Capitolo 6
Non la vedeva da almeno un mese, eppure Hope gli era rimasta nella testa come un pensiero fisso capace persino di offuscare le preoccupazioni che lo assillavano. Andrew lasciò correre gli occhi per l’unica via della città, un ammasso di gentaglia che presto avrebbe abbandonato North Platte per il prossimo luogo di perdizione lungo la tratta della ferrovia.
Lo sguardo raggiunse la casa da gioco, il vecchio tendone malandato ora possedeva un tetto solido e pareva più ampio. Dava l’idea di stanzialità e se ne rammaricò; dentro di sé sperò che Hope partisse alla volta della città successiva, così da poterla incontrare durante i suoi viaggi per visitare i cantieri della ferrovia. Sarebbe stata l’unica nota lieta in una situazione ormai difficile da gestire. Durant era in bilico nella posizione di vicepresidente della Union Pacific e lui temeva che, nel crollare, avrebbe sollevato il coperchio su tutto il marcio celato dietro sorrisi cortesi e strette di mano nelle quali erano passate mazzette e azioni del Crédit Mobilier.
Chiuse gli occhi e incamerò aria nei polmoni con la speranza di placare l’ansia che premeva sul petto. Tutto vano, il macigno gravava ancora sul cuore, ma si sgretolò quando gli occhi scorsero la figura di Hope comparire sulla porta del retro della casa da gioco. I battiti impazziti, la voglia di incontrarla che faceva a pugni con la razionalità pronta a ricordargli i doveri di uomo con una certa posizione. Lei era solo una ballerina in una città di malaffare, diversa da lui, lontana dal suo mondo, eppure ciò la rendeva ancora più attraente.
Si accigliò nel notare una seconda figura comparire sulla soglia. Abito elegante, cappello in testa e un bacio posato su labbra che anche lui bramava. Dunque, lei aveva scelto Nick Miller. Lo osservò allontanarsi con il consueto incedere sicuro, la pistola ben in vista nel cinturone di cuoio, e non riuscì a frenare la voglia di approfittare della sua assenza per incontrare Hope da sola.
Indossò la giacca e lasciò la stanza dell’albergo, il cuore che batteva al ritmo dei passi rapidi e decisi mentre scendeva la rampa che conduceva dabbasso. Non c’era altro nella sua mente adesso, solo il desiderio di rivederla.
L’avrebbe avuta, presto o tardi.
Quando uscì in strada si trovò inghiottito nel solito caos di voci e odori, ma non vi badò e proseguì verso la meta fin quando non si trovò davanti all’uscio di legno, indeciso se bussare o entrare con la prepotenza dettata dall’istinto.
Un altro respiro profondo con il quale scacciare la fretta, e bussò. L’attesa consumava il fiato, ma quando lei comparve oltre la porta si disse che era valsa la pena di tanto penare.
«Mr. Scott...» Il modo in cui si guardò attorno palesò il disagio per la sua presenza lì.
«Posso entrare, Hope?»
Era ovvio che avrebbe preferito tenerlo sulla soglia, ma alla fine si fece da parte per lasciarlo entrare in quella che era l’alcova nella quale divideva le notti con l’altro. Andrew posò gli occhi sul letto matrimoniale, nell’atmosfera intima di quel buco in cui lei pareva davvero felice. Strinse i pugni con stizza, ma si sforzò di rivolgerle un sorriso gentile.
«Sono giunto in città questa mattina, dalla nostra New York.»
«Nostra? » Sgranò gli occhi con sorpresa.
Si umettò le labbra e afferrò un pezzo della torta che troneggiava sul tavolino. «Non ve l’ho detto? Anche io sono di New York.»
«Suppongo non del mio stesso quartiere.» C’era sarcasmo e imbarazzo sul suo volto, ma era così bella da togliere il fiato.
«Suppongo di no.» Portò la torta alla bocca e si beò del sapore prelibato delle mele miste a una crema dolce e vellutata. «Ma so che eravate famosa per i vostri balletti tanto quanto per le vostre torte... e a ragione, per entrambi.»
«Come lo sapete?»
«Confidenze di un amico» tagliò corto, sicuro di aver stuzzicato la sua curiosità.
«A cosa devo la vostra visita, Mr. Scott?» Sembrava piccata e il modo in cui lo teneva a distanza riusciva solo a far aumentare il desiderio di averla.
«Alle vostre torte» improvvisò, senza sapere dove andare a parare. Si prese un istante per trovare qualcosa di intelligente da dire, mentre frugava nella tasca interna della giacca ed estraeva il corposo rotolo di banconote dal quale prelevò una cifra consistente. «Credete possano bastare per commissionarvi una torta da consegnare all’albergo questa sera?»
«Sono di certo troppi!» Incredula e diffidente.
Doveva abbattere il muro che li divideva e strapparla dalle braccia di Miller. Doveva conquistarla.
«Sono sicuro che varranno la spesa.» Posò il denaro sul tavolo e le rivolse un sorriso. «Ho un ospite a cena e voglio fare buona impressione, per questo mi affido a voi, Hope. A più tardi.»
Si voltò per dirigersi alla porta e solo quando fu all’aria aperta si concesse il sorriso vittorioso con il quale affrontò la desolazione di quel luogo. Buon Dio, persino North Platte pareva più bella adesso e nemmeno notare Nick Miller intento a congedarsi da uno dei soldati inviati a proteggere la ferrovia riuscì a intaccare il buonumore, anzi, l’idea di portargli via Hope si faceva sempre più piacevole. Avrebbe cancellato l’arroganza da quel viso e si sarebbe ripreso la dignità persa al tavolo da gioco.
«Mr. Miller, come vanno gli affari?» lo salutò nel raggiungerlo. Controllò l’ora nel vistoso orologio d’oro, per rammentargli che al loro ultimo incontro dopotutto non aveva perso, e non gli sfuggì lo sguardo gelido dell’altro. Era geloso, ciò lo rendeva un avversario pericoloso quanto avventato, e l’imprudenza giocava sempre brutti scherzi.
«A gonfie vele. Come potete notare la casa da gioco ha una nuova struttura, ed è più ampia. Presto una parte sarà riservata alla sala da ballo.» Si cacciò un sigaro in bocca e sorrise con insolenza. «E tutto grazie ai soldi che avete perso al mio tavolo.»
«Ne sono felice. Adesso assomiglia meno a una fogna, in effetti.» Distolse lo sguardo dal suo, per non concedergli troppa importanza e scoccò l’affondo decisivo: «Hope è stata così gentile da accogliermi nella vostra camera da letto, poco fa, e devo dire che assomiglia quasi a quella di una casa vera.»
«Una costruzione leggera si può smontare e trasportare, caro Scott.» C’era derisione nella voce profonda. La dichiarazione di guerra era stata accolta. «Dovreste sapere che North Platte non era la meta di nessuno di noi.»
«Dunque intendete spostarvi verso il prossimo insediamento?» La notizia era così buona da avergli rubato un battito al cuore.
«Beh, non credo resterà molto qui, dopo che gli operai se ne saranno andati.» Fece una boccata di fumo e si appoggiò al palo della bottega del nuovo barbiere. «Ho sentito che sarà nei pressi della vecchia Julesburg, è così?»
«Stanno già costruendo un albergo sulle ceneri di ciò che i Cheyenne hanno lasciato due anni fa e c’è da sperare che la cosa non si ripeta.»
«Qualcuno crede sarebbe saggio lasciare ai Sioux la valle del fiume Powder, nella speranza che la smettano di fare incursioni sulla linea ferroviaria.»
«Quel qualcuno è il generale Sherman, e credo abbia ragione. In effetti quei selvaggi stanno mettendo a ferro e fuoco entrambe le valli e qui alla ferrovia hanno causato ritardi e spese ingenti che al governo non sono piaciute.»
«Quei selvaggi sono uomini che difendono la loro terra. Potete forse biasimarli?»
«State dalla loro parte, Mr. Miller?» Ne era davvero sorpreso .
L’altro fece spallucce. «Comprendo solo le loro ragioni e i loro sentimenti. Farei lo stesso se minacciassero la mia casa o cercassero di portarmi via ciò che mi appartiene.»
Andrew finse di non cogliere il chiaro messaggio di quell’ultima frase, né il modo in cui Nick teneva le dita sulla Colt. Lo voleva intimidire, ma lui aveva risorse che avrebbero potuto far fuori quel dannato arrogante senza bisogno di alcuna arma.
«Buon Dio... sono delle bestie!» esclamò, provando il sottile piacere di deridere il suo punto di vista. «Conoscete i loro nomi? Ammazza Pawnee, Orso Veloce, Coda Chiazzata, Cavallo Pazzo, Nuvola Rossa... vivono con i ritmi della natura, inseguendo bisonti in queste terre dove solo dei folli potrebbero pensare di condurre una simile esistenza, e voi li difendete?»
«Io li rispetto, Mr. Scott. Sono uomini pieni di onore che combattono per ciò che gli appartiene. Provo più pena per chi si arrende e rabbia per chi crede di poter ottenere ciò che desidera senza preoccuparsi delle conseguenze.»
«Anche voi fate parte degli uomini che stanno portando via la terra a quei dannati selvaggi. Non vi sentite un po’ ipocrita?»
«Non ho deciso io di far passare la ferrovia per di qua.» Un’altra boccata di fumo, che annebbiò l’aria tra loro. «Ma voi dov’eravate quando è stato disegnato il tracciato?»
Il nodo dell’ansia serrò la gola con tanta forza che dovette deglutire a vuoto per scioglierlo. I discorsi si dirigevano su argomenti che non voleva sollevare e questioni sulle quali era meglio gettare un velo.
«Non ho deciso io il tracciato, siete fuori strada. »
«Dunque, siamo entrambi innocenti. Possiamo dire che la questione degli indiani ci riguarda solo moralmente e ognuno di noi ha le proprie convinzioni.»
Annuì, meno borioso di quanto si era sentito un istante prima.
«Vi lascio ai vostri impegni, Mr. Miller, vi ho già fatto perdere troppo tempo.» Un cenno di saluto e si avviò verso l’albergo con il petto invaso dall’angoscia.
Doveva risolvere la questione con Durant e uscire pulito dalla melma che circondava la costruzione della Union Pacific.
Nick fece un profondo respiro, prima di abbandonare il palo al quale era appoggiato, e cercò di calmare i nervi tesi mentre si dirigeva verso casa. Di tutti i discorsi appena fatti gli rimbombava in testa una sola frase: “Hope è stata così gentile da accogliermi nella vostra camera da letto, poco fa...”
Scott invece era stato così fortunato da non morire dopo averla pronunciata.
Detestava l’idea di non essere alla sua altezza, di non poter offrire a Hope la vita che lui avrebbe potuto farle condurre. Denaro, agi, una bella casa. Tutte cose che al momento non si poteva permettere, e l’orgoglio macinava rabbia.
Spalancò la porta e trovò Hope intenta a impastare. Lo sguardo teso parlava di colpevolezza e fu su quella che stava per gettare la propria rabbia, ma lei lo precedette: «Scott è stato qui.» Un’ammissione capace di azzerare la furia e fargli comprendere che di lei poteva fidarsi.
«Perché diavolo lo hai fatto entrare?» Ficcò il dito nella crema e lo portò alla bocca ignorando l’occhiata di rimprovero.
«Non sapevo in che modo cacciarlo e, comunque, voleva solo ordinare una torta per questa sera.»
«Voleva solo vederti e la torta è una dannata scusa.» Un altro assaggio, solo per addolcire il fiele che gli avvelenava l’anima. «Sarebbe meglio se tu non ci andassi.»
«La tua gelosia mi lusinga, Nick.» Gli rivolse un sorriso e indicò il denaro sul tavolo. «Ma mi ha dato un sacco di soldi per la torta e non potevo dire di no.»
«Caspita!» Strabuzzò gli occhi e si leccò le labbra zuccherose. «Sai che gli romperò il muso se ti toccherà anche solo con un dito, vero?»
Hope sistemò la torta sulla stufa e la coprì con il tegame più ampio.
«Sono pronta a scommettere che non accadrà.» Si voltò pulendo le mani nel grembiule e lo raggiunse per posargli un bacio sulle labbra. «Saprò evitarlo.»
«Non m’importa se tu lo eviterai... ma che lui non si azzardi a farlo.» La cinse in un abbraccio e affondò il naso tra i suoi capelli. «Profumi di buono.»
«Profumo di torta.» Un bacio dolce come miele, poi si scostò da lui. «Ne ho cucinate tre questo pomeriggio... stanno diventando famose in città.»
«Famose quanto le tue ragazze della sala da ballo. Dal barbiere ho appena saputo che sono tutti entusiasti del loro prossimo arrivo, non vedono l’ora di avere nuove donne in città. Scommettiamo che domani saranno lì all’arrivo del treno?»
La risata delicata di Hope lo fece sorridere per la serenità che trasmetteva. Nel mese appena trascorso, lei aveva dimostrato di sapersi adattare alla nuova vita, aveva preso con serietà il ruolo di socia e portato un gran contributo reclutando le ragazze per la sala da ballo. Pareva decisa a impegnarsi con tutte le forze perché ogni cosa fosse perfetta e la loro storia il più simile possibile a quella di una famiglia normale .
Si accigliò avvertendo il peso del rimorso gravare sulla coscienza. Quelle ultime quattro settimane avevano fatto di loro una coppia felice e appagata, eppure temeva l’attimo in cui lei avrebbe chiesto di più. Sarebbe arrivato, lo sapeva, e non era pronto né a perderla né a perdere se stesso. Tuttavia, avvertiva la minaccia di Andrew Scott pendere sulla loro storia come una scure affilata. Lui le avrebbe potuto offrire la stabilità che lei cercava, una vita agiata lontano da lì, da barattare con la famiglia che non avrebbero potuto avere. Perché Scott era sposato e questa era una carta che l’ingegnere presto avrebbe dovuto gettare sul tavolo.
*
Varcò l’uscio dell’albergo ammirando l’eleganza delle rifiniture in legno. Un luogo caldo e ospitale, creato per accogliere i personaggi più illustri di passaggio in città. Hope sorrise al gestore e avanzò mostrando l’involucro che teneva tra le mani.
«Ho una torta per Mr. Scott, posso lasciarla a voi?» Stava già per posarla sul bancone quando l’altro indicò la scala alla sua destra come chiaro invito a salire .
«Terza porta, vi sta aspettando.»
D’improvviso non era più così sicura di aver fatto bene ad accettare quella commessa. Fissò la rampa che conduceva alle camere e si domandò se non fosse meglio andare via.
Dannazione, aveva preso un impegno e lo avrebbe rispettato. Scott non le sarebbe di certo saltato addosso come un animale e quella era la giusta occasione per fargli intendere che non le interessava.
Sollevò il mento e si diresse su per le scale. Terza porta. Bussò dopo un istante di esitazione e attese. Quando l’uscio si aprì comprese che la cena programmata aveva un’atmosfera intima.
«La vostra torta, Mr. Scott» disse, restando sull’uscio. Gli occhi che frugavano l’interno, il tavolo apparecchiato per due, l’atmosfera romantica ed elegante. Aspettava una donna, era ovvio, e un campanello d’allarme suonò nella mente.
«Venite, Hope, vi attendevo.» Si scostò per farla passare, ma lei rimase immobile dov’era.
«Grazie, ma ho del lavoro da sbrigare.»
«Entrate almeno a posare il dolce. Sono così maldestro che finirei per farlo cadere.»
La prudenza consigliava di non entrare, ma si disse che forse stava solo esagerando e, comunque, avrebbe saputo come tenergli testa.
Lui sembrava rilassato, per nulla pericoloso, quindi Hope avanzò nella stanza scacciando la brutta sensazione di essere caduta in trappola.
Posò la torta sul portavivande e si voltò nell’udire la porta chiudere fuori il resto del mondo.
«Sedetevi e lasciate che vi serva.» Il solito fare gentile a celare le ormai ovvie intenzioni. «Siete mia ospite questa sera.»
Stupida ingenua! In futuro avrebbe fatto meglio ad ascoltare la prudenza... e Nick.
Cercò di non badare al battito spaventato che le martellava nel petto e ignorò il pensiero di ciò che sarebbe accaduto non appena Nick lo avesse saputo.
«Vi ringrazio Mr. Scott, però non posso accettare.» Mosse un passo per raggiungere la porta, ma lui le sbarrò la strada e si sentì trattenere per un braccio da dita delicate.
«Vi prego, Hope» le sussurrò all’orecchio, la voce roca di desiderio, l’acqua di colonia a impregnare la stoffa pregiata della camicia. «Non ho pensato che a voi nelle settimane appena trascorse. Restate con me a cena.»
Si divincolò rivolgendogli un’occhiata stizzita.
«Credevo aveste compreso che io e Nick...»
«L’ho compreso, sì» la interruppe brusco. «E davvero mi domando cosa troviate in lui. È un avventuriero che vi trascinerà di città in città lungo la tratta della Union Pacific. È davvero la vita che volete? Precarietà e fatica in questo angolo sperduto di America?»
«Con lui sono felice e questo mi basta. Non ho bisogno di altro, Mr. Scott.» Aveva parlato con orgoglio, ma sussultò quando lui l’attirò a sé per ghermirle le labbra con irruenza. Un bacio breve, perché riuscì a sfuggirgli e a raggiungere la porta che spalancò, decisa a scappare da lì.
Guadagnò il corridoio con lacrime di rabbia a pungere gli occhi, e si passò una mano sulla bocca nella speranza di cancellare quel bacio.
«Hope!»
Lo ignorò continuando a camminare rapida verso le scale che non riuscì a inforcare perché lui la trattenne, e fu costretta a voltarsi.
«Perdonatemi, vi prego.» Lo sguardo dispiaciuto parlava di sincera costernazione. «Non avrei dovuto, ma non capite! Desideravo stare solo con voi, trascorrere una serata dalla quale avrei preteso soltanto la vostra compagnia al mio tavolo.»
«Mi avete baciato!»
«Eravate troppo bella per poter resistere.» Sorrise da dietro i baffi brizzolati. Il volto di un uomo che conservava il fascino dell’avvenenza ormai passata. «E siete sprecata in questo posto, con quel tizio. Pensateci, Hope, mi troverete sempre ad aspettarvi.»
L’imbarazzo aveva spazzato via la rabbia, e quando prese a scendere le scale sentì il cuore sprofondare nell’incertezza.
Era innamorata di Nick, eppure la precarietà di quella vita non faceva per lei.
Non aveva mai sognato di vivere accanto all’uomo che amava, ma accanto a qualcuno capace di garantirle una vita dignitosa. Le avevano insegnato che gli uomini erano soltanto un mezzo con il quale guadagnare denaro o una certa posizione nella società. L’amore era un qualcosa da lasciare da parte ed era in questo che aveva sempre creduto.
Eppure, da quando aveva conosciuto Nick, non era più sicura di nulla.
*
Andrew mandò giù il bicchiere di vino e osservò la sedia vuota di fronte a sé. Cosa diavolo aveva creduto di fare attirando Hope lì con l’inganno? La bocca si storse in un sorriso amaro al ricordo di com’era fuggita dalle sue labbra e si lasciò cullare dalla leggera sbronza che già gli annebbiava i sensi.
Chiuse gli occhi un istante.
Si sentiva ridicolo ad aver perso la testa per una donna di trent’anni più giovane, una ballerina che si era data a chissà quanti uomini e ora faceva la preziosa con lui! Eppure, da quando l’aveva conosciuta, sentiva il cuore più leggero nonostante tutti i guai in cui annaspava.
L’avrebbe attesa e corteggiata; le avrebbe fatto capire la differenza tra lui e quel giocatore d’azzardo.
Si riscosse nell’udire il trambusto di voci provenire dal piano inferiore.
Pareva un alterco che raggiunse in un attimo il corridoio e sfociò sulla porta spalancata con furia da Nick Miller; dietro di lui una cameriera trafelata cercava di trattenerlo.
Dunque lei glielo aveva detto, pensò nell’alzarsi per affrontare il rivale. Pareva un diavolo, con gli occhi verdi fiammeggianti mentre gli si avventava contro e lo centrava al volto con un pugno micidiale.
Il grido della cameriera coprì la sua imprecazione, poi la donna fuggì in un eco di passi rapidi.
Andrew portò la mano al labbro e avvertì il calore viscido del sangue imbrattarne i polpastrelli, ma non mosse un dito verso l’avversario. Mai sarebbe sceso al suo livello.
«Vi avverto, Scott, state lontano dalla mia donna» ringhiò Nick afferrandolo per il bavero, per poi lasciarlo andare con uno strattone e voltarsi, diretto alla porta.
Era sicuro di sé quell’arrogante.
«Fareste meglio a stare attento» lo avvisò, con la medesima presunzione. «Scommetto che mi basterebbe fare qualche domanda in giro per scoprire cose interessanti sul vostro conto.»
Nick voltò appena il capo, il bel profilo palesava strafottenza.
«Fate pure» disse con un’alzata di spalle, prima di girarsi e piantare gli occhi nei suoi. «Non ho nulla da nascondere. Potete dire lo stesso di voi?»
«Siete un impostore, un fannullone. Dovreste vergognarvi dell’esistenza che conducete.» Afferrò un tovagliolo e asciugò il sangue che continuava a colare dal piccolo taglio. «Farò quanto in mio potere per portarvi via Hope, potete scommetterci.»
«E cosa ne direbbe vostra moglie?» Assunse un’aria pensosa e intanto avanzava verso di lui fino trovarsi a meno di un passo. «Cosa ne direbbero le vostre figlie, Amanda e Margaret, poco più grandi di Hope? E vostro fratello candidato alla presidenza del Paese... uno scandalo non gli gioverebbe di certo. Come vedete, ho fatto qualche domanda in giro anch’io.»
La sorpresa fu impossibile da celare e Andrew si maledisse per il tremore che tradì l’agitazione.
«So che non siete un uomo fedele, ma le vostre amanti erano donne di un certo tipo» riprese a dire l’altro. «Immaginate lo scandalo quando sapranno che avete perso la testa per una ballerina... una delle ragazze di Madam Maryann, fuggita poi nel West per sposare uno sconosciuto. Volete farmi paura, Andrew, ma ve la state facendo sotto.»
«Miserabile bastardo!» Si trattenne dal colpirlo, ma resse lo sguardo di sfida dell’altro. «Andatevene!» Indicò la porta, cercando di risultare autoritario.
Ci guadagnò solo una risata in risposta, mentre Miller gli voltava le spalle e lo lasciava solo con i suoi fantasmi.
Sua moglie, le sue figlie.
Si buttò a sedere con la testa tra le mani e imprecò.
Era disposto a perdere tutto per Hope, anche per averla una volta soltanto nel proprio letto, e ciò gli fece comprendere la follia di quel capriccio. Era una donna che mal si accostava a quelli come lui, Miller aveva ragione. Inoltre, se la faccenda fosse giunta alle orecchie di Durant, avrebbe passato dei guai. Doveva tenere un profilo basso, non attirare l’attenzione su di sé e sul suo ruolo alla ferrovia; una scaramuccia con un giocatore d’azzardo per contendersi una ballerina era quanto di peggio potesse fare.
Durant contava sull’elezione di suo fratello alla carica di presidente degli Stati Uniti, per questo lo teneva così in considerazione, e se a causa sua ciò non fosse avvenuto, gliel’avrebbe fatta pagare cara. Eppure, non riusciva a togliersi dalla mente il sapore delle labbra sulle quali sarebbe potuto morire.
Sollevò il volto e afferrò il bicchiere colmo di vino .
Meglio annegare i pensieri che affrontarli con il cuore a pezzi.
Si era innamorato come un ragazzino.