipote niente Bieber o One Direction, pensò Sam. Brooke era una fan di gruppi musicali dall'aspetto inquietante che lei nemmeno conosceva.

Il letto sfatto aveva il copriletto viola e i vestiti erano sparsi per terra, insieme a un paio di asciugamani, sempre viola. Sul letto c'era Norman, l'orsacchiotto di peluche con cui Brooke dormiva da quando era nata. La vista del pupazzo, sgualcito e consumato, le fece salire altre lacrime agli occhi.

«Non dovrebbero tenere la loro stanza in questo stato» disse Young in tono di disapprovazione.

«Credo che con Brooke ricoverata in terapia intensiva, a causa, in parte, della negligenza dei suoi collaboratori, il disordine sia il minore dei suoi problemi» osservò Sam, avvicinandosi alla scrivania.

Avery prese i sacchetti per le prove e i guanti e prelevò l'iPad e il computer portatile.

Sam rovistò tra i fogli sulla scrivania, ma era tutto materiale scolastico. «So che il vostro programma include un sostegno psicologico» disse a Young. «Vorrei parlare con la persona che segue Brooke.»

«Dubito che possa essere d'aiuto, è vincolata dal segreto professionale» obiettò lui.

«Agente Hill?» lo chiamò Sam.

«Abbiamo un mandato» rammentò Avery a Young.

«Che riguarda anche la terapia psicologica?»

«Che riguarda tutto. Sono una persona molto meticolosa.»

Sam adorava il suo irritante e pedante collega. Stava dimostrando di essere il partner ideale per quella missione. «Vada a chiamare la terapista. Subito.»

Mentre Young usciva, squillò il telefono di Avery.

Lui guardò il display e poi porse l'apparecchio a Sam. «Tua sorella.»

È Hoda, naturalmente. Non avevo dubbi, diceva il messaggio.

Dopo averlo letto, Sam chiamò il preside della Woodrow Wilson High School, che questa volta le rispose. «Signor Galbraith?»

«Sì» disse lui in tono sbrigativo e distratto. Ormai doveva aver saputo che alcuni dei suoi studenti erano stati assassinati. «Chi parla?»

«Tenente Holland, polizia di Washington.»

«Ah, sì, conosco il suo nome» disse lui.

«Ho bisogno di alcune informazioni su una studentessa della sua scuola, il suo nome è Hoda. La conosce?»

Il preside emise una specie di risata amara. «Può ben dirlo! È una di quelle studentesse con cui ogni preside si trova ad avere a che fare almeno una volta. È sempre nei guai, e ogni volta nega la propria responsabilità e incolpa qualcun altro.»

Come Brooke, pensò Sam. «Com'è il cognome?»

«Danziger.»

«Dove possiamo trovarla?»

«Ditemi che non sospettate che abbia qualcosa a che fare con quello che è successo a quei ragazzi in casa di Springer.»

«Al momento mi sto occupando di un altro caso» disse Sam.

«Ah, okay.» Il preside sembrava sollevato e Sam avrebbe voluto dirgli che il suo sollievo era prematuro. L'uomo le fornì l'indirizzo della famiglia Danziger, che Sam annotò sul suo taccuino.

«Stiamo cercando di rintracciare a chi appartiene l'account WilsonSeniors su Facebook e Twitter. Lei ha qualche idea in proposito?»

«Vorrei averla. Abbiamo cercato di scoprirlo anche noi dal momento che chi ha registrato quell'account ha più volte espresso senza mezzi termini la sua disapprovazione per la mia gestione. Abbiamo dei sospetti, ma non siamo in grado di dimostrare nulla. Questi ragazzi sono bravi a nascondersi online.»

«Può darmi dei nomi su cui indagare?»

«Deve capire, tenente. Nella maggior parte dei casi, sono bravi ragazzi che si sentono onnipotenti grazie all'anonimato. Non voglio che le loro vite siano rovinate per aver pubblicato opinioni, tutto sommato, innocue.»

«Oggi ha per caso guardato le cose innocue che hanno pubblicato?»

«No. Sono stato in giro con mia moglie a fare commissioni per tutto il giorno. Sono rientrato dopo che mi hanno informato di quello che è successo a casa di Springer. Molti dei ragazzi morti erano studenti della Wilson. Abbiamo il cuore a pezzi.»

«Dia un'occhiata a quello che hanno pubblicato oggi i suoi innocui studenti.»

«Be'... ehm... okay.» Sam lo sentì digitare sulla tastiera. «Oh, mio Dio...» mormorò Galbraith a voce così bassa che quasi lei non lo udì. «Quella è Brooke Hogan?»

«Esatto, e si dà il caso che sia anche mia nipote.»

«Oddio, mi dispiace! E Michael Chastain e Hugo Springer... Non posso credere che abbiano fatto una cosa simile. Provengono entrambi da una buona famiglia. Io non... Mi dispiace, tenente.»

«Come lei può ben immaginare, stiamo facendo il possibile per rintracciare la fonte di quel video.»

«Farò qualche telefonata per vedere se riesco a sapere qualcosa. Sono sinceramente addolorato per quello che è successo. Brooke è una brava ragazza che si è messa con le persone sbagliate. Speravo che tutto si sarebbe sistemato nella nuova scuola.»

«Lo speravamo tutti. Ora faremo il possibile per aiutarla a superare la traumatica esperienza. Apprezzo il suo aiuto, come la collaborazione che vorrà offrire ai detective che verranno a parlare con lei degli studenti assassinati.»

«Naturalmente. Farò qualsiasi cosa per dare una mano.»

«Mi chiami se scopre a chi appartiene l'account.»

«Certo. Faccia i miei auguri a Brooke e alla sua famiglia.»

«Sì, grazie.» Sam rimise il telefono nella tasca del cappotto. «Una brava persona con un lavoro difficile» disse ad Avery. «Io non sarei stata una buona preside.»

Lui scoppiò a ridere. «Davvero? Cosa te lo fa pensare? Forse è per via della tua schiettezza? Della tua mancanza di tatto o forse perché vuoi sempre avere ragione?»

Sam lo guardò male anche se Avery aveva sintetizzato il suo carattere con grande precisione. «Molto divertente...»

«La dottoressa Kelison» disse Young, ricomparendo sulla porta.

Sam si voltò verso la ragazza che non sembrava molto più grande degli studenti di cui si prendeva cura. Aveva i capelli castano-rossicci lunghi e ricci, e gli occhi marroni. «Lei è un medico?»

«Sì.»

«Quanti anni ha?»

«Trentatré.»

«Wow, non li dimostra affatto!»

«Così dicono.»

«Ha seguito mia nipote, Brooke Hogan?»

«Sì.»

«Le ha detto qualcosa che potesse far prevedere che aveva intenzione di fuggire dalla scuola?»

«Gli adolescenti sono molto prudenti in questi casi.»

«È un no?»

«È un no. Senza tradire le sue confidenze, posso dirvi che Brooke stava facendo dei progressi nell'accettare i cambiamenti avvenuti nella sua vita e si impegnava con successo nello studio. Era ansiosa di terminare la scuola.»

«Le ha detto qualcosa riguardo ai suoi genitori o alla loro decisione di mandarla qui?»

La dottoressa Kelison scosse la testa. «Non posso divulgare queste informazioni.»

«Abbiamo un mandato» le rammentò Sam.

«Sappiamo tutti che l'accesso a informazioni mediche richiede tutt'altro tipo di mandato. Senza quello, non aggiungerò altro. Sono addolorata per quello che è successo a Brooke. Dietro quell'atteggiamento spavaldo e ribelle, si nasconde una ragazza molto dolce.»

«È vero.» Sam si guardò intorno nella stanza di Brooke, chiedendosi se e quando sua nipote sarebbe tornata lì. Poi prese Norman con l'intenzione di portarglielo in ospedale. «Il nostro lavoro qui è concluso» disse ad Avery. «Torniamo in città.»